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Autore: Erule    13/04/2015    0 recensioni
Seguito di "Anchor".
Lydia si guardò intorno circospetta. Quel pomeriggio, Stiles era uscito con Scott ed Allison, mentre lei era rimasta a casa perché si era presa un bel raffreddore di stagione e con il naso che gocciolava, le ombre sotto gli occhi, le gambe tremolanti, non se l’era sentita proprio di uscire. Lydia Martin doveva essere sempre impeccabile, quindi tanto valeva non mettere nemmeno il naso fuori di casa. Ma poi, circa cinque minuti dopo che Stiles era uscito, nella sua camera l’aveva visto: un enorme ragno nero e peloso con otto zampe. Voi direte: che schifo! Invece, tutto quello che pensò Lydia fu: CHE ORRORE! La natura non aveva avuto il minimo gusto con quegli orribili animaletti. Così, aveva preso la mazza da baseball di Stiles e si era diretta a passo deciso nella stanza, convinta che sarebbe bastato un solo colpo per metterlo K.O.
Genere: Azione, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allison Argent, Derek Hale, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7
Wait for the living
 
<< Ho… delle scuse da fare. >> disse subito, sporgendosi in avanti, come se stesse per perdere l’equilibrio. << Vorrei che la terra mi inghiottisse adesso per quello che ho fatto. Chiedo perdono a voi, spiriti dei morti, perché non posso porgerle ai vivi o comunque non mi ascolterebbero. No, non è vero, Ades lo farebbe. Sono io che non lo ascolterei, perché mi farebbe troppo male sapere che non mi ama più. >> continuò, gli occhi rossi, le labbra troppo carnose per via del pianto ed il pallore bianco della pelle, quasi trasparente del viso, che faceva risaltare le vene. Per poco non le cadde il foglio che teneva fra le mani, perché continuavano a tremare. << Devo raccontare a qualcuno la mia colpa, quindi vi prego, ascoltatemi e poi decidete la mia punizione, perché io non ce la faccio più. >> proseguì Persefone, mossa dai singhiozzi, che stava in piedi a fatica sul limitare dell’altare, voltata verso il pubblico inesistente. << Ho mentito e di conseguenza tradito mio marito. Merito la peggiore delle pene, perché il Regno dei Morti non perdona i traditori di fiducia. Nemmeno se si tratta della sua regina. >>
 
Allison corse dentro l’ospedale con l’arco fra le mani ed il fiatone. Le facevano male le costole e poteva sentire ancora le ferite bruciare come se ci avesse appena gettato del sale sopra, ma non era importante. Non poteva pensare a quello, mentre Scott veniva portato su di una barella d’urgenza, perché stava troppo male, troppo male per riprendersi. Le veniva da piangere, ma decise di non lasciarsi andare, non finché non avesse saputo che Scott stava bene e che si sarebbe rialzato. Melissa le andò incontro ed il mondo si fermò intorno a lei. Pregò che no, per favore no, che non le chiedesse niente, perché non avrebbe retto, non avrebbe potuto guardare i suoi occhi lucidi, mentre lei le spiegava che suo figlio non riusicva a curarsi da solo, che grondava sangue dal viso, che magari non sarebbe neanche più stato in grado di vederla. Avrebbe solo voluto sprofondare, smettere di tremare e di sembrare la ragazzina debole ed indifesa che era stata.
<< Allison, cos’è successo? >> chiese Melissa, posando una cartella sul bancone e fissandola preoccupata.
Allison aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. E se Scott non avesse più potuto guardarla? E se non si fosse mai rimesso in sesto? E se non fosse più stato in grado di sfiorarle i capelli, senza che la sua mano cercasse alla cieca la sua guancia o le sue labbra o il suo collo… No, no, adesso no. Gli aveva chiesto di non cedere, giusto? Be’, nemmeno lei lo avrebbe fatto.
<< Signora McCall, Scott… >>
<< Ci penso io, Allison. >> disse una voce dietro di lei, sfiorandole la spalla con una mano. Suo padre le fece l’occhiolino. << Andrà tutto bene. Pensa a te. >>
Avrebbe voluto rispondergli che non ci sarebbe riuscita, che avrebbe voluto vedere Scott e chiedere a raffica di lui, di come stava, ma qualcosa nel suo sguardo rassicurante le fece cambiare idea.
Fu solo un minuto dopo, mentre lei rimaneva ferma nel corridoio, che dovette spostarsi per far passare un’altra barella su cui c’era Malia, un polpaccio ferito. Dietro di lei, a parte i paramedici, arrivarono anche Parrish, Isaac, Peter ed il padre di Stiles. Un secondo dopo, Stiles e Lydia stavano correndo dentro, mano nella mano.
<< Allison! Dov’è Scott? >> domandò Stiles, il panico ben visibile negli occhi. << Dove l’hanno portato? È grave? Perché i suoi dannati poteri da lupo non funzionano? Io Deucalion lo ammazzo, lo faccio fuori… >>
<< Non farti questi problemi Stiles, perché è già morto. >> disse Allison, più dura di quanto volesse. Lydia spalancò la bocca.
<< Cosa? E chi l’ha ucciso? >>
Allison alzò lo sguardo ed incrociò quello di Ades sull’uscio dell’entrata.
<< Lui. >> rispose, indicandolo con un cenno.
I due amici si girarono. Stiles era incredulo. Poi, un attimo dopo, la sua espressione cambiò radicalmente ed un ghigno si fece strada sul suo viso. Lydia se ne accorse e lasciò delicatamente la sua mano.
<< Credo che sia stata l’unica cosa buona che tu abbia fatto da quando sei qui. >> commentò ed Ades deglutì piano, per una volta senza replicare.
<< Lydia! >> urlò Paige, entrando in ospedale con le guance rosse per la corsa in auto. Superò Ades senza neanche vederlo ed andò subito dalla ragazza. << Non riesco a trovare Derek, nessuno mi ha detto niente di lui, ti prego, dimmi che non è uno dei morti della profezia, perché se lo è, me lo devi dire. >> disse, prendendola per le mani. << Se lo è, me lo devi dire. Prometto che non ti urlerò contro, ma me lo devi dire se è lui. >>
Lydia balbettò, presa in contropiede. Forse Derek stava ancora arrivando, magari in un’altra ambulanza. Perché Paige la stava tempestando di domande? Perché credeva che sapesse chi erano i morti della profezia? Significava che non si potevano salvare?
<< Ehi, non prendertela con Lydia. Vedrai che il tuo fidanzato starà per arrivare. >> disse Stiles, con quel luccichio strano nello sguardo.
Paige lo osservò per un attimo, ponderando se prenderlo a calci o meno, in tutta onestà, ma la voce del paramedico che chiedeva di spostarsi superò il rumore dei suoi pensieri. E vide Derek steso su di una barella. Li lasciò da soli, inseguendo il dottore, chiedendo se Derek aveva per caso riportato delle lesioni gravi.
<< Allison, mi dispiace. >> disse Ades e Lydia si voltò per guardarli. << Non avrei dovuto comportarmi in quel modo orribile con te, perdonami. Ma adesso è tutto finito. >>
Allison gli mollò uno schiaffo. Lydia trasalì per lo schiocco. La guancia di Ades era più rossa di un papavero ed i suoi occhi erano lucidi.
<< Dov’eri? >> chiese Allison, la bocca impastata. << Dov’eri, mentre Deucalion feriva Scott? Ti ho sempre trattato bene, ti abbiamo sempre aiutato, dov’eri quando noi avevamo più bisogno di te? >>
<< Vi ho salvato la vita! Mi dovreste assere riconoscenti! >> esclamò, piccato.
<< Quella è stata un’esecuzione! Ascolta la tua voce, Ades! Io non so più chi sei! >> disse Allison, alzando la voce. << Avresti dovuto prenderti cura di noi, come noi abbiamo fatto con te. È questo ciò che fanno gli amici. >>
Ades alzò il capo.
<< Hai mai pensato che forse non siamo mai stati amici? >>
Allison indietreggiò e le voci si spensero nelle sue orecchie, lasciando solo un ronzio fastidioso in sottofondo. Lydia strinse il braccio di Stiles per la rabbia e lui la guardò. Accadde tutto nel giro di un secondo. Stiles avanzò verso di loro, spostò Allison da un lato e tirò un pugno ad Ades in pieno viso, rompendogli il naso. Una bambina urlò. Un paio di infermieri presero Stiles per le spalle e lo trascinarono lontano da Ades. A Lydia ricordò tanto una scena già vista, anche se non sapeva bene quale. Chiuse gli occhi lentamente e li riaprì, mentre seguiva gli infermieri, chiedendo loro di lasciarlo andare. Stava succedendo: il Nogitsune aveva quasi preso il pieno controllo di Stiles di nuovo.
E lei sentì la lancetta dell’orologio segnare l’ultima ora.
 
