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Autore: Fireflie    16/04/2015    3 recensioni
"Mitsui ride e, per un attimo, ti sembra il ragazzo d’oro, quello di cui Kogure aveva parlato, spensierato, imbattibile. Ti rendi conto per la prima volta di che tipo deve essere stato, prima che tutto il casino col ginocchio succedesse, di come doveva brillare, sembrare perfetto e inafferrabile, così avanti rispetto al resto dei suoi compagni da non riuscire mai ad integrarsi completamente."
[Mitsui/Ryota, con accenni piuttosto definiti di Ryota/Ayako e Tetsuo/Mitsui]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hisashi Mitsui, Ryota Miyagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Personaggi tratti dal manga di Takehiko Inoue. Nessun riferimento a fatti o a persone reali. Naturalmente non c’è niente di mio e non traggo alcun guadagno dalla pubblicazione di questa storia.
Note: • Prima di tutto un ringraziamento a Eowie che mi ha betata con infinita pazienza e mi ha beccato gli appena 128625783402 'solo' all’interno della fic. Un giorno verrà fatta santa, credetemi. E poi anche per aver trovato la canzone perfetta per il titolo, che è la loro canzone e basta. A tal proposito, se andate a leggere il testo, vi renderete conto che è anche la canzone del Tetsuo/Mitsui e, sempre a tal proposito, io scriverò questa fic dal pov di Mitsui un giorno perché ora ne sento il bisogno e il Tetsuo/Mitsui è uno dei miei OTP assoluti.
• Titolo preso da Summerlong di Kathleen Edwards.
• Per tutto il resto vi rimando alle note finali perché sì. XD



(You've Got Me) Feeling A Brand New Way



Il pugno di Mitsui sembra perforarti l’addome e qualche organo interno, maciullando muscoli e tessuti con la sua potenza; eppure continui a batterti senza sosta, incurante del dolore, delle energie che si spengono, nonostante la paura folle di quello sguardo selvaggio, violento.
Allora, mentre il resto della banda ti accerchia, il ragazzo ti agguanta e ti butta a terra – vuole finirti, renderti innocuo, mettere a tacere la tua spocchia che ha generato tutto questo. Il suo corpo addosso è troppo pesante dapprima, ma approfitti di un suo improvviso sbilanciamento mentre cerca di mettersi cavalcioni sopra di te per ribaltare le posizioni e sferrargli una testata che si infrange letale sulle sue labbra e sul mento. Lo strattoni, lo ferisci ancora, e ancora, finché è instabile sulle gambe.
Poi una grandinata di colpi arriva da ogni dove, merito di Hotta e degli altri che giungono in soccorso, e ti manda giù, svenuto in un lampo, finalmente spezzato.

Quando ti risvegli è il bianco abbacinante delle pareti dell’ospedale ad accoglierti, con ancora impressa a fuoco la forma della sua mano chiusa contro la pelle.
Il resto sono ricordi confusi: c’è il suo viso, il suo ghigno, i suoi capelli scompigliati dal vento che tirava sul tetto della scuola, sangue e urla ovunque, l’odore di birra e sigarette e sudore.
E quegli occhi, di chi ha perso tutto e non si aspetta di riguadagnare niente.

*

Quelle della guarigione sono settimane di continui spasmi e dolori ovunque, e in alcune occasioni ti sembra quasi di poter sentire un buco vuoto dove prima avevi la milza. La convalescenza dopo l’operazione è lunga, rende il tempo inesauribile, lo dilata all’infinito come non credevi possibile.

Un paio di volte, quando sei ancora ricoverato, passa a farti visita Kogure, l’unico a cui, fondamentalmente, credi freghi qualcosa della tua salute – il resto della squadra è perso in una nuvola fumosa di volti senza lineamenti ai quali non riesci nemmeno più ad associare i giusti nomi; i compagni del terzo anno ormai lontani lungo il cammino verso il futuro.

E c’è Ayako, con i suoi ricci morbidi, lo sguardo sveglio, che non si fa né vedere né sentire, e la cosa non ti stupisce più di tanto.
È proprio durante quel periodo che l’idea di lasciarla perdere ti sfiora, in maniera subdola ma costante. Bloccato a letto, senza via di fuga dai tuoi genitori e dalle infermiere, hai atteso così tanto il suo arrivo che, alla fine, con la mente annebbiata dagli antidolorifici, hai iniziato a credere sia stata un parto del tuo cervello, niente di reale, un’idea da inseguire e cullare nei momenti più duri.
Si è unita al resto dei tuoi compagni sul limitare della dimenticanza.

Solo quando l’effetto dei medicinali arriva alla fine torna la lucidità e, con essa, il volto della ragazza affiora come increspato dall’acqua, sfocato, galleggiante nel nulla, così distante e inafferrabile da farti perdere la speranza.
E l’onda di tristezza torna, subdola, e resta con te fino al successivo giro di analgesici.

*

Ti rimetti prima di quanto tutti avrebbero immaginato, anche se a te sembra di averci messo una vita intera.
Il nuovo anno scolastico è iniziato ma delle lezioni perse ti importa poco, vuoi unicamente tornare a giocare a basket e riprendere a bighellonare in giro nel tempo libero, ora che l’estate è alle porte e la brutta stagione definitivamente alle spalle.

