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Autore: Glenys    03/04/2015    2 recensioni
Con l'intento di salvare la vita al suo fidanzato, Luke era sceso nell'Ade per contrattare con la divinità.
Da allora, erano passati due anni: il suo fidanzato, Calum, era ormai morto. Luke era rimasto negli Inferi, diventando la metà di Plutone, che lo aveva reso immortale.
Tuttavia l'immagine dell'ultimo secondo di vita del suo ragazzo, lo tormentava. Ossessionato da ciò chiese aiuto alle Moire, le quali gli consigliarono di recarsi nei Campi Elisi: ma solo Zeus, padrone dell'Olimpo e nemico di Ade, avrebbe potuto accompagnarlo.
Sequel di Fallen, consigliabile la lettura
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3037667&i=1
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buona lettura.


 

1.

ades's
Thoughts.





Erano passati due anni da quando Luke Hemmings era sceso nell'Ade.
Adesso aveva diciotto anni, compiuti da un mese. Non che avesse molta importanza, dal giorno in cui aveva bevuto l'ambrosia. Era immortale, adesso, e Michael gli aveva sempre ripetuto che, se a lui avesse fatto piacere, avrebbero festeggiato insieme i suoi prossimi compleanni.

Michael era il padrone di casa dell'Ade: lo aveva accolto quando Luke era andato lì per chiedere la guarigione di Calum, suo fidanzato terminale. In realtà, Ade non lo aveva davvero accolto. Lo aveva più obbligato a stare lì per sempre, in sua compagnia; gli aveva detto che non avrebbe potuto far nulla per Calum, allora diciannovenne, e che sarebbe morto di lì a poco per mano di Atropo, colei che tra le Moire tagliava il filo della vita degli uomini.
La sera stessa, Luke Hemmings aveva baciato Michael, il suo Michael: lo aveva baciato perché aveva visto in lui qualcosa di diverso, qualcosa di strano ma che gli piaceva da morire. Lo aveva baciato ed aveva sentito il volto andare in fiamme ed il cuore scoppiare; lo aveva baciato ed aveva creduto di essere sulla soglia della morte, prossimo ad un infarto. Aveva visto gli occhi di Michael sorridere e in quel momento aveva deciso di voler vedere quegli occhi ridere per il resto della sua vita.
Il giorno dopo aveva assistito all'ultimo secondo di vita di Calum Hood, grazie a Michael. Aveva visto sua madre piangere per la sua morte e la mano del suo ragazzo protrarsi verso la propria; aveva visto gli occhi sbarrarsi alla sua vista e li aveva sognati per mesi.

