Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: vannagio    20/04/2015    7 recensioni
«Hai telefonato al tuo amico cacciatore?», chiese Sam.
«Seeh».
«E che ti ha detto?».
«Mi ha dato l’indirizzo di un tatuatore. Mi ha assicurato che è uno dei migliori qui a New York. Un tipo che fa il suo lavoro senza fare domande, non chiede cifre esorbitanti e ha lo studio in una zona abbastanza defilata. Meglio di così…».
Diede un morso al cheeserbuger senza perdere di vista la cameriera. Sam annuì.
«Bene. Sbrigati a mangiare, allora. Voglio andarci stasera, prima che chiuda».
Dean spostò lo sguardo su Sam, sbattendo un paio di volte le palpebre, come qualcuno che è appena rinvenuto da un incantesimo. Mandò giù il boccone e sbuffò.
«Veramente…». Ammiccò in direzione della cameriera. «Avevo altri programmi per la serata».
Sam roteò gli occhi.
«Scordatelo. Non mi muoverò di un singolo passo prima di avere quel tatuaggio. Siamo stati incoscienti, avremmo dovuto farlo subito dopo l’incidente in Minnesota con Jo».

[Storia ambientata durante la seconda stagione, dopo gli eventi dell'episodio 2x14 "Born Under A Bad Sign"]
Genere: Avventura, Commedia, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Seconda stagione
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Una storia di metallo e inchiostro'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Williamsburg, New York




Capitolo 2



Dean entrò nella stanza del motel con una scatola di ciambelle e due caffè. Normalmente preferiva fare colazione seduto al tavolo di un diner, ma Sam aveva talmente rotto i coglioni con la storia del pericolo di essere posseduti da un demone, che alla fine aveva dovuto accettare di ridurre le uscite al minimo sindacale fin quando non avessero avuto quel maledetto tatuaggio.
Sam era seduto sul letto a gambe incrociate e smanettava col computer, come suo solito. Dean gli porse il caffè e prese posto accanto a lui.
«Trovato nulla sul nostro Casper piromane?», gli chiese, prima di infilarsi mezza ciambella in bocca.
Sam bevve un sorso di caffè e scosse la testa.
«No. Ho cercato a ritroso e negli ultimi cinque anni non c’è traccia di casi sospetti simili nella zona del negozio di tatuaggi. Quello di ieri sera sembrerebbe un fenomeno isolato».
Dean fece una smorfia.
«Grandioso!».
«Però, quasi due anni fa, una ragazza è morta in un tamponamento a catena, la sua auto ha preso fuoco». Sam spostò il portatile in modo che anche Dean potesse guardare lo schermo. «Si chiamava Juno Lee».
Tratti orientali, capelli lunghi, sulla ventina, qualche tatuaggio qua e là.
«Però, carina! Pensi sia lei il fantasma che stiamo cacciando?».
«Un po’ strana come coincidenza, secondo me. Se si trattasse di lei, tutto tornerebbe. Muore bruciata viva in un auto e rivive l’incidente insieme alle sue vittime».
Dean fissò la fotografia.
«Sì, ma perché cominciare proprio adesso? E come sceglie la gente da abbrustolire?».
«È quello che dobbiamo scoprire».
Dean si mise in piedi. Ogni occasione per uscire da quello squallido motel anni sessanta era buona.
«Bene, direi di andare a fare due chiacchiere con la famiglia Lee, allora».
Sam lo apostrofò con lo sguardo come una maestrina saputella. Dean si strinse nelle spalle e allargò le braccia.
«Che c’è?».
«Hai idea di quanti Lee ci siano a New York?».
«No, ma scommetto che tu invece sì».
«Cinquemilaquattrocentosette».
Dean si lasciò ricadere sul letto a pancia in su, sconfitto. Incrociò le braccia dietro la testa e accavallò le gambe.
«D’accordo, caro il mio sapientone. Cosa proponi di fare, allora?».
«Cominciamo dalla vittima. Quella ragazza… com’è che si chiama?».
Dean scattò a sedere con un bambolotto a molla.
«Darla. Giusto. Penso io a lavorarmela. Anzi, ci vado subito».
Fece per alzarsi, ma Sam lo trattenne per un braccio.
«Dean…».
«Che c’è?!».