Una parte di te spera di non imbattersi in Mitsui nei corridoi della scuola – sai che niente di buono verrà da un altro vostro incontro: lui è uno che non molla, tenace come una bestia ferita, e tu provocato non sapresti tirarti indietro.

Ci pensi e ripensi man mano che il giorno del rientro si avvicina, e una strana ansia ti cresce dentro, diventando sempre più grande e incontenibile.
Ti convinci sia legata al dolore che hai provato, all’abbondante mese trascorso in ospedale, alla mancanza degli allenamenti, dei tuoi compagni e, soprattutto, di Ayako.
Però sai che non è proprio così, anche se non riesci ad indicare quale sia la ragione.

*

Quella mattina decidi di saltare le lezioni, perché è Venerdì e non hai davvero voglia di partecipare, vuoi solo giocare a basket ora che stai di nuovo bene.
Arrivi persino in anticipo da tanto è il desiderio di ricominciare, e decidi di aspettare il tempo che avanza vicino alla palestra, cullando la speranza di non essere visto, di riuscire a scamparla, anche se dentro di te sai quanto sia vana.
Infatti, naturalmente, non ti limiti ad imbatterti in Mitsui, ma scoppia un tale inferno che costerebbe ad entrambi la sospensione e la chiusura del club se non fosse per gli amici di Hanamichi e Hotta che si prendono la colpa al posto vostro.

È durante la rissa in palestra che lo vedi per la prima volta: una figura alta e forte, il viso segnato, dieci anni in più di quanti dovrebbe averne per andare in giro con una banda di teppistelli del liceo.

Sono momenti chiassosi, in cui tutti pestano tutti, senza ordine o criterio preciso. Ti scontri direttamente con Tetsuo nel momento in cui lui e Mitsui coinvolgono Ayako – perché ciò che provi resiste dentro, anche se non credi che per lei sia lo stesso, ma non sei pronto a rinunciare a quell’affetto a senso unico, alla sua arguzia quando parlate nei corridoi della scuola, alla massa di riccioli così riconoscibile mentre si allontana da te.

L’impatto dei vostri corpi è di una violenza incredibile, che il parquet della palestra non riesce ad attutire quando rovinate a terra. Ossa e nervi ti fanno male, tutti insieme, in uno spasmo senza fine che ti porta a credere di averli rotti, danneggiati nuovamente, forse irrimediabilmente.
La capacità di ripresa di Tetsuo è maggiore della tua, la sua è una resistenza dovuta ad anni di scazzottate e risse, ed è in piedi in un attimo. Senti qualcuno afferrarti la testa, tenertela ferma mentre la fronte dell’uomo si schianta con tutta la violenza possibile sul tuo naso, sulle tue labbra. Ed è come un deja-vu: il suo viso così vicino, il suo ghigno, i suoi capelli scompigliati nella caduta, sangue e urla ovunque, e l’odore di birra e sigarette e sudore.
E allora pensi che è destino, che è scritto, che forse sei condannato a questa vita, a certe persone. Quel miscuglio di odori te lo riporta alla mente, fa parte di ciò che verrà in qualche modo, e questo ragionamento ti pare aver senso fino a che non perdi conoscenza per poco più di una frazione di secondo.
Ti riprendi quasi subito e scatti su come una molla, mentre Akagi fa il suo ingresso e si dirige verso Mitsui, l’imponenza del suo corpo che acquieta l’intera palestra, la sua autorità completamente dovuta, considerata.

La sua presenza è il punto di svolta, l’ingranaggio che scatta e rientra nella propria sede, e gli schiaffi che pianta sul viso di Mitsui sono il suo modo per intimargli di crescere, lasciare andare il passato a cui si è ancorato, disincagliarlo da quell’abisso di dolore in cui è sprofondato e dal quale non riesce a tirarsi fuori da solo. Quelle sberle gli fanno più male di tutti i pugni e i calci che ha preso nella sua vita, lo puoi leggere sul suo volto, nella maniera in cui non reagisce, nel rispetto ancora intatto che porta al capitano.
Poi per qualche istante è di nuovo un mare di tumulto e grida e disperazione e pianto incontrollato all’arrivo di Anzai.
E perdono. Lungamente agognato perdono.

*

È strano come di colpo le cose tornino alla normalità. Come la gente sappia andare avanti, lasciare indietro certi momenti che reputava importanti senza battere ciglio. All’improvviso il futuro che hai quasi toccato con mano viene spazzato via, allontanato con un taglio netto da parte di persone che sono fermamente intenzionate a tenere te e, ancora di più, Mitsui sulla retta via.

Così abbandoni di buon grado quella tua mezza carriera da teppista: ce la metti tutta, cerchi di dimenticarti quanto fosse bello saltare la scuola, prendere un treno per Tokyo e trascorrere lì la giornata, passeggiando tra i suoi vicoli colorati senza pensieri, e rientrare in tempo per gli allenamenti, ancora elettrizzato, e a casa fingere di aver studiato, che quella trascorsa è stata una giornata come le altre.

