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Autore: Lady R Of Rage    08/04/2015    9 recensioni
Aphrodite siede solo, nell'anticamera della Casa dei Pesci.
Solleva le mani come i piatti di una bilancia. Vuole vedere il suo dilemma tangibile di fronte agli occhi. Se è davvero ciò che si vede ciò che conta, Aphrodite vuole vedere il suo problema come un'immagine sacra, e rimirarlo nei piatti della sua bilancia immaginaria.
Deve scegliere.
Ama sé stesso così tanto che se potesse si bacerebbe. Ama la bellezza, e vuole fare di sé stesso la cosa più bella del creato. Ma è un Gold Saint, lui, e deve comportarsi da Gold Saint. Combattere, sfregiarsi in battaglia. Le sue rose, alla Dea, servono a poco.
A cosa serve essere così perfetti, se nessuno vede alcun vantaggio nella perfezione?

Aphrodite dei Pesci, il bello, il perfetto, ha dovuto prendere una decisione cruciale prima di diventarlo.
Ha scelto di amare sé stesso, disdegnando completamente gli altri.
Ma chi vive in un'illusione è destinato a finire male.
[One-Shot | Aphrodite!Centric | Fino allo scontro con Shun | Pura introspezione, non aspettatevi romance oggi!]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Pisces Aphrodite
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quello che non scintilla

"I'm gonna love myself the way I want you to love me"
(Katy Perry - Love Me)

"E quella donna bella, che sembrava bella, era soltanto un tipo"
(Elio e le Storie Tese - Luigi Il Pugilista)

La prima cosa che salta all'occhio guardando Aphrodite non è la sua bellezza. È ciò che ruota attorno a essa.
Con quei capelli azzurri di acquamarina, morbidi e delicati come la brezza sul mare in un giorno di cielo sereno, gli occhi luminosi, languidi, i tratti del viso così eleganti e lisci, Aphrodite attira su di sé tutta l'aria che lo circonda, tanto da annebbiare quasi la visone intorno. Attira gli sguardi, le parole, e anche qualche carezza. Sorride mollemente, bellissimo nella sua armatura dorata, con lo sguardo da angelo sorridente e un po' assente.
È bello, così bello da abbagliare.

Gli altri Golden Saint lo sanno bene: la bellezza divina di Aphrodite è un nuovo limite che nessuno può raggiungere, ne mai ha potuto. Vengono da ogni parte del mondo e hanno visto ogni sorta di cose, ma una vampata di capelli come quella, uno sguardo così languido, non l'hanno mai visto.
Aphrodite sorride ancora di piu, i denti bianchissimi che luccicano tra le perfette labbra sottili, così evanescente e delicato, e gode ogni sguardo. Finché godersi gli sguardi non gli basta più, e agli sguardi vuole rispondere; vuole concedere a essi la sua considerazione come farebbe una divinità particolarmente umile.
Ma è appena inizia ad esaminare meglio quegli sguardi, che ciò che vede inizia a non piacergli più tanto.

Aphrodite è bello, così bello da abbagliare, ma quando l'occhio cade sulle sue rose l'ammirazione cede subito il posto all'ilarità.
Perché Aphrodite è elegante, delicato, evanescente, e questo lo rende speciale paragonato agli altri Golden Saint. Ma è proprio questo il punto: Aphrodite è troppo elegante, troppo delicato, e troppo evanescente di quanto non converrebbe a un Golden Saint che si rispetti.
Che utilità può avere, in battaglia, tanta bellezza? Come può essa servire la Dea Atena?
Cosa può nascere da tanta bellezza, se non risa e sfiducia?
Aphrodite è così bello da essere ridicolo, e il fatto che lo sappia non aiuta a migliorare le cose.

Aphrodite siede solo, nell'anticamera della Casa dei Pesci.
Solleva le mani come i piatti di una bilancia. Vuole vedere il suo dilemma tangibile di fronte agli occhi. Se è davvero ciò che si vede ciò che conta, Aphrodite vuole vedere il suo problema come un'immagine sacra, e rimirarlo nei piatti della sua bilancia immaginaria.
Deve scegliere.
Ama sé stesso così tanto che se potesse si bacerebbe. Ama la bellezza, e vuole fare di sé stesso la cosa più bella del creato. Ma è un Gold Saint, lui, e deve comportarsi da Gold Saint. Combattere, sfregiarsi in battaglia. Le sue rose, alla Dea, servono a poco.
A cosa serve essere così perfetti, se nessuno vede alcun vantaggio nella perfezione?
Aphrodite guarda la sua bilancia, e riflette.
Può sacrificare tanta bellezza per qualcun altro?
Qualcuno di meno bello?
Qualcuno che lo guarda dall'alto in basso, come un novellino poco esperto e innocente?
Aphrodite stringe le labbra. Una mano si abbassa.
No, decide. Non può.