«Ci andiamo a parlare stasera, abbiamo l’appuntamento per il tatuaggio, ricordi? E poi vorrei fare qualche domanda anche a JD. Le luci che si spegnevano, la radio che ha smesso di funzionare… i fenomeni sovrannaturali sono cominciati nel suo negozio. Nella foto si vede chiaramente che Juno aveva dei tatuaggi. Forse JD la conosceva, magari era una sua cliente».
Dean sbuffò.
«Oh, sì, certo, lui. Già non dava l’idea di essere un tizio molto loquace, ma dopo che tu lo hai offeso a morte mettendo in dubbio le sue capacità, avrà proprio una gran voglia di aprirsi con noi. Fammi un favore, Sammy. Questa volta cerca di limitare gli insulti alla madre, così forse avremo una minima chance di farlo parlare».
«Dean…».
«Non dire “Dean”. Di solito sono io quello che fa incazzare le persone, mentre a te basta tirare fuori la faccia da Stitico Tormentato…».
«Faccia da che cosa?».
«…per convincere la gente a rivelare di che colore sono le mutande che indossa. Si può sapere che ti è preso, ieri sera?».
Sam sospirò e si passò una mano tra i capelli.
«Lo so, non sono al mio meglio in questi giorni. È solo che… vorrei lasciarmi la storia della possessione del demone alle spalle una volta per tutte e il più presto possibile».
«Sammy…».
Lui lo fulminò con un’occhiataccia.
«Non dire “Sammy”. Sai cosa ha significato per me tutta questa storia. Se c’è un modo per essere sicuro che non farò del male a delle persone innocenti o… a te, be’, scusami tanto se sono impaziente di ottenerlo».
Dean lo guardò dritto negli occhi, poi lo prese per le spalle e lo fece voltare verso lo specchio.
«Ecco, vedi? Questa è la faccia da Stitico Tormentato di cui parlavo».



Chino sul lavandino, JD aprì il rubinetto e si diede una sciacquata al viso, poi a tentoni cercò l’asciugamano. Quando tornò in posizione eretta, si ritrovò davanti al suo riflesso alla specchio, un po’ più pallido e scavato del solito.
La luce del neon traballò appena, producendo un leggero bzzzz, ma questa volta rimase accesa. Il negozio cadeva a pezzi, era questa la verità. Bastava dare un’occhiata a quel buco di cesso per rendersene conto, con le mattonelle che saltavano dalla parete gonfie di umidità, lo scarico che perdeva da tutti i lati e le tubature che cigolavano. Darla glielo rinfacciava sempre, non ti sembra il caso di correre ai ripari prima che la cazzo di nave affondi? Anche Juno, prima di morire, glielo aveva detto. Attraverso lo specchio, la sagoma incappucciata tatuata sul suo bicipite lo fissava con aria severa, sembrava d’accordo con loro.
Il neon fece nuovamente bzzzz e il bagno si oscurò per una frazione di secondo talmente breve che JD non ebbe nemmeno il tempo di pensare a un’imprecazione. Ma quando tornò a guardare la sagoma incappucciata allo specchio, il suo cuore mancò un battito. JD si appiattì contro la parete con gli occhi sbarrati.
Al posto della sagoma incappucciata, adesso, c’era il viso di Juno.
Abbassò lo sguardo per esaminarsi il braccio, e sospirò di sollievo. La sagoma incappucciata era là, niente viso di Juno. Sollevò gli occhi sul suo riflesso e anche lì le cose erano tornate alla normalità. L’incendio dell’auto di Darla lo aveva scosso più di quanto volesse ammettere, a quanto pareva. Gli venne quasi da ridere.
Spense la luce, uscì dal bagno e per poco non finì addosso a Darla.
«Darla, cazzo! Mi hai fatto prendere un colpo!».
«Scusa! Non pensavo fossi ancora in bagno. Il tuo penultimo appuntamento del giorno ti sta già aspettando in laboratorio». Darla assottigliò lo sguardo. «Sei sicuro di stare bene? Non hai una bella cera».
JD abbozzò un mezzo sorriso.
«Dovrei essere io a chiederlo a te. Sei tu quella che per poco non ci rimaneva secca, ieri. Fosse stato per me, oggi saresti rimasta a casa a riposare».
Lei lo scrutò a lungo, prima di scuotere la testa e sorridere.
«Come se una piccola bruciatura sul braccio potesse fermarmi».
