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Autore: Aliseia    12/04/2015    1 recensioni
Sulla tovaglia candida si disegnarono tre cerchi purpurei, contornati da aureole di gocce più fini e più chiare. Come tre piccole lune di sangue, come tre stelle che palpitavano di luce cremisi in un cielo vuoto.
Caleloth le fissò.
Trattenne il fiato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Thiloth'
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Fandom: Lo Hobbit – AU
Genere: Slash - Introspettivo - Romantico
Rating: VM16
Personaggi: Caleloth (OC – “Musical Elf” - Movieverse), Cabranel (OC-Nestadion-Thingalad : Movieverse). Due Guardie di Mirkwood.
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia in gran parte non appartengono a me ma a J.R.R. Tolkien e a chi ne detiene i diritti.
Dedica: questo racconto è per l’Elfo (elfetta) di Primavera. Lei mi aveva chiesto una scena quotidiana tra Cabranel e Caleloth, e io parto da un tavolo, una tovaglia bianca, due calici colmi di vino rosso. Due Elfi a cena, tutti per lei ;).

È diventata anche un omaggio a Ghevurah, e alle spalle e ai capelli di Maedhros (leggere la sua O I Meleth Ar In Îr Capitolo 8)
 
 
 
 
 
 
 
Stelle buone

 
Mio amore, ripiegate le labbra 
e tornati al colore di prima 
guardo fuori ed è l'alba 
come fuggono le ore da qui 
e ci dobbiamo salutare 
c'è un'altra giornata d'amore da preparare 

Ho visto solo stelle buone sulla tua pelle 
se tornerai domani saprò darti quelle perse 
e lascerò che tutto sia sospeso 
fino a quando non ci rivedremo 

Mio amore 
Il tuo cuore è un mare calmo 
e non basta una sola notte 
per attraversarlo 
sono pronto per riaverti ancorato al mio respiro 
mentre il sole svanisce 
e l'ombra disegna il tuo profilo 

Ho visto solo stelle buone sulla tua pelle 
se tornerai domani saprò darti quelle perse 
lascerò che tutto sia sospeso 
fino a quando non ci rivedremo 

Ho visto solo stelle buone 
Ho visto solo stelle buone 
Ho visto solo stelle buone
Cristina Donà – Stelle buone


 
 
