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Autore: difficileignorarti    14/04/2015    1 recensioni
Si rigirava tra le mani quei due anelli, senza sapere cosa pensare.
Era tornato a casa e li aveva trovati abbandonati, sul tavolino d’ingresso e di Emmeline non c’era più traccia: sembrava sparita nel nulla, proprio come aveva fatto lui l’anno precedente.
Non c’erano più i suoi vestiti e nemmeno quelli della bambina: aveva portato via tutto e se n’era andata e davvero non sapeva cosa pensare e fare.
***
Los Angeles non sembrava più la stessa senza la donna che amava: stava pensando di andarsene anche lui, cambiare aria, cambiare città, cambiare addirittura Paese, magari sarebbe potuto andare in India.
La sua vita era cambiata dalla sparizione di Emmeline e il rapimento della piccola Arabella.
A proposito, che fine ha fatto la loro bambina?
Sequel de "Gli stessi di sempre")
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’arrivo di Gustav e della polizia sembrava la risposta alle sue preghiere, ma era troppo presto per poter tirare un sospiro di sollievo. Liam era uno psicopatico criminale, doveva marcire in un manicomio e, invece, stavo puntando una pistola in testa a sua figlia e alla sua fidanzata. Come poteva, un uomo, fare del male a una bambina di soli pochi mesi?

Vide Liam poggiare la pistola sulla tempia di Emmeline. Vide la ragazza chiudere gli occhi, la vide mordersi le labbra. Poi sentì due spari, ma non ci aveva capito granché.

Gli avevano detto che Gustav aveva sparato a Liam, ma, nel frattempo, era partito un colpo anche dalla pistola del biondo, che aveva colpito la ragazza.

«Non mi lasciare» mormorò tra le lacrime. «Non ora che possiamo essere felici» sussurrò, stringendosela al petto.


Si vegliò di soprassalto, ricordando la sera precedente. Ma quell’incubo non era ancora finito: Emmeline era su quel letto d’ospedale, circondata da diversi macchinari, e quel bip assordante e fastidioso, gli ricordava che era viva.

Si passò le mani sul viso, cercando di svegliarsi. Si stropicciò un occhio, prima di afferrare una mano di Emmeline, fredda e immobile, e stringerla tra le sue mani calde. Le baciò il dorso della mano teneramente, appoggiandosi a quel materasso d’ospedale, nascondendosi tra le sue stesse braccia, prima di ricominciare a piangere.

Gli avevano raccontato che Liam era morto durante il viaggio in ospedale, e no, non gli era dispiaciuto per niente. Era quello che si era cercato fin dall’inizio. Finalmente potevano essere felici, doveva solamente aspettare che si svegliasse.

Tom voleva rivedere i suoi occhioni, voleva perdersi in quel colore simile al suo. Voleva stringerla di nuovo, baciarla, toccarla, amarla. Voleva che fosse sua per sempre, non vedeva l’ora di chiederle, di nuovo, di sposarla, di vederla in bianco. Quella ragazza lo aveva cambiato, e l’unica cosa che voleva fare davvero, era renderla felice. Se lo meritava davvero tanto.

Era stata colpita in un punto strano, tra il collo e la spalla. I medici dicevano che era stata fin troppo fortunata, che l’operazione era andata bene, ma le ore successive sarebbero state critiche. Non era ancora fuori pericolo.

La loro bambina stava bene. Era a casa con i genitori di Emmeline. Tom era rimasto con lei tutta la notte. E non aveva chiuso occhio. Non l’aveva vista per diversi mesi, e voleva osservarla in ogni minimo particolare. Era ancora piccolina, ma aveva il suo stesso naso, ma gli occhi e la bocca erano della mamma. Per lui era la bambina più bella del mondo, ma infondo era di parte, era la sua bambina.

Una mano si appoggiò, improvvisamente, sulla sua spalla, spaventandolo a morte. Saltò sulla sedia, girandosi. Bill era davanti a lui e gli sorrise imbarazzato, scusandosi con lo sguardo.

