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Autore: _unintended    05/04/2015    2 recensioni
Bandit prese tra le mani una foto rovinata e ingiallita che ritraeva la sua famiglia, tutti e tre insieme seduti al divano della loro vecchia villa, quella vicina al lago, dove aveva passato tutta l’infanzia. Vide se stessa sulle ginocchia di sua madre, che la stringeva protettivamente, e vide suo padre, in tenuta militare, con quello sguardo intenso che lo aveva sempre caratterizzato fino all’ultimo istante della sua vita. Quello sguardo intenso che soltanto un’altra persona, in tutto il mondo, aveva saputo sostenere e ricambiare altrettanto intensamente. Soltanto una.
Quella sbagliata. In tutti i sensi.
"Se vuoi che non butti questi scatoloni non c’è problema, sai?"la rassicurò sua nipote vedendola così turbata.
"Sarah"
"Sì?"
"Devo raccontarti una storia."
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bandit Lee Way, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ehi amike ehi…sono di nuovo qui bc non potevo resistere a dare una conclusione a questa storia, per quanto dolorosa. Probabilmente pubblicherò l’epilogo a pochi giorni da questo ultimo capitolo, perciò non disperate perché ci sarà ancora qualcosina per sorprendervi mmh ; )
Buona lettura
M.
 
 
CAPITOLO 27 – ASHES
 
 
GERARD
 
 
“Ho pensato tante, troppe volte a come cominciare questa lettera. Ho pensato tanto anche a come giustificare tutto ciò che sto per fare. In realtà non ci sono giustificazioni, non ci sono scuse, e lo so bene. Non c’è perdono per me.
Eppure, cos’altro potrei fare?
In fondo è pura e semplice scienza. Riuscireste mai a vivere senza arti? Senza occhi, senza polmoni, o senza un cuore? È scientificamente impossibile, esatto.
È la stessa cosa.
Dio, mi sento così patetico. Non ho nemmeno il coraggio di salutarvi. Vorrei potervi dire che mi mancherete tutti, che il mio dolore nel lasciarvi è quasi più forte della mia determinazione.
No.
Non è così.
Non sento niente. Non sento assolutamente niente. È così strano, perché ci ho provato tante volte. Ho cercato disperatamente di sentire qualcosa, qualsiasi cosa, di essere consapevole del mondo circostante, di tornare ad essere umano. Tornare ad essere vivo.
Ma io sono morto.
Sono morto con lui, e lo sapete bene. In fondo, sapete anche voi che questa è l’unica soluzione possibile. Non servo più a niente, perché dovrei essere qui? Magari hai ragione tu, Ray, magari in un’altra vita potrò incontrarlo di nuovo, e allora perché non provarci subito, perché non levarsi subito il pensiero?
Un viaggio di settimane per poter arrivare a lui, e un solo giorno per poterlo salutare. È stata questa la mia ricompensa finale. Un giorno, poche ore, pochi minuti prima che lui si sgretolasse tra le mie braccia, prima che perdessi completamente la presa sulla sua anima e la lasciassi a vagare, finalmente, libera.
No, non è giusto.
E sono passati quasi due anni. Non posso credere che il tempo sia volato così in fretta. Due anni in cui non ho vissuto, ho tirato avanti limitandomi a respirare, a mangiare, a bere, a dormire. Nemmeno mia figlia… nemmeno lei, che Dio mi perdoni, nemmeno lei è riuscita a guarirmi.
Mi dispiace, mi dispiace tantissimo. Non doveva finire così, non doveva finire affatto.
Ricordo ancora la prima volta in assoluto in cui i nostri sguardi si incrociarono. La ricordo perfettamente, come se fossero passati giorni, e non anni.
Ricordo che pensai che non ero solo, alla fine. Che eravamo in due, in tutto quel bel casino. E no, non era uno stupido pensiero da adolescente incompreso. Perché sono maturato, sono diventato un uomo, e lui ha continuato ad essere l’unica persona con cui poter parlare, parlare davvero, l’unica persona a cui poter affidare il mio cuore. Ho continuato a cercare i suoi occhi quando entravo in una stanza, ho continuato ad allungare silenziosamente la mia mano, fino a toccare la sua, ho continuato soprattutto a ferirlo, e sono stato uno stupido, stupido, stupido perché ecco come è finita.
Eravamo due stelle in collisione, e lo scontro è stato duro. Troppo. Alla fine non era possibile evitarlo. Spero vada meglio, la prossima volta.
Sì. Alla prossima volta.”
 