Erano le sei del mattino. La luce del sole rischiarava il cielo, rendendolo d’un arancione scuro. Non le era mai capitato di vedere tanti tramonti e tante albe prima di quella settimana. Sarebbe stato più bello o certamente più romantico, se li avessi ammirati in riva al mare assieme a Stiles. Lydia non era mai stata una di quelle ragazze che crede nel principe azzurro o che aveva sempre pensato che la sua vita sarebbe un giorno stata completamente dipendente da quella di un uomo, ma a certe cose non avrebbe mai rinunciato: come il sapore del limone mischiato al sale o il suo rossetto color ciliegia. Be’, fantasticare era una di quelle cose a cui non avrebbe mai rinunciato. Se c’era una cosa che le aveva insegnato “Le pagine della nostra vita” era proprio quella: non rinunciare mai a         quello che vuoi, devi sempre cercare di raggiungere l’obiettivo, costi quel che costi. Peccato che dare consigli sia molto più semplice che seguirli. Per qualche motivo, lei finiva sempre per lasciarne qualcuno per strada, come quello di cercare di essere più tollerante o di smettere di mettere tutto quel trucco, perché le faceva male alla pelle.
Alzò lo sguardo e notò Ades seduto nella sala d’aspetto con le cuffie nelle orecchie, bianche, il cappuccio nero della felpa in testa ed il cellulare in mano. Gli avevano fasciato il naso con una benda chiara. Per qualche motivo, anche se sapeva che lui ero un dio greco, non le sembrava strano vederlo in quel modo. Fece caso a questo particolare: le cuffie bianche. Aveva sempre pensato che il colore delle cuffie rappresentasse il contrario di quella persona. Ovvero: il bianco non rappresenta una persona innocente, ma una tormentata, mentre il nero dimostra che, sotto tutti quegli strati di cattiveria ed indifferenza, in realtà sei il più puro fra i mortali. Alzò le spalle. Era solo un suo vezzo, quello di continuare a farsi seghe mentali su cose inutili come analizzare la mente umana in quel modo.
Gli si sedette accanto, sulla poltrona, posando il giubbotto accanto a lei. Ades dapprima non se ne accorse, poi il profumo di Lydia lo fece voltare. Si abbassò subito il cappuccio, perché era scortese portarlo quando qualcuno ti parla e si levò le cuffie dalle orecchie.
<< Dov’è Persefone? >> chiese Lydia, massaggiandosi le cosce, seduta di fronte ad Ades nella sala d’attesa.
Ades si passò le mani sulla faccia.
<< Non lo so. >> rispose, sospirando stancamente.
<< Può essere che sia tornata a casa? Ha una casa? >>
<< Sua madre è morta poco tempo fa. Non ha più una casa. >>
<< Intendi Demetra? >> domandò Lydia.
<< Sì, lei. >>
<< Ma se lei era una dea o discendente della vera dea, perché è morta? >>
<< Lei si è solo liberata della sua forma mortale. Gli dèi non muoiono e non sono fatti nemmeno come ti appaiono o li puoi immaginare. Sono già saggi e vecchi, in realtà. È solo che da umani il tempo passa più lentamente, quindi devono adeguarsi agli altri. Se ne vanno quando arriva il loro momento. Nessun mortale potrà mai sapere come sono fatti veramente gli dèi. Nasciamo come divinità, ma abbiamo il passaggio obbligato per il mondo dei mortali, per capire come ragionano, così da poterli aiutare al meglio quando saremo sul trono che ci spetta. E così, alla nostra morte, rimaniamo fra gli Spiriti Arcani del Consiglio. >>
<< E li incontri tutti nell’Ade? >>
<< Sì. >> replicò Ades, incrociando le braccia. << Nell’Ade ci sono tutti i morti e gli spiriti degli dèi che si riuniscono. Ovviamente le assemblee si svolgono sull’Olimpo, però. >>
Lydia si sporse verso di lui, guardandolo negli occhi.
<< Tu saresti dovuto morire, non è vero? >> chiese Lydia. Ades strabuzzò gli occhi, preso alla sprovvista. << Te lo chiedo, perché da quando mi hai raccontato la tua storia, questa domanda mi perseguita. Dato che tu sei il dio dei Morti saresti dovuto morire in fretta per liberarti del tuo corpo mortale, ma non è successo. Perché? Che cosa è cambiato? >>
Ades abbozzò un sorriso, lasciando scivolare la schiena lungo il cuscino della poltrona.
<< La vita. >> rispose Ades. << È la vita che cambia le carte in tavola, Lydia. La vita supera la morte. La medicina mi ha curato e non c’è niente di magico in questo. Ero un malato terminale, sono nato così. Avevo sette anni quando mi hanno ricoverato per l’ultima volta. Ero spacciato. Poi hanno scoperto un nuovo farmaco e mi hanno salvato. Questa è la mia storia. Sono stato fortunato, lo ammetto. Mia madre ha pregato tanto, perché sopravvivessi. Sono più figlio suo che del mio vero padre. Ogni umano ha il proprio destino ed il mio era quello, ma qualcosa ha fatto girare diversamente la ruota. I miracoli esistono e non sempre le divinità ne sono fautrici. >>
Lydia sbatté le palpebre. Era colpita e confusa. Credeva che fosse Zeus a decidere le sorti di tutti, soprattutto quelle dei suoi fratelli e dei suoi figli, ma a quanto pare si sbagliava. Almeno il cinquanta percento delle probbilità era affidato agli uomini ed alle loro capacità.
<< Dove sono ora i tuoi genitori? >> chiese.
<< Nell’Ade. >> rispose il ragazzo. << Avevo sedici anni quando morirono in un incidente d’auto. Io e Persefone eravamo soli. Suo padre le aveva lasciate quando lei era piccola, ma Demetra è sempre stata troppo autoritaria con lei. Persefone non si è mai sentita accettata da nessuno, anche se sapeva che sua madre voleva solo proteggerla e che non tutti gli uomini sono infedeli come suo padre. >> raccontò. << Quando Demetra mi conobbe, capì subito chi ero. Lei aveva spiegato da poco a Faith che avrebbe dovuto sposarmi, per via della nostra vera natura. È per questo che lei mi ha notato, perché aveva un compito da portare a termine. Sua madre gliel’aveva detto: “Un giorno lo incontrerai” e lei capì subito chi ero io. Mi mancavano dei pezzi che Faith mi ha spiegato solo l’altra notte. Mi ha ingannato per tutto il tempo. Non mi ha mai amato. Ha sempre e solo fatto quello che voleva sua madre. Che idiota, che sono stato. >> disse, con gli occhi umidi ed un sorriso amaro sul volto. Lydia si sentì male per lui.
<< Perché dici che ti ha salvato? >>
Ades sospirò, evitando di guardarla negli occhi.
<< Ha inventato lei la profezia. >> confessò Ades. Lydia spalancò la bocca. << Non volevo accettare il dono, aveva troppa paura. Quindi per non morire, ha inventato la profezia ed accettato il dono per me. >>
 
