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Autore: edoardo811    13/04/2015    0 recensioni
[Anarchia: La notte del giudizio]
America 2025
La disoccupazione è ridotta al 3%, la criminalità è quasi inesistente e ogni anno sempre meno persone vivono sotto la soglia di povertà
[...]
"Questo non è un test. E’ attivo il vostro programma di emergenza che annuncia l’inizio dello Sfogo annuale sancito dal nostro governo. Possono essere utilizzate tutte le armi di classe 4 o inferiore, le altre sono proibite. Ai funzionari amministrativi di livello 10 viene concessa l’immunità. Al suono della sirena, ogni crimine, incluso l’omicidio, sarà legale per le successive dodici ore. Tutti i servizi di emergenza saranno sospesi. Il governo vi ringrazia per la vostra partecipazione."
La notte dello Sfogo, un'occasione annuale per potersi liberare di ciò che ci opprime e purificare le nostre anime. Quattro persone si ritroveranno nel posto sbagliato al momento sbagliato, riusciranno a sopravvivere?
Fic ispirata all' omonimo film.
[SOSPESA][MORTA]
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
Capitoli:
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Capitolo

IX

Primo incontro

 

 

Tempo rimanente alla fine dello Sfogo Annuale: 10  ore e 15 minuti

Dominick e François avevano vagato a lungo per quell’edificio prima di riuscire a trovare un’uscita, ma furono comunque abbastanza veloci da riuscire a raggiungerla prima di essere trovati dagli uomini della security. Solamente due ne avevano incontrati, ma nessuno di loro avrebbe potuto raccontarlo, visto che François li aveva freddati entrambi, con una rapidità e una freddezza troppo elevate per uno che diceva di essere uno come tanti.

Affermava di essere spronato solo dal desiderio di farla pagare a quelli che facevano dello Sfogo una ragione di vita, ma non  poteva essere davvero solo quello a permettergli di usare così bene le armi. Dominick cominciava a sospettarlo. François non poteva essere un uomo qualsiasi. Era troppo abile. Sicuramente o era un poliziotto, che magari si era dimesso, o un ex militare, o comunque possedeva qualche legame con qualche corpo di forze armate.

Decise, tuttavia, di non indagare. Dopotutto, per lui era solo un bene che François fosse così. Certo, quando aveva ucciso quei due, il ragazzo se l’era di nuovo fatta addosso, ma a parte quello era ancora vivo, tutto grazie al francese. Perciò avrebbe dovuto ringraziarlo, in un secondo momento. Anche se non era molto bravo in quel genere di cose.

Finalmente riuscirono ad uscire. Si ritrovarono nello stesso vicolo angusto dal quale tutto quel casino aveva avuto inizio.

Dominick si appoggiò con la schiena ad una parete per riprendere fiato, dopo la maratona che aveva fatto per stare dietro all’uomo e orientarsi per quei corridoi.

Respirare quell’aria malsana e puzzolente che alleggiava in quel vicolo fu, paradossalmente, un vero toccasana per lui. Si ritrovò ad inspirarla a pieni polmoni, giusto per assicurarsi di essere veramente lì, di essere veramente riuscito ad uscire vivo da quella folle caccia.

Il suo respiro affannato e tremolante si fece più rapido e dalla sua gola cominciarono ad uscire dei versi sommessi. Quel suo riprendere fiato, cominciò a trasformarsi lentamente in una risata. Una risata che aumentò di intensità man mano che si tastava su tutto il corpo per poter constatare al cento percento di essere ancora vivo.

Ad un certo punto la sua sembrò quasi una risata isterica, di quelle tipiche dei malati rinchiusi nei manicomi. Non che gli importasse qualcosa. L’importante era avere ancora la possibilità di poter ridere.

François lo fissò con aria interrogativa per tutto il tempo, ma decise di lasciarlo fare. Certo, in quella notte c’era ben poco da ridere, ma dopotutto lui era appena scappato dalla sua morte. O forse l’aveva solo ritardata, in fondo era pur sempre lo Sfogo, poteva succedere di tutto.

Dominick ci mise un attimo per riuscire a ricomporsi. Soprattutto mentre rifletteva sul fatto che forse sarebbe riuscito veramente a rivedere Hester. Quel pensiero lo fece tornare serio all’istante. Non aveva tempo da perdere, la sua bella lo aspettava. Giurò sé stesso che si sarebbe fatto perdonare in tutti i modi possibili, pur di riaverla con sé. Avrebbe anche strisciato a terra, se necessario.

