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Autore: Artemisia_Amore    09/04/2015    3 recensioni
La trama di questa storia si svolge su due piani temporali.
{I fili del presente si intrecciano continuamente con il passato dove è ambientata la maggior parte della narrazione.}
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Break riapre gli occhi dopo una sanguinosa battaglia. Ha da tempo perso l’uso della vista, e il suo cuore stanco vortica inesorabilmente intorno a quel ricordo che lo ha a lungo perseguitato. Nel frattempo, Reim ripercorre i passi che lo hanno portato alla scoperta di un sentimento inconfessabile, mentre Sharon rivive il giorno in cui cessò per sempre di essere una bambina.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Reim Lunettes, Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota di Amore.
Questo capitolo tratta di tematiche sensibili. Poiché il rating della storia è Arancione, abbiamo ritenuto fondamentale non soffermarci su nessun dettaglio. Inoltre, le scene in questione sono state evidenziate con diversi colori, così da permettere ai lettori più giovani (o a chiunque non si sentisse a proprio agio nel leggere di questi temi) di saltare alcuni passaggi. Il senso della narrazione risulterà comunque inalterato.


Inceppato

 

Faccio scattare la serratura della porta, abbasso la maniglia e finalmente entro in camera. Mi guardo intorno lentamente, respirando a pieni polmoni questo profumo familiare. Avverto un sorriso improvviso incresparsi spontaneo sull’angolo della mia bocca. Da quanto tempo non entro in questa stanza? Quand’è stata l’ultima volta che ho dormito su questo letto? Avanzo di pochi passi e inizio a sbottonare la giacca della divisa. E’ pesante, mi ritrovo a pensare. Probabilmente dipende dalla quantità di stoffa che la sartoria ha dovuto utilizzare per vestire quello spilungone di un quattrocchi. Sorrido di nuovo, incapace di rimanere serio mentre il mio cervello sussurra ironia. 

Oggi è una splendida giornata. Oggi… sono felice di essere vivo.

Lascio cadere i pantaloni sul materasso e muovo i miei passi affaticati in direzione del bagno. Tremo, ma il brivido che mi attraversa è piacevole se paragonato al gelo che mi ha penetrato le ossa durante la missione, e abbasso lo sguardo sui miei piedi nudi. Hanno lasciato un’impalpabile scia di calore là dove sono entrati in contatto con il marmo del pavimento. Mi piego, sfioro le dita del piede sinistro. Nonostante le abbia fasciate solo poche ore fa sono di nuovo ricoperte di sangue. Un sospiro, e mi sollevo per preparare la vasca da bagno. A quanto pare sto invecchiando. Un tempo lesioni così banali non avrebbero destato in me nessun interesse. Adesso, invece, stringo i denti e sussulto non appena mi immergo nella vasca, permettendo all’acqua bollente di leccare i lembi ricuciti alla bell’e meglio della ferita sulla mia spalla. E tuttavia non riesco a impedirmi di ridere. Mi lascio sprofondare sul fondo della vasca, chiudo gli occhi, li riapro, schiudo le labbra mentre l’acqua dal sapore pian piano sempre più ferroso si prende cura di me come un’amante.

Amante.

Come sono riuscito a cacciarmi in questa situazione? Ha dell’assurdo, parola mia. Eppure… Percorro il mio corpo dolorante con la punta delle dita e di nuovo tremo, di nuovo sorrido. La mano si ferma sul cuore, lo protegge con il palmo. Sta battendo ancora così forte. Non ha smesso neanche per un istante? 

Divertito, scuoto la testa e muovo le dita bagnate tra i capelli per pettinarli. Finalmente scopro la fronte e l’aria umida del bagno si posa delicatamente su quello zigomo che perennemente nascondo alla vista del mondo. Riapro gli occhi. Riflesso nell’acqua, un mostriciattolo sfigurato mi fissa. Gli rivolgo un sorriso sarcastico mentre lo osservo simulare con le dita la forma di quell’occhio che ho perduto. Di tanto in tanto ne sento la mancanza. Oggi, per esempio. Oggi avrei voluto avere entrambi gli occhi per poter imprimere nelle mie iridi il suo sguardo, il suo viso, le sue labbra. 

Un gemito sottile sfugge alla mia volontà mentre avverto il cuore sussultare; inevitabilmente, finisco col ridere di sincera serenità. Ah, non sono abituato a questi sentimenti così improvvisi e prepotenti che mi fanno sentire così spensieratamente giovane. Mi ero ripromesso di rimuoverli, di non permettere mai più alla mia coscienza di sperimentare tutto questo. Avevo giurato di dimenticare per sempre l’amore.

