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Autore: Ciccy98    19/04/2015    1 recensioni
*dal testo*
“Non posso rifiutare l’invito di una tale bellezza, ma… potrei sapere il nome della ragazza che mi vuole a casa sua? Oh, dammi del tu, tranquilla.” Giusto. Non mi sono presentata. Bravissima Francesca, oggi sei più goffa e impacciata del solito. “Sono Francesca, scusa per la mia maleducazione. Tu invece sei…?” rispondo. “Bel nome per una ragazza altrettanto bella, ovviamente. Io sono Jamie.” Sorrisi raggiante e lo guidai fino a casa mia, rimuginando durante il percorso su quella frase: “bel nome per una ragazza altrettanto bella, ovviamente.”
Genere: Erotico, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jamie Campbell Bower, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ore 7:15
La sveglia che squilla mi fa sobbalzare dallo spavento. Come al solito. Mi alzo dal letto e silenzio quell'affare infernale. Indosso le pantofole rosa e mi dirigo verso le scale di legno per scendere al piano di sotto, facendo meno rumore possibile: mio fratello, Gabriel, nella camera accanto alla mia, dorme ancora profondamente perché la sera precedente ha avuto il turno in ospedale. È un infermiere. Arrivo in cucina, faccio una colazione abbondante e dopo mi concedo una doccia calda. Mi osservo allo specchio: ok, Francesca, sei uno schianto come sempre. Ironia. Sono orrenda: sembro quasi un panda. Le occhiaie dovute alle notti passate in lacrime non vogliono sparire, rimangono lì, come a voler ricordare perennemente il mio dolore, sofferenza dovuta alla perdita di mio padre, l’uomo che ha cresciuto me e mio fratello dopo la dipartita di mamma. Ho preso circa una settimana di ferie e oggi devo necessariamente tornare a lavorare in quello schifo di locale per tossici: il Chococandy. Sbuffo guardando il mio riflesso allo specchio e, avvolta in una tovaglia, torno in camera per vestirmi. Scelgo un paio di jeans skinny e una semplice maglietta bianca a maniche corte: devo indossare la divisa del bar, inutile mettere vestiti particolari. Abbino le mie solite scarpe da ginnastica e come trucco opto per una sottile linea di matita azzurra e un filo di lucidalabbra rosa pallido. Non sono dell’umore adatto per truccarmi come si deve. Spazzolo i lunghi capelli castani e intanto controllo l’orario sul cellulare: sono le 7:45. Sono in anticipo. Soddisfatta ritorno in cucina e scrivo velocemente un biglietto a Gabriel informandolo dei croissant che gli ho lasciato nel forno. Prendo la borsa dall'attaccapanni, infilo il giubbotto verde e a bordo del mio minivan mi dirigo al Chococandy.

Ore 8:00
Giunta nell'immenso parcheggio semivuoto, scelgo il primo posto che trovo. Sospiro e scendo dall'auto. Entro nel locale e l’odore acre degli alcolici entra invadente nelle narici, provocandomi dei colpi di tosse. Non c’è nessuna traccia di Alaric, il proprietario, ottimo inizio. Occupo il mio posto dietro al bancone, rimasto vacante per ben una settimana, e inizio a pulirlo passando poi a bicchieri e posate. In seguito sistemo i dolci e gli altri prodotti, che lo chef lascia ogni mattina dietro il bancone, nelle apposite vetrinette. Mi dedico quindi a spruzzare sui tavoli lo sgrassatore e finalmente la puzza inizia a diminuire ma adesso viene la parte che odio di più: ripulire i tavoli dove gli ubriachi della notte ancora dormono, quelli in fondo al locale. Mi decido a iniziare e, mentre sono inginocchiata a pulire una pozza di non-so-cosa-sia-e-non-voglio-saperlo, sento una mano palparmi il sedere. D’istinto urlo e cercando di alzarmi batto la testa nel tavolino. Riesco a girarmi, ignoro la sensazione di bagnato nel sedere dovuta alla pozza, e scopro un vecchio barbuto (che emana l’inconfondibile odore di vodka) fissarmi. “Esci da lì zuccherino!” mi sussurra l’uomo. Sono terrorizzata, in passato era successo che qualche ubriaco facesse battute sporche nei miei confronti, ma nessuno mai mi aveva toccata. Raccolgo un po’ di coraggio e dico: “No! Si allontani oppure giuro che chiamo la polizia.” Il vecchio, ghignando, mi afferra per le gambe e mi tira fuori dal mio rifugio improvvisato. Non so cosa fare, i miei colleghi hanno avuto il turno di notte e la mia amica Clarissa prima delle 9 non arriva. Cerco di combattere e porre resistenza mentre l’uomo prova ad abbassarmi i pantaloni. Riesco a dargli un pugno, ma serve solo a farlo arrabbiare di più. Mi immobilizza e sento i jeans scendere. Subito dopo tocca alle mutande. Inizio a piangere per la paura e per il dispiacere, sono vergine e non immaginavo così la mia prima volta; l’avevo conservata 20 anni per qualcuno di speciale e invece… il vecchio inizia a palparmi seno e sedere, io continuo a lottare, provo a liberarmi e quando stavo per dire addio alla mia verginità, entra il capo Alaric. “Signore! Cosa vuole fare qui, è un luogo pubblico!” ringrazio il cielo per averlo fatto arrivare. “E allora dove posso portare questa bella ragazza?” io ringhio: “Da nessuna parte!” e immediatamente mi rivesto. “Mmh, se mi paga €100, per un’ora può portarla dove vuole.” Allibita fisso prima il proprietario e poi il vecchio. Esplodo di rabbia, tolgo il grembiule del bar, lo getto per terra e grido: “Mi licenzio, mi rifiuto di lavorare in questo posto di merda, essere sottopagata e inoltre costretta a prostituirmi! Si trovi un’altra cameriera, signor Alaric Smith.” Detto ciò, sbatto la porta alle mie spalle e corro verso l’auto. Sono disoccupata. Cosa dirò a Gabriel? Meglio che posteggiare il minivan a casa e cercare immediatamente un altro lavoro. Quindi metto l’auto nel garage e rientro in casa. Di Gabriel nessuna traccia, perfetto, non dovrò dare spiegazioni. Mi rifugio in camera e mi abbandono a un pianto disperato ma liberatorio. Addio piani di ricerca- lavoro.