E detto da lui sembra quasi una cosa impossibile. Lui, orgoglioso come pochi, che strisciava ai piedi di una ragazza. Ma l’amava, per lei avrebbe fatto quello e altro.

I suoi pensieri si interruppero quando, annuendo deciso, alzò la testa e vide François, che nel frattempo era rimasto lì a guardarlo. Si sentì tremendamente stupido e imbarazzato. Aveva appena riso come un isterico psicopatico di fronte a lui. Che figura.

«Ehm...da...da quant’è che mi guardi?» biascicò cercando di sembrare il più normale possibile. Non sia mai che François lo scambiasse per un pazzo. Era solo un ragazzo che si era fatto scaricare dall’amore della sua vita per uscire in una notte dove i pericoli erano ovunque solamente per vendicarsi, quando alla sola vista del sangue per poco non era svenuto. Non era pazzo.

«Abbastanza.» rispose l’uomo abbozzando un sorrisetto sotto i baffoni.

Dominick si mordicchiò l’interno della guancia, ancora più imbarazzato. Si separò dal muro e si mise una mano dietro il capo, poi distolse lo sguardo da lui.

«Ok...beh...grazie per avermi salvato la pelle.» cambiò discorso per non pensare più all’accaduto, anche se dire grazie fu piuttosto difficile. In genere non ringraziava mai nessuno, al di fuori di Hester o pochi altri.

«Figurati.»

Dominick annuì di nuovo, poi riportò gli occhi su di lui. Ormai erano usciti, da lì a poco ognuno sarebbe andato per conto suo. Non che al ragazzo la cosa andasse molto a genio. Non voleva rimanere da solo in quella notte, per lo meno fino a quando non sarebbe tornato al sicuro.

«Quindi...che farai?» domandò, nel tentativo di girare intorno all’argomento per un po’, prima di chiedergli di rimanere con lui ancora per qualche attimo.

François si rigirò il mitra che aveva tra le mani. Lo aveva rubato ad uno degli agenti della security che aveva ucciso. Era un’arma decisamente migliore da usare in quelle strade. Automatica, precisa, con caricatore da trenta colpi. Molto meglio di quel fucile da caccia che andava ricaricato di continuo.

«Lo sai già, ragazzo.» cominciò a spiegare, mentre socchiudeva un occhio e alzava il mitra per provare il suo mirino metallico, per farci un po’ di pratica prima di usarlo. «Ho un mucchio di aste a cui partecipare...»

Dominick serrò le labbra e abbassò lo sguardo. «Quindi...ci separiamo qui?»

François distolse la sua attenzione dall’arma e squadrò Dominick piegando la testa. «Beh, se vuoi venire con me...»

«Non è questo...» si affrettò a spiegare il ragazzo, prima di raccogliere le forze e fare l’ennesima cosa che detestava, chiedere aiuto. «...è che...non voglio restare di nuovo da solo...mi ammazzerebbero seduta stante.»

François inarcò un sopracciglio, incuriosito. «Quindi?»

Dominick sospirò, mentre si preparava psicologicamente a strisciare ai piedi di qualcuno che non fosse Hester. «Non è che puoi...»

Si bloccò all’improvviso quando realizzò che però non sapeva nemmeno cosa fare. Come ci tornava a casa? A piedi? Sembrava l’unica soluzione, ma per quanta strada François sarebbe stato disposto ad accompagnarlo? Era già un miracolo che lo avesse aiutato, in quell’asta. Non poteva esagerare troppo col chiedergli i favori. Per un attimo pensò di telefonare a suo zio e chiedergli di venire a prenderlo. Peccato che aveva preso la macchina senza permesso e l’aveva distrutta. Inoltre l’idea di chiedere a suo zio di aiutarlo lo ripugnava. Se c’era una persona a cui non avrebbe mai e poi mai chiesto aiuto, quella era sicuramente quell’uomo.

Perciò, mentre meditava sul come comportarsi in quella situazione così particolarmente complicata, un altro pensiero balenò per la sua mente. Non sapeva nemmeno dove si trovavano. In quel momento, saperlo avrebbe potuto determinare molte cose. Deciso a scoprirlo, si voltò e corse fuori dal vicolo, per strada, sotto lo sguardo attonito di François.