«Vai a casa a riposarti, rimango qui io con Em» gli sussurrò, sedendosi sulla sedia dall’altra parte del letto, di fronte a Tom, alla sinistra della ragazza. «Hai bisogno di dormire e Arabella ha bisogno di te» continuò piano, stringendo l’altra mano della ragazza. «Emmeline è fortunata ad averti» sorrise.

«Sono io quello fortunato, Bill» ridacchiò piano, baciandole di nuovo la mano. «Sai, lo scorso anno c’ero io su questo letto d’ospedale, e lei mi è sempre rimasta affianco, anche se non le era permesso di entrare» Bill sorrise. Se lo immaginava. «La sentivo la sua presenza, e voglio essere qui per lei, voglio esserci quando si sveglierà» giocò con le dita della ragazza. «Grazie» mormorò improvvisamente, attirando l’attenzione del biondo. «Voi avete evitato una strage» gli avevano raccontato che Bill e Georg avevano rotto talmente tanto i coglioni a Gustav per aiutare lui e la sua famiglia. Sarebbe stato in debito con loro per tutta la vita.

«L’avresti fatto anche tu» rispose Bill con una scrollata di spalle.


 
***


Ellen stava giocando con Arabella. Quella bambina era un amore, sorrideva continuamente, voleva costantemente giocare. Forse quel lato l’aveva preso dal padre. Aveva pochi mesi, era vero, ma era già una peste, birichina al massimo. Tale e quale al padre.

Georg le stava osservando dalla porta, sorridendo come un idiota. Quando era più giovane, non ne voleva sapere di avere dei figli, ma in quel momento, voleva prendere Ellen e concepire un bambino lì, seduta stante. Aveva visto Tom cambiare in quei mesi, anche durante la gravidanza. L’aveva visto anche esausto, era vero, ma l’aveva anche visto quando era nata sua figlia, sembrava un altro. Doveva essere una gioia immensa, e voleva provarla pure lui.

«Guarda chi c’è! Lo zio Georg!» mormorò Ellen, osservandolo dolcemente, con Arabella tra le braccia. Georg sorrise, avvicinandosi alle due, sedendosi sul pavimento, di fronte a loro. Arabella lo fissava, la faccina seria. Il ragazzo fece una faccia buffa, facendo sorridere la bambina. «Come sta Tom?» gli chiese, cercando di non ridere davanti alle sue espressioni ridicole.

«È distrutto» alzò le spalle. «Non vuole staccarsi da Emmeline, va fuori di testa quando i medici gli chiedono di uscire» ridacchiarono appena. «Ma lo capisco, sai? Io farei la stessa cosa» Ellen sorrise dolcemente, avvicinando il viso a quello del ragazzo, cercando un bacio, che non tardò ad arrivare. «Ti amo, piccola» sussurrò sulle sue labbra.

Ellen sorrise, commossa. Non glielo diceva spesso, e quando lo faceva, era sempre un’emozione unica sentirglielo dire.

«Voglio un figlio, piccola» mormorò anche, facendole sgranare appena gli occhi dalla sorpresa. «Lo voglio presto» sorrise.

«Su questo possiamo lavorarci» sorrise maliziosamente, contenta, prima di baciarlo di nuovo.


 
***


Era uscito per fumarsi una sigaretta. Forse due. I suoi nervi avevano bisogno di rilassarsi, distendersi. Si sarebbe fumato anche una canna. Erano anni che non se ne faceva una. Ma non gli sembrava il caso, aveva una figlia, una certa responsabilità, e la sigaretta sarebbe bastata.

Era la vigilia di Natale, e Tom se ne stava a fumare da solo, al freddo, davanti ad un ospedale, perché la donna che amava era su uno squallido letto, in condizioni critiche. Era contento che sua figlia stesse bene, che fosse a casa, al sicuro, al caldo, con le persone che la amavano davvero. La notte prima non l’aveva abbandonata un secondo, aveva vegliato su di lei. E già non vedeva l’ora di rivederla, stringerla e baciarla.

Tornò dentro l’ospedale, si prese un caffè e qualcosa da mangiare dalla macchinetta e tornò nella stanza, dove riposava Emmeline. Quella sedia era scomodissima, ma non c’era di meglio.

