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Autore: Gatto1967    07/04/2015    2 recensioni
dal testo: "La sensazione di qualcosa di duro che gli lacerava la carne.
Il dolore, l’immenso dolore che dalla già martoriata gamba si espandeva in ogni atomo del suo essere."
come una decisione sbagliata può stravolgere la vita di una persona.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Marco aprì gli occhi e il dolore ricominciò.
Si era fatto buio intorno a lui e a malapena riusciva a distinguere le minacciose sagome degli alberi lungo il pendio, dove si trovava intrappolato.
Portò la mano alla gamba e gli sembrò di precipitare in un abisso fatto solo di dolore. La gamba doveva essere fratturata in più punti.
Una volta di più si maledisse, mentre con la memoria riandava a quella mattina, quando aveva salutato sua sorella Francesca che usciva per andare a lavorare.
 
- Ciao fratellino. Ci vediamo stasera.-
Lui aveva risposto mogiamente e Francesca l’aveva abbracciato.
- Coraggio. Vedrai che tutto si sistemerà.-
Lui gli aveva rivolto un sorriso triste e lei l’aveva accarezzato sui capelli.
- Lo so che stai passando un brutto periodo, ma devi reagire. Esci, oggi è una bella giornata, approfittane per farti una passeggiata da qualche parte. Non stare qui a deprimerti, eh?-
Aveva ragione lei. Doveva reagire, darsi una smossa. Quell’ultimo mese era stato particolarmente duro: prima Veronica, con la quale era stato insieme per cinque anni, l’aveva mollato; poi dal lavoro gli era arrivata quella brutta mazzata della cassa integrazione a zero ore.
In pochi giorni tutto il suo mondo gli si era sgretolato davanti. Gli rimaneva soltanto Francesca, la sua adorata sorella più piccola di un anno con la quale conviveva nella casa di famiglia.
I loro genitori erano morti dieci anni prima e loro due, pischelletti poco più che ventenni, senza un solo parente al mondo a parte quelli della Basilicata che conoscevano appena, si erano attrezzati per vivere insieme nella casa di proprietà ereditata dai genitori.
Entrambi avevano dovuto lasciare l’università appena iniziata e si erano messi a lavorare.
Francesca lavorava come commessa in un negozio di abbigliamento vicino alla Stazione Termini, e lui era riuscito a entrare in una società di informatica coronando i suoi studi tecnico-industriali.
 
Marco respirava affannosamente e tremava dal freddo nonostante la calda serata di metà luglio. Probabilmente aveva la febbre, e anche molto alta.
Ma come gli era venuto in mente quella mattina di deviare dal sentiero? Come?
 
Francesca uscì di casa diretta al capolinea dell’autobus proprio dietro alla stazione del treno. Rimasto solo Marco si mise per un po’ al computer. Guardò la posta aziendale e la posta privata, coltivando la vana speranza di qualche novità.
Entrò anche nel suo social network preferito, ma dopo un po’ ne ebbe le palle piene.
Ebbe un lampo negli occhi e decise di seguire il consiglio della sorella: nonostante il caldo uscì di casa diretto alla vicina riserva naturale.
 
Maledetta decisione! No, non quella di uscire e di recarsi alla riserva, ma quella successiva, una decisione che si sarebbe rivelata la peggiore della sua vita.
 
Il cellulare era in carica e Marco lo lasciò lì, per un’oretta scarsa poteva anche farne a meno. Non sarebbe mica morto per questo!
Prese il marsupio, chiuse la porta a chiave con doppia mandata e scese lungo le scale.
Era ancora presto ma già il caldo si faceva sentire. Marco si diresse di buon passo verso il vicino ingresso alla riserva naturale e vi arrivò dopo pochi minuti.
Gli piaceva quel posto, una vera oasi di verde a pochi metri da casa sua e dalla città più grande e caotica d’Italia. Ogni tanto amava rifugiarsi lì, a cercare l’illusione di un’aria pulita, di un po’ di silenzio. Odiava il rumore caotico della vita moderna, e quel luogo gli dava un po’ di pace al cervello.
Entrò nella riserva e imboccò il solito sentiero, quello che conduceva al punto più alto della riserva: il suo preferito.
Da lì poteva ammirare un bel panorama di verde misto a città. Poteva vedere in lontananza i paesini dell’entroterra romano pigramente adagiati sui pendii delle montagne, alla sua destra poteva vedere anche il suo condominio lungo la strada in salita che partiva dalla piazza e si concludeva proprio sopra ad un altro ingresso alla riserva.
Guardò dritto davanti a lui, e vide il sentiero che continuava fino ad una macchia di alberi. Da lì poi poteva scendere fino ad una vallata sottostante. Era un pezzo che non lo faceva, quella mattina decise di farlo.
 
