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Autore: The Writer Of The Stars    04/04/2015    3 recensioni
“Che cosa stavi facendo?” chiede Vegeta camminando di fianco a Bulma, mentre la donna stringe la mano di Trunks che li segue in silenzio, osservando gli alberi del parco a cui si stanno avvicinando.
“Dovevo dire una cosa a tutte quelle donne là dentro …” dice incurante, cercando di sorvolare l’argomento.
“E cosa hai detto?” chiede Vegeta, insistendo. Bulma guarda Trunks staccarsi dalla presa della sua mano, prendendo ad inseguire gioiosamente una farfalla variopinta per il parco deserto. Sorride intenerita, certa di aver fatto la cosa giusta.
“La verità … che il pregiudizio è solo ignoranza.”
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One shot AU. Vegeta/Bulma.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Prejudice is just ignorance …”
(Glee)
No, there's nothing that I wouldn't do,
To make you feel my love …
(https://www.youtube.com/watch?v=1hIW83L0bsw canzone)

Nessuna madre vorrebbe mai vedere il proprio figlio piangere. È contro natura, non ce la fai. Ti sale un nodo pazzesco allo stomaco e poi senti il cuore soffocare, come se qualcuno lo avesse preso in pugno e lo stesse stritolando con tutta la propria forza, al solo vedere le lacrime scendere dal volto del tuo bambino. Bulma ora guarda fissa negli occhi azzurri di suo figlio, uguali ai suoi. Bulma vede le lacrime riempire quegli occhioni innocenti e sente gli occhi pungere, d’istinto. Bulma si morde violentemente il labbro inferiore, nel tentativo di trattenere le lacrime, facendolo sanguinare. Glielo dice sempre Vegeta che ha le labbra troppo delicate. Il suo bambino comincia a piangere senza singhiozzare, perché anche se tutti gli dicono che è ritardato, lui ha capito tutto. E allora le piccole gambette tozze prendono a correre veloci verso le scale, fiondandosi in una delle stanze al piano superiore, sbattendo la porta tanto forte da far tremare la donna. Bulma resta immobile, fissando il punto in cui fino a pochi secondi si trovava il suo bambino. D’istinto muove la mano verso l’alto, cercando quella di Vegeta. E la trova, e sente subito la sua manina pallida inondarsi del calore di una stretta forte e decisa. Non si aspetta che lui dica niente, non c’è niente da dire.


“C’era da aspettarselo.” Dice solo quello Vegeta, e Bulma sa che ha ragione.

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Una piccola goccia di pioggia si schiantò con violenza contro il nasino alla francese della donna.  Bulma alzò gli occhi verso il cielo, scoprendolo terso e pieno di nuvoloni grigi carichi di pioggia. Fece una smorfia infastidita, ficcando allora una mano all’interno della borsa sulla sua spalla. Un’altra goccia cadde sul suo capo, seguita da una terza, e poi da una quarta. Con un verso preoccupato Bulma frugò velocemente all’interno della borsa, sospirando sollevata nello sfiorare il manico di plastica di un piccolo ombrellino gettato sul fondo della sacca. Non le sarebbe importato più di tanto bagnarsi infondo, ma aveva Trunks con sé, e non poteva certo permettere che si ammalasse. Fissò i cancelli della scuola arrugginiti, in attesa di vederli aprirsi. La gente stava cominciando ad arrivare a fiotti, e in poco tempo si ritrovò circondata da altre venti madri come lei, ad aspettare il proprio figlio uscire da scuola, riparate da un ombrellino sgargiante. Bulma si guardò intorno, ripensando a quanto avvenuto quella mattina. Mancavano solo tre giorni al compleanno di Trunks. Tre giorni, e il suo ometto avrebbe compiuto sei anni. Non avevano mai organizzato feste o quant’altro, perché di amici il bambino non ne aveva giacché non aveva frequentato la scuola materna, e i compagni con cui si ritrovava quattro pomeriggi a settimana per la terapia di gruppo insieme ai genitori non avevano mai attirato più di tanto la sua attenzione. Ma quest’anno aveva cominciato la prima elementare, e nonostante non lo avesse mai notato giocare con qualcuno dei suoi compagni di classe, Bulma aveva pensato che sarebbe stata un’idea carina quella di organizzare una piccola festicciola per il festeggiato. Trunks aveva bisogno di qualche amico, e magari la festa sarebbe stata l’occasione migliore. Glielo aveva proposto quella stessa mattina, prima di uscire di casa per portarlo a scuola.


