Capitolo
IX
Primo incontro
Tempo rimanente alla fine dello Sfogo Annuale: 10 ore e 15 minuti
Dominick e François avevano vagato a lungo per quell’edificio prima di riuscire a trovare un’uscita, ma furono comunque abbastanza veloci da riuscire a raggiungerla prima di essere trovati dagli uomini della security. Solamente due ne avevano incontrati, ma nessuno di loro avrebbe potuto raccontarlo, visto che François li aveva freddati entrambi, con una rapidità e una freddezza troppo elevate per uno che diceva di essere uno come tanti.
Affermava di essere spronato solo dal desiderio di farla pagare a quelli che facevano dello Sfogo una ragione di vita, ma non poteva essere davvero solo quello a permettergli di usare così bene le armi. Dominick cominciava a sospettarlo. François non poteva essere un uomo qualsiasi. Era troppo abile. Sicuramente o era un poliziotto, che magari si era dimesso, o un ex militare, o comunque possedeva qualche legame con qualche corpo di forze armate.
Decise, tuttavia, di non indagare. Dopotutto, per lui era solo un bene che François fosse così. Certo, quando aveva ucciso quei due, il ragazzo se l’era di nuovo fatta addosso, ma a parte quello era ancora vivo, tutto grazie al francese. Perciò avrebbe dovuto ringraziarlo, in un secondo momento. Anche se non era molto bravo in quel genere di cose.
Finalmente riuscirono ad uscire. Si ritrovarono nello stesso vicolo angusto dal quale tutto quel casino aveva avuto inizio.
Dominick si appoggiò con la schiena ad una parete per riprendere fiato, dopo la maratona che aveva fatto per stare dietro all’uomo e orientarsi per quei corridoi.
Respirare quell’aria malsana e puzzolente che alleggiava in quel vicolo fu, paradossalmente, un vero toccasana per lui. Si ritrovò ad inspirarla a pieni polmoni, giusto per assicurarsi di essere veramente lì, di essere veramente riuscito ad uscire vivo da quella folle caccia.
Il suo respiro affannato e tremolante si fece più rapido e dalla sua gola cominciarono ad uscire dei versi sommessi. Quel suo riprendere fiato, cominciò a trasformarsi lentamente in una risata. Una risata che aumentò di intensità man mano che si tastava su tutto il corpo per poter constatare al cento percento di essere ancora vivo.
Ad un certo punto la sua sembrò quasi una risata isterica, di quelle tipiche dei malati rinchiusi nei manicomi. Non che gli importasse qualcosa. L’importante era avere ancora la possibilità di poter ridere.
François lo fissò con aria interrogativa per tutto il tempo, ma decise di lasciarlo fare. Certo, in quella notte c’era ben poco da ridere, ma dopotutto lui era appena scappato dalla sua morte. O forse l’aveva solo ritardata, in fondo era pur sempre lo Sfogo, poteva succedere di tutto.
Dominick ci mise un attimo per riuscire a ricomporsi. Soprattutto mentre rifletteva sul fatto che forse sarebbe riuscito veramente a rivedere Hester. Quel pensiero lo fece tornare serio all’istante. Non aveva tempo da perdere, la sua bella lo aspettava. Giurò sé stesso che si sarebbe fatto perdonare in tutti i modi possibili, pur di riaverla con sé. Avrebbe anche strisciato a terra, se necessario.
E detto da lui sembra quasi una cosa impossibile. Lui, orgoglioso come pochi, che strisciava ai piedi di una ragazza. Ma l’amava, per lei avrebbe fatto quello e altro.
I suoi pensieri si interruppero quando, annuendo deciso, alzò la testa e vide François, che nel frattempo era rimasto lì a guardarlo. Si sentì tremendamente stupido e imbarazzato. Aveva appena riso come un isterico psicopatico di fronte a lui. Che figura.
«Ehm...da...da
quant’è che mi
guardi?»
biascicò cercando di sembrare il più normale
possibile. Non sia mai che
François lo scambiasse per un pazzo. Era solo un ragazzo che
si era fatto
scaricare dall’amore della sua vita per uscire in una notte
dove i pericoli
erano ovunque solamente per vendicarsi, quando alla sola vista del
sangue per
poco non era svenuto. Non era pazzo.
«Abbastanza.» rispose
l’uomo abbozzando
un sorrisetto sotto i baffoni.
