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Autore: f9v5    10/04/2015    5 recensioni
[AU! HumanCharacters!] [Angst!]
È fragile, lo spirito dell’essere umano.
Come un vaso antico in tutto e per tutto: colorato; variegato, tinto delle più varie sfaccettature, unico… facile da infrangere.
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È fragile, lo spirito dell’essere umano.
E quando era “Quel” giorno Shadow si sentiva umano… troppo umano.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Shadow the Hedgehog
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Mobius High School'
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È fragile, lo spirito dell’essere umano.

Come un vaso antico in tutto e per tutto: colorato; variegato, tinto delle più varie sfaccettature, unico… facile da infrangere.

Da cosa deriva la sofferenza, se non da questo? Da cosa deriva quel gran raggruppamento di sentimenti cui assegniamo i nomi più disparati (felicità, rabbia, invidia, amore; ve n’è parecchi) se non dall’incrinazione e dalla successiva rottura di quel fragile cimelio che è l’animo umano?

L’aspetto positivo e negativo al contempo di una simile condizione riguarda il fatto che un vaso è sempre possibile da riparare… solo per poi vederlo rompersi ancora.

 

Shadow the Hedgehog non era il tipo di persona da possedere uno spirito fragile; così avrebbe detto chiunque lo conoscesse e con molteplici ragioni per motivare quanto detto.

Ma non quel giorno. Non quello, perché era “Quel” giorno!

Da quando tempo stava lì immobile ad osservare il tetto incrostato del suo monolocale?

Una rapida occhiata di lato, alla sveglia sul comodino: 6:40!

Quando aveva cominciato quella non certo entusiasmante azione gli pareva che segnasse le 5:30 o roba del genere.

Di certo ci aveva speso più di quanto lui stesso avesse immaginato.

Si concesse un ulteriore proroga di cinque minuti per osservare le strane macchie che abbellivano il tetto, avevano le forme più varie, alcune rimembravano anche oggetti definiti.

Una di esse gli portò alla mente un piccolo coniglio che correva felice per i campi, senza preoccupazioni e pensieri, una ancora una X smussata agli estremi, corrosa dal tempo, in attesa di fungere da bersaglio ad un colpo che non sarebbe mai giunto.

Non un lampo di qualsivoglia sentimento attraversò gli occhi di Shadow per tutta la durata di quell’insolito passatempo, non lo stava certo facendo per divertirsi.

Quando le 6:45 scoccarono la sua testa lasciò la morbidezza del cuscino e la sua schiena quella del materasso.

A passi lenti e scadenzati oltrepasso la soglia del bagno, aprì il rubinetto, pose le mani affiancate a raccogliere il giusto quantitativo d’acqua e gettò quel freddo ristoro sul volto.

Col volto e i capelli gocciolanti, puntò i suoi occhi cremisi nell’ovale in vetro che gli mostrava una figura.

Avrebbe dovuto chiamarlo “Riflesso”, ma non “Quel” giorno; quell’espressione fin troppo vitrea, quello sguardo che non mostrava niente in maniera esagerata, quegli occhi troppo spenti e cupi persino per lui, mostravano qualcun altro.

È fragile, lo spirito dell’essere umano.

E quando era “Quel” giorno Shadow si sentiva umano… troppo umano.

 

 

 

Un’aria strana, insolita, serpeggiava alla Mobius High School quel giorno.

Probabilmente perché era “Quel” giorno.

Persino Sonic sembrava risentire dell’effetto di tale ricorrenza che lo portava ad essere… meno Sonic.

Il ragazzo era seduto sul proprio banco, in classe, osservando placidamente le nuvole in cielo che assumevano forme varie e coprivano sporadicamente il sole, regalando zone d’ombra agli studenti disperati alla ricerca di una temporanea oasi per difendersi da quella Primavera che, forse in vena di fare la stronza, stava dando troppo presto i pericolosi sintomi estivi noti come calura e umidità.

Sarebbe sembrato assurdo per chiunque vedere Sonic in uno stato così contemplativo e rilassato, chiunque lo conoscesse sapeva che non era da lui, ma dopo tutto in “Quella” ricorrenza nessuno riusciva ad essere se stesso, forse in una distorta forma di rispetto e conforto verso colui che per “Quella” data vedeva la propria personalità e la propria anima crollare a pezzi come un castello di carta al primo soffio di vento.

Lo stesso Sonic faticava a riconoscersi, figurarsi dunque nell’osservare i suoi amici; la Mobius High School non sembrava più se stessa.