“Allora, tesoro.” Aveva cominciato, mentre si era abbassata alla sua altezza per allacciargli il giubbetto.

“Venerdì compi gli anni … sei felice?” aveva chiesto gioiosa, alzando per un attimo gli occhi dalla zip del giubbetto che non ne voleva sapere di chiudersi. Trunks si fissò a guardare un punto vuoto dinanzi a sé, senza rispondere con alcun segno. Solo dopo diversi secondi il bambino aveva annuito, sorridendo entusiasta.

“Che ne dici se chiamiamo i tuoi compagni di scuola e facciamo una festa qui a casa per festeggiare?” aveva allora chiesto speranzosa Bulma,imprecando mentalmente contro quel dannato giubbetto. Trunks sembrò riflettere diversi attimi sulle parole della madre, fissando il pavimento in silenzio. Poi ad un tratto iniziò a saltellare, ridendo entusiasta. Dapprima sorpresa, Bulma sorrise poi intenerita, conscia che quello fosse il modo di Trunks per dirle che gli piaceva l’idea. Trunks cominciò a correre per tutta casa, ridendo come un matto tra sé.

“Trunks! Trunks, fermati, è tardi, dobbiamo andare!” esclamò sconsolata Bulma, nel tentativo di fermarlo. Trunks correva talmente preso nel suo mondo che non si accorse nemmeno di essere andato a sbattere contro qualcosa, se non quando si ritrovò con il sedere per terra, a gambe all’aria. Confuso da quel brusco impatto, il piccolo alzò gli occhi, scontrandosi con l’imponente figura paterna che lo squadrò dall’alto con serietà.

“Trunks, alzati e fai ciò che ti ha detto tua madre. Devi andare a scuola.” Tuonò serio, con le braccia incrociate al petto. Trunks fissò suo padre confuso, senza prestare attenzione alle sue parole. Vegeta allora sospirò stancamente, abbassandosi all’altezza del bambino.

“Se non ti alzi farai tardi a scuola, capito?” chiese allora con meno durezza, quasi dolcemente. Trunks ci pensò, annuendo poi, entusiasta di aver capito. Si alzò in piedi, correndo verso sua madre e spalancando il portone d’ingresso, fiondandosi fuori di casa.

“Trunks, aspettami!” gli urlò di rimando Bulma, fissando preoccupata il bambino fermarsi dinanzi alla loro auto parcheggiata sul vialetto.

“Di che gli stavi parlando prima?” sobbalzò all’udire quella voce roca alle sue spalle. Si voltò, sorridendo allora timidamente in direzione del suo consorte.

“Venerdì è il suo compleanno, così gli ho proposto di fare una piccola festa qui da noi, con i suoi compagni di scuola.” Spiegò pacatamente. Vegeta la squadrò con una smorfia.

“Non credo sia una buona idea.” Esclamò serio, per nulla convinto. Bulma alzò gli occhi al cielo, leggermente esasperata.

“E sentiamo, perché no?” chiese allora retorica.

“Trunks non è come gli altri, Bulma.”

“E allora?! Solo perché nostro figlio è autistico non significa che valga meno degli altri!” esclamò ferita la donna.

“Non ho mai detto che vale meno degli altri, anzi sai cosa penso. Trunks ha un’intelligenza sopra la norma, e lo sappiamo. Ma è comunque diverso dai suoi compagni. Anche se sono piccoli, i bambini sanno essere cattivi alle volte.” Spiegò quasi preoccupato.