Marco provò a chiudere gli occhi, se fosse riuscito ad addormentarsi al suo risveglio sarebbe già stato giorno. Sicuramente Francesca lo stava cercando e prima o poi a qualcuno sarebbe venuto in mente di cercarlo alla riserva. Doveva riuscire ad arrivare all’inizio del pendio, e lì sarebbe stato più facile farsi notare.
Sicuramente avrebbe sofferto come un cane ma DOVEVA farlo.
Chiuse gli occhi e provò a rilassarsi, ma il dolore non gli dava tregua.
 
Scese il sentiero in mezzo agli alberi, e si ritrovò a pochi metri da un altro sentiero. Quel sentiero conduceva da una parte alla strada vicino all’ospedale, e dall’altra parte si addentrava nella zona più interna della riserva.
Decise di prendere quest’ultima direzione.
Dopo un po’ che camminava si fermò, il caldo andava facendosi via via più intenso. Guardò alla sua destra e poco oltre il prato c’era un pendio ricoperto di alberi.
Decise di cercare un po’ di fresco sotto quegli alberi.
 
Ma come cazzo gli era venuto in mente?!
 
Arrivato all’inizio del pendio, notò che gli alberi erano molto fitti, e potevano dargli numerosi appigli per arrampicarsi lungo il pendio. Sapeva che in cima a quella collinetta avrebbe trovato un’altra strada per tornare a casa.
Si armò di pazienza e coraggio e iniziò la scalata.
 
Ma come cazzo gli era venuto in mente?!
 
Fu a metà del percorso che accadde: spesso le tragedie vengono da un nonnulla, e così fu per lui.
Mancò la presa a un ramo e scivolò col piede.
Iniziò a ruzzolare lungo il pendio, tanto velocemente e tanto rovinosamente da rendersi a malapena conto di quello che stava succedendo.
Continuò a ruzzolare per pochi lunghissimi istanti, finché l’urto con il tronco di un albero non lo fermò strappandogli un grido di dolore.
 
Inutile! Non c’era verso di dormire: il dolore non gli dava tregua! Avvertì un rumore alla sua sinistra, come un fruscio di vegetazione spostata.
Che stava succedendo?
 
Perse i sensi e quando li riprese la luce del sole filtrava attraverso gli alberi, ma da una direzione diversa. Quanto tempo era passato? Il dolore alla gamba lo riportò alla realtà.
Guardò nella direzione da cui proveniva il dolore e vide, dietro i pantaloni lacerati, la carne escoriata e incrostata di sangue.
Provò a spostarla ma un grido atroce gli uscì dalla bocca: la gamba era spezzata in più punti.
Non aveva neanche il telefonino rimasto in carica a casa. Guardò l’orologio, ma anche questo era rotto.
Cominciò a chiamare aiuto, ma la sua voce era flebile, quasi un mormorio.
Si fece forza e raccolse tutto il fiato che aveva riuscendo infine a gridare aiuto.
Avvertì un rumore di rami che si spostavano: qualcuno stava scendendo lungo il pendio.
- EHI! SONO QUI! AIUTATEMI!-
La sua voce guidò qualcuno nella sua direzione, e Marco intravide la salvezza. Qualcuno stava per soccorrerlo: l’avrebbero portato in ospedale, lì vicino, e tutto si sarebbe risolto.
Finalmente quel qualcuno si materializzò davanti a lui, e Marco non poté evitare di sentirsi deluso: era soltanto un ragazzino. Un ragazzino di circa dieci o dodici anni, ma non importava, andava bene lo stesso.
- Ragazzo… ascoltami…- la voce di Marco era affannosa, faticava a parlare e respirare, ma doveva spiegare a quel ragazzino cosa doveva fare.
- Chiama aiuto… ho una gamba rotta… abiti qui vicino, vero?-
Il ragazzino rimaneva fermo, e Marco fu vicino a perdere la calma.
- Mi capisci? Corri a chiamare aiuto… sto male…-
Il ragazzino guardò il marsupio che Marco teneva a tracolla, poi si chinò su di lui e glielo strappò.
- Che fai? Chiama aiuto ragazzo… ho una gamba rotta…-
Il ragazzino sogghignò e tornò sui suoi passi di corsa portandosi via il marsupio di Marco.
Lui intuì l’orrenda verità: il ragazzino non sarebbe tornato.
- Ragazzo… Aiutami! Chiama aiuto ti prego! AIUTAMI!- poi il fiato gli venne meno, e lui si mise a piangere.
 
- Chi c’è là?- chiese Marco all’ombra che intravedeva in mezzo alla vegetazione.
Nessuna risposta. Solo uno strano odore e un appena percettibile sensazione. Come un respiro.
 