Adesso, dopo anni, i sensi di colpa per aver abbandonato il suo ragazzo erano svaniti.
Si era appena svegliato, avvolto dalle sue solite coperte nere. Avrebbe preferito rimanere a letto e dormire un altro po', ma probabilmente Michael lo stava già aspettando per fare colazione. Non aveva trovato Ade tra le coperte, cosa che si verificava abbastanza raramente: di solito, appena sveglio, provvedeva a chiamare il biondino, così da far colazione insieme. La colazione degli dèi, che al più piccolo piaceva da morire.
Si diresse, quindi, nella stanza dove di solito trovava Michael: era la stessa sala dove si erano incontrati per la prima volta.
Al centro della camera si trovava un trono, dove al suo fianco si ergeva una colonna che portava la sua Kunée: lì trovò Ade. Era seduto sul suo trono, con l'elmo in mano. Sembrava terribilmente pensieroso, mentre osservava ciò che teneva in mano.
« .. Michael? » nel momento stesso in cui sentì pronunciare quel nome, la divinità alzò il capo verso il suo interlocutore. La sua espressione parve rilassarsi per un momento, e le sue labbra si curvarono verso l'alto.
Scese dal suo trono, dirigendosi verso il ragazzino.
Ade non era cambiato, Ade non cambiava mai e non sarebbe mai cambiato. Portava sempre degli anfibi neri, una maglietta nera ed un paio di skinny dello stesso colore. Sembrava non crescere mai, continuava a dimostrare pochi anni in più di Luke.
Neanche quest'ultimo era cambiato, dal giorno in cui aveva cominciato a bere l'ambrosia. Continuava a sembrare il sedicenne di due anni prima.
Michael poggiò entrambe le mani sui fianchi del compagno, posando le proprie iridi sui due diamanti blu del ragazzino. Lo faceva ogni volta: amava perdersi nei suoi occhi, li trovava in qualche modo rilassanti.
Ma Luke riuscì a leggere in quelli dell'altro una leggera preoccupazione, per qualcosa di cui era probabilmente ancora all'oscuro. Ade gli aveva sempre detto che non avrebbe dovuto essere per forza a conoscenza di tutti i problemi che il suo lavoro gli recava. Perché spesso Luke lo aveva visto preoccupato, sapeva si trattasse dell'Oltretomba e non di altro. Ma lui voleva essere a conoscenza di tutti i pensieri che passavano per la mente della sua oscura metà.
« Cosa succede? » le sue braccia si poggiarono attorno al collo dell'uomo, i suoi occhi si socchiusero, le loro labbra si scontrarono. Ma non si baciarono: Luke sapeva troppo bene che avrebbe solo contribuito a far innervosire Michael. Perché quella divinità era troppo strana e odiava essere baciata in certe situazioni.
Il più grande prese la mano dell'altro, e lo condusse insieme a lui verso la grande tavola dove si svolgevano solitamente i pasti più importanti.
Si sedettero, uno di fronte all'altro. Luke si ritrovò dinanzi ad una cesta di pane d'orzo, una brocca di vino puro, l'akratos, fichi, formaggi, olive e delle frittelle di frumento fatte con olio d'oliva, miele e latte cagliato.
Vide Michael prendere del pane dalla sua cesta ed intingerlo nell'akratos, e sapeva di dover fare la medesima cosa.
« Non ti va di parlarne? » gli chiese, riferendosi al suo stato d'animo. Ma ricevette da parte dell'altro solo uno sguardo, nulla di più.
Così, Luke decise di fare qualcosa che non aveva mai fatto prima d'allora: si alzò dalla tavola, sedendosi sul braccio della sedia su cui era seduto Michael.
Poggiò le mani sulla schiena della divinità, carezzandola.
« Non voglio perderti, Luke. » e, quell'affermazione, suonò alle orecchie del più piccolo quasi come una preghiera. Da parte di un uomo che di preghiere in vita sua non ne aveva mai fatte. Adesso lo stava pregando di rimanere con lui.
« Io non me ne andrò mai, Michael. Non voglio andarmene. » avvicinandosi maggiormente a lui, Luke lasciò un bacio sul suo collo. Entrambi risero.
« Sei bellissimo, Luke. » Plutone intinse una fetta di pane d'orzo nel vino rosso rubino, e lo portò alle labbra del compagno. Il biondo lo assaggiò e pensò fosse probabilmente il momento migliore dei suoi diciotto anni. Desiderò rimanere lì, con quella divinità accanto, per il resto dei suoi giorni. Ed era quello che avrebbero fatto: avrebbero vissuto insieme per tutta la vita, senza mai separarsi.
Ma, nonostante le belle parole del compagno, Luke continuava a non capire il suo strano comportamento.