Il penultimo appuntamento della giornata si chiamava Shane. Stando al soggetto che aveva richiesto, JD avrebbe detto che fosse un fan dei Queen. A giudicare dalla stazza dei suoi pugni, però, più che un omaggio ad una rockband, il tatuaggio sembrava voler mettere in guardia la gente. Shane non era un tipo a cui piacevano i preliminari, quindi JD si sedette sullo sgabello e cominciò subito ad applicare lo stencil con la scritta “We will rock you” su entrambi i dorsi delle sue mani. Fatto questo, accese la macchinetta elettrica e si mise al lavoro.
Il ronzio elettrico dell’ago aveva un effetto ipnotico su JD, da sempre, fin da quando era bambino e guardava suo nonno Wile tatuare i clienti. JD poteva tatuare per ore intere e solo quando posava l’ago sul piano di lavoro, si rendeva conto di quanto tempo fosse effettivamente trascorso. Una volta Juno gli aveva detto che sembrava cadere in trance, mi aspetto che cominci a parlare con voce da posseduto da un momento all’altro. Glielo aveva confidato mentre JD lavorava al pavone su di lei. Un pavone enorme, il suo primo lavoro serio. La testa si adagiava sulla spalla di Juno, il collo affusolato le attraversava la schiena, il dorso le si adattava alla linea dei glutei e la coda dal piumaggio blu e verde le fasciava la coscia fino al ginocchio. Si erano conosciuti grazie al pavone, Juno e JD. E a causa di quel maledetto incidente, lui aveva perso entrambi. A volte…
«CHE CAZZO HAI COMBINATO!! QUESTO NON ERA QUELLO CHE AVEVO CHIESTO!».
JD sussultò. Sbatté un paio di volte le palpebre, fissando esterrefatto il dorso della mano destra di Shane. L’ago ronzava ancora.
«Oh. Merda».
L’ultima cosa che vide prima di perdere conoscenza fu il pugno di Shane andargli incontro.
Un pugno sul quale aveva tatuato la frase “J will kill you”.



La sala d’attesa del negozio di tatuaggi era deserta. Sam ne approfittò per azionare il rivelatore EFM. Com’era prevedibile, tutte le spie rosse si accesero all’istante e lo strumento prese a gracchiare in modo inequivocabile.
«Sì, qui c’è un fantasma. E anche bello grosso», bisbigliò.
«Quello che vorrei sapere io, invece, è dove si è cacciata la gente viva», disse Dean. «Toc, toc, c’è nessuno in casa?».
Darla emerse da dietro una tenda, aveva un braccio fasciato e la faccia sconvolta. Sam nascose frettolosamente il rivelatore EFM nella tasca, Dean invece si fece avanti sorridente.
«Ehi, dolcezza, come stai?».
Lei provò a sorridere, ma con scarso risultato.
«Bene, tutto sommato». Fece vedere l’avambraccio fasciato. «Ustione di secondo grado, ma poteva andare peggio. Quando la medicina avrà guarito la pelle, JD penserà a restaurare i tatuaggi. Sempre che…». Lanciò un’occhiata nervosa alla tenda dalla quale era emersa. «…be’, in ogni caso ci vorrà ancora del tempo prima che questo sia possibile».
Sam aggrottò la fronte.
«È successo qualcosa? Sembri scossa».
«No, è che… dobbiamo rimandare il vostro appuntamento a domani, ragazzi, mi spiace».
Dean inarcò un sopracciglio.
«E perché mai?».
«Perché JD…». Darla si massaggiò l’attaccatura del naso. «Ha combinato un casino. Merda, non dovrei nemmeno parlane con voi, siete clienti».
Sam le poggiò una mano sulla spalla e tirò fuori la faccia da Stitico Tormentato. Darla lo guardò negli occhi e qualcosa in lei parve rasserenarsi di colpo. Ecco, era fatta. Tra non molto la ragazza avrebbe svuotato il sacco. Dean roteò gli occhi.
«Non devi preoccuparti, Darla, resterà tra noi», disse Sam, con tono rassicurante.
Darla prese un respiro profondo e annuì.
«Ha sbagliato», disse abbassando la voce. «Stava tatuando un cliente e ha sbagliato».
«Tutto qui?», chiese Dean scettico.