Adesso vai a lezione con diligenza; continui a ciondolare attorno ad Ayako cercando di impressionarla; ti alleni per il torneo ma, nel retro della tua mente, resta come una sensazione di vuoto, come se ciò che ti è stato tolto non fosse rimpiazzabile da nient’altro. Quella sensazione che riesci a trovare solo nelle giornate sprecate, nelle risse iniziate per delle sciocchezze, e che rivedi anche in Mitsui, mentre si butta la sacca in spalla ed esce dalla palestra, come agguantando la libertà in un qualche modo sommesso, l’unico che gli è consentito.

È nei lividi che fanno ancora male che riesci a trovare un po’ di sollievo – anche se ormai hanno raggiunto un colorito verdognolo, ti regalano comunque quel senso di familiarità che non riesci a ignorare.

Resti a galla nonostante tutto, immerso in una routine quotidiana stancante, risollevata dalle risa e dagli scherzi con Hanamichi, dall’impegno che metti nel basket e poco altro.

*

La curiosità ti divora a tal punto che a fine partita fatichi ad aspettare di essere negli spogliatoi prima di chiedere ad Hanamichi la ragione del ritardo e delle contusioni, a quale rissa si siano trovati in mezzo lui e Mitsui.

Il ragazzo più grande si sta sciacquando il viso con dell’acqua fredda, constatando i danni nello specchio tondo appeso sopra il lavandino. L’ematoma sullo zigomo sta iniziando a virare al viola, già gonfio come una prugna matura.

“Eh, Mitchi è corso in aiuto del suo fidanzato,” ridacchia Hanamichi, mentre l’altro si volta di scatto mormorando un fottiti ben scandito.

Sakuragi si getta su una panchina e riprende “Ryu e la sua banda hanno bloccato Tetsuo in un vicolo per riempirlo di botte, e Mitsui è intervenuto ma per via della promessa non poteva difendersi. Per fortuna io e l’armata siamo arrivati al momento giusto. Vero, Mitchi?”
Ride ancora, alzando le braccia al cielo come se gli applausi della folla cadessero su di lui come coriandoli.

“Ma stanno tutti bene?” chiede allora Kogure, allarmato.
“Sì, i ragazzi stanno bene. Tetsuo era un po’ malconcio, lo hanno pestato con una sbarra di ferro. Ma scommetto che lo sguardo che si è scambiato con Mitsui gli ha risollevato il morale.”

Un ghigno gli si apre sul volto, dopo di che afferra l’asciugamano e si dirige verso le docce, sotto l’occhiata rassegnata di Akagi che scuote il capo, e ignorando la replica poco educata di Hisashi, che si mette a sedere iniziando a spogliarsi – le sopracciglia aggrottate, il malumore quasi una presenza concreta che grave sulle sue spalle.

Tu non dici niente, sai che non caverai altri dettagli su quella storia, ma è una sorta di conferma, perché avevi immaginato che c’entrasse l’uomo – anche durante la rissa in palestra ti eri accorto di quanto fossero vicini e si comportassero da pari, e questa non è una cosa che si lava via così facilmente.

Apri l’armadietto e tiri fuori la divisa scolastica e, prima che sia il tuo turno di entrare in doccia, Mitsui ha finito di cambiarsi ed è già scomparso oltre la porta, senza salutare e senza voltarsi indietro.

*

La borsa si rompe a pochi passi dal negozietto. Si apre sul fondo lasciando cadere il cartone del latte, le mele che si spargono sul marciapiede in ogni direzione, e la confezione di uova, che emette uno strano suono bagnato appena tocca terra. Maledici l’intera volta celeste e ti acquatti per constatare l’entità del danno mentre il rombo di una moto si fa sempre più insistente e vicino.
Le uova sono tutte andate come sospettavi, ne resta una poltiglia arancione e viscida irrecuperabile, così raccatti velocemente il resto della spesa come meglio puoi e afferri la scatola per gettarla.

È in quell’istante che lo vedi, mentre ti sfreccia di fianco oltre il limite orario consentito. Poi la brusca frenata poco più in là e un “hey”, pronunciato con quella sua voce roca, resa ruvida dalle sigarette, dalle grida. “Sei l’amico di Mitsui, giusto?”
Amico è una parola grossa, pensi, ma sai che la domanda è retorica e non ti sprechi a fare un cenno col capo.

L’uomo spegne il motore, il ruggito si interrompe di colpo, e lui ferma la motocicletta al suolo con un piede, rimanendoci in sella; tira fuori un pacchetto sgualcito dalla tasca dei jeans e si accende l’ennesima bionda della giornata.

“Ti sei rimesso bene, eh?” dice, ancora una volta senza aspettarsi una risposta, offrendoti una sigaretta con un ghigno – la mano invitante a pochi passi da te, sempre pronto a tentare, a condurre sulla strada sbagliata. Scuoti la testa arretrando di un passo, in parte allarmato e in parte incuriosito dal suo trattenersi lì.
Ti domandi per quale motivo ti abbia parlato, la paura che voglia attaccare briga ti sfiora ma ha un’aria quasi cordiale e accantoni quel timore in fretta. E poi, poi la tua mente si aggancia alla frequenza giusta, comprendi la ragione.

Sei l’amico di Mitsui, giusto?