Paige concluse la telefonata con Kira e si andò a sedere di nuovo accanto a Derek, sulla sedia vicina al suo letto. Gli accarezzò la mano, poi i capelli, sorridendo in una maniera che di solito criticava, perché è la stessa che si vede in tutti i film romantici ed a cui lei non aveva mai creduto. Insomma, sei davvero così bella quando ti preoccupi? Lei lo era? Il ragazzo che sta dormendo davvero non si accorge della tua presenza? Derek poteva? Si sarebbe svegliato e lei avrebbe capito che ogni cosa sarebbe andata bene, che non importava se lui era quasi morto, perché era quel quasi a cambiare un’intera frase?
Lei non ci aveva mai creduto, ma quando Derek mosse le palpebre ed aprì gli occhi, cominciò a farlo. E le venne da piangere. Le venne da piangere, perché lei non era stata lì con lui, perché aveva lasciato che lui fosse certo che lei stesse al sicuro. Non gli aveva nemmeno detto addio, perché farlo avrebbe significato una cosa sola: lei non aveva fiducia in lui e lui sarebbe morto. Eppure, contemporaneamente, si era preoccupata per non averlo fatto, dato che dire addio una volta significa farlo per sempre, perché stai certo che non potrai farlo nel momento in cui vorrai tu. Paige lo sapeva: non c’è mai il momento giusto per dire addio, perché non sei tu a deciderlo. E lei aveva dovuto dire addio già a troppe persone, nella sua vita. Dire addio a Derek sarebbe stato un peso troppo pesante da sopportare.
<< Ehi. >> disse Derek, cercando di mettersi a sedere, sorridendo. Poi guardò fuori dalla finestra. << Che giorno è? >>
<< Venerdì. >> rispose Paige, aspirando l’aria come quando, dopo aver pianto troppo, viene a mancare il respiro.
Derek si voltò subito verso di lei, facendo andare i suoi occhi da una parte all’altra, osservando i suoi. Gli occhi straordinariamente blu di Paige facevano adesso a cazzotti con il rosso dei capillari rotti e sembrava così un mare di acqua che si espandeva nella lava bollente. In un’altra occasione, forse avrebbe anche potuto dirle che era un capolavoro d’arte moderna, ma non ora.
<< Mi dispiace. >> disse Derek scuotendo la testa, facendo per sfiorarle una guancia, ma lei si ritrasse. La delusione gli balenò sul viso. Lo sapeva anche se non poteva vederlo. << Se fra di noi è finita, vorrei saperlo. Preferisco conoscere come stanno le cose in modo chiaro e tondo, Paige, lo sai più di chiunque altro. Dimmelo qui e adesso, così smetteremo di farci del male a vicenda. Una volta per tutte. >>
<< Una volta per tutte le cose che non ti ho detto. >> replicò Paige, guardandosi le mani strette a pugno, mentre le unghie rigavano i palmi, chiusi sulle cosce. Derek scosse la testa, confuso. << Una volta per tutte, perché non ci diciamo le cose come stanno? Voglio dire, perché non ci raccontiamo i nostri segreti? >> chiese Paige, guardandolo.
<< Credevo che non ci fossero più segreti fra di noi. >> rispose Derek, sorpreso.
<< Perché non mi racconti di Jennifer? >>
 