“Ma Trunks ha il diritto come tutti di poter festeggiare il suo compleanno! Ha bisogno di fare amicizie, lo ha detto anche la psicologa.” Spiegò allora Bulma con tono calmo, cercando di far ragionare il marito. Vegeta fece una smorfia contrariata all’udire quelle parole. Sapeva quanto odiasse tutti gli strizzacervelli e i vari cervelloni a cui Bulma sottoponeva il caso di Trunks. Sembrava quasi che non riuscisse ad ammettere a se stesso che Trunks fosse effettivamente affetto d’autismo, come se fosse un’enorme sconfitta per lui, tra i più stimati avvocati del paese e risaputo oratore nei tribunali, che suo figlio non parlasse.

“Senti devo andare, altrimenti faccio tardi.” Disse alla fine Bulma, dopo attimi di silenzio. Si sporse in avanti, cercando le labbra di suo marito, che vennero catturate in un bacio dolce ma comunque intenso.

“Ci vediamo dopo. Lascia fare a me, okay? Trunks avrà un compleanno fantastico.” Sussurrò sulle sue labbra, di scomparire dietro il portone d’ingresso.
 

Bulma ripensando alla discussione con suo marito si guardò intorno preoccupata, alla ricerca di qualcuna delle madri dei compagni di Trunks. Intravide da lontano quella che doveva essere la madre di un certo Jake, così prese ad avvicinarsi alla donna con passo sicuro. Ma proprio in quel momento la campanella trillò fastidiosamente e i cancelli in ferro si aprirono, riversando sui genitori bambini urlanti e alla ricerca dei propri parenti. Bulma allora prese a cercare con lo sguardo la chioma lillà di Trunks e quando la intravide in mezzo ad un gruppetto di bambini gli corse incontro, salutandolo. Trunks subito corse verso la madre, senza abbracciarla. Il bambino non voleva mai farsi toccare da nessuno, e solo ai genitori era concesso di sfiorarlo, senza troppi abbracci o strette possessive. Bulma sorrise al piccolo, prendendolo per mano senza che Trunks opponesse resistenza alcuna, perché aveva imparato a dare sempre la mano alla mamma quando uscivano di casa. La giovane madre si guardò intorno, cercando allora in mezzo alla folla la donna di poco prima.

“Vieni, Trunks.” Lo incitò allora non appena riconobbe la signora affianco al piccolo Jake, camminando svelta nella loro direzione.

“Signora!” la richiamò allora ad alta voce, nel tentativo di attirare l’attenzione della donna. Questa si voltò, osservando Bulma confusa.

“Salve! Non so se si ricorda di me, ci siamo viste alle assemblee scolastiche … sono la madre di Trunks.” Disse la donna dai capelli azzurri, sorridendo cordiale. La signora squadrò prima la ragazza, posando poi i suoi piccoli occhietti neri sul bambino al suo fianco, che la osservava senza dire nulla.

“Ah, salve.” Rispose allora freddamente, riconoscendo il bambino “che aveva problemi”, come lo aveva definito una delle insegnanti.

“So che Jake è un compagno di scuola di Trunks e dato che venerdì compirà gli anni avevo pensato di organizzare una piccola festa a casa nostra, con tutti i suoi amici. Se le fa piacere, noi vorremmo che venisse anche Jake, Trunks ne sarebbe felice.” Esclamò sorridente Bulma, nascondendo il nervosismo. La donna davanti a lei strabuzzò gli occhi, boccheggiando per diversi attimi senza sapere cosa dire.

“Grazie  dell’invito … le farò sapere.” Biascicò allora velocemente, afferrando Jake per mano e allontanandosi camminando svelta, trascinando dietro il bambino con sé. Bulma la osservò in silenzio, confusa. Abbassò poi lo sguardo su Trunks, esclamando allegramente:


“Hai visto, tesoro? Jake verrà al tuo compleanno!” e Trunks sorrise, comunicando a modo suo che era felice.