Lui si volta verso di te, lo vedi che cerca qualcosa da dire ma non avete nulla in comune e, ad ogni modo, tu non gli interessi per nulla. Pare quasi non voglia sembrare scortese e lo fa con quella sua aria dura, che scortese non lo fa sembrare affatto.
E poi te lo chiede, senza troppe storie, mentre ridesta la due ruote e il rombo sovrasta quasi del tutto la sua voce. “A Mitsui come va? Sta bene?”
“Se la sta cavando,” rispondi, “si sta rimettendo in piedi.”

Le tue parole su di lui sortiscono l’effetto di uno schiaffo in faccia, ma anche di un grosso sollievo e un sorriso lieve gli increspa le labbra; e allora pensi che forse non era semplicemente pronto a rinunciare, a lasciarlo andare, ma lo ha fatto lo stesso, perché era la cosa giusta e l’unica alternativa per salvarlo.
“Beh, allora ci si vede,” conclude poi, con un saluto rapido, mentre scivola via nella sera che sta iniziando a calare.

All’improvviso, riflettendoci, pensi che avresti dovuto dirgli che avete passato le selezioni, che andrete ai campionati anche grazie a Mitsui, ma sospetti lo sappia già e, comunque, non è questo il motivo che lo ha spinto ad accostare sul ciglio della strada quando ti ha sorpassato.
Resti a osservare la sua figura sparire in lontananza, con ancora la spesa in mano e un’idea che ti frulla nella testa.

*

Non la riesci a scacciare nemmeno giorni dopo, appena sceso dal treno che vi ha scaricati a Shizuoka per il ritiro con il Jousei. Con Hisashi che cammina al tuo fianco quel sospetto riemerge da sé, come se avesse vita propria – anche se la sua non è una presenza chiassosa e invadente come quella di Hanamichi, i suoi silenzi occupano tanto spazio quanto le urla dell’altro e, più spesso di quanto vorresti ammettere, ti domandi cosa gli passi per la mente.
Non osi dargli voce, però, né scomporlo e ridargli forma perché se non si rivelasse vero sarebbe solo frutto del tuo cervello.

Arrivato alla palestra ci vuole poco affinché i giocatori dell’altra squadra ti urtino i nervi e fatichi per trattenerti dal litigare ogni volta che uno di loro apre bocca. Dai la colpa alle ore di viaggio sulle spalle, e sai che è soltanto la presa letale di Mitsui sul tuo braccio a impedirti di esplodere e distruggere il sorriso del capitano avversario con un pugno secco pieno di odio.

*

Gli allenamenti distribuiti lungo l’arco della settimana sono sfiancanti, sempre costellati da un senso di nervosismo che riesci a stento a controllare e che, contrariamente a quanto avevi creduto, non si è esaurito dopo la prima dormita – il livido della stretta di Mitsui sta già sbiadendo sul tuo avambraccio, ne rimane un alone giallastro che si confonde con il colore della pelle, un monito in fase di declino.
Al mattino, appena metti piede sul parquet levigato della struttura, non vedi l’ora di fuggire, voltarti e andartene, uscire nell’aria fresca della sera e perderti nei vicoli bui della città, per poi finire col rintanarti nella stanza che condividi con Mitsui su decisione di Akagi che, di malavoglia, è stato costretto ad accoppiarvi.
Vuoi startene per i fatti tuoi e avere abbastanza tranquillità per riordinare i pensieri, così esegui i movimenti meccanicamente, e solo durante le partite sei attento, concentrato, rabbioso, sfogando sul campo tutta tua frustrazione.

*

Il cielo dell’ultimo pomeriggio di ritiro sta iniziando a imbrunire appena ad Est quando Hisashi ti raggiunge, gli altri ancora negli spogliatoi che si cambiano placidi, prendendosela con calma.

“Sgommiamo? Perché non ce la faccio più,” dice, e ha quell’aria cattiva sul volto, quella dei primi tempi, forse a causa della mascella affilata o della cicatrice sul mento – un tuo regalo, un marchio indelebile che lo accompagnerà per il resto della vita. E l’idea un po’ ti piace, perché ogni volta che la guarderà riflessa nello specchio si ricorderà sempre di te, e di quante botte vi siete dati, e magari sorriderà nel ripensare a quegli attimi, a quella giovinezza.
“Puoi scommetterci,” rispondi, e in men che non si dica lasciate indietro i cancelli della scuola evitando la sorveglianza del professor Suzuki e quella di Akagi, e finite in un bar poco distante dalla pensione, con ancora addosso le tute e le sacche in spalla.

All’inizio il barista tentenna, non vuole servirti della birra, ma Mitsui sembra di qualche anno più grande e alla fine lo convince. Due bottiglie diventano presto quattro e poi sei.
Ed è come addentare di nuovo la vecchia vita, quella un po’ sbandata che in certi momenti ti manca più di tutto il resto.