Erano probabilmente passate tre ore dalla loro colazione, e il biondino non riusciva a trovare Michael, dovunque lo cercasse.
Si erano separati dopo aver mangiato, perché Ade diceva di dover svolgere un compito abbastanza importante. Luke non sapeva di cosa si trattasse, ma non aveva la benché minima intenzione di contrariare il compagno: sembrava essere già abbastanza adirato o, comunque, in pensiero per qualcosa a lui ancora ignota.
Aveva aspettato per un'ora, forse, dopodiché aveva cominciato a cercarlo, disperatamente. Lo aveva fatto perché gli mancava stare con lui, perché era preoccupato e perché avrebbe voluto davvero sapere cosa stesse succedendo nella sua vita. Perché in due anni non lo aveva mai visto talmente angosciato, mai.
Si ritrovò così lungo il corridoio “principale”, lo stesso che gli aveva dato il benvenuto per la prima volta. Era completamente vuoto, di nuovo. Luke cominciò a correre, perché quella situazione lo stava facendo diventare pazzo, e nell'Ade non ci sarebbero mai stati degli psicologi in grado di curarlo.
Arrivò un momento, però, in cui si voltò. Semplicemente, ad un tratto si sentì come se qualcuno o qualcosa lo stesse fissando.
I suoi occhi scorsero così la figura di tre donne, anziane, che lo scrutavano. Le aveva già viste prima: erano le donne del suo sogno, quelle di due anni prima, quelle a cui Michael aveva detto di convincerlo in tutti i modi possibili.
Si diresse così verso di loro, che sembravano aspettarlo da tempo. Forse le donne lo stavano attendendo dal primo giorno in cui era arrivato lì.
« Luke Hemmings. » il ragazzo identificò in quella donna Lachesi, la seconda delle tre Moire, forse la meno crudele. Ma Luke, avendo preso coraggio per la prima volta, decise di tenere testa alle tre anziane.
« Lachesi. » rispose, cercando di nascondere il timore che provava verso quella Moira. Perché infondo era lei a decidere il destino di ogni uomo.
Si morse il labbro inferiore, giocando con l'anello in ferro che lo avvolgeva. Lo fece per la prima volta da quando si trovava lì perché, prima di allora, non si era mai sentito talmente nervoso; lo fece per la prima volta, perché l'ultima era stata in compagnia di Calum Hood, durante il suo penultimo giorno di vita. Ma nessuno sapeva che non si sarebbero mai più rivisti.
« Io .. sto cercando – »
« Sappiamo già chi stai cercando. Noi ti conosciamo bene, Luke Hemmings, più di quanto tu possa pensare. » ennesima figuraccia.
« Dove posso trovarlo? » e Luke si chiese da dove avesse recuperato tutto quel coraggio, per fare una richiesta simile.
Lachesi, dal canto suo, scoppiò a ridere. Il ragazzo pensò che se le avesse raccontato una barzelletta, avrebbe probabilmente riso meno. Sembrava volerlo prendere in giro, volersi prendere gioco di lui. Luke poggiò le mani sui propri fianchi, aspettando che la donna si ricomponesse. Quando lo fece, la vide avvicinare la mano destra al suo corrispettivo occhio; la vide estrarre il bulbo oculare dal viso con estrema facilità, così tanta da restarne profondamente impressionato.
Luke si irrigidì, non sapeva cosa avrebbe fatto ne' tanto meno perché avesse strappato un occhio dalla sua faccia.
« Che cos – » ma non riuscì a terminare la sua frase, poiché si ritrovò ad assistere ad una cosa che mai aveva guardato prima d'allora. Dapprima vide l'occhio diventare come una palla di fuoco incandescente sotto le mani della donna, per poi sollevarsi in aria come se avesse vita propria. Quando arrivò sopra le loro teste, dell'occhio non c'era più alcuna traccia: c'era solo una forte luce che, però, non recò nessun fastidio alla vista di Luke. Quando si sforzò per guardare meglio quella che adesso era diventata una palla che emanava raggi sulle loro teste, si stupì accorgendosi di poterci vedere qualcosa all'interno.
L'occhio di Lachesi gli stava mostrando due persone che parlavano. Erano due ragazzi.
In uno di loro riconobbe Michael, il suo Michael: era intento a parlare con una persona all'apparenza più piccola di lui, seduta su un trono.
Ma quel seggio era diverso da quello dell'Oltretomba: era totalmente bianco, con delle rifiniture in oro. Era davvero stupendo, ma Luke si chiese cosa ci facesse Ade in un posto come quello.
Il ragazzo accanto a lui aveva dei lineamenti delicati, capelli castano chiaro, una tunica con un telo raccolto in vita da una cintura e allacciato sulle spalle, e un mantello.
Sembrava essere tremendamente serio, lui quanto Michael stesso: stavano sicuramente parlando di cose abbastanza importanti. Si accorse che le Moire non gli avevano permesso di poter udire le parole che uscivano dalle loro labbra, quando vide quel ragazzo alzarsi dal suo trono, impugnando un fulmine. I suoi lineamenti erano diventati più duri, si era arrabbiato.
« Io non .. non li sento! » Luke sentì di star diventato pazzo, non riuscendo ad essere a conoscenza di quello che i due si stavano dicendo.
Cloto lo guardò, e il ragazzo fu in grado di percepire un lieve sorriso sul suo volto, ma non capì a cosa fosse dovuto: sadismo o compassione?
Ad un tratto la luce emanata dall'occhio si spense, e il bulbo oculare inglobò le tre donne. Quando Luke se ne rese conto, le Moire erano già scomparse. Lo avevano lasciato completamente solo, con una strana ansia dovuta al non essere a conoscenza di quanto stesse succedendo a Michael.