La mano che giocava sul cerchio vitreo esitò solo un attimo: un dito sollevato, un sorriso, uno scherzo… e dal calice ai polpastrelli scesero due, tre gocce di vino rosso.
Sulla tovaglia candida si disegnarono tre cerchi purpurei, contornati da aureole di gocce più fini e più chiare. Come tre piccole lune di sangue, come tre stelle che palpitavano di luce cremisi in un cielo vuoto.
Caleloth le fissò.
Trattenne il fiato.
Ogni gesto diventava drammatico e solenne in compagnia dell’altro. Anche poche gocce di vino rosso che cadevano per sbaglio sulla superficie bianca di una tovaglia.
E la sua non era paura.
Era attesa. Era curiosità.
Cabranel lo fissò, sulle labbra un sorriso beffardo e leggero. «Cosa hai fatto? » chiese con gli occhi scuri nei suoi.
Caleloth resse il suo sguardo : «Ho commesso un errore » gli rispose sollevando il mento.
«E sei sicuro che sia un errore? » disse l’altro allungando una mano pallida, contornando con il movimento circolare di un dito sottile le tre corone cremisi sulla tovaglia.
«Ci sono errori bellissimi » rispose Caleloth abbozzando a sua volta un sorriso. Si aspettava un’altra risposta provocatoria, ma non il repentino gesto che seguì quelle parole.
Con la mano che aveva sfiorato il vino sulla tovaglia Cabranel trattenne il bicchiere, e con l’altra, appoggiata sul bordo del piccolo tavolo, strappò con forza il drappo bianco.
E la tovaglia fu a terra, con le sue stelle rosse, con pieghe e onde argentate che interrompevano la superficie di raso.
Cabranel si alzò.
I piedi scalzi sulla stoffa candida. «Quand’ero molto giovane amavo dipingere » disse a Caleloth sfiorandogli delicatamente la mano, e invitandolo con quel gesto a raggiungerlo sulla bianca tovaglia.
Caleloth vi posò i teneri piedi rosa. Dritto davanti a lui, respirava piano. Vicinissimo, in attesa. «Un’altra cosa che non sapevo di te. Ed eri bravo? » gli chiese studiandone il viso, gli zigomi larghi, le labbra un po’ brutali.
I lunghi, ineffabili occhi blu, scuri e profondi come la notte.
«Suppongo di no … - rise Cabranel – ma mi piaceva… Però, a quanto pare, ero destinato ad altro… »
 Gli occhi ancora più fondi, la mano teneva il calice sollevato tra loro.
Caleloth fece per parlare, ma poi l’altro fece una cosa strana. Sollevando il bicchiere, abbastanza alto  perché la luce di una candela lo facesse brillare, lo inchinò poi leggermente, e una, due, tre gocce caddero sulla leggera tunica bianca che indossava sopra i pantaloni neri.
Rivoli irregolari, sentieri sanguigni e raggianti si diffusero sul lino candido. Il respiro di Cabranel sollevava leggermente la stoffa, e quelle trame frammentate pulsavano su di lui come venature in rilievo.
Caleloth alzò una mano. Con il dito roseo seguì il disegno sul petto dell’altro, facendolo sospirare. «Ma no… - rise – sei bravo… Guarda come si snodano queste strisce scarlatte, come le arterie che si dilatano di una preda che fugge… Tu la insegui, incantato dai muscoli che si contraggono nelle sue gambe, da quel palpitare che si ramifica…E quando infine le sei sopra le vedi arrossare sotto la pelle chiara…»
Cabrane rise forte: «È questo che vedi? Una preda che fugge? Non devo essere un grande artista, allora… Perché io avevo in mente qualche cosa di completamente diverso…»
Tra le mani Cabranel prese il viso dell’altro, che fu inondato di luce lunare.
«Vedi? Io dipingo sul tuo viso lo stupore della Luna, disegno le pallide linee del bianco astro pudico e timido…»
«Io non sono pudico e timido! » protestò Caleloth con un sorriso.
«Non parlo di te…» mormorò l’altro al suo orecchio, le guance un po’ ruvide che solleticavano la pelle delicata. «Lei, fanciulla verginale, ci spia e poi fugge…» la voce di Cabranel era un sussurro scuro. Il Sinda con le lunghe dita risalì sotto la tunica la schiena dell’altro, sentì la delicata epidermide che s’increspava in un brivido.
«Sei così perverso, mio bell’Elfo oscuro?» chiese Caleloth.
«No – rise Cabranel troppo vicino al suo viso – Non sono perverso… E non farò nulla fino a che Lei non avrà coperto con mani d’ombra i begli occhi argentati… E non sono bello.» aggiunse dopo una pausa, la sua risata così sfrontata da diventare viepiù seducente.
Caleloth spalancò i grandi occhi verdi. «Sì che lo sei… Bello.- confermò inarcando le sopracciglia fulve e vellutate. Sulle guance si rivelarono due fossette adorabili. – In quanto alla perversione… non mi interessa. È quella che riveli agli altri. Io voglio la tua innocenza » A sua volta si avvicinò all’altro, le labbra di rosa che sfioravano il pallido orecchio a punta, la lingua tenera che ne percorreva il contorno.
