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Autore: fireslight    07/04/2015    4 recensioni
Robert si chiese in quei momenti − Maryse che finalmente sopportava il suo tocco, che si abbandonava in lacrime a lui − con quale razza di coraggio avesse anche solo potuto pensare di lasciarla, quando lui per primo aveva un così profondo bisogno di lei, di starle accanto sempre, qualsiasi cosa accadesse.
[Robert/Maryse♥][Pre/Post-CoHF][Missing Moments − Angst, Dramatic • 2.147 words]
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maryse Lightwood, Robert Lightwood
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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              I
’ll tell you my sins

                                                        {so you can sharpen your knife}
  

 
 
«Ho saputo della tua candidatura a Inquisitore.» accennò Maryse, il capo chino su alcuni documenti da firmare, la lampada sulla scrivania che disegnava arabeschi di luci e ombre sul suo viso.
Robert alzò gli occhi dal libro che aveva in grembo, osservandola.
«Pensavo non avessi voglia di parlarne.»
«Tendo a preoccuparmi delle sorti della mia famiglia, a volte
«Maryse−»
«Non chiamarmi con quel tono, Robert
Robert chiuse il libro, lasciandovi un segno. Osservò sua moglie, − ex moglie, avrebbe dovuto ricordarsi, sebbene quella definizione non bastasse a colmare l’abisso che si era spalancato fra loro, riducendoli sul filo del rasoio delle loro anime distrutte − il volto segnato dalla stanchezza, i capelli scuri stretti in un nodo dal quale sfuggivano alcune ciocche, la linea dolce del collo che l’aveva stregato sin da giovane.
«Maryse,» la richiamò con studiata dolcezza, e lei alzò lo sguardo dai fogli sulla scrivania, fissandolo con sicurezza negli occhi azzurri, «So bene che tra noi le cose non vanno, ultimamente, ma non−»
Vide gli occhi della donna incupirsi d’improvviso, come se avesse toccato un nervo scoperto in una ferita ancora fresca, «Basta così, Robert. Non voglio parlarne.»
«No, fammi finire.» continuò, determinato; eppure vide qualcosa abbandonare gli occhi di sua moglie, − Maryse, l’aveva amata così tanto, cosa era riuscito ad allontanarlo tanto da lei a tal punto da renderle dolorosa la sua vista? − forse il sentore di una speranza fatta a pezzi, sbriciolata.
«Ho del lavoro da sbrigare, non voglio parlarne, perlomeno non adesso.»
«Come potremo mai tentare di risolvere tutto questo, se tu non vuoi parlarne? Credi che la tua indifferenza mi sia di aiuto, o mi faccia sentire meglio, o mi tolga un peso dalla coscienza?»
Maryse non lo perse di vista mentre si avvicinava lentamente alla scrivania, poggiando i pugni stretti sul legno, i muscoli delle braccia contratti e tremanti al di sotto della giacca di ottima fattura, a pochissima distanza da lei.
«So solo che tu hai voluto tutto questo, Robert, e−»
«Cosa, Maryse, cosa?!»
Maryse si alzò facendo stridere le estremità della sedia sul pavimento in legno, il furore a deturparle i lineamenti severi.
«Io ti amavo, Robert. Ti ho sempre amato, sin dal primo momento, mettendo la nostra famiglia prima di ogni cosa, prima di me stessa, e ho creduto di poter risolvere da sola ogni problema senza dover darti pensiero, perché volevo davvero che tutto questo funzionasse.»
Capì di aver alzato il tono dallo sguardo dell’uomo fisso su di lei e, soprattutto, di essersi scoperta troppo.
«E tu mi hai tradita, umiliata, mi hai messa da parte come se per te non contassi più niente, alla stregua di una sconosciuta..»
Robert la guardava come se non potesse credere a quanto aveva appena sentito, gli occhi spiritati di chi ha visto un fantasma.
Maryse non si era accorta neppure di come avesse aggirato silenziosamente la scrivania mentre parlava, finchè non se lo trovò davanti, più alto di lei di almeno dieci centimetri, il corpo massiccio accanto all’ampia finestra che dava su un tramonto spento.