Era pallida, con le occhiaie ben visibili, ed era terribilmente fredda.

Le posò un bacio sulla fronte, sfiorò il naso della ragazza con il suo, e le stampò un bacio tenero sulle labbra. Non voleva piangere di nuovo, ma sentiva le lacrime pronte a uscire.

«Non ti ho preso un regalo, quest’anno» mormorò, sedendosi, bevendo un po’ di caffè caldo. «Ma ti ho riportato i tuoi anelli, la fedina e quello di fidanzamento, quello che non vedo l’ora di rimetterti al dito» sorrise appena, stringendo la mano della ragazza. «Ti amo, piccola mia, e voglio rivedere i tuoi occhioni» soffiò. «Voglio ricominciare la nostra vita insieme, con la nostra bambina» ricominciò a piangere. «Ti amo» le disse.

Appoggiò la testa sul lettino, non lasciando la mano della ragazza. Piangeva, ma voleva dormire. Si sentiva dannatamente stanco, le palpebre si stavano facendo troppo pesanti. Erano giorni che non dormiva e ne aveva davvero bisogno. Pensando al viso della ragazza, al suo sorriso e ai suoi occhi, cadde in un sonno profondo e travagliato.


 
***


C’era buio ovunque.

Le faceva male tutto, soprattutto tra la spalla e il collo, nella parte sinistra. Non si ricordava molto, non sapeva nemmeno chi le avesse sparato, ma forse poteva averne un’idea.

Sentiva una presenza al suo fianco, sicura che fosse Tom, sentiva il suo odore. Era contenta di averlo lì, non vedeva l’ora di vederlo, di perdersi nei suoi occhi. Voleva aprire i suoi di occhi, voleva vedere in che condizioni fosse, voleva accertarsi di non essere in gravi condizioni come diceva il medico.

Aveva sentito ogni cosa. I medici, Bill, Georg, Ellen, i suoi genitori, persino il pianto della sua bambina. Voleva sorridere e ridere allo stesso tempo e, invece, era immobile.

Emmeline lottò, cercando di muovere almeno un dito, sforzandosi di aprire un occhio, ma invece cadde in un sonno profondo. Nuovamente.


 
***


Si svegliò di soprassalto, c’era qualcosa che non andava. Il bip di uno dei macchinari non era più a intermittenza, era continuo.

Sgranò gli occhi, alzandosi dalla sedia così velocemente da farla cadere sul pavimento. Si precipitò alla porta spalancandola.

«Un medico!» gridò preso dal panico. «Qualcuno mi aiuti!» continuò, vedendo arrivare di corsa un paio d’infermiere e un medico. Probabilmente erano già stati allertati. Entrarono velocemente nella stanza della ragazza, obbligandolo a rimanere fuori. Avevano tirato le tende intorno al letto in cui stava Emmeline, così che nessuno potesse vedere quello che stava succedendo.

Ricominciò a piangere violentemente, non preoccupandosi di trattenere i singhiozzi. Scivolò sul pavimento, prendendosi la testa tra le mani. Le persone che passavano e lo guardavano, gli lanciavano sguardi preoccupati, straniti e compassionevoli. Era davvero disperato: non poteva perderla, non doveva.

Voleva gridare, voleva alzarsi e distruggere quella parete a suon di pugni. Aveva un dannato bisogno di sfogarsi. E senza dubbio voleva salvarla da qualunque cosa stesse succedendo lì dentro, anche se non sapeva dove mettere le mani.

Non si accorse nemmeno dell’arrivo di Georg. Il ramato era di fronte a lui, inginocchiato di fronte a lui, preoccupato come non mai. Voleva sapere cosa stesse succedendo, ma Tom rimaneva lì, rannicchiato su stesso, con il viso nascosto.

«Tom, dannazione, cos’’è successo?» chiese allarmato, scuotendolo per le spalle.

«Emmeline…» soffiò. Era a malapena udibile, ma Georg lo sentì forte e chiaro e sgranò gli occhi, pensando al peggio. Tom non continuò la frase e l’amico pensò all’unica cosa che gli venne in mente.