 

“Non avere paura…”

La sua voce raggiunse le mie orecchie come il più sottile battito d’ali di una farfalla. Impercettibile e tuttavia udibile. Piena di grazia e tuttavia irremovibile. Mi piegai una seconda volta per incontrare le sue labbra morbide. Non esisteva altro che il profumo della sua pelle.

“Shelly-sama…”

Sorrise sotto la mia bocca, sollevò le mani per accarezzarmi i capelli.

“Tagliarti i capelli ti ha reso più audace, Xerxes? Finalmente hai smesso di chiamarmi ‘mia signora’…”.

Sentii le guance arrossire per la sfacciataggine del mio gesto. Avrei dovuto essere più formale? Non mi sarei dovuto permettere di…

“Ho… Ho pensato che… l’attuale situazione… richiedesse una forma di cortesia… più intima…”

Rise di nuovo, soffocando i suoni sulla mia spalla nuda.

“Stavo solo scherzando, cavaliere impettito…”

Arrossii di nuovo e nascosi il viso tra i suoi capelli. Liberi dalle costrizioni, sfrontatamente sparsi sul cuscino, profumavano d’ambra e di proibito. Ne strinsi una ciocca tra le dita, mentre le mani della mia signora percorrevano la mia schiena, soffermandosi su ogni cicatrice.

“Come ti sei procurato tutte queste ferite? Devi essere stato un cavaliere piuttosto impacciato. Cadevi da cavallo?”

Baciai, respirai, lappai il suo collo come un cucciolo devoto. La sua pelle aveva il sapore del miele, il profumo del latte, la consistenza di qualcosa che urlava al mio cuore il bisogno, totale e irresistibile, di sfamarmi di lei.

“Ero un cavaliere indisciplinato. Sono stato punito innumerevoli volte durante l’addestramento…”

Sorrise mentre le sue unghie sfioravano la curva della mia schiena, scivolando lentamente sui miei fianchi.

“E oltre alla guerra, sei stato addestrato anche all’amore…?”

Premetti le dita sulle sue labbra, mi bloccai. Quella domanda…
 

“Allora, Kev? Sei stato finalmente iniziato alle gioie della camera da letto o hai fatto voto di morire illibato?”.

Lanciai a Kenneth uno sguardo divertito. In qualche modo dovevo pur nascondere la ferita che quelle parole stavano incidendo nel mio cuore.

“Naturalmente, Kenneth-sama. E’ parte del nostro addestramento familiarizzare con le contadine…”

Mi lanciò un’occhiata indecifrabile, gli occhi color del brandy intenti a soppesare la mia risposta. Poi, d’improvviso, mi voltò le spalle per affacciarsi alla finestra della camera, la vestaglia di velluto che rifletteva il calore del caminetto in guizzanti scintille dorate. Abbassai lo sguardo, allungai le mani verso il fuoco tenue nel tentativo di scaldarmi. D’un tratto…

“Hai una favorita?”

“Che cosa?”

“Ne hai una?”

Si voltò a guardarmi, il veleno nel brandy dei suoi occhi. Distolsi lo sguardo, decidendomi a dar finalmente voce al tormento che mi stava consumando l’anima.

“Si sposerà…”

Kenneth spalancò gli occhi. Lo sentii fissarmi di rimando mentre il mio sguardo  impudente indugiava sui suoi capelli intrecciati che lo decretavano un promesso sposo. 

“Kev…”

“Devo tornare alla camerata, Kenneth-sama…”

La sua mano forte sul mio polso. Le sue dita inflessibili sui miei capelli. I suoi occhi che capivano ciò che non avrei mai potuto pronunciare.

“Dormi qui, stanotte”.
 

Annuii lentamente. Non avrei potuto mentire su questo. Distolsi lo sguardo per non permettere alla mia signora di cogliere il dolore della mia perdita, ma le sue mani delicate mi costrinsero a incontrare le sue labbra ancora una volta.

“Perché stai tremando, allora?”

Sorrisi, impedii ai ricordi di insinuarsi in quel momento così follemente pericoloso, così follemente emozionante.