Il venerdì pomeriggio era arrivato e Bulma camminava svelta per la casa, sistemando al meglio ogni piccolo particolare. Lanciò un’occhiata al grande tavolo in cucina, colmo di pizzette, dolci, patatine e ogni tipo di bibita, per poi osservare celere i palloncini e i festoni di auguri appesi alle pareti, sorridendo soddisfatta.

“A che ora arrivano i marmocchi?” sobbalzò, maledicendo suo marito per essere sempre così silenzioso nei suoi ingressi.

“Dovrebbero essere qui per le 16,30, ma di certo alcuni faranno ritardo. Trunks dov’è?” chiese allora curiosa.

“In camera sua, sta giocando con quei pupazzi che gli hai comprato.” Disse pratico, additando il piano superiore. Bulma sorrise, emozionata.

“Non l’ho mai visto così felice, sai? È davvero emozionato per la festa.” Esclamò entusiasta, prima di sorridere al marito, lanciandogli un occhiolino. Vegeta non disse nulla, fissandola imperturbabile, come se sapesse che sua moglie si sbagliava.

Alle 16,30 nessuno aveva ancora bussato alla porta di casa Brief, e andava bene, perché si sa che mai nessuno arriva perfettamente in orario. Alle 16,45 non vi era ancora alcun bambino urlante in giro per la casa, e alle 17,30 Bulma lanciò un’occhiata al portone d’ingresso, mordendosi un labbro ferita. Trunks trotterellava per la casa da ore ormai, presentandosi ogni tanto dinanzi a lei e fissandola con quegli occhioni interrogativi, come a chiederle: “dove sono i miei amici?” Bulma gli sorrideva intenerita, senza lasciar trapelare risentimento o delusione alcuna. “Arriveranno” diceva, e Trunks sembrava crederci davvero.

Alle 18,45 Bulma trovò Trunks seduto in terra a gambe incrociate dinanzi al portone d’ingresso. Il piccolo fissava la porta e il campanello come se volesse dire: “Andiamo, suona!” . Bulma lo guardò, sentendosi uno schifo per aver illuso sé stessa e il suo bambino con un vanaglorioso sogno di ordinaria amministrazione. Era solo un compleanno, diamine! Per quale motivo i genitori, perché era colpa dei genitori, lo sapeva, non avevano voluto mandare i bambini alla festa del figlio, trattandolo come se fosse un essere strano, un malato contagioso. Bulma emise un sospiro tremante, prima di abbassarsi all’altezza del bambino, richiamandolo con dolcezza.

“Trunks?” Il piccolo posò gli occhioni azzurri su quelli identici della madre, confuso. Bulma sentì il cuore stringersi in una morsa letale nel dover pronunciare le successive parole.

“Credo che non verrà nessuno … mi dispiace, tesoro …” sussurrò, trattenendo le lacrime di frustrazione. Trunks allora la fissò per diversi attimi, cercando di comprendere le parole della madre. Poi i suoi occhioni cerulei si spalancarono riempiendosi di lacrime, e Bulma si sentì mancare un battito. Trunks cominciò a piangere in silenzio, portandosi il volto tra le mani e abbassando la testa sulle ginocchia, scuotendo il capo con veemenza. Con mano tremante Bulma cercò di toccare il piccolo, ma non appena gli sfiorò il braccio, Trunks si alzò di scatto precipitandosi su per le scale. Con il cuore in fiamme cercò la mano di Vegeta, percependo la sua presenza alle sue spalle e non appena la trovò la strinse, con tutta la forza che aveva.


“C’era da aspettarselo …”

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“C’era da aspettarselo …” e Bulma sa che ha ragione.

“Non è vero che i bambini sanno essere cattivi …” dice con voce ferma ma incrinata Bulma, fissando un punto vuoto dinanzi a sé.