«Tom non mi dirai che…?» deglutì, non continuando, non aveva il coraggio di finire. Gli faceva terrore. Tom alzò lo sguardo, smettendo di singhiozzare. Non doveva nemmeno pensarlo.

«No!» sbottò, incenerendolo con lo sguardo. «Credo che abbia avuto un arresto cardiaco» mormorò, riprendendo a piangere. «Non escono e non dicono niente» continuò piano: stava passando troppo tempo. «Georg, ti giuro, sto diventando vecchio, e questa sensazione non mi piace per niente» il ramato sorrise amaramente.

Lo aiutò ad alzarsi, a sedersi su delle sedie, scomoda quanto il pavimento, ma almeno non sembrava un disperato.

«Arabella sta bene, ha preso tutto da te, non va bene questa cosa» mormorò Georg, cercando di sollevare l’animo all’amico. Infatti, Tom sorrise appena. La sua bambina. «Ellen se n’è innamorata, sai?» il moro si voltò verso di lui, trovandolo a sorridere come un idiota, con lo sguardo perso nel vuoto.

Alzò un sopracciglio, improvvisamente divertito. Si asciugò le lacrime con la manica della felpa.

«Tu vuoi un bambino» mormorò, poggiandogli una mano sulla spalla, vedendolo annuire. «E comunque Arabella piace a tutti, con due genitori come noi, mi sembra logico» ridacchiarono. «E se diventerà come la madre, dovrò preoccuparmi fin da subito» scosse la testa, mettendo da parte la preoccupazione per la donna che amava. Arabella era una bella distrazione.

Stava per aprire di nuovo la bocca per parlare, quando vide la porta della stanza spalancarsi. Le infermiere uscirono senza guardarlo in faccia e questo lo preoccupò non poco. Scattò in piedi, aspettando il medico, che non tardò ad arrivare. Si chiuse la porta alle spalle e gli poggiò una mano sulla spalla, sorridendo appena.

«È stabile» mormorò, e Tom riprese a respirare. Quello era un bel peso che si era tolto. «Il suo cuore aveva smesso di battere e fortunatamente se n’è accorto subito» spiegò. «Con un po’ di fatica siamo riusciti a riprenderla, ora sta bene, la terremo sotto controllo nelle prossime ore, ma dovrà rimanere tranquilla, quindi niente visite» a quelle parole il moro ci rimase di merda, ma non disse nulla. Si limitò ad annuire e a ringraziarlo con lo sguardo.

«Si riprenderà» sussurrò Georg, dandogli un paio di pacche sulla schiena. «Vieni, andiamo a mangiare qualcosa» sussurrò, ma negli occhi di Tom lesse il desiderio di rimanere lì, a sorvegliare comunque su di lei. «Starà bene, ma avrà anche bisogno di te nel momento in cui si sveglierà, quindi vieni a mangiare e non dire bau» mormorò, sorridendo appena. Tom forzò un sorriso e, con un ultimo sguardo alla porta, decise di seguire Georg da qualche parte.

Stava morendo di fame a dir la verità.


 
***


Era il secondo hamburger che divorava sotto lo sguardo felice di Georg. Doveva riprendere le forze, doveva riprendere quei chili che aveva perso in quelle settimane. D’altronde Emmeline e Arabella avevano bisogno di lui.

«Allora, avete deciso una data?» chiese Tom, pulendosi la bocca con un tovagliolo: Dio com’era buono quell’hamburger. Georg lo guardò, non capendo. Aveva la testa tra le nuvole. «Il matrimonio» sorrise.

«Oh» mormorò imbarazzato il ramato. «Bè, l’avevamo decisa sì, ma con questa storia abbiamo deciso di aspettare un po’» spiegò, mentre Tom annuì, capendo la situazione. «Vogliamo che ci siate anche voi, vogliamo una Emmeline in forze e felice» a quelle parole il moro annuì dolcemente. «Voi avevate in mente qualcosa?» quella volta, Tom scosse la testa.