«Io ti amavo, Robert» mormorò, i lunghi capelli neri che adesso le ricadevano sulle spalle esili, le lacrime che lottavano per uscire.
Robert le si avvicinò ancora, prendendola delicatamente fra le braccia e stringendola a sé, e Maryse poggiò il capo sul suo petto, ogni distanza colmata in pochi passi, trattenendosi a stento dal piangere, stringendo forte la sua giacca e aggrappandosi forte alla spalle ampie dell’uomo, come se potesse sparire da un istante all’altro.
«Mi dispiace, Maryse, mi dispiace tanto..» le disse, stringendola a sé come fosse la sua àncora nella tempesta, crogiolandosi in silenzio negli errori che li avevano separati per così tanto tempo.
Robert si chiese in quei momenti − Maryse che finalmente sopportava il suo tocco, che si abbandonava in lacrime a lui − con quale razza di coraggio avesse anche solo potuto pensare di lasciarla, quando lui per primo aveva un così profondo bisogno di lei, di starle accanto sempre, qualsiasi cosa accadesse.
«Sono stato cieco, Maryse, per tutto questo tempo.» le sussurrò fra i capelli, poggiando la fronte contro quella della donna. Lei posò una mano sul suo volto, sfiorando con la punta delle dita la linea degli zigomi sino alla mascella, in silenzio.
«Non è troppo tardi per rimediare, Robert.» si sentì dire quando lei si allontanò dalla sua stretta, le labbra sottili strette dalla sofferenza.
La osservò dirigersi verso la porta, il rumore dei tacchi attutito dai pensanti tappeti sul pavimento.
«Maryse» la chiamò di nuovo, poco prima che uscisse dalla biblioteca. La donna si fermò, voltandosi ad osservalo con il capo lievemente inclinato, in attesa, «Per quello che vale adesso,» cominciò incerto, passandosi una mano dietro la nuca come quando era in imbarazzo, «ti amo..»
Maryse accennò un sorriso, scuotendo il capo, i capelli scuri come una cortina davanti al viso, «Oh, Robert..»
«.. e ti ho sempre amata, nonostante tutto.»
La donna tornò indietro, il viso disteso di chi ricomincia a vivere dopo troppo, tanto tempo in solitudine, sfiorandogli di nuovo il viso. Complici i tacchi alti, gli si avvicinò rapidamente, baciandolo su una guancia, sentendo il piacevole pizzicore della barba di un paio di giorni.
Robert non si mosse, rimanendo immobile accanto alla scrivania, mentre Maryse usciva dalla biblioteca e lui si sorprese a guardarla come diversi anni prima, scorgendo in lei dettagli che sembrava aver dimenticato: i capelli lunghi, scuri come le ali di un corvo sulla schiena minuta, le movenze eleganti, il sorriso posato, riflessivo, gli occhi che sapevano essere lame di freddo odio o caldi fuochi presso cui trovare conforto.
«Robert..»
Si riscosse in tempo da quei pensieri, osservando la figura della donna all’ingresso della sala.
«Ti andrebbe di cenare insieme, questa sera?»
«Insieme?»
Maryse annuì, poggiandosi allo stipite della porta all’ingresso della biblioteca.
«Pensavo fosse una buona idea. I ragazzi sono fuori, e l’Istituto è deserto. Ma se avevi altri impegni..» lasciò in sospeso la frase come se si aspettasse che le desse ragione, mascherando abilmente la delusione.
«No, certo che no. Ceniamo insieme, allora, se vuoi.» rispose in fretta, preso alla sprovvista e lei se ne accorse, perché lo fissò negli occhi per qualche secondo, in cerca di bugie o cedimenti.
«Mi farebbe piacere, Maryse. Davvero.» le assicurò, accennando un sorriso, e fu come se l’avesse vista rinascere, illuminarsi di una gioia segreta che non le vedeva negli occhi da troppi anni.
Promise a se stesso che non le avrebbe mentito, non più. E che non l’avrebbe lasciata, perché come aveva capito poco prima, aveva bisogno di lei più che di qualunque altra cosa al mondo.
 