Dominick si mordicchiò
l’interno della
guancia, ancora più imbarazzato. Si separò dal
muro e si mise una mano dietro
il capo, poi distolse lo sguardo da lui.
«Ok...beh...grazie per avermi salvato la
pelle.» cambiò discorso per non pensare
più all’accaduto, anche se dire grazie
fu piuttosto difficile. In genere non ringraziava mai nessuno, al di
fuori di
Hester o pochi altri.
«Figurati.»
Dominick annuì di nuovo, poi
riportò gli
occhi su di lui. Ormai erano usciti, da lì a poco ognuno
sarebbe andato per
conto suo. Non che al ragazzo la cosa andasse molto a genio. Non voleva
rimanere da solo in quella notte, per lo meno fino a quando non sarebbe
tornato
al sicuro.
«Quindi...che farai?»
domandò, nel
tentativo di girare intorno all’argomento per un
po’, prima di chiedergli di
rimanere con lui ancora per qualche attimo.
François si rigirò il mitra
che aveva
tra le mani. Lo aveva rubato ad uno degli agenti della security che
aveva
ucciso. Era un’arma decisamente migliore da usare in quelle
strade. Automatica,
precisa, con caricatore da trenta colpi. Molto meglio di quel fucile da
caccia
che andava ricaricato di continuo.
«Lo sai già,
ragazzo.» cominciò a
spiegare, mentre socchiudeva un occhio e alzava il mitra per provare il
suo
mirino metallico, per farci un po’ di pratica prima di
usarlo. «Ho un mucchio
di aste a cui partecipare...»
Dominick serrò le labbra e
abbassò lo
sguardo. «Quindi...ci separiamo qui?»
François distolse la sua attenzione
dall’arma e squadrò Dominick piegando la testa.
«Beh, se vuoi venire con me...»
«Non è questo...» si
affrettò a spiegare
il ragazzo, prima di raccogliere le forze e fare l’ennesima
cosa che detestava,
chiedere aiuto. «...è che...non voglio restare di
nuovo da solo...mi
ammazzerebbero seduta stante.»
François inarcò un
sopracciglio,
incuriosito. «Quindi?»
Dominick sospirò, mentre si preparava
psicologicamente a strisciare ai piedi di qualcuno che non fosse
Hester. «Non è
che puoi...»
Si bloccò all’improvviso
quando realizzò
che però non sapeva nemmeno cosa fare. Come ci tornava a
casa? A piedi?
Sembrava l’unica soluzione, ma per quanta strada
François sarebbe stato
disposto ad accompagnarlo? Era già un miracolo che lo avesse
aiutato, in
quell’asta. Non poteva esagerare troppo col chiedergli i
favori. Per un attimo
pensò di telefonare a suo zio e chiedergli di venire a
prenderlo. Peccato che
aveva preso la macchina senza permesso e l’aveva distrutta.
Inoltre l’idea di
chiedere a suo zio di aiutarlo lo ripugnava. Se c’era una
persona a cui non
avrebbe mai e poi mai chiesto aiuto, quella era sicuramente
quell’uomo.
Perciò, mentre meditava sul come
comportarsi in quella situazione così particolarmente
complicata, un altro
pensiero balenò per la sua mente. Non sapeva nemmeno dove si
trovavano. In quel
momento, saperlo avrebbe potuto determinare molte cose. Deciso a
scoprirlo, si
voltò e corse fuori dal vicolo, per strada, sotto lo sguardo
attonito di
François.
Fortunatamente
la strada era deserta, priva di psicopatici armati. Roteò lo
sguardo in più
direzioni, tra carcasse di macchine, negozi ed edifici sbarrati e con
le luci
spente, fino a quando non trovò quello che cercava: un
cartello che indicava la
via in cui si trovava.
Era fissato ad un muro, vicino ad un
incrocio, nei pressi di un semaforo con la sola luce gialla accesa,
lampeggiante.
Non perse un secondo e lo raggiunse di
corsa. François nel frattempo lo seguì con
l’arma in mano, guardando
furtivamente in tutte le direzioni.
«Ragazzo! Che ti salta in mente! La
strada è pericolosa!» lo rimproverò a
bassa voce, per non rischiare di attirare
nessuno con la sua voce.
Dominick lo ignorò e si mise sotto la
targa. Era grigia scura, con scritta in bianco la via: Breackdown
Street.