«Avevamo pensato a un giorno dopo la nascita di Arabella, ma poi è successo questo casino, e abbiamo lasciato stare» mormorò piano. «Ma le rifarò la proposta al più presto e vorrei che succedesse tutto entro un paio di mesi, non posso aspettare ancora» sorrise tiratamente. «Voglio renderla felice, voglio che si dimentichi di tutto il male e il dolore che l’ha fatta soffrire negli ultimi mesi e negli ultimi anni, voglio la sua felicità, e voglio essere io a farlo, voglio essere il centro del suo mondo, quello che la protegge e tutto il resto» parlò così velocemente che Georg fece fatica a stargli dietro.

Sorseggiò la sua Coca Cola prima di rispondere.

«Tom, ma tu lo stai già facendo» rispose piano, guardandolo attentamente. «Tu la rendi felice, la proteggi, sei il centro del suo mondo, te l’avrà detto e ridetto almeno un miliardo di volte» gli disse, aggrottando le sopracciglia.

«No, Georg, non è vero» abbassò lo sguardo, giocando con il tovagliolo. «Se fossi stato in grado di proteggerla, adesso non sarebbe su quel letto d’ospedale, Liam non l’avrebbe rapita» puntò nuovamente lo sguardo negli occhi del ramato. «Dovremmo essere a Los Angeles, a programmare il nostro matrimonio, chissà, magari a cercare di dare un fratellino ad Arabella, e invece un cazzo!» sbottò, facendo saltare Georg sul posto.

«Ti senti in colpa» Georg diede voce ai suoi pensieri senza rendersene conto. «Tom, accidenti, non è colpa tua!» disse poi, alzando leggermente la voce. «Non farmelo ripetere mai più, per favore» mormorò il ramato.

Tom si limitò ad annuire, non molto convinto: aveva le sue idee e nessuno gliel’avrebbe fatte cambiare.


 
***


Ritornò in ospedale con la pancia piena. Aveva passato una buona mezz’ora a parlare con Bill al telefono. Sarebbe passato nella serata e avrebbe portato qualcosa da mangiare. Gli avrebbe fatto un po’ di compagnia. Anche Gustav l’aveva cercato, ma aveva evitato la telefonata: non voleva ancora parlare con lui. Avrebbe voluto fargli altre domande su due giorni prima, la sera dell’accaduto. Rabbrividì al pensiero. Non voleva proprio pensarci.

Voleva chiudere con il passato e pensare solamente al futuro. Quella era l’unica cosa importante per Tom. Il futuro.

Si bloccò davanti alla porta con uno stupido sorriso sulle labbra. Sua madre era al fianco di Emmeline e aveva portato con sé Arabella. La sua bambina era appoggiata alla sua mamma, a Emmeline, ed era la scena più bella che avesse mai visto negli ultimi mesi, nonostante la situazione. Entrò nella stanza, sorridendo appena a sua madre, che ricambiò con affetto. Le lasciò un bacio sulla nuca, prima di baciare teneramente la testa di sua figlia e la fronte di Emmeline.

«Ciao, mamma» sorrise, sedendosi al fianco della donna che amava e di fronte a sua madre. «Mi fa piacere vederti, e di vedere la mia splendida bambina» la bionda gli rivolse un sorriso carico d’amore.

«Ho pensato che portare Arabella qui, potesse fare bene a Emmeline» mormorò, osservandole. «L’amore che lega i figli ai genitori è immenso» sussurrò. Il ragazzo annuì, osservando Emmeline dormire profondamente, e Arabella addormentata sul petto della madre, con i pugni stretti. «Tom, tesoro» lo richiamò la madre, prendendogli la mano libera, attirando la sua attenzione. «Andrà tutto bene, i medici sono passati prima, hanno detto che sta migliorando, che è una donna forte» gli disse, sollevando un po’ il morale del ragazzo. Fece scorrere un dito sul braccio della ragazza, e vide la sua pelle rabbrividire. Sorrise, pensando che forse era davvero così: presto sarebbe tornata da lui.

«Grazie, mamma» sorrise, lanciandole uno sguardo.