Tails era tranquillamente seduto al suo banco a leggere un libro; nulla di strano, avrebbe detto superficialmente chi non lo conosceva; Sonic poteva dirlo: era diverso.

Era risaputa la grande passione che il biondino ci mettesse in quell’azione, ogni volta che le sue mani si destreggiavano tra le fredde pagine di carta di un tomo i suoi occhi brillavano.

Aveva una fervida immaginazione, Tails, sicuramente era uno a cui piaceva immedesimarsi nei protagonisti delle storie su cui si concentrava.

Ma “Quel” giorno quella scintilla era assente; Tails non leggeva per sognare, non si immaginava in scintillanti armature, pronto a combattere il drago cattivo, o al timone di un galeone pronto a solcare i mari verso l’ignoto.

Miles “Tails” Prower stava leggendo per ammazzare il tempo in attesa che la lezione cominciasse.

Quando la porta dell’aula venne aperta e la figura di Knuckles varcò la soglia, il rosso mostrava la solita espressione, seria e composta, tinta di qualcosa che sembrava disorientamento.

Non una battuta sagace o amichevolmente provocatoria uscì dalla bocca di Sonic, non un saluto educato da parte di Tails; solo un’occhiata a vicenda tra i tre si occupò di quel compito.

-Certo che sembra assurdo.- disse Knuckles dopo alcuni secondi di silenzio troppo inusuale, tra loro tre una simile assenza di suono e dialogo sembrava addirittura forzata. -Quando ogni anno arriva questo giorno, nessuno di noi riesce ad essere se stesso. E dire che in un certo senso a noi la cosa non riguarda.- non era una constatazione menefreghista, il suo era un commento disinteressato tinto di solidarietà.

Tails sospirò.

-Possiamo vederla come un’applicazione vivente della “Proprietà Transitiva”: “Lei” era sua amica, “Lui” è nostro amico, a discapito di quanto i fatti dicano, quindi, facendo valere la proprietà, “Lei” era nostra amica!-

-Riesci ad infilare la logica in tutto amico. Mi chiedo come fai certe volte.- commentò Sonic con leggero sarcasmo.

Risero leggermente, solo quello.

Pochi minuti dopo entrò l’insegnante.

-Professor Robotnik.- nessun Eggman, nessun “Uovo gigante coi baffi” da parte di Sonic.

In un altro frangente Ivo si sarebbe sorpreso o, ancora più sicuramente, insospettito, da quello che non era niente di più di un saluto di rito, quasi tirato.

Conosceva benissimo il suo studente più turbolento e l’odio che avevano reciprocamente maturato l’uno per l’altro era ben noto a tutti.

Ma “Quel” giorno i due riuscivano a stipulare quella sorta di patto di non belligeranza che prevedeva che Sonic non facesse il bastardo, rimanendo in quella contorta forma di rispetto che vigeva per i Robotnik (e per Shadow) in “Quella” ricorrenza.

Lo stesso professore non sembrava lui; nessun improprio sottovoce nei confronti di qualcuno, nessuno sbraito per la mancata riconoscenza della sua genialità, il luccichio di sadismo che albergava costantemente sulle lenti dei suoi occhiali scuri (quando si apprestava ad interrogare, alcuni studenti potevano giurare di averci visto le fiamme dell’inferno divampare in essi)in attesa di torturare la vittima designata era spento.

Si poteva capire che, malgrado tutto, anche lui ci teneva a quell’evento.

-Buongiorno studenti.- niente urli, niente minacce.

Sonic lanciò un ultima occhiata alla porta: lui non si sarebbe presentato.

“Quel” giorno la Mobius High School sarebbe stata schifosamente normale.

 

 

Un colpo alla porta; un altro dopo tre secondi, un altro ancora dopo cinque.

Riconoscendo il segnale, andò ad aprire, Rouge lo attendeva dall’altra parte.

-Beh, almeno oggi il tuo solito abbigliamento non sembrerà fuori luogo.- il sarcasmo era assente dalla battuta della ragazza; i pantaloni e la giacca neri(quest’ultima ornata da quegli strani peli bianchi che alcuni avevano ipotizzato essere i capelli di coloro che gli stavano sui cosiddetti dopo che lui li aveva imprigionati nelle cantine del suo condominio per mesi; ci volle un’eternità per spiegare che erano sintetici)di Shadow sembravano adattarsi al lutto che il ragazzo portava dentro da 3 anni.

Invitò Rouge ad entrare con un cenno della testa.

La ragazza dai capelli bianchi aveva visto già altre volte l’appartamento dell’amico, meno lugubre e tetro di quanto si potesse pensare.