Strabuzzò gli occhi incredulo, vedendo
quanto fortunato – per così dire, visto
l’accaduto – fosse stato. Perché poco
lontano da lì abitava un suo amico, Lucas. Anzi, era il suo migliore amico. Un sorriso si dipinse
sul suo volto, mentre si voltava verso François e trillava
entusiasta: «Conosco
questa via! Poco lontano da qui abita un mio amico! Se raggiungo casa
sua lui
mi ospiterà di sicuro! Aspetterò il mattino da
lui, poi potrò andare da Hester!»
François, che aveva afferrato le prime
parole, corrucciò la fronte sentendo le ultime.
«Chi?»
Dominick realizzò di aver parlato a
sproposito. Scosse la testa rimproverandosi, poi spiegò:
«Nessuno, lascia
stare...piuttosto, potresti accompagnarmi? Non è molto
lontano, saranno cinque,
sei, settecento metri. Solo fino a lì, poi chi si
è visto si è visto! Allora?
Puoi? Non lasciarmi da solo, ti prego...»
L’uomo lo fissò in silenzio,
meditando
sulle sue parole. Aveva tutt’altro da fare, però,
in fondo, erano solo
settecento metri. E la strada sembrava deserta. E poi, in fondo, quel
ragazzo
un po’ gli piaceva. Gli ricordava molto lui alla sua
età, quando era impulsivo,
chiacchierone, irritante, rompiscatole e girava per le vie di Lione
importunando le ragazzine. Al pensiero dei bei momenti trascorsi da
giovane,
quando lo Sfogo nemmeno esisteva, si ritrovò a sorridere
senza rendersene
conto. Poi realizzò che Dominick era ancora lì,
in attesa. Probabilmente non se
ne stava nemmeno rendendo conto, visto che sembrava anche piuttosto
orgoglioso,
ma lo stava implorando con gli occhi.
A quel punto François scrollò
la testa
per allontanare i pensieri superflui e rispose: «Va bene,
andiamo. Indicami la
strada e stammi vicino, ok? E restiamo in prossimità dei
vicoli, per avere una
via di fuga rapida in caso di guai.»
L’euforia di Dominick si
smorzò.
"Fuga rapida in caso di guai". François era proprio un mago
nel
frenare gli entusiasmi. Chissà che persona pallosa doveva
essere al di fuori di
quella notte.
Brontolando qualcosa di incomprensibile,
Dominick annuì, poi indicò la strada al francese
e i due iniziarono a correre,
François all’erta e con il fucile sempre pronto in
caso di quei fantomatici
guai.
Bisognava essere proprio sfigati per
trovare guai in quel breve tratto di strada. Dominick infatti lo era,
ma
François a quanto pare no, perché nessuno si fece
vedere. C’erano solo loro due
a correre sul marciapiede. Di altri, non c’era nemmeno
l’ombra.
Finalmente raggiunsero quella che,
stando a ciò che aveva detto Dominick, era la casa del suo
amico. Era un
condominio alto una decina di piani, Lucas abitava al secondo con i
suoi, sul
lato che si affacciava alla strada.
Faticando a trattenere la felicità,
Dominick cercò il cellulare e lo chiamò per
spiegargli la situazione e farsi
aprire. Ancora non riusciva a credere di essere arrivato ad un luogo
sicuro, ma
soprattutto di vedere come la sua salvezza si avvicinava. Una volta in
casa del
suo amico, sarebbe volato dritto dritto al mattino, poi via da Hester.
Meglio di
così!
François nel frattempo continuava a
guardarsi intorno con aria vigile, onde evitare di farsi cogliere di
sorpresa
da eventuali aggressori.
Dominick cominciò ad accigliarsi nel
sentire il quinto squillo del telefono di Lucas. Il buonumore
svanì e si chiese
perché ci stava mettendo così tanto a rispondere.
Dopo dieci squilli, stava
seriamente cominciando a temere il peggio. Ma non per Lucas, per lui.
Perché se
il suo amico non lo ospitava per la notte, era fregato.
Al quindicesimo squillo, stava per
incassare la testa tra le spalle e sprofondare, sperando che la terra
lo
inghiottisse e non lasciasse più alcuna traccia di lui, poi
Lucas rispose.
Sentire la sua voce fu una manna dal cielo per Dom. Nonostante fosse
alterata
dal microfono dell’apparecchio e fosse anche piuttosto
adirata: «COSA?!»