Fu il turno di Cabranel di rabbrividire.
«Vedi? – rise Caleloth – io disegno ombre cremisi sulle tue guance, che non sono innocenti, ma solide e ruvide come quelle di un predatore… Pure esse s’adombrano di un incantevole tono di rosso, come farebbero quelle di un vergine »
Cabranel avvampò ancora di più, per poi impallidire «Sono vergine nel ricevere parole d’amore.» mormorò.
E davvero Caleloth non l’aveva mai visto così emozionato, né la sua voce era mai suonata così sincera. E Caleloth per la prima volta sentì di volerlo proteggere, come l’altro aveva fatto tante volte con lui, seppure in modi più ruvidi e noncuranti.
Strette le mani sulla tunica bianca, l’Elfo Verde attirò a sé quello Oscuro, e lo baciò. Prima tenero, poi sempre più esigente e possessivo.
Cabranel tranquillo si lasciò baciare, restando immobile quando le mani di Caleloth tirarono i due lati della sua veste, e con sicurezza la lasciarono scivolare sulle spalle larghe, sul torace ben definito.
Quando il pallido amante fu seminudo, il giovane Elfo sospirò sulla sua pelle, abbassando il  viso.
Cabranel restò con il mento alto e le labbra chiuse, dietro le ciglia nere brillavano gli occhi, del blu profondo di certi opali.
«Ci sono altre stelle sulla tua pelle» sussurrò Caleloth sui capezzoli bruni di Cabranel. La lingua delicata ne seguì l’orlo, e a Cabranel sfuggì un sospiro.
Quando Caleloth ne sfiorò la punta coi denti, Cabranel perse la sua impassibilità. Con la punta delle dita gli sollevò il mento, poi afferrandolo per le spalle lo baciò con passione, con violenza gli morse le labbra.
Al primo gemito del giovane Elfo, l’Elfo dei Corvi rispose strappandogli la tunica e costringendolo contro il muro. Di spalle.
Le braccia aperte, il capo chino, addosso solo i pantaloni sottili.
Un’onda morbidissima, fluente di capelli tra il castano e il rosso si sciolse ondeggiando sulle sue spalle, tra le scapole tese e frementi.
Era davvero irresistibile.
Cabranel dovette mordersi le labbra per frenare il desiderio che aveva di strappargli anche l’ultimo brandello di stoffa, e di prenderlo così, in piedi, con le gambe che tremavano un poco e il viso premuto contro la parete di roccia, a soffocarne i lamenti.
«Prendimi. Adesso.» pregò il giovane con voce spezzata. L’onda fluida, color amaranto, fluttuò sensualmente sulle sue spalle.
Cabranel trattenne il fiato. Con baci leggeri e poi con la lingua prese a disegnare i contorni di quelle spalle nervose.
«Ora.» lo pregò Caleloth.
Ma Cabranel alzò ancora il calice brillante di vino rosso: poche gocce tiepide e profumate scivolarono tra le scapole, nel solco della schiena, poi più giù, fino a macchiare i suoi pantaloni.
«Che peccato…- Cabranel parlò vicinissimo alla nuca – Ora dovrai toglierli…»
Caleloth sospirò: «Fallo tu»
«Dopo » disse ancora Cabranel sulla sua pelle. «Ma ora… – lo voltò, tenendolo tra le proprie braccia  – Ora voglio vedere di quale luce si accende il tuo sguardo, di quale colore, quando hai voglia di me. »
Caleloth gli scrutò il viso, sorrise: «Ma i miei occhi non cambiano colore… Non sono come i tuoi» sussurrò guardandolo fisso, studiando quello sguardo che nella passione e nella rabbia trascolorava dal blu al nero.
«Sì che cambiano – disse Cabranel – a volte sono muscosi e teneri, come il sottobosco. Hanno il colore delle foglie, nella Foresta… Sanno di casa e di conforto… A volte brillano come smeraldi… Tagliano, e fanno male…»
«Non ho mai voluto farti male, mio Thingalad. ». Caleloth, le mani sulle braccia dell’altro, ora aveva acquisito maggior confidenza. I suoi occhi invero brillavano di limpida luce verde. Una luce crescente, sincera, più pura e chiara di quanto non fosse mai stata. «Io non cambio. Io sono qui per te, Thingalad.»
Negli occhi di Cabranel brillavano stelle, un riverbero mobile e inquieto. Caleloth si chiese se non fossero lacrime.
Poi si allacciarono in un bacio infinito, che dura ancora adesso, mentre le mani scivolavano a sfilare ciò che restava dei loro vestiti. E furono a terra, sulla tela bianca, a segnarsi con labbra e denti, a definire i confini per poi confonderli, a tracciare sentieri con lingue scarlatte, mentre il nero della notte trascolorava in azzurro, e la loro passione esplodeva in un bagliore purpureo.
 
  
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