<< Ragazzi, andate a casa a dormire. Dopo una notte del genere, avrete bisogno di riposare. >> disse John a Lydia, Isaac e Parrish, che erano appena arrivati. Ades abbassò la testa, facendo finta di non sentire, perché aveva di nuovo le cuffie nelle orecchie. << Tanto qui non potete fare niente. Melissa mi ha assicurato che entro la fine della giornata torneranno tutti a casa. >>
<> chiese Stiles, comparendo dal nulla, guardando il padre con un paio di occhi vuoti. John aveva creduto che avrebbe visto preoccupazione, lacrime non versate, labbra tremanti, ma non c’era niente di tutto questo. Nessuna emozione. Niente di niente.
<< Melissa ed Allison sono in camera con lui. Ha la testa fasciata e non ci vede bene da un occhio. Però non ti servirà stare qui, Stiles. Ti chiamo io quando avrò notizie. >>
<< No, io resto. >> ribatté il figlio.
<< Stiles, adesso sei sconvolto e preoccupato. Non aiuterai Scott in questo modo. Vai a casa con Lydia. >> disse John, anche se non avrebbe voluto lasciarlo da solo con Lydia. Aveva paura di quello che avrebbe potuto farle. Aveva paura di quello che avrebbe potuto fare a se stesso, se solo l’avesse toccata, una volta tornato in sé.
<< Papà, Scott è come un fratello per me. Non lo lascerò da solo. >> contestò risoluto e con sguardo fermo, quasi brillante, ma non era il suo. Era quello di qualcun altro, come se gli avessero impiantato un paio di occhi bionici. Quello era più Void che Stiles.
<< Figliolo, lo so. >> disse John, mettendogli una mano sulla spalla. << So che gli vuoi bene, ma adesso non serve qui la tua presenza. Sarai qui al suo risveglio. Ti chiamerò io, te lo prometto. >>
Stiles sospirò, sconfitto. Poi fece un cenno a Lydia.
<< Andiamo. >> disse, poi si rivolse al padre, scostandosi da lui.
<< Ricordati che me l’hai promesso. >>
E John ebbe la sensazione che lui sapesse che aveva capito.
<< Certo. >>
Sapeva che suo padre non intendeva affatto fidarsi di Void e che voleva tenerlo il più possibile lontano dagli altri per evitare di fare loro del male. Ma gli andava bene così. Ed era questo, più di tutto, che terrorizzava John, perché significava che aveva qualcosa in mente. E non prometteva niente di buono.
 
 << Cosa vuoi sapere? >> chiese Derek, evitando il suo sguardo.
<< Eravate fidanzati? >>
<< Sì. >>
<< Quando hai scoperto che non era la persona che credevi che fosse? >>
<< Troppo tardi. >>
<< La amavi? >>
Derek si zittì per un attimo. Il silenzio crollò su di loro come se fosse stato quel soffitto d’ospedale, robusto e tanto, tanto pesante, quasi asfissiante. Sentì il cuore battere forte, sentì odore di sangue ed il profumo pizzicante di Paige alla lavanda.
<< Non quanto amo te. >> rispose Derek, alzando gli occhi. Paige deglutì piano, le mani ancora chiuse a pugno e le unghie conficcate nei palmi, fin dentro, sempre più dentro. E Derek capì di chi era il battito del cuore, l’odore di sangue e di profumo. << C’è per caso qualcosa che non mi stai dicendo, Paige? >> domandò.
Paige ci penso su per un attimo, guardandolo intensamente negli occhi. C’era qualcosa che non gli aveva detto, ma che voleva fare adesso. Era stata la prima cosa a cui aveva pensato quando le avevano detto dell’attacco finito male e lei aveva persino ringraziato il cielo per la morte di Deucalion. Si morse il labbro inferiore, cercando di mantenere la calma e le lacrime, ma non era semplice. Prese un bel respiro, cercando di calmare la voce ed il battito cardiaco, ma era davvero arduo. E poi lo disse, estraniando gli altri suoni, ascoltando solo il respiro di Derek e guardando i suoi occhi che si irradiavano di incredulità.
<< Sono incinta. >>
 