«Figurati, tesoro» rispose. «Ora, Arabella ed io ce ne andiamo, siamo state qui tutto il pomeriggio, e forse vuoi rimanere da solo con la donna che ami» gli sorrise complice.

Arabella aprì gli occhi, puntandoli dritti sul padre. Tom sorrise, prendendola in braccio, donandole un bacio, e poi sfiorò il naso piccolo della bambina con il suo. La vide sorridere appena, muovendosi leggermente tra le sue braccia.

«No, mamma, mi fa piacere, non stare a preoccuparti» Simone scosse la testa, prendendo Arabella dalle braccia del padre. «Torneremo domani, o verrai tu a casa, non ci sono problemi, ma devi riposarti, hai un aspetto orribile» ridacchiò, facendolo sorridere divertito. «Ti voglio bene» mormorò, accarezzandogli una guancia.

«Anch’io te ne voglio, mamma» rispose dolcemente, prima di vederla uscire dalla stanza.

Sospirò, tornando a concentrarsi sulla mora. Strinse la sua mano, portandosela alle labbra, baciandone ogni dito con amore e tenerezza.

«Mi manchi da morire piccola, mi manca vedere i tuoi occhi, mi manca persino quando mi sbraiti contro perché faccio delle stronzate» sorrise amaramente. «Sai, Georg mi ha detto che vuole diventare padre ed io stavo pensando che magari, non subito se non vuoi, anche perché Arabella è ancora piccola, potremmo darle un fratellino o una sorellina» si ritrovò a sorridere come un’idiota. «Sai ogni tanto ripenso a quando mi hai detto che eri incinta, alla mia scenata disumana, per averti fatto soffrire, e non sai quanto mi sono pentito» le baciò nuovamente la mano. «Vedi? Mi ritrovo a parlare da solo» ridacchiò piano. «Voglio sentire la tua voce, voglio poter parlare di tante cose come abbiamo sempre fatto, anche le più stupide, parlare ore abbracciati nel letto» mormorò, trattenendo le lacrime. «Mi manchi amore mio» le ripeté, sfiorandole una guancia.

Emmeline, in realtà, era in uno stato di dormiveglia. Aveva sentito il peso della sua bambina, il suo calore, il suo odore. Avrebbe voluto stringerla al suo petto, con amore affetto e, a sua volta, essere stretta dalle braccia di Tom. Lui era lì, lo sapeva, gli stava stritolando una mano. Probabilmente, nemmeno se ne stava accorgendo.

Ricambiò piano la sua stretta, cercando di aprire gli occhi. Le dava fastidio la luce in una maniera assurda, e dovette strizzare gli occhi più volte prima di abituarsi. Tom non si era nemmeno accorto di niente. Le veniva da ridere, ma le faceva male tutto, quindi si trattenne, non volendo rischiare di peggiorare la situazione. Aveva già avuto un arresto cardiaco e no, non era stato per niente divertente.

«Mi stai frantumando una mano» gracchiò, chiudendo gli occhi. Tom sgranò i suoi, portandosi la mano della ragazza sulla guancia, allentando un po’ la presa, preoccupato, ma felice allo stesso tempo. La vide voltare appena la testa verso di lui, gli occhi semi-aperti e una sorta di sorriso sulle labbra.

«Ciao» la salutò Tom, felice di vederla. Sorrideva come un’idiota. Era davvero felice come il giorno di Natale, e mancavano poche ore. Il suo regalo l’aveva già ricevuto. «Come ti senti?» le chiese.

«Ho male ovunque, Tom» mormorò piano, deglutendo e bagnandosi le labbra. «Sto morendo di sete e devo andare in bagno» continuò. Il moro sorrise appena, sporgendosi per baciarle la fronte e poi le labbra. La ragazza non si tirò indietro, ricambiando il bacio. Era casto e dolce e puro. Era il loro marchio di fabbrica.

«Chiamo l’infermiera, okay?» chiese e lei annuì, sospirando appena. «Non ti muovere» le disse scherzando.

Emmeline alzò entrambe le sopracciglia, come a volergli domandare: dove dovrei andare?