 Fortunatamente la strada era deserta, priva di psicopatici armati. Roteò lo sguardo in più direzioni, tra carcasse di macchine, negozi ed edifici sbarrati e con le luci spente, fino a quando non trovò quello che cercava: un cartello che indicava la via in cui si trovava.

Era fissato ad un muro, vicino ad un incrocio, nei pressi di un semaforo con la sola luce gialla accesa, lampeggiante.

Non perse un secondo e lo raggiunse di corsa. François nel frattempo lo seguì con l’arma in mano, guardando furtivamente in tutte le direzioni.

«Ragazzo! Che ti salta in mente! La strada è pericolosa!» lo rimproverò a bassa voce, per non rischiare di attirare nessuno con la sua voce.

Dominick lo ignorò e si mise sotto la targa. Era grigia scura, con scritta in bianco la via: Breackdown Street.

Strabuzzò gli occhi incredulo, vedendo quanto fortunato – per così dire, visto l’accaduto – fosse stato. Perché poco lontano da lì abitava un suo amico, Lucas. Anzi, era il suo migliore amico. Un sorriso si dipinse sul suo volto, mentre si voltava verso François e trillava entusiasta: «Conosco questa via! Poco lontano da qui abita un mio amico! Se raggiungo casa sua lui mi ospiterà di sicuro! Aspetterò il mattino da lui, poi potrò andare da Hester!»

François, che aveva afferrato le prime parole, corrucciò la fronte sentendo le ultime. «Chi?»

Dominick realizzò di aver parlato a sproposito. Scosse la testa rimproverandosi, poi spiegò: «Nessuno, lascia stare...piuttosto, potresti accompagnarmi? Non è molto lontano, saranno cinque, sei, settecento metri. Solo fino a lì, poi chi si è visto si è visto! Allora? Puoi? Non lasciarmi da solo, ti prego...»

L’uomo lo fissò in silenzio, meditando sulle sue parole. Aveva tutt’altro da fare, però, in fondo, erano solo settecento metri. E la strada sembrava deserta. E poi, in fondo, quel ragazzo un po’ gli piaceva. Gli ricordava molto lui alla sua età, quando era impulsivo, chiacchierone, irritante, rompiscatole e girava per le vie di Lione importunando le ragazzine. Al pensiero dei bei momenti trascorsi da giovane, quando lo Sfogo nemmeno esisteva, si ritrovò a sorridere senza rendersene conto. Poi realizzò che Dominick era ancora lì, in attesa. Probabilmente non se ne stava nemmeno rendendo conto, visto che sembrava anche piuttosto orgoglioso, ma lo stava implorando con gli occhi.

A quel punto François scrollò la testa per allontanare i pensieri superflui e rispose: «Va bene, andiamo. Indicami la strada e stammi vicino, ok? E restiamo in prossimità dei vicoli, per avere una via di fuga rapida in caso di guai.»

L’euforia di Dominick si smorzò. "Fuga rapida in caso di guai". François era proprio un mago nel frenare gli entusiasmi. Chissà che persona pallosa doveva essere al di fuori di quella notte.

Brontolando qualcosa di incomprensibile, Dominick annuì, poi indicò la strada al francese e i due iniziarono a correre, François all’erta e con il fucile sempre pronto in caso di quei fantomatici guai.

Bisognava essere proprio sfigati per trovare guai in quel breve tratto di strada. Dominick infatti lo era, ma François a quanto pare no, perché nessuno si fece vedere. C’erano solo loro due a correre sul marciapiede. Di altri, non c’era nemmeno l’ombra.

Finalmente raggiunsero quella che, stando a ciò che aveva detto Dominick, era la casa del suo amico. Era un condominio alto una decina di piani, Lucas abitava al secondo con i suoi, sul lato che si affacciava alla strada.

Faticando a trattenere la felicità, Dominick cercò il cellulare e lo chiamò per spiegargli la situazione e farsi aprire. Ancora non riusciva a credere di essere arrivato ad un luogo sicuro, ma soprattutto di vedere come la sua salvezza si avvicinava. Una volta in casa del suo amico, sarebbe volato dritto dritto al mattino, poi via da Hester. Meglio di così!

François nel frattempo continuava a guardarsi intorno con aria vigile, onde evitare di farsi cogliere di sorpresa da eventuali aggressori.