“Non sono così esperto come credete, mia signora…”

La sentii rilassarsi tra le mie braccia, invitarmi delicatamente ad abbracciarla, a baciarle le fronte e le guance con delicatezza. E di nuovo l’incantesimo del suo profumo avvolse i miei sensi, prese totale possesso della mia mente. Smisi di respirare mentre, lentamente, la mia mano trovò il coraggio di percorrere le forme del suo corpo, di soffermarsi sul suo seno, di premersi sul suo fianco. Avvertii il cuore rimbombare nelle orecchie mentre la mia bocca così impura stampava baci traboccanti di devozione su quel ventre prezioso dentro cui avrei voluto far sbocciare una nuova vita che fosse nostra e nostra soltanto. Se solo il tempo non fosse stato nostro nemico… Se solo il destino non l’avesse strappata dalle mie braccia. Se solo…
 

Sorrido mentre sollevo la mano sopra il viso, le gocce d’acqua che ricadono lentamente sulla punta del mio naso, sulle labbra, sul mento. Dev’esserci qualcosa di sbagliato in me. Forse a un figlio di Alaistar non è concesso di sperimentare un amore che non sia perverso. Forse il mio sangue e le mie origini mi impongono il ruolo dell’amante, del clandestino. Forse è persino un bene che il demone dagli occhi cremisi non possa in alcun modo lasciare una progenie di mostri in eredità al mondo.

Scoppio a ridere, mi copro la bocca con le mani ed esco dalla vasca un momento dopo. Che razza di pensieri idioti. Non rivolgo neanche uno sguardo allo specchio e decido di coprirmi per puro decoro nei confronti della mia piccola Emily. Sola e abbandonata, è seduta sul mobiletto del mio letto da così tanto tempo…

Da quando, in effetti?

Oh, adesso ricordo. Da quando hanno portato via la mia ojou-sama.
 

“Xerxes…?”

Le labbra della mia signora sfiorarono il mio collo. Percepii il tremito che l’attraversò e la strinsi più forte contro il mio petto. Nella prima luce del mattino, vidi le sue labbra sorridermi, colpevoli e spaventate. Pensai che si fosse pentita del gesto appena compiuto. La strinsi ancora, prendendomi in giro, fingendo con ogni fibra del mio essere che potesse essere mia.

“Mi ami, Xerxes?”

Baciai piano le sue palpebre mentre i capelli fradici sulla mia fronte sudata si lasciavano domare dalla sua mano delicata. Mi lasciai scoprire l’occhio sinistro, lasciai che mi guardasse senza nascondermi. Poi, lentamente, le sorrisi.

“Con tutto il mio cuore, Shelly-sama…”

La guardai scivolare debolmente sotto le lenzuola e premere la guancia sul mio petto fresco. Aveva la fronte calda di febbre, il respiro stanco per uno sforzo troppo prolungato. Ma sorrise a sua volta, gli occhi chiusi e stanchi.

“Ami la mia bambina?”

Sentii la sua voce tremare. Le accarezzai i capelli senza fare domande. Non ricordavo il calore della donna che mi aveva messo al mondo, ma potevo intuire il disperato amore che lega una madre al proprio cucciolo.

“Certo, mia signora…”

“Se non dovessi vivere abbastanza da vederla diventare una donna… Resterai al suo fianco per me…?”

Sentii una lama di vetro affondare nel cuore. Non volevo perderla. Non volevo perdere anche lei. Avvolsi la sua vita sottile nel mio abbraccio, e giurai solennemente di amare le mie signore fino al giorno del mio ultimo respiro.
 

La spalla decide di lanciare una scossa di puro dolore al mio cervello nel momento esatto in cui mi sdraio sul letto. Stringo i denti, lentamente sfioro i punti disomogenei. Se solo Reim avesse avuto dell’unguento cicatrizzante… Ma temo di non potermi aspettare troppo da un archivista. Sghignazzo e chiudo gli occhi, lasciando defluire l’aria dai miei polmoni nel sospiro più lungo e rilassato degli ultimi giorni. Non devo essere ingiusto. Piuttosto, dovrei essergli grato. Se non fosse stato per lui non avrei mai…

Non avresti mai… che cosa?

Arrossisco. Arrossisco come non mi succedeva da anni mentre mi trovo messo alle strette dalla mia stessa coscienza, a cui non posso più nascondere i battiti alterati del mio cuore al solo pensiero di quella bocca così piccola eppure familiare, di quegli occhi così grandi e assetati. Riconosco la natura di questi sentimenti, e ormai non posso più mentire a me stesso.

“Sharon…”

Sussurro il suo nome nel buio della mia mente e d’improvviso il pensiero prende forma mentre nuvole di glicine e lillà si fondono nelle forme deliziose del suo viso. Rivedo l’ombra della mia signora in lei, eppure ciò che provo non è semplice nostalgia. E’… curiosità. E’…

Profondo desiderio.

Spalanco gli occhi di fronte alla sfacciataggine di un simile pensiero. Come mi è saltato in mente? Come potrei…? Scuoto la testa, mi rimetto seduto. Basta così. Smettila d’indagare, Xerxes. Smettila di cercare il termine appropriato con cui classificare ciò che senti. Non farai altro che peggiorare le cose.