La stanza era in penombra, ma illuminata dal pallore delle pareti chiare. Peter aveva sempre odiato gli ospedali da dopo il coma e sperava di non tornarci più, ma a quanto pare la vita ha sempre qualche impedimento da offrire.
<< Come ti senti? >> chiese Malia, guardandolo con la coda nell’occhio.
<< Bene. >> rispose Peter, laconico, cercando di togliersi la fasciatura al braccio.
Malia annuì, osservando il muro di fronte a lei senza vederlo veramente.
<< Non mi hai nemmeno chiesto come sto. >> replicò la ragazza, cercando di non dare a vedere quanto fosse infastidita, ma senza sforzarsi troppo.
Non che le importasse cosa Peter pensasse di lei o se gli importasse effettivamente di lei, ma dato che era suo padre biologico si sentiva in diritto di aspettarsi il minimo da lui. Come sapere se stava bene. Sapere se aveva voglia di piangere. Sapere se si era spaventata. Anche solo una bugia.
<< È ovvio che tu non stai bene. Sei in un letto d’ospedale e sei ferita, come dovresti stare? >> rispose Peter, acido.
<< Io intendevo dire… >> stava dicendo, poi si fermò. Peter alzò lo sguardo ed incontrò il suo. Non aveva niente di lui. Né il colore dei suoi occhi, né le sue labbra sottili o i suoi zigomi alti. Non aveva niente di lui. Nemmeno le sue dannate orecchie a punta! << Lascia stare. Non è importante. >>
Peter rimase in silenzio per un paio di minuti, pensando a cosa dirle. Doveva dirle qualcosa, doveva. Aveva voluto che il figlio di Dalia fosse suo quando aveva appena vent’anni ed ora stava gettando al vento la sua unica possibilità di averne uno. E che importava che non fosse di Dalia? I figli sono sempre figli, non poteva non amarla, perché era sua.
<< Sai, ho visto come lo guardi. Quando lui sta con lei, tu lo guardi come se quello ti stesse torturando. >> esordì Peter. Malia continuò a non guardarlo. << Quell’idiota ti piace da morire. E lo so, perché io guardavo Dalia nello stesso, identico modo. >>
<< Senti, >> ribatté Malia, con il sangue che le ribolliva nelle vene, << non mi interesa se tu hai amato o meno mia madre, ma fingere che ti importi di me è una bugia a cui adesso non mi va di credere. >> replicò. << E smetti di offendere Stiles in mia presenza, mi disturba. >>
<< Tu sei mia figlia. >>
<< Non quanto Derek o Paige. >> ribatté Malia, sfidandolo con lo sguardo.
Peter indietreggiò sulla sedia, come colpito. Avvertì una fitta allo stomaco e non sembrava che fosse per fame.
<< Derek è mio nipote e Paige non è che la figlia di una donna che ho amato un tempo. >>
<< Una donna per cui hai ucciso, a quanto pare. L’unica donna che tu abbia mai amato veramente. Non dirmi che non è rilevante, per te. >> replicò Malia. << E Derek è il figlio che non hai mai avuto. L’hai cresciuto. Lo stuzzichi di continuo, perché ti piace vedere come reagisce. Tu non hai mai voluto me. Quando pensi al tuo figlio ideale, il figlio tuo e di Dalia che hai perduto, tu pensi a lui e non a me. >> disse Malia, abbozzando un sorriso che non sembrasse troppo forzato. << Ed anche se io vorrei che lo fosse, dato che ci siamo conosciuti solo da poco tempo, non è colpa tua. >>   
 
Allison si stropicciò gli occhi stancamente. Praticamente non aveva chiuso occhio per tutta la notte ed era andata avanti a furia di bicchierini di caffè. Probabilmente adesso se n’erano tutti andati a casa ed avevano fatto anche bene, dato che non c’era nulla che potessero fare. Però, in caso contrario, lei li avrebbi capiti. Insomma, dopotutto lei era rimasta lì e non voleva muoversi. Tutti volevano bene a Scott ed erano preoccupati per lui esattamente come lei, quindi era giusto che stessero lì per vederlo al risveglio.
Si alzò e si avvicinò alla finestra, poi spalancò le tende. Era mattina inoltrata, ormai. Però facevano ancora un po’ freddo, così si strinse nelle spalle, massaggiandosi le braccia, allungandosi le maniche del maglione fino alle dita. Se Scott non avesse più potuto vedere il cielo azzurro, i bambini che correvano ad abbracciare le loro madri fuori dall’ospedale o lei, i suoi occhi, il suo naso, la sua bocca… forse sarebbe pesato meno a lui che a lei. Perché nessuno l’aveva mai guardata come la guardava lui e farlo con un occhio solo non sarebbe stata la stessa cosa. Anche se, sia chiaro, lei avrebbe continuato a sostenerlo ed amarlo. Non l’avrebbe lasciato solo come lui non aveva lasciato sola lei.
Sentì un movimento, come un fruscio, provenire da dietro le sue spalle. Si voltò di scatto e vide la mano sinistra di Scott che cercava di stringere le lenzuola, il viso contratto in una smorfia di dolore. Corse fuori dalla stanza senza perdere tempo per chiamare un’infermiera. E magari anche per piangere dalla gioia, chissà.   
 