“Sono i loro genitori ad esserlo …” conclude arrabbiata, alzandosi in piedi e correndo su per le scale, verso la stanza di Trunks, seguita a ruota da Vegeta.
Lo trovano così allora, steso sul suo letto con le spalle rivolte verso la porta, rannicchiato su di sé a riccio, come a volersi proteggere da solo da qualcosa che la gente chiama “pregiudizio”.  Bulma allora si fionda sul letto del piccolo, abbracciandolo subito da dietro, fregandosene del fatto che Trunks non vuole essere toccato e tutto il resto. Da quando è nato aspetta di sentire la voce del suo bambino chiamarla “mamma” con dolcezza, dal giorno in cui hanno diagnosticato al piccolo una particolare forma di autismo cerca un modo per poter far sentire a Trunks il proprio amore, e ci sono notti in cui si rende conto che è difficile, e allora si ritrova sempre a piangere contro il petto muscoloso di Vegeta che fa il forte per entrambi. Però adesso non ce la fa e si ritrova a singhiozzare di nuovo con il volto premuto sull’esile spalla del suo bambino. E forse avviene già allora un miracolo, perché Trunks non comincia ad urlare, a dimenarsi e a scalciare perché venga lasciato in pace. Si fa stringere senza dire nulla e Bulma, che dovrebbe esserne felice, comincia a piangere ancora più forte,sfogando la tensione accumulata in tutti quegli anni. Tutti quei gesti accennati, i modi tentati per far capire al proprio bambino di volergli bene, perché non sarebbe bastato dirglielo in faccia come a tutti gli altri.  Tutti e tre, perfino Trunks, sanno che Bulma non sta piangendo solo per la festa andata male, o perlomeno non solo per quello. Bulma piange perché dopo aver fatto la forte per tutti quegli anni, è arrivata ad un punto di rottura in cui sente di doversi sfogare. E allora sulla spalla del figlio riversa attraverso le lacrime tutte le sedute dalla psicologa, le visite mediche nei migliori centri specialistici al mondo, le sedute di gruppo con gli altri bambini come lui, i volti infastiditi delle altre madri dinanzi a Trunks, il silenzio con cui il piccolo comunica loro, parlando con gli occhi.

“S – scusa …” balbetta con il volto ancora premuto sulla spalla del figlio.

“S – scusami se non sono una brava mamma … scusami se non riesco a farti capire che ti voglio bene …” continua reprimendo i singhiozzi, vergognandosi quasi di piangere così davanti a suo marito, lui che la ritiene sempre una roccia indistruttibile.

“Ma lo sai che farei qualunque cosa per farti sentire il mio amore … lo sai, vero?” dice in un sussurro all’orecchio del bambino, che però non risponde, resta immobile. D’un tratto si accorge di non avvertire più la presenza del marito alle sue spalle e alzando gli occhi si scontra con la figura imponente di Vegeta piegato sulle ginocchia dinanzi al figlio, in modo da poterlo guardare in viso. Non dice nulla, non si mette a piangere o altri sentimentalismi vari. Una carezza veloce. Una carezza veloce sul capo del suo bambino, scompigliandogli i capelli, e ammette finalmente a se stesso che quel bambino non è una sconfitta, ma la sua vittoria più grande. Bulma gli sorride intenerita, passandosi una mano sul volto per asciugare le lacrime. E poi restano lì, tutti e tre, e si addormentano insieme lasciando fuori da quelle quattro mura azzurrine tutto il resto del mondo. Come una vera famiglia.
 


“… Perciò ritengo che non sia corretto per i nostri bambini restare indietro con il programma solo perché quel bambino non riesce ad apprendere come tutti gli altri! E discutendo anche con altre madri abbiamo trovato che sia alquanto spiacevole la convivenza in classe tra Brief e gli altri bambini … cosa dobbiamo dire noi ai nostri figli quando vengono a chiederci perché Trunks non vuole parlare con loro, se si è forse arrabbiato?”