Piego la lettera. La infilo nella busta. Rimetto la penna a posto e mi dirigo verso la porta.
Sono un perfetto automa.
Lynz è andata a fare la spesa e ha portato la bambina con sé, perciò la casa è completamente vuota. Lascerò la lettera sul tavolo, in cucina, poi tornerò in camera e farò quello che va fatto.
Nessun rimpianto. Nessuna esitazione.
Scendo le scale senza fretta, portando un piede avanti all’altro, gradino dopo gradino. Attraverso il corridoio e raggiungo la cucina, completamente buia.
Allungo la mano alla cieca, cercando l’interruttore.
La luce si accende.
“SORPRESAAAA!”
Rimango senza fiato. Sento un corpo che mi cade praticamente addosso, aggrappandosi al mio collo, e soltanto quando si stacca da me riesco a mettere a fuoco Lynz che mi sorride e mi bacia. “Buon compleanno, tesoro” mi sussurra all’orecchio, poi mi prende per mano e mi fa entrare nella stanza.
Mi sembra tutto uno strano sogno tremolante. Le figure mi ondeggiano davanti agli occhi, senza che io riesca a riconoscerle.
C’è Mikey, il mio Mikey, Mikey che mi è stato accanto ogni singola ora, anche di notte, senza dormire, a piangere con me, Mikey che è cresciuto e che ormai è un ragazzo fatto e finito, Mikey che adesso mi abbraccia forte e non mi molla, non mi molla e gliene sono grato.
C’è Ray, che mi viene incontro piano, come se avesse paura di avvicinarsi. Sento le sue mani sulle mie spalle. “Auguri, amico mio”. Dietro di lui ci sono sua moglie e suo figlio, che mi sorridono e mi fanno gli auguri.
Vedo una torta sul tavolo, con la candelina a forma del numero 23. Non sapevo che oggi fosse il mio compleanno. Non sapevo di dover compiere 23 anni.
Non sapevo di vivere ancora.
Jamia mi si avvicina, sorridendo in modo quasi malinconico. Si è trasferita qui in America, appena finita la guerra, qualche mese fa, e da allora lei e Lynz sono praticamente inseparabili. In un certo senso la sua presenza, un’ombra cupa e triste che mi stringe la mano ogni qual volta mi lascio andare alla disperazione, mi ricorda che c’è ancora qualcuno che si ricorda di Frank Iero. C’è ancora qualcuno a cui importa.
Jamia non dice nulla. Mi bacia su entrambe le guance, poi mi accarezza la fronte. Io la fisso di rimando, trattenendo le urla.
Sì, sono due anni che vorrei urlare fino a spaccarmi i polmoni.
Dopo di lei è la volta di Kellin, e mi meraviglio di come anche lui sia riuscito a rifarsi una vita qui, e soprattutto ad evitare la condanna a morte. Non so se viva sotto falso nome, non so nemmeno che lavoro faccia. Non so niente di nessuno, non mi importa niente.
Kellin mi dà delle pacche sulla spalla con la sua solita aria burbera. “23 anni eh?” dice scherzosamente, ma poi nota il mio sguardo e si allontana, annuendo, capendo.
E poi c’è Rayon.
Rayon è l’unica persona a cui mi sono interessato. Glielo dovevo, lo dovevo a Frank. Glielo avevo promesso, qualche minuto prima che mi lasciasse per sempre. Non potevo deluderlo, almeno in questo.
Perciò l’ho portato via dalla Germania. Per un po’ è vissuto a casa con noi, ed era così devastato dalla morte di Frank, e soprattutto così denutrito e malato che ci sono voluti mesi prima che si rimettesse del tutto. Poi ha ripreso a vivere. Adesso ha una casa, un lavoro e degli amici, amici che lo capiscono e lo appoggiano nella sua scelta, e sono felice per lui.
Hanno tutti ripreso a vivere.
Tranne me.