Sembrava quasi come se quella telefonata
lo avesse appena interrotto mentre faceva qualcosa di importante.
Puoi
capire cosa stesse facendo...devo ricordarmi di non sedermi sul suo
letto... pensò
Dominick, prima di rispondere calorosamente: «Lucas, amico
mio!»
Lucas ammutolì, Dominick non poteva
biasimarlo. Tutte le volte che lo salutava con un "amico mio" finiva
sempre col chiedergli delle cose al di fuori dal mondo. Come prestargli
duecento dollari per sistemare un’ammaccatura alla Chevelle o
robe del genere.
Non che chiedere asilo la notte dello Sfogo fosse una cosa molto
più normale...
«C-Cosa
c’è?» domandò incerto il suo amico.
«Affacciati dalla finestra fratello,
sono qua sotto casa tua!»
«COSA?!
Ma che ci fai qui?!»
«E’ un casino, sarò
lieto di spiegarti
se mi apri.»
«N-No,
aspetta un momento...»
Lucas non sembrava riuscire a credere
alle proprie orecchie. Sembrava quasi...spaventato. Dominick si
interrogò sul
perché fosse così, poi pensò che forse
era tutto nella sua testa.
Nel frattempo la serranda di ferro
cigolò, mentre Lucas la tirava su, apriva la finestra e si
affacciava, per poi
fissare incredulo Dominick. Sembrò credere al fatto che si
trovasse sotto casa
sua solo quando lo vide coi suoi occhi.
Dominick mise via il telefono, poi lo
salutò sollevando l’indice e il medio, formando
una V con le due dita, e un
sorriso a trentadue denti sul volto.
Lucas lo fissò dieci volte
più
sbigottito. Aveva ancora il cellulare appoggiato
all’orecchio, la bocca spalancata
e gli occhi azzurri strabuzzati.
Aveva qualcosa di strano, però. Innanzi
tutto, era senza maglietta. Aveva il torace completamente scoperto,
rivelando
il suo fisico atletico e asciutto. I capelli neri erano tutti arruffati
e
scompigliati, ed era chiaramente accaldato e spossato.
Improvvisamente, Dominick capì cosa
stava facendo di importante mentre lo aveva chiamato. E,
improvvisamente,
l’idea di entrare in casa sua non lo allettava molto.
«DOM!» esclamò.
«Che cavolo fai qui?!»
poi si accorse di François, un omaccione minaccioso e
armato. Per poco non gli
venne un colpo. «E lui chi è?»
«Lui è con me, tra poco se ne
va...piuttosto...mi ospiteresti per la notte?»
Lucas sbiancò, Dominick non
faticò molto
per capirne il motivo. Era senza maglia, sudato, probabilmente anche
senza
pantaloni. Chissà cosa stava combinando lì dentro.
«Ehm...ma...che diavolo è
successo?»
Dominick si dimenticò dei suoi pensieri
sentendo quella domanda e pensando alla risposta. Si passò
una mano tra i
capelli, con fare esausto. «Lascia perdere...ho combinato un
casino...Hester mi
ha piantato...sono stato venduto ad un’asta, per poco non ci
sono rimasto
secco...se mi apri ti spiego...»
Lucas sembrava sempre più incredulo e
agitato, anche il suo tono di voce tremolò più
volte mentre parlava.
«No...aspetta...cioè...io...non posso
aprirti...»
«Senti fratello, so che ti ho beccato in
un momento delicato. Nemmeno io aprirei volentieri la porta di casa mia
se ho,
diciamo..."compagnia".» l’ultima parola la disse
facendo le
virgolette con gli indici e i medi. «Ma siamo amici e io sono
nella merda. Non
ti chiedo molto, solo che mi apri, poi se vuoi io me ne sto in un
angolo mentre
tu continui a fare...quello che stavi facendo.»
Lucas schiuse le labbra per replicare,
poi però si voltò. Confabulò qualcosa
di incomprensibile con qualcuno, poi si
voltò con espressione mesta. «Senti,
io...»
«Cos’è quella
faccia?» lo interruppe
Dominick guardandolo perplesso.
Lucas sospirò, poi biascicò
tutto d’un
fiato. «Non posso aprirti, mi dispiace.»
Dominick sgranò gli occhi. Sentire
quella risposta fu come se Lucas gli avesse appena rovesciato addosso
un
secchio d’acqua ghiacciata. «Che...che significa
che noi puoi? Cazzo amico,
sono nella merda! Aiutami solo per questa sera, poi mi
sdebiterò, te lo giuro!»
