Ombre. Ci sono ombre nel vicolo della Panetteria, appena dietro l'angolo - sono pronte ad aggredirlo. Loro attendono, Peeta lo sa: le ha viste muoversi, prima, mentre si sfregava gli occhi umidi con le manine e frenava i singhiozzi.
Ha le guance arrossate, Peeta, e non è per il pianto. Il bruciore dello schiaffo sembra ancora solleticargli la pelle, ricordandogli la vergogna e la disperazione che ha provato dopo l'ennesimo rimprovero della mamma - ricordandogli la sua mano così grande e fredda e lo schiocco forte della pelle. E' per questo motivo che, nonostante le ombre vogliano fargli male, lui esce: non vuole disobbedire di nuovo, altrimenti sarà messo in castigo per un mese e non potrà più giocare con la glassa.
Cammina svelto, Peeta. Ogni tanto inciampa sui ciottoli del viale sterrato, rischiando di cadere e rovesciare il contenuto del vassoio ben saldo tra le sue mani. E' coperto da un panno giallo, ma l'odore è inconfondibile: biscotti. E lui adora i biscotti, li adora davvero. Eppure non può mangiarli, lo sa. Non sono per lui, gli ha detto suo padre con la solita voce calda e serena - sembra sempre allegro, il suo papà, soprattutto quando si china sulle ginocchia per guardarlo negli occhi e gli sorride, buono come il pane caldo che mangia la mattina.
E' quasi sera. Il sole è già scomparso oltre gli alberi, lasciando il Distretto alla pallida luce del tramonto e agli sparuti lampioni funzionanti. E' l'ora preferita delle ombre, secondo Delly - è per questo che i loro genitori non vogliono che giochino oltre il tramonto, forse.
Eppure, questa volta lo hanno fatto uscire. Gli hanno detto di mettere il cappotto e portare quel vassoio alle Miniere, perché un'esplosione ha ucciso dei minatori e c'è un'amica del papà che sta aiutando i sopravvissuti. Gliel'hanno detto così, senza fronzoli, senza nessuna delle precauzioni che andrebbero usate con un bambino di appena sei anni.
E lui ha annuito e si è messo in punta di piedi per aprire la porta, arrancando per arrivare alla maniglia. Ha appena rabbrividito, uscendo di casa, si è stretto nel bavero della vecchia giacca e ha cominciato a camminare, sicuro.
L'esplosione si vede lontano un miglio. Peeta è ancora a metà strada quando comincia a sentire la familiare puzza di fumo e carbone. Perfino dalla sua altezza, scorge le macerie che riempiono l'ingresso - vomito di legno e nero sul prato verde bottiglia.
Cammina cauto, Peeta. Stringe forte le dita tozze sul vassoio e sente la stoffa arricciarsi sotto i palmi appena sudati. Ha freddo, ma la paura lo fa sudare. Paura delle ombre e dei fantasmi, ma soprattutto del buio.
Quando arriva c'è poca gente: una ventina di minatori distesi su lenzuola bianche, abbaglianti nella penombra; due o tre persone che si aggirano tra i feriti; una sagoma esile seduta in un angolo, le gambe strette al petto e le mani a cingerle le ginocchia.
E' Katniss. Peeta sgrana gli occhi, stupefatto. All'improvviso sta correndo, vacillando pietosamente con il vassoio in mano. Rischia di scivolare, ma si regge in piedi e continua a correre verso quelle treccine fini e quel giaccone troppo grande.
Quando arriva, per un secondo lei lo guarda: fissa il volto arrossato, gli occhietti ammiccanti, il petto che si alza e si abbassa veloce. Poi torna a fissare il buio che ha di fronte.
"Ciao" la saluta Peeta. Prende posto accanto a lei, i biscotti in grembo. "Io sono Peeta".
Lei non da segno di averlo sentito.
"Ho- ho portato dei biscotti, sai?" le dice allora lui, convinto: è sicuro che non ignorerà quell'affermazione - nessuno può restare impassibile davanti a dei biscotti.
"Okay".
Ha detto okay, è un buon segno. Ancora ansimando, il bambino scopre il vassoio: lo strofinaccio fluttua nell'aria per un momento, simile al mantello di un prestigiatore, e una trentina di biscotti di glassa e cioccolato fanno bella mostra di sé davanti agli occhi dei due bambini. Peeta ne è veramente fiero e si gira a guardare nuovamente la ragazzina che ha accanto. "Guarda!" esclama. "Li ho decorati io!"
E' una bugia, ma solo piccola, perché lui ha davvero decorato dei biscotti - solo che non sono quelli, belli e perfetti usciti dalle mani del suo papà.
"Ne vuoi uno?" domanda ancora.
"Non mi piacciono i biscotti" risponde lei, stringendosi meglio nel cappotto. "Voglio andare a casa".
E' il tuo momento, ti dici. Il papà dice sempre che devi fare la persona educata e il gentiluomo con le ragazze, perché altrimenti loro non vorranno nemmeno salutarti o tenerti la mano quando siete in fila.
"Se vuoi ti accompagno io!" ti offri, alzandoti. "Non ho paura delle ombre" aggiungi con un fremito.
Lei ti guarda dall'alto - in piedi è qualche centimetro più su di te. "Chi ha paura delle ombre?" ti chiede, sprezzante. "Solo i bambini piccoli ci credono".