Ades uscì fuori dall’ospedale con l’accendino nella mano destra. Gli era sempre piaciuto l’odore del fumo, ma non aveva mai potuto provarlo per via della malattia. Però poteva sempre usare l’accendino come anti-stress, toccandolo spasmodicamente con le dita, come per aggrapparsi a qualcosa che non poteva avere. Eh sì, alcune volte si era chiesto se non somigliasse un po’ al pensiero fisso di Persefone che non lo lasciava in pace.
<< Credevo che te ne fossi andata. >> disse, accendendo e spegnendo l’accendino con il pollice.
Persefone deglutì in silenzio, a pochi passi da lui, armeggiando con la stoffa del vestito come faceva sempre quando era nervosa.
<< E dove? >>
<< Non lo so, non mi interessa. Via, lontano. Molto lontano da me. >>
<< Ades, so di averti fatto del male e mi dispiace davvero, davvero tanto, ma è stato difficile anche per me. Dovevo proteggerti, in qualche modo. Non potevo dirti la verità. >>
<< Non ti voglio più vedere. >> disse Ades, stringendo lentamente il pugno sinistro.
<< Ades, per favore… >>
<< TU NON MI HAI MAI AMATO! >> urlò, voltandosi con occhi di fuoco. Persefone indietreggiò, rischiando di inciampare. Non le aveva mai parlato in quel modo. Mai. << Hai sempre fatto i tuoi interessi o quello che diceva tua madre! Non hai mai fatto niente per me! Mentre io, idiota, al contrario ti sono sempre stato vicino, mi sono fidato di te e… dannazione! >> esclamò, portandosi le mani alla testa, gli occhi lucidi, passandosi una mano nei capelli. Persefone non l’aveva mai visto così distrutto. Non sapeva cosa dire. Non sapeva come reagire. << Faith, io non so cosa tu volessi e non so se tu abbia mai cercato di non farmi del male, ma l’hai fatto. L’hai fatto comunque e questa cosa mi fa morire dentro, perché eri l’unica persona che mi era rimasta ed ora non ho più neanche te. >>
Persefone abbassò le braccia, portandole lungo i fianchi, con il cuore ormai a brandelli e gli occhi che le bruciavano per il pianto e la stanchezza insieme. Aveva distrutto tutto quello che aveva costruito. Aveva distrutto lui, l’unica persona che le fosse mai stata davvero accanto. Il senso di colpa minacciava di divorarla dall’interno, ma si fece forza e si avvicinò a lui piano, la voce calma ed una specie di sorriso dolce ad illuminarle il volto pallido.
<< Hai presente quando chiudi gli occhi stringendo le palpebre, per concentrarti e vedi tutto nero? E poi quando li riapri vedi tutto sfocato e a mano a mano che riprendi a scrivere qualcosa torna tutto di nuovo a fuoco. Forse tu non lo ricordi, ma questo era esattamente quello che facevi tu durante gli esami all’università. Ed io ti osservavo, ogni tanto, alzando gli occhi dal foglio e sorridevo. Mi piaceva guardarti nel tuo ambiente, immaginare come lavora il tuo cervello geniale, osservare i tuoi sforzi doloranti, per me erano quelli i momenti d’oro. Perché tu sei geniale, Ades. >> disse Persefone. Ades non avrebbe voluto, ma il suo corpo rispose alla lusinga e lui arrossì. << Io posso solo immaginare quali sforzi debba compiere il tuo cervello, perché analizza e ricorda tutto, troppo ed allora poi si stanca e vorrebbe risposare, ma non può. E non può, perché in realtà vive di conoscenza, non ha bisogno di ozio, ma solo di svago. Ed io ti conosco, solo che a te piace solo risolvere calcoli e non scrivere temi. E so anche che ogni volta che potevi tu guardavi me e soffrivi, perché tu mi amavi, ma io no. E credimi Ades, anche essere la parte amata fa male. Ogni volta mi chiedevo se potessimo continuare ad essere amici, se magari ti avessi dato false speranze con una parola o un gesto, se magari un giorno mi saresti piaciuto anche tu. >> continuò Persefone, poi fece una pausa. << Nessuno parla mai di chi sa di essere amato, tutti parlano solo di un amore non ricambiato. È giusto così, perché sono più gli amanti che gli amati consapevoli di esserlo, dico solo che nessuno parla mai dell’altra parte. C’è sempre qualcuno che ti ama, ma non ti basta mai, perché la verità è che egoisticamente tu apprezzerai di più la persona che ti interessa ma che non ti vuole. >> continuò lei, per fermarsi in seguito a guardare il pavimento, lo sguardo serioso. << Forse mi sono lasciata condizionare da mia madre, non lo nego, ma dopo averti conosciuto, io mi sono affezionata davvero a te. Quindi per favore Ades, non dire che non ti ho mai amato. Ti ho ingannato, ti ho mentito, ti ho ferito, ho fatto tante cose brutte, che non giustifico ma fra queste non c’è il peccato di cui tu mi accusi. Io ti ho amato fin dal momento in cui te l’ho confessato. Io ti ho sempre amato davvero, completamente, interamente. >> concluse, con le lacrime agli occhi ed un buco nello stomaco.
 
Allison gli strinse la mano per tutto il tempo in cui le infermiere lo visitavano. Una volta che furono uscite, Scott la guardò e le sorrise. L’occhio sinistro era mezzo aperto e non riusciva a fare più di così, perché il taglio era troppo vicino alla palpebra e gli faceva male ogni volta che la muoveva. Probabilmente sarebbe comunque guarito in pochi giorni, perché il taglio non era superficiale, ma neanche troppo profondo. Allison cercò di fingere che andasse tutto bene e non parlò finché lui non cominciò.
<< Come stai? >> chiese Scott.
<< Starò meglio. >> rispose Allison, le dita bollenti perché le mani di Scott erano belle calde. << Non avrei dovuto portarti con me. Sarebbe potuta finire peggio di così. >>
<< Senza di me, sarebbe potuta finire peggio. Come al solito, sei tu che ne hai pagato le conseguenze. Fai sempre l’eroe ed io ho sempre troppa paura di perderti. Avrei dovuto fermarti. È colpa mia. >>
<< Tu sei sempre troppo gentile. >> replicò Scott, accarezzandole una guancia.
<< E tu sei sempre troppo buono. >>
<< Siamo una coppia vincente. >>
Allison scoppiò a ridere, anche se le sue labbra cominciarono a tremare e la voce le si incrinò. Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma le cacciò indietro. Non voleva che Scott la vedesse piangere per una cosa così stupida. Ne erano sempre usciti fuori e lo avrebbero fatto anche ora, non c’era di che preoccuparsi. Non sarebbe morto più nessuno.
<< Scusa, io… scusa. >> mormorò Allison, lasciandogli la mano ed asciugandosi gli occhi con le dita.
<< Ehi, non devi scusarti di niente, chiaro? >> ribatté Scott, guardandola intensamente, ma con tono dolce.
Ad Allison mancò un battito. La sua gentilezza la faceva sempre crollare a picco, non ne conosceva il motivo. Aveva scelto di essere gentile, perché nessuno lo era mai stato con lei e quindi voleva diventare migliore e far stare bene gli altri. Però quando qualcuno si dimostrava gentile nei suoi confronti la faceva sempre sentire bene, come se non se lo meritasse e per qualche motivo, le veniva da piangere. Sì, era stupido, ma era anche un aspetto di lei che le piaceva in fondo: dimostrava che era ancora sensibile, sebbene avesse passato tutto quello schifo.
<< Okay. >> disse Allison, alzando le spalle. << Mi abbracci? >>
Scott allargò le braccia e la strinse forte a sé, dandole un bacio sulla guancia.
<< La prossima volta che avrai paura, vieni da me e giuro che te la farò passare. >>
 