Dominick cominciò ad accigliarsi nel sentire il quinto squillo del telefono di Lucas. Il buonumore svanì e si chiese perché ci stava mettendo così tanto a rispondere. Dopo dieci squilli, stava seriamente cominciando a temere il peggio. Ma non per Lucas, per lui. Perché se il suo amico non lo ospitava per la notte, era fregato.

Al quindicesimo squillo, stava per incassare la testa tra le spalle e sprofondare, sperando che la terra lo inghiottisse e non lasciasse più alcuna traccia di lui, poi Lucas rispose. Sentire la sua voce fu una manna dal cielo per Dom. Nonostante fosse alterata dal microfono dell’apparecchio e fosse anche piuttosto adirata: «COSA?!»

Sembrava quasi come se quella telefonata lo avesse appena interrotto mentre faceva qualcosa di importante.

Puoi capire cosa stesse facendo...devo ricordarmi di non sedermi sul suo letto... pensò Dominick, prima di rispondere calorosamente: «Lucas, amico mio!»

Lucas ammutolì, Dominick non poteva biasimarlo. Tutte le volte che lo salutava con un "amico mio" finiva sempre col chiedergli delle cose al di fuori dal mondo. Come prestargli duecento dollari per sistemare un’ammaccatura alla Chevelle o robe del genere. Non che chiedere asilo la notte dello Sfogo fosse una cosa molto più normale...

«C-Cosa c’è?» domandò incerto il suo amico.

«Affacciati dalla finestra fratello, sono qua sotto casa tua!»

«COSA?! Ma che ci fai qui?!»

«E’ un casino, sarò lieto di spiegarti se mi apri.»

«N-No, aspetta un momento...»

Lucas non sembrava riuscire a credere alle proprie orecchie. Sembrava quasi...spaventato. Dominick si interrogò sul perché fosse così, poi pensò che forse era tutto nella sua testa.

Nel frattempo la serranda di ferro cigolò, mentre Lucas la tirava su, apriva la finestra e si affacciava, per poi fissare incredulo Dominick. Sembrò credere al fatto che si trovasse sotto casa sua solo quando lo vide coi suoi occhi.

Dominick mise via il telefono, poi lo salutò sollevando l’indice e il medio, formando una V con le due dita, e un sorriso a trentadue denti sul volto.

Lucas lo fissò dieci volte più sbigottito. Aveva ancora il cellulare appoggiato all’orecchio, la bocca spalancata e gli occhi azzurri strabuzzati.

Aveva qualcosa di strano, però. Innanzi tutto, era senza maglietta. Aveva il torace completamente scoperto, rivelando il suo fisico atletico e asciutto. I capelli neri erano tutti arruffati e scompigliati, ed era chiaramente accaldato e spossato.

Improvvisamente, Dominick capì cosa stava facendo di importante mentre lo aveva chiamato. E, improvvisamente, l’idea di entrare in casa sua non lo allettava molto.

«DOM!» esclamò. «Che cavolo fai qui?!» poi si accorse di François, un omaccione minaccioso e armato. Per poco non gli venne un colpo. «E lui chi è?»

«Lui è con me, tra poco se ne va...piuttosto...mi ospiteresti per la notte?»

Lucas sbiancò, Dominick non faticò molto per capirne il motivo. Era senza maglia, sudato, probabilmente anche senza pantaloni. Chissà cosa stava combinando lì dentro.

«Ehm...ma...che diavolo è successo?»

Dominick si dimenticò dei suoi pensieri sentendo quella domanda e pensando alla risposta. Si passò una mano tra i capelli, con fare esausto. «Lascia perdere...ho combinato un casino...Hester mi ha piantato...sono stato venduto ad un’asta, per poco non ci sono rimasto secco...se mi apri ti spiego...»

Lucas sembrava sempre più incredulo e agitato, anche il suo tono di voce tremolò più volte mentre parlava. «No...aspetta...cioè...io...non posso aprirti...»

«Senti fratello, so che ti ho beccato in un momento delicato. Nemmeno io aprirei volentieri la porta di casa mia se ho, diciamo..."compagnia".» l’ultima parola la disse facendo le virgolette con gli indici e i medi. «Ma siamo amici e io sono nella merda. Non ti chiedo molto, solo che mi apri, poi se vuoi io me ne sto in un angolo mentre tu continui a fare...quello che stavi facendo.»