 
«Maryse?»
La biblioteca era immersa nell’oscurità, e solo dalle finestre entravano sottili lame di luce dorata, nel preludio dell’alba.
Maryse si trovava davanti ad una finestra, Robert la vide osservare le strade della città in preda al traffico anche a quell’ora, i rumori attutiti dalle spesse mura in pietra dell’Istituto.
«Non riuscivo a dormire.» la sentì dire quasi a se stessa, quando lo vide avvicinarsi e poggiarsi al muro accanto ai vetri istoriati, mentre la osservava in silenzio ancora una volta, più di frequente negli ultimi giorni.
«Stai bene?»
«Si, Robert, sto bene.»
Silenzio. Robert vi era abituato, non essendo per natura molto loquace, eppure sapeva che lei avrebbe voluto che dicesse qualcosa, che si esponesse, − come tante volte aveva fatto − che facesse un commento anche sul tempo, poco sarebbe importato.
«Ho pensato molto, in questi giorni, Maryse.»
Lei non rispose né lo guardò, concentrata ad osservare il mondo all’esterno, il sole che faceva capolino dalle  nuvole chiare, rischiarando il cielo di luci porpora e dorate, nel preludio di un’alba dai toni insolitamente smorti e opachi.
«Pensato a cosa?» chiese con finta indifferenza, gli occhi fissi alle finestre.
Robert sospirò, incrociando le braccia al petto.
«A noi, Maryse.»
«Robert−»
«Ho deciso di restare. Ho commesso degli errori, − alcuni di recente − e devo porvi rimedio.»
Maryse lo guardò, inarcando un sopracciglio. «Devi?»
«Voglio porvi rimedio. Per i nostri figli, per Max che non avrebbe voluto che litigassimo. Per te, Maryse. Per noi.» concluse, con un sottile filo di speranza che rischiava di esser reciso da un momento all’altro dalla donna che aveva sempre amato, nonostante tutto.
«So che non ho scusanti per il dolore, per l’umiliazione che devi aver provato. Vorrei solo che mi dessi una possibilità,−»
Maryse lo osservò a lungo, interrompendolo con un gesto, «Quando sei in imbarazzo hai il vizio di parlare velocemente.»
Lui sorrise, sorpreso del fatto che in tutti quegli anni lei fosse rimasta nell’ombra ad osservarlo, sorpreso − consapevole, invece − che lo conoscesse meglio di chiunque altro.
Maryse si sedette nella rientranza in pietra della finestra, in modo tale da poterlo guardare, le gambe strette al petto, «Te ne darei dieci di possibilità, il punto non è quello..» cominciò malinconica, un sorriso triste guardando attraverso i vetri dipinti, «Ma non ha senso farci del male, Robert. I miei sentimenti per te non sono mutati di una virgola, ma questo già lo saprai. Ciò che vorrei conoscere, sono i tuoi, di sentimenti. Non ha senso tutto questo, se tu dovessi andare via di nuovo con.. con un’altra, saremo al punto di partenza. Di nuovo.»
«Non succederà, hai la mia parola.» disse, il tono serio, l’espressione indecifrabile, − dentro di sé una tristezza indicibile, il frutto di quelle sofferenze mai evitate, il dolore procurato ad entrambi −.
Maryse non disse nulla, incrociando le braccia al petto: Robert pensò che desiderasse rimanere sola, riflettere su quanto si erano detti.
«Vado a preparare la colazione,» annunciò quindi dopo qualche minuto, accingendosi ad uscire dalla biblioteca, «Se dovessi aver fame..»
«Saprò dove trovarti.»
Poco prima di lasciarla, tuttavia, Robert si voltò, guardando la sagoma della donna circondata dei riflessi azzurrini del giorno.
«Fragole e cioccolato, giusto?»
Maryse lo guardò confusa, dall’altro capo della sala. «Cosa?»
«I pancake con fragole e cioccolato, il caffè con due cucchiaini di zucchero.» le ricordò, come una poesia imparata da bambini, impressa sulla pelle come un marchio. E la donna ricordò delle mille e più volte in cui avevano condiviso un pasto tanto banale come la colazione, di quante volte lui avesse bruciato i pancake, e servitole il caffè amaro o con troppo zucchero.
Abitudini di cui − al contrario di come aveva pensato − Robert non si era dimenticato.
«Te ne ricordi ancora?»
«Sempre.»
Il sorriso nostalgico di sua moglie, in quella mattina di Marzo, fu il regalo più bello che avesse mai ricevuto nelle ultime settimane.
 