Quando Ade tornò a casa, Luke era ormai nella loro stanza. Era terrorizzato da ciò che potesse essere accaduto alla divinità, così tanto che aveva deciso di non mettere piede fuori da quel letto. Lui era immortale, sì, ma quell'uomo con cui stava parlando non scherzava di certo. Erano entrambi arrabbiati, quando li aveva visti, e le Moire se n'erano andate nel momento in cui l'altro si era scaldato ulteriormente.
Non lo trovava giusto: se dovevano aiutarlo, fargli vedere cosa stesse succedendo, perché non farlo fino in fondo?
Così Michael, non trovando il suo amato, decise di cercarlo nella loro stanza. Perché era palese fosse lì, come sempre.
« .. Luke? » quando aprì la porta, vide il ragazzo rannicchiato sul loro letto. Sembrava un bambino. Ma ricordò che, sì, lui era pur sempre un bambino, nonostante abitasse l'Ade da due anni, ormai. Era cresciuto con lui, ma rimaneva comunque un sedicenne che era arrivato lì per salvare una vita, sacrificando così la propria.
Luke non rispose.
Così Michael si avvicinò a lui, sedendosi ai piedi del letto.
« Cosa c'è, Luke? » il suo sguardo puntato in un punto indefinito della stanza sembrava non aver intenzione di dirigersi verso il suo interlocutore. Ed Ade, forse per la prima volta in tutta la sua vita, sentì una stretta al cuore.
Vedere quel ragazzino stare così male, per qualcosa di cui non era neanche a conoscenza, lo faceva sentire una nullità. Lui, che di nullità non aveva proprio nulla.
Gli carezzò le gambe, alla disperata ricerca di un contatto con il biondino. Ma quegli stessi arti che aveva accarezzato in quel momento, quegli stessi arti che aveva accarezzato miliardi di volte, si scansarono al suo tocco. E Michael non riusciva a capire cosa avesse sbagliato con lui, cosa avesse sbagliato in generale per scaturire quelle emozioni da parte del più piccolo.
« Luke, cosa è successo? » non aveva la minima intenzione di arrabbiarsi, perché sapeva che l'uno aveva bisogno dell'altro, incessantemente.
Anche se era triste ammettere, da divinità quale Michael era, di aver bisogno di un sedicenne biondo e poco virile.
Ade non aveva la minima intenzione di arrabbiarsi, ma lo avrebbe fatto se non gli fosse pervenuta alcuna risposta da parte di quel ragazzino.
« Luke, te lo ripeto per l'ultima volta: cosa c'è che non va? » ancora, nessuna risposta.
E Michael sentì di star per esplodere, con le interiora che gli si contorcevano e bruciavano dentro il suo corpo, con il cuore sorretto da due mani infuocate che, lentamente, lo ardevano. Avrebbe accettato tutto da quel ragazzo, ma non un suo silenzio.
Così, con un movimento veloce del corpo, lo prese per il bracciò e lo fece sedere sul letto, tirandolo a se'. Lo guardò fisso negli occhi, e Luke sentì il suo cuore bruciare, con una grossa fitta al petto; sentì le sue ossa sgretolarsi sotto gli occhi della divinità, ogni centimetro di pelle andare letteralmente a fuoco; si sentì quasi privato di ogni sua forza, di ogni sua possibile volontà di ribellarsi a lui.
Poi guardò i suoi occhi: erano pieni di odio e di preoccupazione. Erano diventati il colore del fuoco, e riusciva a vedere attraverso i suoi occhi le fiamme del Tartaro stesso.
« M – Michael .. » Luke abbassò lo sguardo, non riuscendo a sopportare lo sguardo dell'amato per più tempo. Si ritrovò, così, a tremare, consapevole degli occhi color fuoco ancora puntati su di se'. La sua voce tremava così come il suo corpo, e non riusciva a formulare una frase o una parola stessa evitando qualche balbettio.
In momenti come quelli, Luke Hemmings aveva davvero, davvero tanta paura della persona che aveva davanti.
E Michael lo sapeva, lo sapeva benissimo.
Perché lui era pur sempre Ade, e, se solo lo avesse desiderato, avrebbe potuto ridurre in cenere Luke stesso. Ma non lo voleva.
Così si alzò, non riuscendo a sopportare quella vista: Luke era ancora seduto sul letto, con il capo chinato, quando Plutone varcò la soglia della porta.
Voltò lo sguardo nella sua direzione, ed era ancora lì: sembrava un bambino, perché infondo lo era, con le gambe ora raccolte sul suo petto e tenute insieme dalle sue braccia. Aveva ancora lo sguardo chino, come a non voler incontrare il suo. E Michael sapeva di essere stato sleale, di essere avvantaggiato dai suoi occhi e da ciò che potevano scaturire in un uomo. Gli lanciò un'ultima occhiata, prima di uscire dalla stanza. Dalla loro stanza; quella dove passavano la notte da ormai due anni, quella dove avevano fatto l'amore per la prima volta, quella stessa stanza che aveva ospitato le lacrime di Luke al suo primo arrivo. Era la loro stanza, quella che Ade in quel momento stava abbandonando.