Durante quella settimana hai scoperto cose su di lui che non avresti mai immaginato, hai iniziato a conoscerlo, a conoscerlo veramente, ed è stato strano all’inizio apprendere di dettagli sulla sua famiglia di cui prima non sapevi nulla, dell’anno e mezzo in cui la sua vita è colata a picco, della banda, delle ragazze – ma mai di Tetsuo, di lui non parla mai, come se solo pronunciare il suo nome facesse troppo male, e ovviamente è l’unica persona di cui vorresti sapere tutto.
Non sono mai confessioni a cuore aperto, le sue, appena dei particolari sparsi qua è là, ma che hai raccolto uno dopo l’altro e conservato in un angolo della memoria come qualcosa di prezioso.

“Ultimo giro e poi andiamo”, dice, adocchiando l’orologio appeso alla parete dietro il bancone che segna già le dieci e un quarto.

Il liquido ambrato è fresco e scivola con facilità giù per la gola, ma la testa inizia a girarti e in uno dei restanti momenti di totale lucidità pensi che sia stata una cattiva idea bere con lui, sicuramente più abituato di te. Ma lui ti sorride, un po’ divertito, mentre prende in giro Hanamichi a cui è stato impedito di venire in ritiro, il malumore ormai lontano da voi.

E poi, poi pensi che questi attimi trascorsi insieme saranno ricordi, un giorno.

*

Quando uscite dal bar e vi infilate nel reticolo di vicoletti che portano all’albergo, l’impatto con l’aria fresca ti aiuta a smaltire in parte lo stordimento, ma hai poco equilibrio e la testa non accenna a voler smettere di girare. Mitsui ride e, per un attimo, ti sembra il ragazzo d’oro, quello di cui Kogure aveva parlato, spensierato, imbattibile. Ti rendi conto per la prima volta di che tipo deve essere stato, prima che tutto il casino col ginocchio succedesse, di come doveva brillare, sembrare perfetto e inafferrabile, così avanti rispetto al resto dei suoi compagni da non riuscire mai ad integrarsi completamente.

“Ce la fai?” domanda ad un certo punto, dopo che ti sei appoggiato al muretto di una villetta immersa nel buio. Si china verso di te per guardarti bene in faccia, come se fossi un moribondo a cui va controllato il respiro. Cerchi di spingerlo via ma scopri di non avere forza nelle braccia.
“Sì, ma devo fermarmi un secondo,” rispondi mentre alzi lo sguardo su di lui – la luce di un lampione lo illumina da dietro e il suo viso è parzialmente in ombra, scorgi solo il suo ghigno, gli occhi scuri luminosi. Allora ti sporgi e appoggi le labbra sulle sue, ed è forse la cazzata più grossa che hai fatto nella tua vita e giuri e spergiuri di non averci mai pensato prima, neanche una volta. Però forse non è vero, non sei mai stato troppo affidabile nei giuramenti.

Lui ti mette le mani sulle spalle nel gesto di allontanarti, immagini agganciandosi a quella parte di ragione che in lui ancora funziona, che gli intima di fare la scelta più sensata. Di colpo, invece, sembra ripensarci e ti attira a sé, approfondendo il bacio – che è il tuo primo, e lui non lo immagina, non sa delle volte che sei stato scaricato o ti sei semplicemente tirato indietro, coltivando il tuo amore per Ayako –, stringendoti contro il suo corpo come non ti era mai successo. Ed è strano, e sembra tutto sbagliato e anche bellissimo.

Un attimo dopo state nuovamente camminando in silenzio, l’edificio che vi ospita visibile in fondo alla strada. La confusione è tale da non essere in grado di dire quando il bacio è finito o se sia mai davvero iniziato, che quel momento non sia stato solo qualcosa che hai desiderato con così tanta forza da averlo creduto reale.

Sali le scale a fatica, ti getti sul futon ancora vestito e, senza nemmeno rendertene conto, ti abbandoni al sonno.

*

Le urla di Akagi si fanno largo nella tua testa con fatica, sono appena il ronzio lontano e fastidioso di un insetto, ma costante, inarrestabile. Nonostante questo fatichi a svegliarti, a tenere gli occhi aperti, i sensi ancora pigri a causa delle birre della sera prima.
Pian piano però la voce diventa sempre più chiara e nitida e ti tiri su a sedere, stordito getti uno sguardo verso la porta e la figura del capitano torreggia su quella di Mitsui, fermo tra lo stipite e la porta, che gli impedisce di passare oltre.
Akagi non sta proprio urlando, la voce appare così forte solo a te, ma non è nemmeno calma e il succo del discorso è che siete due cretini e che vi ha dovuto coprire con il professor Suzuki a cena.
Hisashi non ribatte, si limita ad incassare, e non si volta nemmeno quando ti alzi e afferri la divisa abbandonata su una sedia, anche se ha dato segno di averti sentito.
Sparisci in bagno e ti rifugi sotto il getto gelido della doccia, lasciando che l’acqua lavi via l’odore dell’alcol sulla tua pelle e ti schiarisca la mente, certo che se Akagi ti vedesse in quello stato peggiorerebbe solamente la situazione.

Quando ne esci Mitsui non è in stanza, ed è un bene, perché hai ricordi vaghi del bacio della sera prima ma non riesci ancora a comprendere se sia stato reale o meno e, nel caso, se avere il diritto di impazzire in tranquillità perché hai baciato un ragazzo.
Dopotutto credi sia un bene anche questo non poter fare chiarezza.

