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Autore: Grey Chase    17/04/2015    0 recensioni
È buffo: mi sono sempre detta che non avrei mai scritto qualcosa di simile. Invece eccomi qua, a riempire fogli con parole senza senso. Da dove posso iniziare? Direi con un banale “ Caro Ashton”.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ashton Irwin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È buffo: mi sono sempre detta che non avrei mai scritto qualcosa di simile. Invece eccomi qua, a riempire fogli con parole senza senso. Da dove posso iniziare? Direi con un banale “ Caro Ashton”.

Caro Ashton,                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 molto probabilmente troverai questa breve lettera nel tuo libro di fisica perché, per ragioni incomprensibili ma quasi sicuramente legate al tuo odio smisurato nei confronti di questa materia, si trova ancora a casa mia e ho intenzione di restituirtelo. Inizio col dire che non ho alcuna intenzione di ferirti; voglio solo farti sapere come stanno le cose. La prima volta che abbiamo litigato seriamente tu mi hai detto che sono solo una “ bambinetta viziata che si diverte a fare la supereroina, quanto invece è la prima ad avere bisogno di essere salvata”. In effetti, avevi ragione. E non perché quell’idiota di Calum continua a ripetere da un sacco di tempo che tu sei la mia rovina e che puoi solo farmi entrare in brutti circoli, ma semplicemente perché ho sempre avuto bisogno di essere salvata. Da quando abbiamo incominciato a uscire seriamente, senza quello stupido ricatto a costringermi e senza regole o obblighi, io mi sono convinta che saresti stato tu a salvarmi. E mi sbagliavo. Mi rendo conto solo adesso che mettere nelle tue mani la mia salvezza è stata la cosa più stupida che avessi mai potuto fare.  Non posso dipendere da te e tu non puoi salvarmi, semplicemente perché nessuno può salvarsi da solo ma, allo stesso tempo, non può essere salvato da chi non ha ancora mendicato le sue ferite. E con la mia stupida convinzione egoista ho trascinato nel baratro entrambi. Per questo ti chiedo scusa. Mi dispiace così tanto, non avrei dovuto buttarti sulle spalle tutte queste responsabilità. Ma l’ho fatto, e adesso sto qui a cercare di rimediare ai miei errori. Di quelli ne ho fatti a bizzeffe. A incominciare da quella volta in cui ti ho versato il frullato di Luke in testa. Non era mia intenzione macchiarti irreparabilmente la maglietta, davvero. Così come non volevo che i tuoi capelli profumassero di cioccolato per un mese. In quell’istante volevo solo farti provare cosa si sente quando si viene umiliati in pubblico; ammettilo, con Cara hai esagerato.  Mi ricordo della prima volta in cui mi hai abbracciata, della prima volta in cui ti ho dato timidamente un lieve bacio sulla guancia, della prima volta che mi hai fatto il solletico per le strade di Sydney. E  mi ricordo della prima volta in cui mi sono accorta che eri cambiato veramente. Ero in ritardo e già mi aspettavo urla e rimproveri. Quando ti ho visto, però, mi sono ricreduta. Eri sempre lì, con il tuo giubbotto di pelle logoro e con le mani nascoste nelle tasche dei jeans. La bandana che ti reggeva i capelli era rossa e non nera, diversamente dal solito. La cosa che più mi ha colpito ( lo ricordo benissimo) è che, quando mi hai vista, mi hai fatto un sorriso enorme e bellissimo e io per la prima volta mi sono accorte delle tue meravigliose fossette. Mi ricordo anche quando  mi sono rifugiata nelle tue braccia  e tu, stranamente, mi hai accolta e mi hai stretta dolcemente, lasciandomi baci sui capelli. E tra le tue braccia ho scoperto quanto mi piaceva inebriarmi del tuo stupido profumo. Profumo che non mi è mai piaciuto – sappilo- ma che, cavolo, su di te era perfetto. E mi ricordo del nostro primo vero bacio, di quanto mi è piaciuto accarezzarti i capelli e di quanto mi sono sentita bene nel poterti stare così vicina senza che tu mi spingessi via. E mi ricordo gli appuntamenti, le notti passate a dormire abbracciati, i giri in moto, gli ingressi nella mia classe e le uscite da quella piccola porta mentre mi porti come un sacco di patate sulla tua spalla. A