I Gold Saint non capiscono, si dice. Non capiscono cosa è importante per davvero, per cosa vale la pena combattere. Non capiscono lui.
I Gold Saint sono degli sciocchi, si dice, anche se sa benissimo che non è così.
Essere perfetti, in un mondo di imperfezione, è molto più facile.
Non ha bisogno di ammiratori, Aphrodite. Può crearli da solo, evanescenti simulacri dell'uomo che non è. Può circondarsi di specchi, e sorridere al suo riflesso come il Narciso dei miti. Ma se Narciso, bello e illuso quanto lui, era caduto in un tranello tessuto da altri, Aphrodite sceglie di tessere per sé stesso un sottile inganno, di imbrigliarsi consapevolmente in un ordito di illusioni, e di sorridere di nuovo allo specchio, complimentandosi con sé stesso per essersi preso nel laccio in modo così rapido ed efficace.
E le spine delle rose si fanno foresta di rovi, nel mezzo della quale Aphrodite costruisce una fortezza dorata in cui rinchiudersi.
Se Aphrodite fosse folle abbastanza da avere delle voci in testa, anche quelle ripeterebbero senza sosta il suo nuovo canto rituale.
"Sei bello, Aphrodite".

Aphrodite non impugna armi in battaglia, ma il suo ego è uno scudo duro abbastanza da far rimbalzare qualunque colpo. Le risatine di circostanza, per esempio, e gli sguardi sottili, e tutto quel brusio che lo accompagna dovunque vada come un parassita penetrato sotto la pelle.
Cosa gliene importa? La sua bellezza vale più delle sciocche paroline degli altri Golden Saint.
"Sei bello, Aphrodite".
Lo ripete come se ne fosse posseduto. Allo specchio si ipnotizza da solo. Canta a sé stesso quelle parole come una ninnananna. Le parole che vorrebbe sentirsi dire, ma che nessuno gli dirà mai, se non lui stesso.

Aphrodite si basta da solo. La sua compagnia è l'unica cosa, e la cosa più bella, che potrebbe mai desiderare. Fa da fratello, da padre, da amico e da persona amata a sé stesso, amandosi come si farebbe con una vera persona cara.
Eleva sé stesso, e abbassa gli altri a un livello inferiore. Nel mondo di Aphrodite nessuno è degno di elogio se non chi Aphrodite stesso ritiene bello abbastanza. È talmente fiero del suo ego da proteggerlo come un tesoro sacro, perché grazie ad esso nessuno, al mondo, gli sembrerà mai degno di competere con lui.
Finché un giorno, il fato non gli presenta un degno avversario, e Aphrodite torna alla realtà con un impatto troppo forte per lui.

Shun di Andromeda è giovane e bello. Una creaturina piccola e amabile, dall'aria fragile e sensibile. Gli piace. E questo non è bene.
Perché Aphrodite non può permettersi di apprezzare altri che sé stesso. Non può permettersi di tornare indietro, di condividere il suo grande ego con qualcun altro. Si è abituato a vedere chiunque non sia lui stesso come un avversario, destinato a competere con lui nel suo personale premio di bellezza, di cui lui stesso è giudice e concorrente. Aphrodite non vorrebbe, ma sa di essere un giudice obbiettivo. E se fosse costretto a dichiararsi perdente, ad ammettere che c'è, al mondo, qualcuno magnifico quanto lui, tutti i suoi sforzi sarebbero vanificati. Tutta la complicata trama di inganni che ha pazientemente intessuto... Sciolta.
Tutto il grande e forte muro che lo protegge... Distrutto.
E Aphrodite non lo vuole. E combatte, non solo per il Grande Tempio, non solo per Arles, ma soprattutto per sé stesso, come è giusto che sia.

A volte Aphrodite invidiava gli occhi chiusi di Shaka e il modo con cui il gentile buio riusciva a tenere lontano l'ovvio.
Solo in quel modo, infatti, potrebbe nascondere a sé stesso una cosa inevitabile: è stato sconfitto.
Shun di Andromeda, la cui innocenza sembrava mostrare un avversario incapace quanto bello, si è rivelato più abile di lui nel combattimento.
Ora Aphrodite si ritrova spiaccicato per terra come un novellino, e sente gli occhi che gli si fanno sgraziatamente gonfi.
Sente la morte che si avvicina, fredda sulle membra come un bacio letale, ma non si dispera, né si preoccupa se qualcuno avrebbe o meno sentito la sua mancanza. Non subito.
Almeno aveva sé stesso.
Ma mentre sentiva gli occhi chiudersi si rese conto che non gli era mai bastato.

Angolo della Cuin
Se sono arrivata in questo fanbase, è solo colpa di Makochan e Kanondigemini. È stato grazie a loro e alla loro passione che sono finita qui, e nonostante non sia un'appassionata come molti di voi certamente sono, è decisamente un'opera deliziosa, e sono contenta di averla scoperta.
Quando sono entrata in contatto con Saint Seiya, devo dirlo, non era certamente Aphrodite il soggetto che mi ero prefigurata per un'eventuale fanfiction. Avevo in mente piuttosto qualcosa del tipo “Pensieri profondi di Arles nella vasca da bagno” (Arles, ti voglio bene). Poi sono finita a pensare a Phro. Non so come. Sicuramente la musica dei Maroon 5 ha aiutato un sacco (Adam Levine, voglio bene anche a te). Così, senza sapere nemmeno come, mi sono ritrovata a scrivere una storia sul Pesciolino. Ed eccola qui.
So che Aphrodite non è sicuramente il personaggio più popolare del fanbase, e non sto nemmeno a chiedermi perchè, dato che nemmeno io uno che si chiama Aphrodite starei a seguirlo tanto. Ma mi sono divertita un sacco e spero sia venuto fuori qualcosa di quantomeno accettabile.
Considerate che non faccio nemmeno tecnicamente parte del fanbase sguardo puccioserrimo
Dunque a presto, e grazie mille per essere arrivati fin qui.
MiticaBEP97  
  
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