Lucas scosse la testa. Sembrava davvero
dispiaciuto, ma rimase comunque impassibile. «Scusa Dom...ma
proprio non posso
farlo.»
Dominick ascoltò interdetto il suo
migliore amico piantarlo in quel momento. Non poteva crederci. Non
voleva
crederci. Lucas era uno dei pochi, se non l’unico al di fuori
di Hester, con
cui riusciva a parlare, di cui credeva sempre di potersi sempre fidare.
Invece
lo aveva appena fottuto. La delusione e
l’incredulità vennero presto sostituite
dalla rabbia. Giurò a sé stesso che se avrebbe
rivisto la luce del giorno lo
avrebbe ucciso, subito dopo essere andato da Hester, ovviamente.
A tal pensiero, realizzò cosa doveva
fare. Afferrò di nuovo il cellulare e cominciò a
pigiare sullo schermo. A quel
punto, doveva farlo. Doveva risentire la sua voce, dirle almeno che gli
dispiaceva. Un’ultima volta, per precauzione. Dirle che se
non sarebbe arrivato
al giorno dopo, lo avrebbe fatto portandola nel suo cuore.
Lucas lo vide col capo chino sul
telefono e inarcò un sopracciglio. «Ma che
fai?»
Dominick alzò la testa dal display e lo
fulminò con lo sguardo. «Chiamo Hester,
l’unica persona di cui posso ancora
fidarmi in questo posto di merda!»
L’altro sbiancò di nuovo.
«C-Cosa?»
«Vaffanculo Lucas. Prega che io muoia
questa sera, perché altrimenti domani sarai carne
trita!» esclamò Dominick
mentre cercava il numero di Hester nella rubrica.
«Se vuoi posso sparargli
adesso.»
commentò François, che fino a quel momento era
rimasto in disparte, ad
ascoltare lo scambio di battute tra i due ragazzi. Provò
anche pena per
Dominick. Era appena stato tradito dal suo amico, oltre che aver
litigato con
la sua ragazza. Ecco chi era quella Hester.
Lucas deglutì spaventato, ma Dominick
scosse la testa. «No, ci penserò poi io a
lui.»
François annuì, in parte
anche divertito.
«Ok allor...»
Non finì mai la frase. Da un vicolo poco
lontano da lì sbucarono una mezza dozzina di uomini armati.
Localizzarono
subito il francese e il ragazzo, puntarono le armi e cominciarono ad
urlare
come impazziti.
Nello stesso momento, Dominick aveva
appena telefonato ad Hester.
Accadde tutto in un lampo.
Dalla stanza di Lucas provenne il trillo
di un telefono, seguito immediatamente da diverse imprecazioni,
provenienti
dallo stesso ragazzo e una voce femminile alquanto famigliare. Dominick
strabuzzò gli occhi, ma non poté pensare a nulla
che in strada si scatenò il
pandemonio.
«Oh cazzo!» esclamò
François mentre
apriva il fuoco con il suo mitra, indirizzandolo verso i sei uomini.
Lucas urlò e abbassò la
tapparella di
ferro, isolando sé stesso, la sua compagna e quel
fottutissimo trillo del
telefono. Trillo cominciato non appena aveva telefonato ad Hester.
«Ragazzo, via da qui!» lo
chiamò
François tirandolo per la giacca, mentre impugnava con una
sola mano il mitra
per sparare.
Il rumore delle canne delle armi che
esplodevano risuonarono per tutta la strada, riecheggiando lontani come
boati.
Le fiammate colorarono l’ambiente immerso nella penombra. Il
proiettili
fischiavano a pochi centimetri dalle orecchie dei due.
François continuò a sparare,
più che
altro il suo fu fuoco di soppressione, fatto per far correre al riparo
i sei
che cercavano di assalirli. Tirò di nuovo Dominick per la
maglia. Il ragazzo,
ormai in una dimensione a sé stante, cominciò a
seguire di corsa François. Ma
nemmeno se ne stava rendendo conto. Correva per inerzia, con uno
sguardo vitreo
negli occhi, mentre ripensava a cos’ avesse appena visto e
assistito.
Si infilarono in un vicolo e
cominciarono a correre a perdifiato.
«Ragazzo, tutto bene?»
domandò François.