Annuisco a me stesso e lascio che il mio sguardo annebbiato vaghi distratto sulle mie gambe, sul piede ferito, sulla divisa di Reim a pochi centimetri da me. D’un tratto la consapevolezza di avere qualcosa d’importante a cui prestare attenzione si insinua prepotentemente nella mia mente. Mi sono rilassato fin troppo, in effetti. Recupero il gilet e frugo nel taschino alla ricerca del ciondolo di Florence-sama.

“Quindi eravate innamorata, padroncina? Lo eravate anche nella mia realtà?”

Sorrido mentre mi rigiro tra le dita il piccolo ovale di resina. La farfalla al suo interno mi rivolge uno sguardo muto, le ali bianche che brillano per un istante quando la luce della candela le illuminano.

“Se vostro padre vi avesse scoperto, il poveretto in questione avrebbe fatto una brutta fine, ne sono sicuro… Aveva così tanti progetti per voi, per la sua primogenita.”

Stringo il ciondolo nel palmo della mano, prima di avvolgerlo in uno dei miei plastron di seta e nasconderlo tra le piume del mio cuscino. Qua dovrebbe essere al sicuro…

“Fintanto che Emily farà la guardia sarà sicuramente al sicuro~”

Guardo la bambola, le accarezzo un piedino, e in un attimo un sospiro mi riporta alla realtà delle cose. Sharon non è più con me.

“Ci ridurremo a farci compagnia a vicenda, Emily-chan?”

“Emily apprezza la compagnia di Xerxes-ojisan~”

Scuoto la testa, sospiro di nuovo. Non è divertente. Se non posso far sorridere la mia ojou-sama, dare voce a Emily è solo uno spreco di fiato. Devo riaverla. Devo riaverla ad ogni costo.

“E che cosa farai? Andrai dalla Vecchia Strega e le dirai: ‘Buonasera! Sono innamorato di sua nipote! Me la dia in dono!’?~”

Il mio occhio stanco si spalanca. Che cosa ho appena detto…?

Innamorato.

Sono… innamorato…?

Mentre il mio cervello scoppia in una risata incredula e crudelmente sarcastica, il mio cuore accelera i suoi folli battiti al punto da farmi mancare il fiato. Cado in ginocchio sul pavimento, premo le dita sul petto. Che cosa sono queste vertigini? Perché mi sento sollevato e, allo stesso tempo, sull’orlo di un baratro? Perché una voce insistente mi ripete che sarei disposto a versare fino all’ultima goccia del mio sangue pur di ricevere ancora un bacio da quelle labbra, durasse anche il fugace tempo di un respiro?

Improvvisamente stringo il pugno sul pavimento. Ritrovo il mio contegno e lentamente mi rialzo, lentamente mi rivesto. Finalmente ho preso la mia decisione.

Esco dalla mia camera e percorro a grandi passi il corridoio. L’oscurità sembra tremolare, intimidita, quando la luce fioca della mia candela la dissolve. Inarco un sopracciglio mentre mi ritrovo a osservare come la mia vista stia sensibilmente peggiorando. Ormai quando cala la sera riesco a distinguere solamente i contorni degli oggetti che mi circondano. Sfrego gli occhi con la mano e proseguo alla cieca. In fondo sono abituato a questo percorso: lo seguo ogni giorno per fare rapporto a Sheryl-sama. Piuttosto, dovrei preoccuparmi di come introdurre l’argomento.

“Ridatemi Sharon!”

Mh. Fuori questione. Finirei licenziato.

“Vostra maestà desidera vivere una lunga vita gioiosa?”

Xerxes, ti sei bevuto il cervello, vero? Ricevere una scossa d’emozione ti ha reso improvvisamente stupido?

“Sheryl-sama, mi permetta di restare al fianco di Sharon ojou-sama. Non mi renda un bugiardo, costringendomi a infrangere la promessa fatta a lady Shelly…”

Meglio. Molto meglio. Punterò sull’amore filiale: funziona sempre. Oppure potrei…

“Sheryl-sama, la ringrazio per avermi ricevuto a quest’ora, con così poco preavviso…”

Mh? Riapro gli occhi e inarco un sopracciglio. Di fronte a me, la porta socchiusa dello studio di lady Sheryl traccia una scia di luce ambrata sulla moquette del corridoio. Mi sposto nell’ombra, incuriosito dalle parole di Reim. Che ci fa qui a quest’ora? Che sia venuto… A intercedere per me…?

“Ti ascolto, Reim-kun. Di che cosa si tratta?”

Vorrei potermi avvicinare e sbirciare nella stanza, ma un ulteriore movimento rivelerebbe la mia presenza. Non posso che tendere l’orecchio e limitarmi a…

“Sheryl-sama, io… sono venuto a chiedere la mano di vostra nipote.”






   
 
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