Shadow lo teneva nel giusto ordine, non era un maniaco delle pulizie ma sapeva regolarsi anche in quelle, d’altronde quando si vive da soli è necessario sapersi dare una giusta preparazione in tutto.

-Sei già andato… o hai passato tutta la mattinata a commiserarti?- la domanda, priva di malizia e piena di sincera apprensione, sembrò smuovere qualcosa dentro Shadow.

Non sbagliava a chiederglielo; davanti ai suoi occhi si fece nitida l’immagine di un ragazzo distrutto, incapace di reagire e fin troppo chiuso in se stesso. Provò sincero disgusto.

-Lei mi era sempre stata accanto, con quell’atteggiamento stavo rovinando tutto.-

Malgrado ciò, quando arrivava “Quel” giorno sentiva il bisogno di restare a casa, la consapevolezza di essere tra quelle quattro mura lo aiutava ad estraniarsi dal mondo; non avrebbe più commesso lo sbaglio di deprimersi, ma era impellente il desiderio di solitudine e riflessione di cui necessitava.

Rouge sarebbe stata l’ultima a criticare quel suo modo di fare.

Shadow si recò in cucina e cominciò ad armeggiare con la caffettiera; non si premurò si chiederle se gradisse, sapeva che Rouge non rifiutava mai qualcosa che le veniva offerto, a meno che non lo riconoscesse come uno svantaggio per lei.

La ragazza lo raggiunse, poggiando la schiena sulla porta aperta.

-Caffé… fa tanto “Sonic”, non trovi?-

Un leggero verso di stizza uscì dalla bocca di Shadow e nulla di più; normalmente si sarebbe prodigato nel lanciarle un’occhiataccia, ma “Quel” giorno non aveva l’intenzione di crearsi pensieri superflui.

In un altro momento sarebbe stato a dir poco infastidito da quel paragone con Faker; alla Mobius High School ne era dovuta passare di acqua sotto i ponti per far capire a tutti che tra lui e quell’altro non scorreva alcun legame di sangue, almeno per quanto ne sapevano.

E se quell’evenienza si fosse rivelata vera lo avrebbe rinnegato come fratello senza patemi d’animo.

Ma dal momento che aveva pensieri ben più importanti per la testa, non ci badò a quella comparazione.

Pochi minuti dopo i due erano seduti sul divano del soggiorno a sorseggiare caffè guardando la televisione.

Nessuno dei due badava al programma in questione, era solo per portare un po’ di suono in quella stanza altrimenti troppo silenziosa.

-Galaxina è in ansia.- dichiarò la ragazza improvvisamente, ottenendo l’attenzione che sperava Shadow desse a quella rivelazione.

-Non ha ragione per esserlo.-

-Si preoccupa per te; dovresti ritenerti fortunato che una come lei ti ami sinceramente.-

-Non ho mai detto di non reputarmi così.-

Un leggero sorriso affiorò sulle labbra di Rouge; quella frase apparentemente insignificante la fece sentire fiera di sé.

Se l’avesse pronunciata qualcun altro non gli avrebbe dato grande importanza (beh, se magari fosse riuscita a strapparne una del genere a Knuckles avrebbe perso un battito per l’emozione, ma non l’avrebbe mai ammesso), ma dette da Shadow quelle parole avevano un significato incredibile.

E sapeva che non le avrebbe mai pronunciate di fronte a qualcuno diverso da lei; questo la faceva sentire davvero fiera di essere sua amica.

Galaxina era stata come una seconda benedizione per Shadow, non aveva dubbi a riguardo; lei era tra quei pochi che erano riusciti ad andare oltre lo scudo di silenzio e sofferenza in cui Shadow si era rinchiuso dopo la morte di “Lei”, era stata capace di superarlo e raggiungere i segreti più profondi celati nella mente di quel ragazzo apparentemente freddo e impenetrabile che però era capace di provare sinceri sentimenti e creare legami saldi.

-Dimmi, se lei fosse stata qui ti avrebbe dato fastidio?-

-Non ho motivo di coinvolgerla ulteriormente in questa situazione.-

Shadow, in certe situazioni, aveva il serio dubbio che forse Galaxina non avrebbe mai dovuto sapere di “Lei”.

Conosceva l’indole della sorella maggiore di Cosmo e il saperla in ansia per lui malgrado fosse estranea alla faccenda lo faceva sinceramente sentire uno stronzo per avergliene parlato.