Un po’ si riferiva allo scontro appena avuto, temendo che si
fosse ferito, ma
correva, perciò non doveva essere rimasto coinvolto
fisicamente. Ciò non si
poteva dire per quello che sicuramente stava accadendo nella sua testa.
Anche
lui aveva sentito il trillo di quel telefono provenire dalla camera di
quel
Lucas. Non ci voleva certo un genio per capire come stavano le cose.
«Io...io...»
borbottò Dominick sommessamente.
«Io...»
Cazzo...poveretto...
pensò
François mentre lo sentiva rantolare in quel modo.
Non giunse nessuna risposta dalla bocca
del ragazzo. Continuarono a correre per la fitta rete di vicoli, per
trovare un
posto sicuro in cui riposare e raccogliere le idee.
***
Tempo rimanente alla fine dello Sfogo Annuale: 9 ore e 58 minuti
Thia non aveva lasciato la mano di Mary per
nemmeno un secondo. L’aveva seguita obbediente senza
protestare lungo quei
vicoli bui, angusti e puzzolenti.
L’aria fredda le sferzava i capelli, i
polmoni le bruciavano, per via di quella lunga corsa estenuante. Lei
non era
abituata a certe cose, ma ciò non le impediva certo di non
stare al passo con
la donna. In primis, non voleva rallentarla, apparire come un peso. E
poi c’era
in ballo la sua vita. Avrebbe corso fino a quando il cuore non le fosse
esploso
nel petto, poco ma sicuro.
Innumerevoli lacrime scivolavano lungo
le sue guancie, un po’ dovute alla paura, un po’
all’emozione dovuta all’essere
ancora viva, ma soprattutto lontana da Greg e David. Il sangue fresco
gocciolava dal taglio sulla sua guancia, causato da una scheggia di
vetro che
le si era conficcata a seguito dell’impatto con quel pulmino.
Per fortuna lei e
Mary non si erano fatte nulla di grave, non erano nemmeno svenute.
Ciò non si
era potuto dire di Greg e David. Entrambi aveva sbattuto violentemente
la
testa, causando la perdita di sensi di Greg e quasi sicuramente la
morte di
David.
Certo, a Thia quei due erano dei porci
schifosi e non le erano assolutamente piaciuti, però
comunque un po’ aveva
provato pena per loro, per David soprattutto. Era un essere orribile,
che pur di
avere Mary l’aveva rapita insieme a lei, però era
pur sempre un uomo. Non meritava
di morire.
Mentre Greg invece...a lui forse era toccata
una fine ben peggiore, visto che quel ragazzo lo aveva portato da
quegli uomini.
Chissà cosa gli avrebbero fatto.
A proposito di quel ragazzo, Kevin se
non ricordava male.
Perché le aveva aiutate?
Perché aveva
poi portato via Greg, se non aveva brutte intenzioni? Da che parte
stava? Ma soprattutto,
che ci faceva con tutti quegli uomini?
Non lo sapeva, sapeva solo che a lui
molto probabilmente doveva la vita. E se mai lo avesse rivisto, cosa
molto poco
probabile, lo avrebbe ringraziato con tutto il cuore.
Ma per il momento, l’unica cosa che lei
e Mary dovevano fare era sopravvivere.
Anche Marianne stava pensando le stesse
cose. Avrebbe protetto Thia a tutti i costi, fino a quando non
sarebbero
riuscite a trovare un posto sicuro in cui stare. Tornare a casa loro
era fuori
discussione, visto che non avevano nemmeno più la porta.
Chiunque sarebbe
potuto entrare.
Per fortuna, aveva mantenuto una delle promesse
che le aveva fatto, cioè che l’avrebbe salvata da
Greg e David. Sì, insomma,
era in realtà stato tutto merito di Kevin, però
dopotutto era stata lei a
liberarla dalle fasce e a toglierle la benda da davanti alla bocca.
Non si sarebbe mai e poi mai dimenticata
l’abbraccio che loro due si erano scambiate una volta libere.
Thia si era tuffata su di lei e aveva
sepolto il volto sotto il suo mento. Aveva cominciato a singhiozzare e
a
mormorare quanto fosse felice di essere ancora viva e inviolata. Ma
soprattutto
felice che anche lei stesse bene. le aveva ribadito che non
l’avrebbe potuta
odiare per nulla al mondo, che era la sua nuova famiglia e che
sarebbero state
insieme per sempre.