Michael era rimasto per tutto il tempo seduto sul suo trono nero, evitando ogni tipo di contatto con Luke. Non si erano parlati da quando aveva lasciato la loro stanza, e sapeva di aver ferito in qualche modo il ragazzo.
Era arrivato il momento dell'ariston, il primo pasto principale, quando Luke aveva fatto la sua entrata nella grande stanza in cui mangiavano di solito.
Il suo sguardo era colmo di tristezza, e quasi non diede importanza alla tavola imbandita che aveva dinnanzi.
Si sedette così, dal suo lato del tavolo, davanti ad una cesta piena di focacce d'orzo, ad una brocca piena d'acqua, dei recipienti pieni di verdure, altri pieni di legumi, olive, formaggi e piatti pieni di carne bianca o rossa.
« Mi dispiace per .. poco fa. » ed era quasi divertente, vista da un'altra prospettiva, quella situazione. Luke, che fino a qualche momento prima evitava del tutto Ade, si ritrovò a chiedere scusa per ciò che forse non aveva neanche fatto.
Questa volta fu Michael ad ignorarlo: non aveva alcuna intenzione di parlare con lui. Non poteva assolutamente permettersi di essere scusato, dopo averlo ignorato nonostante le sue preoccupazioni. Perché forse Luke non aveva mai capito Michael veramente: era una delle divinità principali, Ade, e vederlo arrabbiato non faceva stare bene nessuno.
« Mi dispiace davvero, Ade. »
E Michael lo guardò, incuriosito. Se ne era davvero pentito così tanto? Non lo aveva mai chiamato con il suo vero nome. Neanche la prima volta che si erano conosciuti.
Lo guardò negli occhi e riuscì a leggere del pentimento, ma non era qualcosa di così grande come voleva far credere. Ma Ade non voleva scusarlo davvero, perché Luke avrebbe dovuto imparare ad avere un certo timore nei suoi confronti.
Vivevano insieme da due anni, sì, avevano condiviso tutto, ma non poteva comportarsi con lui come con un amico.
« Io .. ero arrabbiato con te, sì, lo ammetto. Eri completamente sparito, mi avevi lasciato solo per non so quante ore e non mi avevi detto nulla. Con chi stavi parlando? Cosa è successo? Vorrei che tra noi non ci fossero segreti, Michael, perché sai che mi importa tutto di te. Chi era quel ragazzo con cui stavi parlando? Ho visto che eravate arrabbiati entrambi ed allora io mi sono preoccupat – »
« Sei andato dalle Moire? »
« Sono venute loro da me. »
E Luke sapeva Michael odiasse essere spiato. Perché, se avesse voluto dire qualcosa, lo avrebbe fatto. Non c'era alcun bisogno di osservarlo di nascosto.
Ade si alzò dalla tavola, evitando di rispondere al ragazzo. Non terminò neanche l'ariston, che per lui era sempre stato abbastanza importante. Se ne andò.
Se ne andò, lasciando Luke completamente solo, in balia delle sue emozioni e delle sue paranoie. Aveva fatto arrabbiare Ade, di nuovo, per qualcosa di cui non era neanche a conoscenza. Era sempre così: più cercava di aggiustare delle cose, più finiva per romperle del tutto.


 

   
 
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