 
***


«Le è andata bene, sa?» le disse il medico, una volta finito di visitarla. Emmeline lo guardò, ma non rispose. «Okay, signorina, la terremo qui qualche altro giorno, sotto osservazione, poi potrà tornare a casa» aggiunse, sorridendole appena. «Non si sforzi troppo, però» le puntò un dito contro, prima di voltarsi verso Tom, in un angolo, a braccia conserte. «Si prenda cura di lei» il moro annuì, prima di vederlo uscire.

«Ti prenderai cura di me?» chiese Emmeline piano, osservandolo attentamente.

Tom sorrise, avvicinandosi a lei, sedendosi sul letto al suo fianco, prendendole una mano, portandosela alle labbra.

«Sempre, piccola» mormorò, facendola sorridere. «Non ti lascerò in pace un secondo, non ti libererai mai di me» ridacchiarono appena. «Non voleva suonare come una minaccia, però» le strizzò l’occhio, divertito.

«Lo spero proprio» mormorò Emmeline, contenta. Era tutto quello che voleva. La sua famiglia, il suo uomo, la sua bambina. «Come ti senti?» gli chiese, sfiorandolo attentamente. Passò l’indice sul suo volto, tastando la sua pelle morbida.

«Stanco, ma felice» le sorrise. «Non sai quanto mi hai fatto preoccupare, piccola» mormorò, rattristandosi improvvisamente, avvicinandosi quanto più possibile alla ragazza. Passò una mano tra i capelli scuri e corti di Emmeline.

«Va tutto bene, Tom, è tutto finito» mormorò, piegandosi in avanti, appoggiando la testa sulla spalla del ragazzo, respirando il suo odore. Si sentiva a casa. «Staremo bene» continuò, mentre Tom avvolgeva il suo corpo tra le sue braccia, baciandole il capo con affetto. «Ti amo, tanto, tanto» mormorò, baciandogli il collo, chiudendo gli occhi.

Tom sorrise e avvertì un fremito corrergli lungo la colonna vertebrale nel momento in cui le labbra della ragazza toccarono la sua pelle.

«Ti amo anch’io, piccola, lo sai» rispose lui, continuando a stringerla. «Ma non provocarmi» mormorò, ridacchiando. Emmeline uscì dal suo nascondiglio, guardandolo dritto in faccia, chiedendogli scusa con lo sguardo. «No, non ce n’è bisogno, lo sai che ti adoro, amo vivere l’intimità con te, ma questo non mi sembra il momento adatto» la mora arrossì violentemente, cercando di liberarsi dalle braccia di Tom che, invece, rideva come un’idiota. «Non ti allontanare, non c’è bisogno di essere timidi, siamo una coppia è normale» continuò a sorriderle, vedendola così agitata e nervosa. «Ehi, calmati» le baciò una guancia.

Emmeline si sentiva così stupida. Non era la prima volta insomma, non sapeva perché fosse così imbarazzata. Scosse la testa, come a volersi riprendere e sorrise, avvicinando il viso a quello del ragazzo, cercando le sue labbra, trovandole poco dopo.

E con quel bacio si ripeterono quanto si amassero, quanto tutto quel dolore li avrebbe resi più forti e uniti. Erano di nuovo loro e con una bambina da crescere.



 
**********


Haloooo popolo di efp! 
Questa volta sono riuscita ad aggiornare prima del previsto: il mio cervello questa settimana sembrava una macchina da scrivere, quindi mi sono adattata. lol, a parte gli scherzi, qui c'è un nuovo capitolo. Stavo ragionando tra me e me e non so dirvi con precisione quanti capitoli manchino alla fine di questa storia, potrebbe essere il prossimo, come potrebbe essere fra quattro o cinque. Quindi aspettativi una probabile fine già dal prossimo (ma, ripeto, con questo non dico che il prossimo sia l'ultimo).
Vi è piaciuto il capitolo? :) 
Se volete potete lasciarmi una recensione, mi fa piacere leggere le vostre opinioni.

Un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti.


 
 
 
   
 
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