Lucas schiuse le labbra per replicare, poi però si voltò. Confabulò qualcosa di incomprensibile con qualcuno, poi si voltò con espressione mesta. «Senti, io...»

«Cos’è quella faccia?» lo interruppe Dominick guardandolo perplesso.

Lucas sospirò, poi biascicò tutto d’un fiato. «Non posso aprirti, mi dispiace.»

Dominick sgranò gli occhi. Sentire quella risposta fu come se Lucas gli avesse appena rovesciato addosso un secchio d’acqua ghiacciata. «Che...che significa che noi puoi? Cazzo amico, sono nella merda! Aiutami solo per questa sera, poi mi sdebiterò, te lo giuro!»

Lucas scosse la testa. Sembrava davvero dispiaciuto, ma rimase comunque impassibile. «Scusa Dom...ma proprio non posso farlo.»

Dominick ascoltò interdetto il suo migliore amico piantarlo in quel momento. Non poteva crederci. Non voleva crederci. Lucas era uno dei pochi, se non l’unico al di fuori di Hester, con cui riusciva a parlare, di cui credeva sempre di potersi sempre fidare. Invece lo aveva appena fottuto. La delusione e l’incredulità vennero presto sostituite dalla rabbia. Giurò a sé stesso che se avrebbe rivisto la luce del giorno lo avrebbe ucciso, subito dopo essere andato da Hester, ovviamente.

A tal pensiero, realizzò cosa doveva fare. Afferrò di nuovo il cellulare e cominciò a pigiare sullo schermo. A quel punto, doveva farlo. Doveva risentire la sua voce, dirle almeno che gli dispiaceva. Un’ultima volta, per precauzione. Dirle che se non sarebbe arrivato al giorno dopo, lo avrebbe fatto portandola nel suo cuore.

Lucas lo vide col capo chino sul telefono e inarcò un sopracciglio. «Ma che fai?»

Dominick alzò la testa dal display e lo fulminò con lo sguardo. «Chiamo Hester, l’unica persona di cui posso ancora fidarmi in questo posto di merda!»

L’altro sbiancò di nuovo. «C-Cosa?»

«Vaffanculo Lucas. Prega che io muoia questa sera, perché altrimenti domani sarai carne trita!» esclamò Dominick mentre cercava il numero di Hester nella rubrica.

«Se vuoi posso sparargli adesso.» commentò François, che fino a quel momento era rimasto in disparte, ad ascoltare lo scambio di battute tra i due ragazzi. Provò anche pena per Dominick. Era appena stato tradito dal suo amico, oltre che aver litigato con la sua ragazza. Ecco chi era quella Hester.

Lucas deglutì spaventato, ma Dominick scosse la testa. «No, ci penserò poi io a lui.»

François annuì, in parte anche divertito. «Ok allor...»

Non finì mai la frase. Da un vicolo poco lontano da lì sbucarono una mezza dozzina di uomini armati. Localizzarono subito il francese e il ragazzo, puntarono le armi e cominciarono ad urlare come impazziti.

Nello stesso momento, Dominick aveva appena telefonato ad Hester.

Accadde tutto in un lampo.

Dalla stanza di Lucas provenne il trillo di un telefono, seguito immediatamente da diverse imprecazioni, provenienti dallo stesso ragazzo e una voce femminile alquanto famigliare. Dominick strabuzzò gli occhi, ma non poté pensare a nulla che in strada si scatenò il pandemonio.

«Oh cazzo!» esclamò François mentre apriva il fuoco con il suo mitra, indirizzandolo verso i sei uomini.

Lucas urlò e abbassò la tapparella di ferro, isolando sé stesso, la sua compagna e quel fottutissimo trillo del telefono. Trillo cominciato non appena aveva telefonato ad Hester.

«Ragazzo, via da qui!» lo chiamò François tirandolo per la giacca, mentre impugnava con una sola mano il mitra per sparare.

Il rumore delle canne delle armi che esplodevano risuonarono per tutta la strada, riecheggiando lontani come boati. Le fiammate colorarono l’ambiente immerso nella penombra. Il proiettili fischiavano a pochi centimetri dalle orecchie dei due.

François continuò a sparare, più che altro il suo fu fuoco di soppressione, fatto per far correre al riparo i sei che cercavano di assalirli. Tirò di nuovo Dominick per la maglia. Il ragazzo, ormai in una dimensione a sé stante, cominciò a seguire di corsa François. Ma nemmeno se ne stava rendendo conto. Correva per inerzia, con uno sguardo vitreo negli occhi, mentre ripensava a cos’ avesse appena visto e assistito.