Eppure non era lì, perché sapeva (era certo che sapesse) che in “Quel” particolare giorno con lui non ci sarebbe stato dialogo; per “Quella” data solo Rouge aveva il privilegio di riuscire a sentire suoni uscire dalla sua bocca, forse era il suo modo per esserle riconoscente del fatto di essere stata effettivamente la seconda (“Lei” sarebbe sempre stata la prima da quel punto di vista)ad aver avuto il coraggio di stargli dietro e conoscere il “Vero Lui”.

Il giorno dopo si sarebbe comunque premurato di andare a parlarle, non voleva crearle problemi, più di quanto non gliene potesse causare il padre.

In certi momenti si rendeva conto che Galaxina doveva essere una specie di santa per riuscire a mantenere stabile una relazione con un bastardo come lui e al contempo sopportare le assurde uscite di suo padre Lucas, più che un preside quello lì aveva l’atteggiamento da capo di una banda di gangster; Rouge aveva ragione, era stata un benedizione che una come lei fosse entrata a far parte della sua vita.

-Comunque… no, non sono ancora andato.-

-Presumo lo farai più tardi.-

-Esattamente.-

Pochi minuti dopo Rouge fu messa all’uscio.

-Shadow.-

Lo sguardo del ragazzo mostrava attenzione.

-Si è trattato di un incidente, non devi sentirti colpevole; “Lei” non vorrebbe vederti così.- era venuta per dirgli quello, finalmente ne ebbe l’occasione.

Mai prima di quel momento Shadow aveva trovato profondo lo sguardo della sua migliore amica.

Era inutile provare a nasconderglielo, ormai si conoscevano troppo bene per sperare di riuscire a tenere un segreto tra di loro.

Rouge portò un dito a toccargli la guancia destra.

-E neanche io. E credimi, non lo vorrebbe nemmeno Sonic.-

Mossa strategica intelligente, pensò lui; il ricordo del pugno che Faker aveva scagliato contro di lui in quel punto dove ora toccava il polpastrello della ragazza (lo stava toccando lì di proposito, ci avrebbe giurato) si fece vivido nella sua mente.

Gli aveva fatto male. Ma il male fisico non sarebbe mai stato nulla rispetto al bene interiore che quel gancio, intriso di tutte le emozioni di Sonic, aveva portato con l’impatto sul suo viso.

Doveva un favore, un grande favore, a Faker, ma sarebbero dovute arrivare le Sette Piaghe d’Egitto e l’Apocalisse in contemporanea perché questi sentisse un “Grazie” uscire dalle sue labbra.

-Quindi, quando sarai lì, non vergognarti di te stesso. Parla a cuore sincero e libero da pesi inutili.-

Shadow ringraziò l’amica con lo sguardo.

-D’accordo.-

 

 

 

C’erano momenti in cui Shadow the Hedgehog credeva di poter sopportare tutto; senza alcuna modestia, specie perché sarebbe stata falsa, si reputava imperturbabile.

Ed era effettivamente tale… quasi sempre.

Tutti lo conoscevano come un ragazzo serio e forte, un uomo tutto d’un pezzo, incrollabile ed insormontabile; un essere sovrannaturale quasi.

Beh, si sbagliavano.

“Quel” giorno Shadow era umano, più umano di chiunque altro; il suo guscio di inflessibilità e, come avrebbe detto Faker, stronzaggine crollava, scoprendo un ragazzo che, proprio come una qualunque altra persona, possedeva anche un suo lato più fragile.

Un lato che si vergognava di mostrare; era un suo brutto difetto quello, non lasciare che gli altri intravedessero quella parte di lui.

Orgoglio, semplice e fottuto orgoglio, tanto da farlo sentire un ipocrita per i suoi commenti intrisi di fiele all’indirizzo di Faker quando questi si imbarazzava nel prodigarsi in gesti d’affetto per la sua ragazza in pubblico.

Ma davanti a “Quella” lapide, di fronte a “Quella” persona, non si vergognava, non sentiva alcun rimorso a mostrare quella parte di se, quella sfumatura del suo animo che tanto lo rendeva umano.

Una rosa chiara, di un colore quasi brillante, stava sulla tomba.

Aveva fatto una chiacchierata con Rouge una volta sul significato che le varie sfumature di rosa assumessero, non che fosse interessato all’argomento, ma l’amica era appena arrivata da un litigio con Knuckles e lui sapeva che, in quelle situazioni in cui aveva la luna storta, Rouge andava lasciata in folle finchè non sbolliva.

In effetti, più che una chiacchierata, quello fu uno sproloquio a senso unico dove lui fece la parte della vittima costretta a beccarsi gli urli striduli e senza pause di Rouge, conseguenza dell’incapacità di Knuckles in ambito amoroso(per un attimo si sentì nuovamente un ipocrita, non è che lui con Galaxina facesse chissà quali sforzi per mostrarle il suo affetto); in mezzo a quel garbuglio senza senso e ridicolo tuttavia colse distrattamente quel particolare.