Stai racimolando le tue cose quando rientra, sembra il solito di sempre, né più né meno.

“Akagi è furente,” annuncia. Indossa la divisa scolastica e il suo borsone è già pronto, sistemato con cura in un angolo di fianco all’entrata. “Dov’è la tua valigia?” domanda ad un certo punto, mentre tu resti a guardarlo. E lui è così sereno che ti convinci di essertelo immaginato, perché i tuoi pensieri erano ancora incagliati lì, senza via scampo.
“Eh, non è pronta,” ammetti, e lui sbuffa roteando gli occhi e tu sorridi, perché va bene così. Non c’è niente di cui preoccuparsi, non è cambiato niente.

Però, in realtà, è cambiato tutto.

*

L’estate resiste ancora, arrampicata sulle cime degli alberi non accenna a lasciare il passo all’autunno. La porta della palestra è aperta, lascia entrare la brezza calda di inizio Ottobre.
Il tiro da tre descrive una parabola perfetta, un arco leggero in aria come guidato dalla mano di un dio, per poi entrare con grazia nel cesto.
Gli altri esultano ma tu non riesci ad unirti al gruppo. È un periodo difficile, di confusione, nel quale pur senza volere hai finito col mettere un muro tra te e il resto del mondo. Tra te e Mitsui.
Lui si volta a guardarti in quel momento, mentre i tuoi occhi sono ancora puntati sulla sua schiena tesa dopo il canestro.

Alla fine hai deciso che il bacio c’è stato, anche se non sei così sicuro da metterci la mano sul fuoco, ma è bastato affinché tutte le tue convinzioni saltassero. Guardi Ayako diversamente, perché ti ricordi cos’avevi provato quella notte nel vicolo, appoggiato contro quel muro, quanto lo avevi desiderato, così tanto da fare male, e quanto il tuo cuore aveva battuto forte quando lui ti aveva stretto a sé. Era qualcosa di molto simile a quello che sentivi per Ayako, ma più forte, più concreto. Più maturo. I tuoi sentimenti per Ayako sono sempre stati innocenti, puliti, non meno veri ma comunque il contrario di ciò che ti sei accorto di provare per Hisashi.

Adesso però Mitsui ti fa semplicemente rabbia, vorresti spaccargli di nuovo i denti, perché ti sembra che lui sappia come fare a superare tutto questo, che abbia un qualche segreto, i mezzi per restare il solito di sempre e non voglia condividerli con te, che stai cadendo a pezzi e non sei più sicuro di niente.

Il fischio della ragazza decreta la fine degli allenamenti e tu distogli lo sguardo dal suo e ti dirigi verso gli spogliatoi.
Ti ci attardi di proposito: lui è sempre uno dei primi ad andarsene e non hai nessuna intenzione di fare un pezzo di strada insieme.
Così quando esci dalla doccia credi di essere solo, invece lui è seduto su una delle panchine ad aspettarti, proprio di fronte al tuo armadietto.
Ti ha colto di sorpresa, la tua espressione lo dimostra, e il suo ghigno si apre ancora di più.

“Sei diventato sfuggente,” inizia, sempre con quel sorriso storto che vorresti rovinargli.
“Ma se sono qui di fronte a te,” è la tua risposta, che è una risposta schifosa ma hai il cuore in gola e non riesci a fare di meglio. “Togliti, devo rivestirmi,” continui poi, spingendolo via per recuperare la tua divisa, perché se dovrai avere questa conversazione non sarà senza abiti addosso.
È che un po’ ti fa paura essere così esposto, nudo sotto l’asciugamano, mentre lui è completamente vestito e ti guarda, quasi stesse rendendo chiara che è sua e solo sua la posizione di potere.
“Ti dispiace?” chiedi, con una certa stizza, come se non ti avesse visto già centinaia di volte nudo. Lui butta indietro la testa a ride, voltandosi e uscendo dagli spogliatoi, “ti aspetto qua fuori.”

Se potessi scapperesti da una delle finestre, ma non vuoi dargli questa soddisfazione, però una volta vestito non hai nemmeno il coraggio di uscire. Ti siedi sulla panchina, cercando di schiarirti le idee, di non farti cogliere impreparato.

“Ryota? Non fare il cretino, tra un po’ chiudono i cancelli della scuola,” il tono è vagamente esasperato ma c’è ancora una punta di divertimento in esso.
“Era soltanto un bacio,” aggiunge qualche istante dopo, “non deve necessariamente significare qualcosa.”

E in quel momento gli sei grato che non abbia specificato che sei stato tu ad iniziarlo, che te la sei cercata tu questa confusione, questo stare male. Però tu lo sai, e sai anche che lo rifaresti senza pensarci. Comprendi in quel momento che non ti serviva isolarti e prendere le distanze per venirne fuori, ma parlarne con lui, sentirti dire che andava bene così, che non sei in torto, in difetto per nessuna ragione.

“Dai, muovi il culo che è già buio,” conclude sbrigativo, e lo senti allontanarsi.

Quando esci lui è sulla soglia dell’ingresso, le mani in tasca, ti dà le spalle ma quando avverte la tua presenza si volta.