Maledetto ragazzo! Possibile che si potesse arrivare a questo? Possibile che questo mondo rincoglionito dalla tecnologia e dal finto benessere potesse produrre simili mostri?
Mostri come quel ragazzino che lo stava praticamente condannando a morte.
Mostri come il suo amministratore delegato e il suo capo del personale che dopo dieci anni, in cui si era prestato a ogni esigenza, non avevano esitato a mollargli un classicissimo calcio nel culo alla zio Paperone.
Mostri come quelli che ti voltano le spalle nel momento del bisogno dopo aver ostentato amicizia e falsità da ogni poro della loro pelle.
Mostri come quelli che si fanno la bella vita alla faccia del popolo pecorone e sottomesso.
 
Qualcosa si avvicinava dalla fitta vegetazione e Marco poté chiaramente avvertire un fiato caldo sulla gamba, proprio sulla lacerazione che si era fatto ruzzolando lungo il pendio.
 
Poi accadde.
 
La sensazione di qualcosa di duro che gli lacerava la carne.
Il dolore, l’immenso dolore che dalla già martoriata gamba si espandeva in ogni atomo del suo essere.
 
La carne che si strappava.
 
Lui che gridava, che agitava le mani come a voler scacciare l’ignoto mostro che lo stava mangiando vivo!
 
La paura, l’angoscia, l’orrore che da sensazioni vaghe e astratte diventavano forme concrete e tangibili.
 
Finché perse i sensi e scivolò nell’oblio.
 
Ma l’oblio durò poco: il mostro dell’oscurità tornò presto alla carica e Marco continuò a gridare inutilmente. Nessuno poteva sentirlo.
 
Prese un sasso e lo tirò in direzione dell’oscuro mostro che gli divorava la gamba, e questo si ritirò. Sentì chiaramente il suo verso e questo gli ridiede un po’ di lucidità.
Dunque quel mostro non era un fantasma, ma un animale. Ma quale animale?
Quale bestia avrebbe osato avvicinarsi ad un essere umano e mangiarlo?
Qualunque bestia avesse consapevolezza del fatto che l’uomo era incapace di difendersi.
Era forse un ratto?
No, non poteva essere. Il suo morso era troppo potente.
 
Di nuovo quel calore, quel fiato caldo sulla sua ferita: il mostro era tornato.
Cercò un altro sasso, ma nel frattempo il mostro lo azzannò.
Riuscì a riprendere un altro sasso e lo scagliò di nuovo contro l’ignoto nemico avvolto nell’oscurità.
 
Andò avanti così per tutto quel che restava della notte. Marco scacciava il mostro dell’oscurità, perdeva i sensi e il mostro tornava a mangiarlo.
Se anche fosse uscito vivo da quell’esperienza la sua vita non sarebbe più stata la stessa, questo era poco ma sicuro.
 
Infine sorse il sole, e la luce e il calore che filtravano dagli alberi sembrarono dargli un po’ di sollievo, un po’ di speranza.
Guardò la sua gamba e il senso di orrore lo sopraffece: al di sopra del ginocchio la gamba era stata completamente mangiata lasciando l’osso fratturato esposto all’aria aperta, e la ferita era piena di formiche e di altri insettacci ai quali non avrebbe mai saputo dare un nome.
Il sangue si era raggrumato rapidamente, impedendogli così di morire dissanguato, ma se non fosse stato soccorso subito per lui era la fine.
 
Di nuovo un fruscio dalla vegetazione, e Marco vide il muso di una piccola volpe.
Non ne aveva mai vista una in vita sua, sapeva che a dispetto della sua fama di animale infido e scaltro, la volpe è una creatura piccola e timida con abitudini prevalentemente notturne.
Se proprio doveva morire, poteva consolarsi con la vista di quella piccola creatura…
Peccato non potergli chiedere aiuto…
 
Guardò bene il muso del piccolo animale: era sporco, sporco di sangue, del SUO sangue.
 
Quella piccola, graziosa volpe era il mostro dell’oscurità, il mostro che lo aveva sbranato vivo!
 
Cominciò a ridere convulsamente appoggiando la testa all’indietro sul letto di vegetazione sotto di lui e si mise in attesa dell’inevitabile.
La volpe scappò via dileguandosi fra gli alberi, e Marco avvertì un altro fruscio provenire dalla sua destra.
Girò di scatto la testa e vide un serpente che scattava contro di lui mordendolo sul collo: era una vipera, una piccola vipera che in condizioni normali non avrebbe mai potuto fargli veramente del male. Ma le sue non erano condizioni normali: dissanguato, spossato, con una orribile ferita in via di putrefazione, il poco veleno di quella piccola vipera gli avrebbe sicuramente dato il colpo di grazia.
 
Chiuse gli occhi pensando alla sua amata sorella Francesca…
 
   
 
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