Si infilarono in un vicolo e cominciarono a correre a perdifiato.

«Ragazzo, tutto bene?» domandò François. Un po’ si riferiva allo scontro appena avuto, temendo che si fosse ferito, ma correva, perciò non doveva essere rimasto coinvolto fisicamente. Ciò non si poteva dire per quello che sicuramente stava accadendo nella sua testa. Anche lui aveva sentito il trillo di quel telefono provenire dalla camera di quel Lucas. Non ci voleva certo un genio per capire come stavano le cose.

«Io...io...» borbottò Dominick sommessamente. «Io...»

Cazzo...poveretto... pensò François mentre lo sentiva rantolare in quel modo.

Non giunse nessuna risposta dalla bocca del ragazzo. Continuarono a correre per la fitta rete di vicoli, per trovare un posto sicuro in cui riposare e raccogliere le idee.

 

***

 

Tempo rimanente alla fine dello Sfogo Annuale: 9  ore e 58 minuti

Thia non aveva lasciato la mano di Mary per nemmeno un secondo. L’aveva seguita obbediente senza protestare lungo quei vicoli bui, angusti e puzzolenti.

L’aria fredda le sferzava i capelli, i polmoni le bruciavano, per via di quella lunga corsa estenuante. Lei non era abituata a certe cose, ma ciò non le impediva certo di non stare al passo con la donna. In primis, non voleva rallentarla, apparire come un peso. E poi c’era in ballo la sua vita. Avrebbe corso fino a quando il cuore non le fosse esploso nel petto, poco ma sicuro.

Innumerevoli lacrime scivolavano lungo le sue guancie, un po’ dovute alla paura, un po’ all’emozione dovuta all’essere ancora viva, ma soprattutto lontana da Greg e David. Il sangue fresco gocciolava dal taglio sulla sua guancia, causato da una scheggia di vetro che le si era conficcata a seguito dell’impatto con quel pulmino. Per fortuna lei e Mary non si erano fatte nulla di grave, non erano nemmeno svenute. Ciò non si era potuto dire di Greg e David. Entrambi aveva sbattuto violentemente la testa, causando la perdita di sensi di Greg e quasi sicuramente la morte di David.

Certo, a Thia quei due erano dei porci schifosi e non le erano assolutamente piaciuti, però comunque un po’ aveva provato pena per loro, per David soprattutto. Era un essere orribile, che pur di avere Mary l’aveva rapita insieme a lei, però era pur sempre un uomo. Non meritava di morire.

Mentre Greg invece...a lui forse era toccata una fine ben peggiore, visto che quel ragazzo lo aveva portato da quegli uomini. Chissà cosa gli avrebbero fatto.

A proposito di quel ragazzo, Kevin se non ricordava male.

Perché le aveva aiutate? Perché aveva poi portato via Greg, se non aveva brutte intenzioni? Da che parte stava? Ma soprattutto, che ci faceva con tutti quegli uomini?

Non lo sapeva, sapeva solo che a lui molto probabilmente doveva la vita. E se mai lo avesse rivisto, cosa molto poco probabile, lo avrebbe ringraziato con tutto il cuore.

Ma per il momento, l’unica cosa che lei e Mary dovevano fare era sopravvivere.

Anche Marianne stava pensando le stesse cose. Avrebbe protetto Thia a tutti i costi, fino a quando non sarebbero riuscite a trovare un posto sicuro in cui stare. Tornare a casa loro era fuori discussione, visto che non avevano nemmeno più la porta. Chiunque sarebbe potuto entrare.

Per fortuna, aveva mantenuto una delle promesse che le aveva fatto, cioè che l’avrebbe salvata da Greg e David. Sì, insomma, era in realtà stato tutto merito di Kevin, però dopotutto era stata lei a liberarla dalle fasce e a toglierle la benda da davanti alla bocca.

Non si sarebbe mai e poi mai dimenticata l’abbraccio che loro due si erano scambiate una volta libere.

Thia si era tuffata su di lei e aveva sepolto il volto sotto il suo mento. Aveva cominciato a singhiozzare e a mormorare quanto fosse felice di essere ancora viva e inviolata. Ma soprattutto felice che anche lei stesse bene. le aveva ribadito che non l’avrebbe potuta odiare per nulla al mondo, che era la sua nuova famiglia e che sarebbero state insieme per sempre.