“Possiamo andare?” chiede, e tu fai un passo verso di lui mentre le luci nell’edificio si spengono, restano quelle esterne e il suo viso è parzialmente in ombra nella sera ormai calata. Allunga un braccio verso di te quando gli sei vicino e scorgi solo il suo ghigno, gli occhi scuri luminosi.
Ed è proprio come l’altra volta e va davvero bene così.

*

Non state insieme, non convenzionalmente, nel modo in cui avevi immaginato che fosse – non ci sono uscite insieme la Domenica pomeriggio, pranzi dai rispettivi genitori, non fate programmi per il futuro. Non parlate mai di cosa farete dopo la scuola, il vostro è uno stare insieme a tempo perso, siete pietre gettate in un lago che per caso, di tanto in tanto, la corrente spinge a toccarsi, e niente di più.
Questo avrebbe dovuto farti presagire qualcosa, avrebbe dovuto aprirti gli occhi. E invece.

*

Uscite dal centro sportivo insieme al resto della squadra. Noti l’armata in fondo, vicino alla passeggiata, che fa cerchio attorno a qualcuno e non ti ci vuole molto per accorgerti che è Tetsuo in sella alla sua moto. L’uomo vi scorge e salutando i ragazzi dà gas prima che riusciate ad avvicinarvi.

Quel che resta di quel momento è ben poco, se non le conseguenze e il dolore. Perché vedi come lo guarda Mitsui, come segue con lo sguardo il veicolo in mezzo al traffico del lungomare, ed è una dannata rivelazione quella che si apre in te, il sospetto di mesi che diventa certezza, che un po’ ti inquieta e un po’ ti affascina.
E poi è facile mettere insieme gli altri pezzi, crearsi un’immagine a tutto tondo: rischiare di venire pestato a sangue per salvarlo da Ryu; il non volerne mai parlare; la devozione totale che gli porta; e la storia del bacio, presa così alla leggera, con calma e naturalezza, perché lui ci era già passato, non era niente di nuovo.

I vostri occhi si incontrano e in quel momento capisci nel peggior modo possibile che quello che avete non è finito: è che non è proprio mai iniziato. Che del futuro non avete mai parlato perché un futuro non ci sarà – e neanche te lo aspettavi, sei ancora fermo su quella linea di confine sulla quale non ti piace stare e non sai bene se saltare da un lato o dall’altro.

Allora lasci andare, scansi la corrente che vi spinge insieme, rimani ancorato al fondo.
E poi, poi prendi la tua decisione e salti.

*

L’anno scolastico sta volgendo al termine e della spensieratezza di pochi mesi prima sembra non esserci più traccia.
I primi boccioli iniziano ad adornare gli alberi qua è là e l’arrivo dell’estate sembra imminente mentre esci nell’aria calda fuori dalla palestra.

“A Lunedì!” senti dire a Mitsui mentre ti supera diretto verso il cancello. Resti a guardare la sua schiena allontanarsi, la sacca gettata in spalla con noncuranza come sempre.

Non vi parlate più molto, non che lo abbiate mai fatto, ma ora sei il suo capitano e anche quel poco che c’è stato tra di voi ha smosso le acque a tal punto che ritornare ad essere quasi amici appare impossibile.

“Sei preoccupato?” ti domanda Ayako, avendo notato il tuo sguardo seguire la sagoma dell’altro.
“Nah, gli passerà credo.”

La verità è che non ne sei proprio così sicuro. Dopo ciò che è successo tra di voi e l’abbandono di Akagi e Kogure per prepararsi agli esami di ingresso all’università, Mitsui si è fatto più silenzioso e chiuso, distante, gli scoppi di malumore sempre più frequenti, eterni. Ha sempre avuto questa tendenza ad isolarsi, ad allontanarsi, ma ora hai paura. Paura che sia pronto a cancellare la strada fatta da un anno a questa parte e riprendere la vecchia via, quella facile, quella che lo accoglieva, accettava anche nello stato malconcio in cui era. Quella strada l’avete fatta un po’ insieme, fianco a fianco, e non vuoi vederlo mollare ora ma, soprattutto, non vuoi credere che l’alternativa sarebbe migliore, anche se entrambi tendete ad avviarvi sempre verso di essa.
E c’è Tetsuo, che forse lui proprio non dovresti sottovalutarlo nell’equazione della vita di Hisashi.

È che, anche dopo tutto questo tempo da quel pomeriggio davanti al centro, a volte vorresti prendere il coraggio a piene mani e chiederglielo, trattenerlo un attimo e dirgli “ma non ti manca? Quella vita distrutta, i giorni sprecati e quel senso di abbandono che però ti apparteneva così forte? Non ti manca la presenza di Tetsuo al tuo fianco, il suo sguardo che si posa sul tuo profilo mentre provochi uno più grande e più grosso di te? Sempre pronto a difenderti, a rinunciare a qualsiasi cosa per salvarti? Come fai a vivere sapendo di averlo messo da parte?”
Però è una forza che non trovi mai, allora lasci semplicemente perdere, ché Mitsui non si è mai sbilanciato e quel giorno non vi siete detti niente. Lui non si è mai spiegato e tu non hai mai chiesto.