Bulma picchietta ritmicamente due dita sul tavolo in legno di noce, mentre un sorriso amaro si impossessa delle sue labbra carnose. Alza un po’ lo sguardo per puntarlo sulla  madre di Jake, intenta ad esporre le proprie idee in piedi all’assemblea di classe con le insegnanti. La guarda gesticolare come una furia, e si sente disgustata dalle parole della donna che nonostante lei sia lì, non ha il minimo rispetto nel voler parlare di Trunks come “il problema della classe.” Poi finalmente la tozza signora si siede al suo posto e una delle maestre prende parola, chiedendo timorosa:

“C’è qualcuno che vorrebbe aggiungere qualcos’altro?” Bulma non aveva mai parlato durante le assemblee di classe. Si limitava a starsene seduta al suo posto senza fiatare, ascoltando le parole smodate delle altre madri e riflettendo tra sé. Ma adesso il gesto avviene quasi volontariamente, la manina bianco latte si alza di scatto, chiedendo silenziosamente la parola. Alcune delle madri strabuzzano gli occhi, comprese anche le maestre.

“Signora Brief, prego, dica pure!” esclama sorpresa una delle insegnanti. Bulma si alza in piedi, mentre il silenzio cala per la stanza. Lancia uno sguardo impassibile ad ognuna delle donne presenti, sentendo la rabbia montarle dentro al sapere che quelle madri non hanno voluto far si che i loro figli divenissero amici di Trunks.

“Abbiamo scoperto l’autismo di Trunks quando lui aveva poco più di un anno. Appena lo abbiamo saputo io e mio marito ci siamo guardati in faccia e abbiamo sentito il mondo caderci addosso, tutto in una sola volta. Trunks non parla. Non mi ha mai chiamato mamma, e mentirei se vi dicessi che non passa giorno in cui speri di sentirlo pronunciare quelle cinque lettere. È vero, Trunks non parla, ma noi riusciamo comunque a capirci. Credo che voi non abbiate la minima idea di quanto sia potente il rumore del silenzio, perché scommetto che non vi siete mai fermati ad ascoltarlo. E sono sincera, prima della nascita di Trunks nemmeno io gli davo molto peso. Non ero in grado di stare zitta, non riuscivo a rispettare il silenzio. Poi però ho capito che quella era la dimensione di Trunks, e ho deciso che se volevo davvero comunicare con mio figlio, l’unico modo era il silenzio. Ho cominciato ad ascoltare le sue parole mute e a guardarlo negli occhi … e vi giuro, non potete immaginare cosa gli occhi di un bambino che non parla possono dire. Ogni volta che mio figlio mi guarda negli occhi sento un calore strano, come se quelle iridi azzurre mi stessero chiamando da sole “mamma” e sento che non c’è cosa più bella di vedere i suoi occhi cercarmi disperatamente quando non mi trova per un attimo.  L’altro giorno Trunks ha compiuto sei anni, immagino lo sappiate tutti, dal momento che vi avevo invitato alla sua festa. So che non è questo il momento per esporre i miei problemi personali e sinceramente non voglio nemmeno sentire stupide giustificazioni o altro, dal momento che nessuno di voi si è perlomeno preoccupato di telefonare fingendo un’influenza improvvisa al proprio bambino. Però volevo dire una cosa che credo dobbiate ascoltare tutti. Mio marito l’altro giorno mi ha detto che i bambini alle volte sanno essere cattivi. Ma non è affatto vero, i bambini non sanno essere cattivi. Sono i loro genitori ad esserlo. Ai bambini non importa se un altro ha la pelle bianca o nera, se crede in Dio o in Allah, se parla oppure non parla. I bambini non sanno nemmeno cosa sia il pregiudizio e non interessa nemmeno saperlo, perché per loro tutti i bambini sono uguali in quanto tali. Sono gli adulti che hanno il tarlo della diversità insinuato fin dentro le ossa, a corrodere la cartilagine e a mangiarsi il calcio e le vitamine. Il pregiudizio è la più grande stronzata che questo mondo ha creato e non scandalizzatevi adesso per i miei francesismi, ma è così. Il pregiudizio è solo ignoranza, perché solo gli ignoranti possono trovare del male nella diversità. Mio figlio è diverso e non mi vergogno di ammetterlo o di passare per una sfigata, perché so benissimo di esserlo. Se fossi in voi comincerei a diminuire queste inutili assemblee scolastiche e ad intraprendere qualche incontro sull’accettazione della diversità. Perché se non insegniamo ai nostri figli ad accettare tutti, anche chi è diverso da noi … beh,allora credo proprio che abbiamo fallito davvero tutto nella vita.”