 
«Ti ricordi di quando Alec corse intorno alla tenuta a Idris, così tanto che diceva gli bruciassero i polmoni?»
Maryse sentì Robert aprirsi in un sorriso nel buio della loro stanza, la polvere che danzava nell’aria in una sottile lama di luce proveniente da una delle finestre.
«Si, mi ricordo. È sempre stato veloce, più del vento.»
L’uomo si chiese se l’oscurità avrebbe giovato a nascondere i suoi rimorsi, o le lacrime silenziose che aveva sentito versare a sua moglie, quando aveva creduto che lui si fosse addormentato.
Robert le aveva chiesto di voltarsi, di non nascondersi a lui − non più, poiché avrebbe provato a cancellare la tristezza dal suo viso −, e Maryse si era fidata ancora una volta, mettendo da parte il suo orgoglio, la solitudine che le aderiva al corpo come una seconda pelle.
Adesso, sua moglie vicina più di quanto non lo fosse stata negli ultimi anni, poggiata al suo petto, i lunghi capelli neri sparsi sui cuscini, gli occhi azzurri semichiusi, Robert avrebbe voluto poter fare di più per cancellare ogni errore commesso in precedenza, recuperare quella cieca fiducia che li aveva uniti sin dall’inizio negli anni, fino all’inevitabile rottura.
Quando la donna si sollevò appena dalla sua stretta, Robert ne approfittò, poggiando il capo nell’incavo fra la spalla e il collo, inspirando il profumo dei suoi capelli, rifiutandosi di lasciarla andare.
«Va tutto bene,» sussurrò Maryse, sfiorandogli le spalle con dolcezza, con la punta delle dita, quasi temesse di spingersi troppo oltre, «Andrà bene, Robert, vedrai.»
«Lo so, mi fido di te. Ti amo, Maryse, non dimenticarlo mai.» le disse, stringendola forte a sé, mentre lei non smetteva di carezzargli il volto, i capelli scuri, le braccia, la schiena.
«Anche io, Robert.» e nel suo tono vi era una nostalgia tale di ciò che avevano perso da farlo tremare da capo a piedi, di ridurlo in ginocchio di fronte all’altare delle proprie menzogne, − una tristezza tale da fargli desiderare di confessargli ogni cosa, ogni rimorso e ragione, così che lei potesse punirlo, affilare un coltello e rigirarlo nei resti martoriati del suo cuore, senza paura alcuna di sentire un suo lamento, non dopo tutto ciò che aveva buttato via di loro, dopo tutto il dolore causatole, dolore che si sarebbe premurato di cancellare da quegli occhi azzurri, chiari come un cielo d’estate.
 
 
 
 

 
Note dell'autrice.
Rieccomi, aw. Niente, qualche giorno fa mi sono ritrovata a pensare al rapporto fra Maryse e Robert, non un rapporto rose e fiori per via del tradimento di quest'ultimo, e per la morte di Max, in seguito alla quale più si sono allontanati. Ho provato a vederli in maniera diversa, tra le quinte dei romanzi, anche perchè non li vediamo interagire fra loro come avrei voluto, sigh.
E dato che sono troppo, tanto sentimentale con le coppie che amo, volevo che potessero riappacificarsi, nonostante le tante incomprensioni. Ah, naturalmente l'ultima scena è totalmente inventata, - anche perchè alla fine di CoHF si separano del tutto, Maryse a NY e Robert ad Alicante se non erro, e mi dispiaceva che non fossero rimasti insieme. 
Spero che abbia potuto far divenire triste qualcuno (no, scherzo), e che sia piaciuta, ci tengo tantissimo, ew. Mi piacerebbe lasciaste una piccola recensione, in compenso provvederò a inviarvi cioccolato in quantità.
Alla prossima, un bacio

fireslight.
 


PS: il titolo è chiaramente un riferimento alla canzone "Take me to church" di Hozier, perchè mi piaceva troppo, e ho pensato che in quanto a tematica facesse al caso mio/loro
  
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