***
 
<< Melissa, ehi, Scott sta bene? Ho sentito che si è svegliato. >> disse John con un sorriso.
Melissa annuì.
<< Sì, a quanto pare sta meglio. Le sue ferite sono guarite tutte, tranne quella vicino all’occhio. >> rispose, ordinando le cartelle.
<< E tu? >> chiese. Melissa lo guardò. << Come stai? >>
<< Oh, io sto bene. Ho chiamato Rafe, sta arrivando. Era molto agitato, come al solito quando si parla di Scott e degli esseri sovrannaturali. >> sussurrò sorridendo per fare il verso a Rafe. John ridacchiò.
<< Senti, se hai bisogno di me, basta che mi chiami. Io vado a casa. >>
<< Okay. >> replicò.
John si voltò e fece per dirigersi verso la porta, ma un singhiozzo lo bloccò. Si girò e vide Melissa che cercava, senza farsi notare, di reprimere le lacrime, stropicciandosi gli occhi violentemente. Riprese le cartelle ed alzò lo sguardo, incontrando il suo. Balbettò qualcosa, poi gli sorrise, pensando che aveva fatto proprio una bella figura, sì, davvero e se ne andò lungo il corridoio.
<< Melissa! >> la chiamò John, correndole dietro. Una volta, sua moglie Claudia, gli aveva detto che aveva capito che lui l’amava davvero, quando l’aveva rincorsa per quella strada di New York, quando lei stava cercando di scappare da lui per trasferirsi da sola a Sydney e non fargli del male. Poi, però, era rimasta. Ed aveva anche saputo di essere incinta. << Melissa, fermati! >>
Melissa si fermò alla fine del corridoio, stringendo le cartelle al petto. Si voltò e John la guardò a lungo, soffermandosi su ogni particolare di lei, come i suoi occhi rossi o i suoi ricci stanchi che le ricadevano sulle spalle. Quando aveva perso sua moglie, credeva che non avrebbe mai amato nessun’altra donna con la stessa intensità con cui aveva amato lei ed era vero, perché ami ogni persona in modo diverso, ma la ami comunque. E lui amava Melissa e vederla in quello stato, lo faceva sentire malissimo.
<< Ho creduto di perderlo. >> confessò, guardandosi i piedi come quando faceva da ragazzina durante le interrogazioni. << Lui è la mia famiglia. >>
<< Lo so. Anche io ho avuto paura di perdere Stiles e ce l’ho ancora. Quindi so cosa si prova. Puoi parlarne con me, se vuoi. Puoi sempre parlare con me di qualsiasi cosa. Lo sai, non è vero? >>
Melissa gli accarezzò una spalla, sorridendo.
<< Grazie, John. >>
<< Le persone che ti vogliono bene ti stanno sempre accanto nei momenti peggiori. >> replicò John.
Melissa mosse un passo verso di lui, osservando il suo viso, le sue rughe, i suoi occhi, le sue labbra. Somigliava molto al figlio, ma aveva qualcosa che Stiles non aveva: quel luccichio che la faceva sentire importante quando la guardava. Probabilmente Stiles ce l’aveva quando guardava Lydia, ma a lei piaceva che John, proprio lui e nessun altro, la guardasse così. Rafe non l’aveva mai fatto. Gli allacciò le braccia al collo e si mise in punta di piedi per baciarlo. Lui, seppure sbalordito in un primo tempo, la strinse delicatamente a sé.
Melissa non si era mai sentita così bene. Mai, mai in tutta la sua vita, si era sentita così in pace con se stessa.
 
<< Ehi. >> disse Lydia, mentre Paige entrava in bagno per lavarsi le mani.
<< Ciao. >> rispose Paige, con due ombre sotto gli occhi.
<< Stai bene? >>
<< Non proprio, ma ce la farò. >>
<< Derek? >>
<< Sta bene. >>
<< Io e Stiles stiamo per tornare a casa, ma ho bisogno di chiedertelo: come facevi a sapere che io potevo conoscere chi sarebbe morto? Insomma, solo perché sono una Banshee o sai qualcosa che io ignoro? >>
Paige si rinfrescò la faccia ed i polsi, ma qualcosa le diceva che se non fosse tornata a casa subito, sarebbe svenuta lì davanti a tutti. Si toccò la pancia solo per un secondo, poi alzò le spalle.
<< L’ho immaginato. >>
<< So che hai letto il Bestiario. Ce lo hai detto tu stessa. >>
<< Non c’entra niente il Bestiario. Ho solo pensato che tu potessi saperlo per via dei tuoi poteri. Tu predici la morte, Lydia. Sai benissimo chi morirà. >> replicò Paige, scuotendo la testa. << E so che è un peso troppo grande da portare, ma è il tuo, purtroppo. Ed io ho il mio. >>
Lydia si morse un labbro, non capendo l’allusione di Paige. Era troppo lontana dai suoi pensieri, era qualcosa di troppo strano su cui riflettere. Incrociò le braccia, appoggiandosi con la schiena al lavandino.
<< Deucalion non era cieco. Jennifer gli aveva restituito la vista l’ultima volta in cui l’avevamo incontrato, ma tutti ce n’eravamo dimenticati. E poi c’è la profezia da spiegare. Quella è più facile, perché è già cominciata. Deucalion è quello che è morto per potere. Ne mancano solo due. Non possiamo salvarli, Paige. A questo punto, ho capito che non possiamo. >> disse Lydia.
Paige le mise le mani sulle spalle, guardandola negli occhi.
<< Non puoi salvarli tutti, Lydia. Devi accettare che, purtroppo, qualcuno di loro lo perderai. Devi solo sperare che non sia qualcuno a cui tieni molto. >>
Lydia annuì, ma ormai era troppo tardi: il cuore le era già crollato nello stomaco.  
 