Bulma sente gli occhi sconcertati delle madri puntati addosso a lei, che invece se ne sta ritta in piedi dopo aver pronunciato uno dei discorsi più forti quanto veri che siano mai usciti dalle sue labbra. L’aria nella sala si fa pesante, la tensione è talmente densa che si può tranquillamente afferrare con una mano. Bulma si piega a raccogliere la sua borsa lasciata in terra e si infila il cappotto abbandonato sulla sedia dove era seduta. Poi se ne va senza dire niente, non per fare chissà quale uscita spettacolare, ma perché sa che non ha più nulla da dire e lei in quella gabbia di ignoranti non ci vuole più stare. Non appena varca il cancello della scuola un sorriso intenerito le si disegna sul volto al vedere Trunks appollaiato tra le braccia di Vegeta attenderla dinanzi all’edificio. Si avvicina piano, sorridendo furbetta.

“Ma guarda un po’ chi ci sono … i miei due uomini …” esclama sporgendosi verso Trunks, scompigliandogli la chioma lillà.

“Era ora che uscissi fuori … avevi intenzione di restare là dentro ancora per molto?!” Bulma alza gli occhi al cielo, sorridendo esasperata.

“Sono felice di vederti anche io, Vegeta …” sussurra sulle labbra del marito, prima di baciarlo con dolcezza. L’uomo grugnisce qualcosa di incomprensibile ma viene subito interrotto dal salto verso il terreno di Trunks, che scalcia per potersi divincolare da quel raro abbraccio paterno.

“Che cosa stavi facendo?” chiede Vegeta camminando di fianco a Bulma, mentre la donna stringe la mano di Trunks che li segue in silenzio, osservando gli alberi del parco a cui si stanno avvicinando.

“Dovevo dire una cosa a tutte quelle donne là dentro …” dice incurante, cercando di sorvolare l’argomento.

“E cosa hai detto?” chiede Vegeta, insistendo. Bulma guarda Trunks staccarsi dalla presa della sua mano, prendendo ad inseguire gioiosamente una farfalla variopinta per il parco deserto. Sorride intenerita, certa di aver fatto la cosa giusta.

“La verità … che il pregiudizio è solo ignoranza.”
 
 

Nota autrice:
Beh insomma, one shot particolare, eh? So che il tema non è dei più semplici, ma c’è un perché se ho voluto scrivere questa storia. Innanzitutto perché due giorni fa è stata la giornata nazionale sulla conoscenza dell’autismo, e mi sentivo di dover scrivere qualcosa al riguardo. Poi questa one shot è dedicata anche alla mia insegnante e al suo bambino, perché un giorno possa sentirsi chiamare anche lei “mamma”. So che ovviamente non la leggerà mai, ma ho voluto comunque dedicare nel mio piccolo qualcosa a una donna straordinaria e a cui tengo molto come lei. E niente, la canzone che accompagna questa one shot è “Make you feel my love” originariamente cantata da Bob Dylan, poi reinterpretata da Adele e io ovviamente ho inserito la versione del Cast di Glee (e che volete farci, ormai mi conoscete). Spero che questa pazzia vi sia piaciuta, fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima!
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