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Autore: Gaia Canale    16/04/2015    0 recensioni
"Lei lo osservava di sbieco, e fissava l'accenno di barba chiara che gli spuntava sulle guance rosee, e pensava a quanto poco servissero tutti quei discorsi preparati e contemplati nei momenti vuoti e senza senso"
Genere: Poesia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Le donnole intente

 
Era tanto bello quanto assurdo. Bello lo era perché dove c'era lui c'era il sole e la luce e la prospettiva di una vita migliore, assurdo perché nessuno poteva veramente sapere se lui fosse disposto a portare la sua aurea positiva nella vita di lei.
Lui aveva le sembianze caotiche di qualcuno che assiste e persiste nei piccoli frammenti di spazio di tutte le altre persone, qualcosa che urlava in silenzio che c'era, che esisteva, e che era la rappresentazione del cambiamento, della felicità, della fantasia, del miglioramento. Aveva questa cosa, questa cosa tutta sua, di estirparti la malinconia e di donarti sprazzi di animi gioiosi, di quelli che non trovi facilmente nel mezzo del mondo. 
Lei lo osservava di sbieco, e fissava l'accenno di barba chiara che gli spuntava sulle guance rosee, e pensava a quanto poco servissero tutti quei discorsi preparati e contemplati nei momenti vuoti e senza senso, a quanto poco fossero utili le raccomandazioni e le preoccupazioni della sua mente che, a freddo, creava giri di parole contorti e scollegati fra loro. Si ripeteva che le preparazioni non servivano a un bel nulla perché ogni qual volta se lo trovava di fronte, tutti i suoi piani si sgretolavano come mura bombardate, lei stessa veniva bombardata, non riusciva più a capire da dove provenisse quello scuotimento esterno e continuo e repentino che le scombussolava il sistema nervoso. Solamente quando si ritrovava in macchina, o nella sua stanza, o tra le note di due canzoni diverse che alternavano ritmi contrastanti capiva che quelle palle da demolizione arrivavano direttamente da Lui. La focalizzazione protesa verso ciò che le diceva era sempre meno definita, meno chiara, più complessa e prepotente, eppure le parole che sgusciavano fuori dalla bocca di lui erano limpide come acqua piovana. Trecentosettanta battiti al minuto e poi il suo cuore si bloccava tutto d'improvviso, i suoi occhi intensi sbirciavano il suo profilo e la matassa che si faceva strada nella mente s'ingarbugliava sempre di più.
Questi erano gli sfasi mentali, ed erano pesanti e di difficile gestione. Poi facevano capolino da attimi ritagliati e rubati ad altri, quelli fisici, quella scarica di elettricità statica che attraversava la spina dorsale ed era causa di pelle d'oca sulle braccia: quando le stringeva la mano, seppur per qualche gentile secondo, pareva che avesse immerso un piede nell'acqua gelida di una mattina d'ottobre; quando la guardava la consapevolezza che le sue attenzioni erano a lei dedicate le si tuffava nel petto.
E pioggia su un bambino che ride, e onde benevole, delicate, sulla sabbia bianca di un isola tropicale, e nettare di miele lavorato dal migliore apicoltore. Quattordici passi e una frase a metà tra la bocca di lei e le orecchie di lui erano qualcosa di troppo pesante in quella giornata d'aprile che pareva estiva. E lei avrebbe voluto saperlo davvero, avrebbe desiderato capire cosa lui pensava di questa ragazzina iperattiva e sguaiata e inopportuna come il polline dei pioppi primaverili. Ma non le era consentito saperlo, o almeno non ancora. Così non le restava altro che aspettare, aspettare che il tempo passasse veloce e che lui potesse riceverla nuovamente con quegli occhi dolci colmi di disponibilità, aspettare ansimando e bramando un secondo in più d'ossigeno che era la sua compagnia.
Non si può comandare la vita, lo sapevano entrambi, ed entrambi acconsentivano a questa palese verità che, passiva, riempiva il tempo di ognuno. Eppure, lei credeva, da qualche parte doveva pur esistere un angolo soffocato fatto di battiti irregolari e imprecisi dove loro potevano esistere, dove loro potevano essere, dove loro potevano amare. Amare tanto, amare forte. Amarsi l'un l'altro. Così, come donnole intente a farsi strada tra gallerie sotterranee e tane sporche di terra, loro si facevano strada tra la gente, tra i credi, tra le parole bisbigliate sottovoce per far in modo che rimanessero loro. Come donnole, piano piano, sforzandosi pazienti, s'amavano.
   
 
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