proposito, la mia prof di scienze ancora ce l’ha con me. Mi dice sempre che avrei potuto trovare un altro modo per attirare l’attenzione. Ma cavolo, io neanche ti volevo in classe mia. E mi ricordo anche i nostri litigi, i “ ti odio” urlati in mezzo alla gente, i tuoi stupidi scherzi e i tuoi silenzi insopportabili. Mi ricordo delle tue lacrime, dei tuoi sorrisi, delle tue scenate di gelosia, dei tuoi momenti di ira. Mi ricordo di te. Mi ricordo di noi. E mi ricordo di tutte le promesse che avrei voluto mi facessi ma che non mi hai fatto. E hai fatto bene a non promettermi niente: mi hai sempre detto che sarebbe finita, che era inutile promettermi un “ e vissero per sempre felici e contenti” perché tutto finisce, e noi saremmo finiti troppo presto, annientati da un litigio o da uno schiaffo di troppo. Io non ti ho mai odiato per quello schiaffo; eri ubriaco, confuso, non avevi neanche capito che ti stavo chiamando io. Non ho mai provato risentimento per quell’attimo in cui la tua mano ha colpito violentemente la mia guancia. E lo sai perché? Perché mi ricordo delle tue lacrime, dei tuoi “scusami” sussurrati, di tutti gli insulti che ti sei detto. E io ti amavo per tutto questo. Ti amavo per i tuoi silenzi, per la tua gelosia, per la tua rabbia, per la tua dolcezza inaspettata. E io ti amo ancora. Quando mi hai detto che ti saresti trasferito in America, ho sentito il mio mondo crollare. Pezzi e pezzi di ricordi che venivano distrutti da poche, inutili lettere: A M E R I C A. All’inizio non volevo crederci, non volevo neanche pensare a quello che mi avevi detto. Poi mi sono convinta che sì, saremmo riusciti a superare anche questa. Insomma, se siamo sopravvissuti alle nostre ferite, potevamo sopravvivere facilmente anche a  qualche chilometro di distanza. Poi mi hai detto che le relazioni a distanza non fanno per te. E  il mio cuore si è fermato per un lungo, lunghissimo istante. Però sì, dai, mi stavi lasciando perché non volevi avere una relazione a distanza, non perché non mi amavi più. Invece non mi ami più. Quando me l’hai detto il mio cuore ha ardentemente desiderato di smettere di battere. La terra sotto i piedi sembrava essere scomparsa, sentivo il freddo entrarmi nelle ossa. E poi più niente. Non ho sentito niente. Quasi come se il dolore fosse stato talmente tanto da ovattare tutte le altre sensazioni. E adesso tu stai partendo e io sono seduta per terra nel bagno delle ragazze. Non piango. Non più, almeno. Per tre giorni non ho fatto altro che versare lacrime e singhiozzare, ma adesso non piango più. Perché tu me l’avevi detto che non sarebbe durato, tu me l’avevi detto che quel “noi” che mi piaceva tanto sarebbe tornato presto “ tu ed io”. E adesso non piango, perché non ci posso fare nulla. Non mi ami e non posso costringerti a farlo. Vorresti continuare a sentirti con me, perché – mi hai detto- è stata comunque una storia importante per te. Ma io non posso. E non voglio. E così ingiusto, lo sai? Tu parti, mi dici che non mi ami più ma vuoi continuare a starmi accanto. Ti sembra questo il modo giusto di comportarti? I sentimenti che provo per te, Ashton, non possono svanire nell’istante in cui mi dici che non mi ami più o nei giorni successivi. Ci vorrà tempo, dolore, lacrime. Non sono neanche tanto sicura che smetterò di amarti. Perché per me è stato importante. Per me quel “noi” è la cosa più bella che mi sia mai successa. E sappi che, nonostante tutte le sofferenze, io rifarei tutto daccapo altre mille volte. Perché il tuo sorriso che mi accoglie è la ragione del mio rossore, del mio respiro accelerato, delle mie mani sudate. Tu sei l’unico motivo per il quale non ho ceduto. E adesso te ne vai. Nessun rancore, Ash. Non ti odio – come potrei farlo?- e vorrei che tu non mi odiassi. Non voglio ferirti e mi dispiace se, con queste parole, l’ho fatto. Ma la verità è che tu te ne vai e io resto qua. Resto qua con il mio cuore ferito e spezzato che, però, continua e continuerà a battere per te.
Potevamo farcela. Avrei potuto salvarti. Ma le mie ferite non si sono chiuse in tempo, e adesso hanno ricominciato a sanguinare.
Helena 
   
 
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