Poi si avvia, da sola.
E a te non resta che tornare a sederti e sgranocchiare un biscotto.
Ha le guance arrossate, Peeta, e non è per il pianto. Il bruciore dello schiaffo sembra ancora solleticargli la pelle, ricordandogli la vergogna e la disperazione che ha provato dopo l'ennesimo rimprovero della mamma - ricordandogli la sua mano così grande e fredda e lo schiocco forte della pelle. E' per questo motivo che, nonostante le ombre vogliano fargli male, lui esce: non vuole disobbedire di nuovo, altrimenti sarà messo in castigo per un mese e non potrà più giocare con la glassa.
Cammina svelto, Peeta. Ogni tanto inciampa sui ciottoli del viale sterrato, rischiando di cadere e rovesciare il contenuto del vassoio ben saldo tra le sue mani. E' coperto da un panno giallo, ma l'odore è inconfondibile: biscotti. E lui adora i biscotti, li adora davvero. Eppure non può mangiarli, lo sa. Non sono per lui, gli ha detto suo padre con la solita voce calda e serena - sembra sempre allegro, il suo papà, soprattutto quando si china sulle ginocchia per guardarlo negli occhi e gli sorride, buono come il pane caldo che mangia la mattina.
E' quasi sera. Il sole è già scomparso oltre gli alberi, lasciando il Distretto alla pallida luce del tramonto e agli sparuti lampioni funzionanti. E' l'ora preferita delle ombre, secondo Delly - è per questo che i loro genitori non vogliono che giochino oltre il tramonto, forse.
Eppure, questa volta lo hanno fatto uscire. Gli hanno detto di mettere il cappotto e portare quel vassoio alle Miniere, perché un'esplosione ha ucciso dei minatori e c'è un'amica del papà che sta aiutando i sopravvissuti. Gliel'hanno detto così, senza fronzoli, senza nessuna delle precauzioni che andrebbero usate con un bambino di appena sei anni.
E lui ha annuito e si è messo in punta di piedi per aprire la porta, arrancando per arrivare alla maniglia. Ha appena rabbrividito, uscendo di casa, si è stretto nel bavero della vecchia giacca e ha cominciato a camminare, sicuro.
L'esplosione si vede lontano un miglio. Peeta è ancora a metà strada quando comincia a sentire la familiare puzza di fumo e carbone. Perfino dalla sua altezza, scorge le macerie che riempiono l'ingresso - vomito di legno e nero sul prato verde bottiglia.
Cammina cauto, Peeta. Stringe forte le dita tozze sul vassoio e sente la stoffa arricciarsi sotto i palmi appena sudati. Ha freddo, ma la paura lo fa sudare. Paura delle ombre e dei fantasmi, ma soprattutto del buio.
Quando arriva c'è poca gente: una ventina di minatori distesi su lenzuola bianche, abbaglianti nella penombra; due o tre persone che si aggirano tra i feriti; una sagoma esile seduta in un angolo, le gambe strette al petto e le mani a cingerle le ginocchia.
E' Katniss. Peeta sgrana gli occhi, stupefatto. All'improvviso sta correndo, vacillando pietosamente con il vassoio in mano. Rischia di scivolare, ma si regge in piedi e continua a correre verso quelle treccine fini e quel giaccone troppo grande.
Quando arriva, per un secondo lei lo guarda: fissa il volto arrossato, gli occhietti ammiccanti, il petto che si alza e si abbassa veloce. Poi torna a fissare il buio che ha di fronte.
"Ciao" la saluta Peeta. Prende posto accanto a lei, i biscotti in grembo. "Io sono Peeta".
Lei non da segno di averlo sentito.
"Ho- ho portato dei biscotti, sai?" le dice allora lui, convinto: è sicuro che non ignorerà quell'affermazione - nessuno può restare impassibile davanti a dei biscotti.
"Okay".
Ha detto okay, è un buon segno. Ancora ansimando, il bambino scopre il vassoio: lo strofinaccio fluttua nell'aria per un momento, simile al mantello di un prestigiatore, e una trentina di biscotti di glassa e cioccolato fanno bella mostra di sé davanti agli occhi dei due bambini. Peeta ne è veramente fiero e si gira a guardare nuovamente la ragazzina che ha accanto. "Guarda!" esclama. "Li ho decorati io!"
E' una bugia, ma solo piccola, perché lui ha davvero decorato dei biscotti - solo che non sono quelli, belli e perfetti usciti dalle mani del suo papà.
"Ne vuoi uno?" domanda ancora.
"Non mi piacciono i biscotti" risponde lei, stringendosi meglio nel cappotto. "Voglio andare a casa".
E' il tuo momento, ti dici. Il papà dice sempre che devi fare la persona educata e il gentiluomo con le ragazze, perché altrimenti loro non vorranno nemmeno salutarti o tenerti la mano quando siete in fila.
"Se vuoi ti accompagno io!" ti offri, alzandoti. "Non ho paura delle ombre" aggiungi con un fremito.
Lei ti guarda dall'alto - in piedi è qualche centimetro più su di te. "Chi ha paura delle ombre?" ti chiede, sprezzante. "Solo i bambini piccoli ci credono".
Poi si avvia, da sola.
E a te non resta che tornare a sederti e sgranocchiare un biscotto.