Mi sveglio per la luce. Ce n'é troppa, mi infastidisce. Mi alzo dal letto e guardo l'orologio: sono le dieci, perché mi sono svegliato così presto? Ora che ci penso dovevo far qualcosa, ma non mi ricordo cosa. 

- Oh porca vacca,- urlo, inciampando nella valigia semiaperta, -Il Campo!  

Corro in camera di mia madre, e la trovo addormentata, la testa  appoggiata su un libro, le gambe in diagonale, i capelli sparsi sul cuscino. Smetto all' istante di gridare e le vado vicino: - Ehi ma', c'è il Campo, dobbiamo partire!

Lei si riscuote all' istante, scatta in piedi, e mi domanda, leggermente stordita:- Mfhh... Percy, quanto abbiamo ancora?

Controllo nuovamente il display dell'orologio digitale.

-Ehm... all' incirca dieci minuti...

-COSA?!

In sette minuti siamo già in auto, diretti verso l'aeroporto, due ore dopo la sto salutando prima di imbarcarmi.

-E Percy caro, se ti servono altre mutande basta che mi fai uno squillo!

-Mamma, siamo in aeroporto, non puoi parlare delle mie mutande! 

-Sono tua madre,  tesoro, certo che posso.

Uno a zero per lei. La abbraccio ancora una volta e lei mi saluta con le lacrime agli occhi.

- Sono solo due mesi mamma, possiamo farcela. Ti chiamerò ogni giorno, okay? 

Lei mi guarda e annuisce. Un po' mi sento male a lasciarla sola, ma in fondo è colpa della scuola che mi obbliga a questo cavolo di "Campo estivo per ragazzi iperattivi". Un altro modo per dire "prigione per ragazzi che ogni volta che vanno in una scuola riescono a danneggiare qualsiasi cosa sia costosa e pregiata". Che pensiero carino.

Finalmente ci stacchiamo, mi dà un ultimo bacio sulla fronte e mi sorride: -Vedi di non demolire nulla, Percy. Hai preso la Signora O'Leary, vero?

Apro lo zaino e tiro fuori il peluche di un cane. Lo brandisco a mo' di spada: - Come potrei dormire senza?

Un ultimo abbraccio e raggiungo l'hostess che mi accompagna. A quanto pare ha sentito parlare della mia bravura nel provocare incidenti, per cui non mi molla un secondo. 

La sera arrivo al famoso Campo. È carino, si trova al centro di un'ampia radura, a circa un chilometro dal mare, circondato dai boschi. Ci guidano tutti, saremo circa cinquanta, verso una specie di piazza, e ci spiegano l'organizzazione.

Un tipo basso e tarchiato, con la voce ridicolmente avuta prende la parola, ma io smetto di ascoltare subito. Mi guardo intorno e vedo un mucchio di facce, tutte diverse, e quando torno a prestare attenzione, l'ometto già sta spiegando la disposizione dei dormitori: -Ogni dormitorio sarà composto da otto o nove fra maschi e femmine, più un sorvegliante. La camerata delle ragazze è a destra, quella dei ragazzi a sinistra.

Si mette a leggere i gruppi, e io finisco nel dormitorio tre, con un certo Chirone. Nessuno dei nomi dei miei furturi compagni di dormitorio, che nel frattempo si sono alzati, mi suona familiare, ma magari sono simpatici.

Ci lasciamo guidare da Chirone, un tizio con l'aria da vecchio saggio, seduto sulla carrozzina, fino a una specie di bungalow con su disegnato su un grande tre. Se non altro è il più vicino al mare.

Ci accomodiamo sui divani del salottino, e il nostro sorvegliante ci fa un discorso di benvenuto, ma sinceramente non me ne frega niente. Vicino a me si è seduta una ragazza con i capelli biondi e gli occhi grigi, carina dir poco. Lei si gira e mi osserva, ma quando la saluto mi guarda disgustata. Ho la sensazione che mi detesti un tantino.

-Ora vorrei che vi presentaste, parti tu e poi proseguiamo in senso antiorario.- dice Chirone, indicandomi.

-Oh, ehm, io? Io sono... - ma che diavolo succede? Riprenditi Jackson, non è il momento.

- Mi chiamo Percy. Percy Jackson. 

Ecco, esatto, ora ti ricorderanno come il James Bond di turno. 

La bionda si gira con un espressione di sufficienza, ma stranamente non fa commenti. 

Okay, ho cambiato idea, la detesto.

Prende la parola una ragazzina riccia dalla carnagione scura: -Ciao, sono Hazel- sembra dolce e simpatica. Non so perché,  ma mi ricorda un muffin.

-Frank Zhang.- esordisce un asiatico leggermente sovrappeso, seduto affianco ad Hazel. Secondo me quei due già si conoscono, e a giudicare dalle occhiate che lui le lancia, è cotto perso per lei. 

-Piacere, sono Jason.

Questo è un ragazzo della mia età, sembra un californiano: biondo, alto, occhi azzurri, abbronzatura impeccabile. Mi sta già antipatico.

Una ragazza con la pelle ambrata e l'aria di voler o sparire o ucciderci tutti ci saluta timidamente: -Mi chiamo Piper.

Arriva il turno di un tredicenne, pallido, sedutocontro il muro, che all' inizio non  avevo nemmeno notato. 

-Nico.- sussurra, e poi riprende a fissare la parete. Leggermente inquietante.

Vicino a lui c'è il suo alter-ego: un ragazzino solare, dai tratti sudamericani e gli occhi luccicanti. Sembra un folletto,  un folletto molto scaltro.

- Leo Valdez.

Infine, quella accanto a me parla, e la sua voce mi sorprende, è molto gentile: - Ciao, sono Annabeth. 

Ha l'aria di aver tutto sotto controllo, di sapere tutto. Mi ricorda tanto la maestra che odiavo alle elementari.

Bene, Annabeth. Io prometto solennemente che ti batterò in qualsiasi sfida faremo.

Ma un altro pensiero mi attraversa la mente prima di poterlo bloccare. Questa ragazza mi piace,  e parecchio, anche.