In quel frangente non ci aveva badato, ma in quel momento si sentiva sinceramente soddisfatto di averlo sentito.

Non capiva come un semplice fiore potesse esprimere un concetto, ma non gli importava, era il messaggio da comunicare il suo unico interesse.

E se il messaggio era quello, allora doveva stare su “Quella” tomba, vicino a “Quella” lapide, sotto “Quel” nome: Maria Robotnik.

Perché Maria non l’aveva mai giudicato.

Perché Maria era stata la prima che era riuscita a guardare oltre, la prima che lo aveva conosciuto.

Perché Maria c’era sempre stata per lui.

Perché Maria lo aveva aiutato ad essere una persona migliore.

Perché se non fosse stato per lei non avrebbe mai stretto quel legame ancora vigente con Rouge, con Galaxina, con Sonic e con tutti gli altri, persone che ormai facevano parte della sua vita e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, non avrebbe mai rinunciato a nessuno di loro.

Il giorno dopo, alla Mobius High School, la vita sarebbe tornata come era sempre stata; quando Sonic avrebbe tentato di abbracciarlo col suo solito fare fastidiosamente espansivo lui gli avrebbe sferrato un pugno in faccia urlandogli quanto il solo vederlo gli facesse schifo, avrebbe liquidato chiunque avrebbe osato fissarlo con un’occhiataccia fulminante e alla fine delle lezioni avrebbe chiesto a Galaxina di parlare in privato (con la certezza che certi idioti incapaci di farsi i fatti propri avrebbero ficcanasato; avrebbe spaccato la faccia anche a loro) per scusarsi delle preoccupazioni che le aveva causato.

Era certo che tutto ciò sarebbe successo, ma lo doveva solo a lei.

Non avrebbe mai trovato le parole per esprimere quanto Maria aveva fatto per lui, ma quel fiore e quell’unica parola che pronunciò davanti a Lei (Maria avrebbe capito; lei lo capiva sempre) furono il suo tentativo.

-Grazie.-

 

 

È fragile, lo spirito dell’essere umano.

Proprio come un vaso antico, esso è facilmente infrangibile e i sentimenti sono i fautori delle crepe e della successiva rottura.

Il vaso è riparabile, così come l’animo dell’essere umano; i sentimenti, sotto forma d’esperienza, entrano dentro di esso durante la “riparazione”, permettono all’animo umano di fortificarsi, di comprendere il mondo, apprezzare le cose belle e affrontare quelle brutte.

Quegli stessi sentimenti che causano la rottura del vaso entrano in esso mentre si ripara e lo aiutano a diventare più forte; e se in futuro si romperà ancora, nuovi ne entreranno a migliorarlo ulteriormente.

Il vaso, così, non sarà mai vuoto.

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autore:

Sinceramente non ho idea di che atteggiamento usare per giudicare questa mia one-shot; da un lato c’è la mia parte più autocritica che mi dice che non sono riuscito a rendere chiaro il messaggio che volevo trasmettere e che, inoltre, questa one-shot si distacca troppo dal genere comico-commediante delle altre della serie “Mobius High School” per di più andando a focalizzarmi sulla figura di Shadow the Hedgehog, che tra tutti i personaggi della serie è sicuramente il più complesso a livello psicologico, aggiungendo ulteriormente che ho voluto parlare del suo lato più umano e conseguentemente complicarmi le cose; d’altra parte, c’è il mio lato più incoraggiante che mi dice che, indipendentemente dal gradimento dei lettori, ho fatto bene a tentare e, che anche se ho sbagliato e ho fatto un obbrobrio, questo sarà comunque un punto di partenza per future ed eventuali storie di questo genere.

Insomma, avrete capito che le mie opinioni sono alquanto contrastanti, ma non rimpiango di averla scritta, sperando di essere riuscito nell’intento di mostrare quel lato più fragile di Shadow the Hedgehog che spesso e volentieri viene ignorato.

Sinceramente anche io preferisco lo Shadow violento e sanguinario che spacca culi a destra e a manca, ma bisogna riconoscere che è una sfida affascinante tentare di trattare il suo lato più riflessivo, per di più se l’argomento in questione è “L’Anniversario della morte di Maria”.

Beh, non saprei che altro dire, quindi è meglio che la chiuda qui, spero che vi sia piaciuta e che il messaggio che volevo riferire sia stato compreso.

Alla prossima.

 

  
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