Marianne, con le lacrime agli occhi, aveva ricambiato l’abbraccio, stringendola a sé quasi con forza, ma non era riuscita a fare altrimenti. Gli era uscito naturale cercare di infonderle quanto più amore materno possibile.

Dopo quel breve ma intenso attimo di riconciliazione, erano scese a passo felpato dalla macchina. Avevano visto Kevin in compagnia di quel gruppo di uomini, gli avevano entrambe rivolto un ringraziamento silenzioso, poi erano sgattaiolate via. Avrebbero voluto cercare di aiutarlo in qualche modo, visto che sembrava incasinato tanto quanto loro, ma purtroppo non c’era niente che potessero fare. Erano due donne, disarmate, fatta eccezione per la pistola semiscarica che Kevin aveva lasciato a Marianne, mentre quelli erano una ventina di bruti dotati dei peggiori fucili. Avrebbero fallito prima ancora di cominciare, se avessero cercato di aiutarlo. E poi, per lo meno, finché era in loro compagnia era al sicuro dai pericoli dello Sfogo. Certo, a quelli sarebbe bastato un momento storto per ucciderlo, perciò coloro che lo avrebbero protetto, potevano anche essere i suoi assassini, ma non si può prestare attenzione a tutte queste minuziosità. Lui era con loro, le due invece erano da sole e dieci volte più a rischio. Per questo Marianne non aveva smesso di correre per un solo istante, mentre Thia arrancava dietro di lei.

Non seppe quanto a lungo corsero, ma doveva essere già un bel po’.

«Ci siamo quasi Thia, giriamo ancora un paio di angoli, poi ci fermiamo a riposare, ok?» rassicurò, intuendo che per Thia quella corsa dovesse essere estenuante.

«Va...va bene...» annaspò l’altra, la quale non poteva certo negare la sua riluttanza nel rimanere in vicoli come quelli. In un posto molto simile, anzi, pressappoco identico, aveva perso l’ultimo componente rimasto della sua famiglia. Ogni cosa che guardava, ogni porta chiusa, ogni scala antincendio, ogni grondaia, ogni tombino e ogni cassonetto, riportavano a galla nella sua mente orribili ricordi. Ricordi che cercava in tutti i modi di esiliare dalla sua mente, senza però riuscirci. Dopotutto, erano passati solo due anni da quando tutto aveva avuto inizio.

Entrambe girarono l’angolo. «Va bene Thia, ci siamo quas...»

Marianne non terminò la frase. Due figure indistinte apparvero dal nulla. Le due vi si schiantarono contro violentemente.

Vi furono urla di sorpresa e gemiti di dolore. Una delle due macchie indistinte cadde a terra, l’altra barcollò, ma rimase in piedi.

Thia e Marianne, la cui più fisicamente grande corrispondeva alla più piccola degli altri due, caddero entrambe a terra.

Marianne lenì il dolore alla testa massaggiandosela, poi sgranò gli occhi quando si rese conto di cos’era appena successo. Alzò di scatto la testa e vide i due con cui si era schiantata. Erano due uomini, anzi, non proprio.

Quello caduto a terra come loro era un ragazzo, doveva avere l’età di Thia. Si stava massaggiando la testa a sua volta e fissava sbigottito prima lei, poi Thia.

L’altra figura era un uomo molto grosso e robusto, con un folto paio di baffi a manubrio. Sembrava ancora stordito dalla botta, ma era comunque rimasto in piedi. E aveva un’arma in mano.

I quattro di guardarono tra loro reciprocamente, con movimenti fulminei del capo. Gli occhi di Thia per poco non schizzavano fuori dalle orbite. Anche il ragazzino era atterrito. Marianne era un po’ più sicura, ma la visione di quell’uomo armato la inquietava abbastanza. Solo quest’ultimo non sembrava intimidito dalle due ragazze, non che ci fossero dei fattori ad imporgli il contrario. Era grande, grosso e armato, di cosa doveva avere paura?

Vi fu un attimo di silenzio carico di tensione. La si poteva tagliare col coltello.

Poi Thia e il ragazzo cominciarono ad urlare all’impazzata, facendo sobbalzare Marianne e l’uomo, che cominciarono a darsi da fare per calmare i rispettivi compagni.

 

 

   
 
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