L’ultima volta in cui aveva sentito la sua voce metallica era stata proprio in quella chiesa. Non avrebbe potuto immaginarla diversamente. Era come stare in una grotta in riva al mare ad ascoltare l’abbattersi lento delle onde contro gli scogli e gli uccelli cantare. Si accarezzò le braccia scoperte dallo scialle rosso, abbassando il capo. Non le andava più di litigare e nemmeno di urlare o di sentire la sua voce spezzata per il pianto, a causa sua. Si era rifugiata lì per chiedere perdono agli antenati, ma adesso si rese conto che era stato inutile. Aveva solo preferito scappare, piuttosto che affrontare lo sguardo di Ades: distaccato, freddo, deluso. In lacrime. Assente. O forse fin troppo presente. Fin troppo innamorato. Il loft di Derek sembrava troppo grande per due persone perse come loro. Due persone che non avevano mai avuto una vera casa.
<< Ti avrei amata comunque. >> esordì Ades, con quello strano schiocco che fanno le labbra quando sono troppo secche. Persefone alzò lo sguardo su di lui. << E tu lo sapevi. Tu sei sempre stata un passo avanti, furba come una volpe, quasi matematica a volte. Sapevi che però mi sarei ricordato per sempre di quello che avevi fatto, delle tue bugie e non avresti sopportato il mio sguardo inquisitorio addosso. >>
<< Avevo paura di perderti. >> disse Persefone, gli occhi grandi lucidi.
<< No, tu avevi paura di rimanere sola. >> ribatté Ades, scuotendo il capo. << Ed è questo che ti rende la persona più egoista che abbia mai conosciuto. >>
Persefone si strinse ancora di più nelle spalle, non sapendo cosa dire. Avrebbe voluto replicare che non era vero, che si stava sbagliando, ma c’era qualcosa dentro di lei che la bloccava. Forse era vero. Forse, dopo aver perso sua madre, lei aveva davvero paura di rimanere da sola con tutto quel potere, quell’enorme carico di responsabilità e voleva legare qualcuno a sé per sempre per non dover rimanere da sola a combattere. Ma lei non lo voleva. Non consciamente, perlomeno.
<< Non ho mai voluto tutto quello che è accaduto. >>
<< Lo so, ma è successo. Ed è successo a causa tua. >> disse Ades, le mani in tasca. I capelli biondi sembravano più scuri nel buio, come se la sua stella non rilucesse più. << Ho giustiziato un uomo per te. >>
<< Hai salvato delle persone innocenti. >>
<< L’ho fatto per te, non per loro. Ho montato su tutto questo casino per te, per cercare te, per proteggere te, perché amavo te. Mi sono preso la briga di venire qui da Londra, di conoscere gente nuova, di guadagnarmi la loro fiducia, per poi tradirli in quel modo. Ma che razza di persona mi hai fatto diventare? In cosa mi hai trasformato, Faith? >> chiese Ades, il tono di voce poco più alto, ma lo sguardo inorridito, rabbioso. << Se l’amore non ti rende migliore, allora non è vero amore, ma è un amore malato. Ed io sono guarito. >>
Persefone si sentì cadere. Le gambe stettero per cedere. Aveva la gola secca, le mani tremanti intorno allo scialle che minacciava di scivolarle dalle spalle. Le palpebre stavano per cascarle dal sonno, ma resistette, perché la situazione era troppo importante.
<< Che – che vuoi dire? >> chiese a scatti, con il cuore che le faceva un male cane nel petto.
Ades deglutì piano ed ogni suo battito di ciglia sembrava un decennio che passava.
<< Mi hai perso, Faith. Hai tirato troppo la corda. >> rispose Ades, senza guardarla negli occhi.
<< Se mi stai lasciando, lo devi fare guardandomi negli occhi. Mi devi dire che non mi ami più. >>
<< Io non sono come te. Io non mento alle persone che amo. >> ribattè Ades, con sguardo di fuoco, fissandola. Persefone quasi indietreggiò, come colpita da una freccia avvelenata. << Abbiamo chiuso. È finita. >>
Ades si voltò e camminò verso la porta come sempre, come se non fosse cambiato niente, come se fosse tutto normale. Persefone cadde in ginocchio, mentre la porta del loft le si chiudeva in faccia.
E scoppiò in lacrime. 






Angolo autrice:
Saaalve :3 So che non aggiorno da tempi immemorabili, ma ho avuto davvero moltissime cose da fare ed attualmente non so quando riuscirò a pubblicare di nuovo, ma godetevi questo capitolo! 
Serviva un pezzo di passaggio fra la prima battaglia ed il resto che sarà ancora più incasinato della prima parte, ma già molti nodi si sono sciolti in questo capitolo, più lungo dei precedenti comunque.
Andiamo al sodo: MA PAIGE. Ve lo aspettavate? I Daige sono una coppia meravigliosa, quindi speriamo in tanta felicità per loro due (tre) :3
E poi Ades e Persefone che si mollano ç_ç In realtà, in questo capitolo si vede un lato di Persefone che la farà risultare forse antipatica, perché non si capisce se si era innamorata di Ades anche se sua madre l'aveva spinta verso di lui o se lo ha ingannato fin dall'inizio, per non parlare della storia della profezia che ancora non si è risolta. Voi cosa ne pensate? State dalla parte di Persefone o da quella di Ades?
E poi, ovviamente, non poteva mancare un momento Scallison, perché quei due sono il mio OTP preferito (a parte gli stydia, ma qui c'è molto poco stydia). Ed anche il momento Malia/Peter è molto dolce e malinconico, perché alla fine lei ha sofferto molto per via di Peter e lui ancora non se ne rende davvero conto. Però sta cercando di cambiare, di capire la figlia. Meglio di niente, no?
Grazie a tutti quelli che recensiscono o inseriscono la storia fra le preferite/seguite/ricordate :)
P.s. Avete saputo della triplice vittoria meritatissima di Dylan agli MTV Awards?? *_* 
Alla prossima! :)
Erule
  
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