Rayon mi abbraccia, premendo il suo corpicino esile contro il mio. Mi scompiglia i capelli e mi lascia un po’ di rossetto sulla guancia baciandomi e augurandomi buon compleanno. Prima di allontanarsi, mi dice qualcosa.
Mi dice: “Pensi che lui vorrebbe tutto questo?”
E so che si riferisce a me. So che quel “tutto questo” riguarda il mio essere completamente apatico, completamente morto.
All’improvviso mi sento soffocare. Mi guardo intorno, annaspando per un po’ d’aria, almeno un po’, almeno un po’… guardo i volti di tutte le persone attorno a me, le persone a me care, sento il peso della loro compassione, del loro dispiacersi per la mia situazione, e vorrei piangere o picchiarli tutti, non riesco ancora a capirlo bene.
I miei occhi si posano su Bandit.
È tra le braccia della madre, e mi sta guardando e sta allungando le braccia verso di me. “Pa…pa…” dice, balbettando. Vuole che la prenda in braccia.
Mi crolla tutto addosso.
In un istante.
E mi rendo conto che sto ancora stringendo la lettera tra le mani.
Non immaginavo tutto questo.
Io non credevo, non pensavo….
“Gerard” mi chiama Rayon, ed è come se ci fossimo soltanto io e lui in questa stanza. Mi volto di nuovo.
Lo guardo. “Ti prego”
Non so cosa sto dicendo.
“Gerard, ascoltami. Frank non vorrebbe questo. Lui vorrebbe che tu vivessi. Vorrebbe che tu fossi felice. E lo sai bene. Perché continui? Pensi che noi non abbiamo sofferto? Pensi che io, che Jamia” e indica con un dito Jamia, ma io non vedo nessuno, continuo a guardare soltanto lui e ad ascoltare le sue parole e a morire dentro un po’ di più, un po’ di più “pensi che io, Jamia o tuo fratello non abbiamo sofferto? È questo che pensi? Pensi che sia stato facile per noi? Non sei il solo che teneva a Frank. Tutti noi amavamo Frank. Frank era nostro, non soltanto tuo.”
Non ho mai sentito Rayon parlare in modo così duro.
Ma ha ragione.
Dio, se ha ragione.
“Rayon…”
“Svegliati, Gerard. È tempo di abbracciare il tuo dolore e andare avanti. Come abbiamo fatto tutti noi.”
Ed è allora che crollo.
Crollo, letteralmente, ai suoi piedi. Cado in ginocchio, prendendomi la testa tra le mani, dondolando avanti e indietro, lasciando uscire le lacrime, permettendo a tutti quei pensieri che avevo lasciato fuori dalla mia testa di entrare, finalmente, e affollarsi nel mio cervello.
Come ho potuto come ho potuto come ho potuto come ho potuto.
“Non… ce la faccio….” Ansimo, e so di stare facendo una pessima figura ma non mi importa. Voglio Frank, lo voglio qui, adesso, a portata di sguardo, a portata di tocco. Lo voglio come non ho mai voluto nient’altro in vita mia.
Lo voglio e basta, senza come e senza perché.
Lo voglio e non posso averlo. E questa cosa mi sta uccidendo.
Sento un tocco sulla spalla. Un tocco lieve, delicato. Alzo la testa e mi ritrovo faccia a faccia con mia figlia.
Non mi sono mai reso conto di quanto fosse bella. Non l’ho mai, mai guardata davvero in questi due anni.
Si sta reggendo a me, per paura di cadere, e mi sta guardando con quel suo sorrisino sbarazzino, quello che, me ne rendo conto ora, non riesco a smettere di guardare perché mi incanta totalmente.
“Pa…pa..?”
Deglutisco.
Guardo Lynz. Guardo Rayon. Guardo Mikey, guardo tutte le persone che mi sono rimaste accanto per tutto questo tempo.
Guardo mia figlia, che sta ancora aspettando che io la prenda in braccio, o le faccia capire che va tutto bene.
La lettera è ancora nelle mie mani. Abbasso lo sguardo e la fisso per qualche istante.
Poi la strappo.
E prendo in braccio mia figlia.
   
 
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