Ore 10:00
Stabilisco di aver pianto tutte le lacrime che possiedo e quindi esco dalla camera. Vado in bagno ed entro senza bussare. Cavolo, trovo mio fratello a farsi la barba. Incuriosito e sorpreso mi chiede: “Fra, come mai già a casa? Non ti aspettavo prima delle 12.30! Ehi, aspetta… hai gli occhi rossi e gonfi. Perché hai pianto?” Decido di raccontargli la verità, non ha senso mentire. Il suo sguardo si fa duro, amo il mio fratellone protettivo. Gli impedisco però di andare a picchiare quelli del locale, sarebbe stupido cercare problemi con la giustizia. Riesco a convincerlo e si limita a coccolarmi. Mi abbandono nelle sue braccia e mi separo solo per dirgli: “Ti voglio bene, Gabry.” Non c’è sensazione più bella del sentirsi ricambiati. Dopo questo bel momento fraterno, capisco che è meglio lasciare che Gabriel si dia una sistemata in pace; così esco a piedi e cammino fino al parco in cui andavo con papà quand'ero piccola. Mi siedo vicinissimo alle altalene dove noto Giovanni, il mio cuginetto di 6 anni che felice gioca nell'altalena con sua sorella Alyssa. Li saluto con un cenno della mano e loro mi corrono incontro. Li abbraccio e bacio affettuosamente, poi tornano a giocare. Vederli mi mette di buon umore, così scelgo di concedermi un gelato. Concentrata sul mio cono e nella lettura degli annunci di lavoro nel giornale, non mi accorgo di camminare in direzione di altra gente. Finisco col schiantarmi contro un petto duro, tipico dei palestrati. Il gelato rimasto si è spiaccicato sulla maglietta dello sconosciuto. Mortificata, alzo lo sguardo mormorando uno “Scusi” ma strabuzzo gli occhi e perdo un battito: ho appena fatto una figuraccia con un ragazzo stupendo. Più alto di me di almeno 20 cm, capelli biondi e occhi azzurri, lineamenti perfetti. Sembra una divinità greca. Il ragazzo si allontana appena e sorridendo esclama: ”Guarda dove vai, piccoletta! Era una maglietta nuova!” Il mio pensiero è che ha un sorriso spettacolare e sento l’impulso di doverglielo dire, così apro le labbra e… no! Che cosa mi passa per la testa?! Per evitare la figura della cretina con la bocca aperta dico: “Mi dispiace davvero molto, vuole venire a casa mia? Così gliela lavo!” Non so nemmeno dove ho trovato il coraggio per invitare uno sconosciuto a casa dopo gli eventi di quella mattina, eppure sentivo che di lui potevo fidarmi. Mi attraeva e ispirava fiducia. Lui mostra un sorriso sghembo e risponde: “Non posso rifiutare l’invito di una tale bellezza, ma… potrei sapere il nome della ragazza che mi vuole a casa sua? Oh, dammi del tu, tranquilla.”  Giusto. Non mi sono presentata. Bravissima Francesca, oggi sei più goffa e impacciata del solito. “Sono Francesca, scusa per la mia maleducazione. Tu invece sei…?” rispondo. “Bel nome per una ragazza altrettanto bella, ovviamente. Io sono Jamie.” Sorrisi raggiante e lo guidai fino a casa mia, rimuginando durante il percorso su quella frase: “bel nome per una ragazza altrettanto bella, ovviamente.” Ha un viso stranamente familiare ma non riesco a capire il perché. Distolgo la mente dai miei pensieri e dico: ”Siamo arrivati!”


Angolo autrice:
Questa è la mia seconda storia, accetto ogni critica eo consiglio, voglio migliorarmi. Buona lettura, spero apprezzerete!
Ciccy98
  
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