Avresti solo voluto raccontarlo a qualcuno e sentirti dire “tranquillo, non è colpa di nessuno: se finisce è perché non era importante.”
Però cazzo se lo era.

*

Alla fine di Marzo i ragazzi del terzo anno si diplomano. Tra loro c’è Mitsui, il solito ghigno storto e la giacca della divisa aperta. I suoi genitori si avviano verso la sala del ricevimento e lui si avvicina con Akagi e Kogure al suo fianco.
Lo saluti goffamente e già sai che non lo rivedrai più, che quel momento è l’ultimo. Non siete mai stati amici, dopotutto.

“Allora che farai adesso?” gli chiede Ayako, dandogli un colpetto sul braccio con fare scherzoso.
“Credo mi troverò un lavoro. Con questo ginocchio nessuna università mi avrebbe preso e neppure qualche squadra minore.”

Però appare tranquillo, forse per la prima volta in mesi, e immagini abbia preso la decisione migliore, quella di cui non si pentirà.
Poi lo senti, il rombo della moto e, ancora una volta, ogni pezzo si incastra.

*

Ayako è seduta sul tuo letto, sta ripassando delle formule matematiche per l’esame di ammissione all’università ed è talmente concentrata da non fare caso a te, seduto ai suoi piedi, che sfogli una rivista di basket con fare svogliato.
Se tutto va bene lei andrà all’università e vi trasferirete entrambi a Tokyo, ti troverai un lavoro e magari frequenterai qualche corso di specializzazione. Lei fa progetti per il futuro, parla dell’arredamento, della casa, grazie a Kogure che le ha passato l’annuncio si è già trovata un lavoro part-time come commessa.
Cose che ti sono nuove, di cui non ti era mai capitato di parlare prima, ma non ti sembra affrettato né ti fa paura. È il normale corso della vita.
E il tuo amore per lei è ancora innocente e pulito come nient’altro potrà mai esserlo.

“Non sei contento di rivedere Akagi e Kogure?” domanda lei all’improvviso, le onde morbide dei suoi capelli che scappano alla prigionia dello chignon e si scompongono mentre tira su il capo di scatto. “Sarà bello riprendere i rapporti e non essere soli a Tokyo.”

Sì, sarà bello. Sorridi all’idea di rivederli, trovarsi a fare due tiri nei caldi pomeriggi domenicali, cenare insieme quando escono da lezione. Al contempo, però, loro due sono inscindibili da Mitsui, non sai bene per quale motivo, se sia perché avete fatto parte dello stesso club di basket o perché se ne siano andati tutti insieme ma, nel momento in cui la sua immagine ti invade i pensieri, quel vecchio senso di mancanza riaffiora.
Non lo hai più visto, nemmeno in giro, è come se fosse scomparso dalla faccia della terra, e lo sapevi che sarebbe finita così, ma fa un po’ male e un po’ schifo comunque.

Ayako sta appuntando qualcosa sul margine del libro con la sua grafia minuta e ordinata, e poi domanda “chissà che fine ha fatto Mitsui”, senza aspettarsi una risposta.
E a te torna in mente con chiarezza quella sera nel vicolo, dove il suo viso era parzialmente in ombra, ed eri riuscito a scorgere solo il suo ghigno, gli occhi scuri luminosi. Hai memoria di aver pensato che quegli attimi trascorsi insieme sarebbero diventati ricordi, un giorno.

Ma la verità è che bisogna ucciderli i ricordi, ucciderli sempre.



Note finali:

• Abbiamo evinto che le mie fic di Slam Dunk iniziano sempre con risse e mazzate varie. Va bene, accettiamo questo fatto e proseguiamo.
• Credo dovrei spendere due parole per la storia della milza mancante. Uhm, scrivendo la fic ho dovuto rileggermi il pezzo della rissa e proprio in funzione della sua assenza da scuola ho deciso di informarmi anche nel dettaglio sull’anno scolastico giapponese, e ho scoperto che hanno due settimane di vacanza tra un anno e l’altro, anno che finisce a Marzo e ricomincia ad Aprile.
Ora, detto questo, Ryota era in ospedale dalla fine del suo primo anno di liceo, quindi conterei almeno una settimana se non un paio, più le due settimane di vacanze, più il lasso di tempo che va dall’inizio del manga al suo rientro. Ciononostante quando è tornato tutti erano abbastanza stupiti che fosse già uscito, quindi ho pensato fosse qualcosa di grave che andava oltre contusioni e varie. A sto punto bisognava solo scegliere e io ho deciso per l’asportazione della milza perché a parte alcuni aggiustamenti nella dieta non crea problemi a livello fisico nel gioco – come poteva esserlo una frattura di qualche tipo o un danno simile a quello di Mitsui.
• Io… io ci ho provato, ragazzi. Ci ho provato ma non ho avuto la forza di separare Tetsuo e Mitsui. Sono i miei adoratissimi e si meritano di essere felici. Cioè, non lo so come ho potuto failare così pesantemente questa Mitsui/Ryota che doveva essere allegra! e felice! e invece è un mare di angst per il povero Miyagi. È che entro davvero in difficoltà a volte e la fic prende un po' la piega che vuole lei. Sigh.
• E basta? Basta. Spero sia decente e che vi sia piaciuta.


   
 
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