Marianne, con le lacrime agli occhi,
aveva ricambiato l’abbraccio, stringendola a sé
quasi con forza, ma non era
riuscita a fare altrimenti. Gli era uscito naturale cercare di
infonderle
quanto più amore materno possibile.
Dopo quel breve ma intenso attimo di
riconciliazione,
erano scese a passo felpato dalla macchina. Avevano visto Kevin in
compagnia di
quel gruppo di uomini, gli avevano entrambe rivolto un ringraziamento
silenzioso, poi erano sgattaiolate via. Avrebbero voluto cercare di
aiutarlo in
qualche modo, visto che sembrava incasinato tanto quanto loro, ma
purtroppo non
c’era niente che potessero fare. Erano due donne, disarmate,
fatta eccezione
per la pistola semiscarica che Kevin aveva lasciato a Marianne, mentre
quelli
erano una ventina di bruti dotati dei peggiori fucili. Avrebbero
fallito prima
ancora di cominciare, se avessero cercato di aiutarlo. E poi, per lo
meno,
finché era in loro compagnia era al sicuro dai pericoli
dello Sfogo. Certo, a
quelli sarebbe bastato un momento storto per ucciderlo,
perciò coloro che lo
avrebbero protetto, potevano anche essere i suoi assassini, ma non si
può
prestare attenzione a tutte queste minuziosità. Lui era con
loro, le due invece
erano da sole e dieci volte più a rischio. Per questo
Marianne non aveva smesso
di correre per un solo istante, mentre Thia arrancava dietro di lei.
Non seppe quanto a lungo corsero, ma
doveva essere già un bel po’.
«Ci siamo quasi Thia, giriamo ancora un
paio di angoli, poi ci fermiamo a riposare, ok?»
rassicurò, intuendo che per
Thia quella corsa dovesse essere estenuante.
«Va...va bene...»
annaspò l’altra, la
quale non poteva certo negare la sua riluttanza nel rimanere in vicoli
come
quelli. In un posto molto simile, anzi, pressappoco identico, aveva
perso l’ultimo
componente rimasto della sua famiglia. Ogni cosa che guardava, ogni
porta
chiusa, ogni scala antincendio, ogni grondaia, ogni tombino e ogni
cassonetto,
riportavano a galla nella sua mente orribili ricordi. Ricordi che
cercava in
tutti i modi di esiliare dalla sua mente, senza però
riuscirci. Dopotutto,
erano passati solo due anni da quando tutto aveva avuto inizio.
Entrambe girarono l’angolo. «Va
bene Thia,
ci siamo quas...»
Marianne non terminò la frase. Due
figure
indistinte apparvero dal nulla. Le due vi si schiantarono contro
violentemente.
Vi furono urla di sorpresa e gemiti di
dolore. Una delle due macchie indistinte cadde a terra,
l’altra barcollò, ma
rimase in piedi.
Thia e Marianne, la cui più fisicamente
grande
corrispondeva alla più piccola degli altri due, caddero
entrambe a terra.
Marianne lenì il dolore alla testa
massaggiandosela, poi sgranò gli occhi quando si rese conto
di cos’era appena
successo. Alzò di scatto la testa e vide i due con cui si
era schiantata. Erano
due uomini, anzi, non proprio.
Quello caduto a terra come loro era un
ragazzo, doveva avere l’età di Thia. Si stava
massaggiando la testa a sua volta
e fissava sbigottito prima lei, poi Thia.
L’altra figura era un uomo molto grosso
e robusto, con un folto paio di baffi a manubrio. Sembrava ancora
stordito
dalla botta, ma era comunque rimasto in piedi. E aveva
un’arma in mano.
I quattro di guardarono tra loro reciprocamente,
con movimenti fulminei del capo. Gli occhi di Thia per poco non
schizzavano
fuori dalle orbite. Anche il ragazzino era atterrito. Marianne era un
po’ più
sicura, ma la visione di quell’uomo armato la inquietava
abbastanza. Solo quest’ultimo
non sembrava intimidito dalle due ragazze, non che ci fossero dei
fattori ad
imporgli il contrario. Era grande, grosso e armato, di cosa doveva
avere paura?
Vi fu un attimo di silenzio carico di
tensione. La si poteva tagliare col coltello.
Poi Thia e il ragazzo cominciarono ad
urlare all’impazzata, facendo sobbalzare Marianne e
l’uomo, che cominciarono a
darsi da fare per calmare i rispettivi compagni.