«Non capisci, lui non sbaglia mai. I suoi lavori sono sempre perfetti. Questa volta, però… non ha solo sbagliato, ha tatuato una cosa invece di un’altra. Senza rendersene conto! Il cliente era infuriato, lo ha mandato al tappeto. Per poco non se la prendeva anche con me! Poi JD mi ha detto di disdire l’appuntamento con voi e si è rintanato nel suo laboratorio a fumare. Vi avrei chiamato per avvisarvi, ma non avevate lasciato un recapito telefonico». Darla scosse la testa. «Sono preoccupata, non l’avevo mai visto così».
«Cosa ha scritto?», chiese Dean.
«Una cosa completamente senza senso... J will kill you».
Sam rivolse un’occhiata eloquente a Dean, che tirò fuori dalla tasca dei jeans una foto e la mostrò a Darla.
«Conosci questa ragazza?».
«Non di persona», disse Darla. I suoi occhi erano diventati improvvisamente guardinghi e sospettosi. «Era la ragazza di JD. Ma voi… che cazzo c’entrate con Juno?».
Dean annuì in direzione di Sam.
«La sua ragazza».
«Ora ha tutto più senso».
Darla picchiettò l’indice sulla spalla di Dean.
«Scusatemi, ma credo proprio che voi mi dobbiate delle spiegazioni. Si può sapere chi cazzo siete e che cazzo volete?».
Dean si grattò la nuca e ridacchiò.
«Siamo… be’, siamo… Sammy, chi siamo noi?».
«Qualcuno che può aiutare JD», intervenne Sam. «Darla, devi fidarti di noi».
«Come cazzo faccio a fidarmi di voi, se non vi conosco nemmeno?».
Adesso alla faccia da Stitico Tormentato si era aggiunto un paio di occhioni alla Sono Un Bravo Boy Scout.
«Ascolta… quello che ti è successo ieri, quello che è successo oggi al tuo amico… non sono coincidenze, non sono casualità. C’è un nesso. Pensaci bene. Mentre eri nell’auto, non è successo qualcosa di strano?».
«A parte il fatto che ha preso fuoco senza una spiegazione fottutamente valida, intendi?».
Dean fece spallucce.
«Be’… sì».
Darla prese un respiro profondo e si portò i capelli dietro l’orecchio. A quanto pareva qualcosa di strano l’aveva vista eccome, dentro quell’auto.
«Quindi cosa vorresti fare?».
«Solo parlare con JD», rispose Sam.
Darla lo fissò dritto negli occhi per qualche istante.
«D’accordo», disse infine. Poi si rivolse a Dean. «Ho bisogno di bere. C’è un bar qui a fianco. Offri tu».
Lui si esibì in un sorriso che sfiorava la paresi facciale.
«Oooookay».



JD era seduto sulla poltrona dei clienti, fumava una sigaretta, aveva le cuffie del lettore mp3 nelle orecchie e fissava il soffitto. Sul banco di lavoro c’erano un paio di bottiglie vuote di birra. Quando Sam prese posto sullo sgabello, JD si accorse di lui e si sfilò le cuffie. Aveva un vistoso ematoma intorno all’occhio.
«Darla non ti ha detto che ho disdetto il vostro appuntamento?».
«Sì, me lo ha detto».
«Allora spero che tu non sia qui per rompermi i coglioni col tuo tatuaggio, perché non sono proprio in vena».
Sam scosse la testa.
«No, non sono qui per il tatuaggio. Darla mi ha detto anche dell’incidente col cliente. Quello che ti ha fatto l’occhio nero».
JD spense il mozzicone di sigaretta nel posacenere. Guardava Sam con occhi inespressivi.
«Ah. E quindi?».
«E quindi… vorrei che mi raccontassi quello che è successo».
JD scoppiò in una risata amara, poi si alzò dalla poltrona e indicò l’uscita.
«Fuori dai coglioni».
Anche Sam si mise in piedi.
«Credo che quello che ti sta succedendo sia collegato a Juno».
«Juno?». Dean aveva ragione: quando si incazzava, gli occhi di JD diventavano appuntiti come aghi. «E tu che cazzo ne sai di Juno?».
«So che era la tua ragazza. Che è morta in un incidente d’auto. Che la sua auto ha preso fuoco. Proprio come quella di Darla».
C’era una mazza da baseball appoggiata in un angolo. JD la impugnò.
«Non mi hai sentito, prima? Fuori. Dai. Coglioni».
Sam alzò le mani in segno di resa.
«Ascolta, permettimi di spiegarmi, anche se probabilmente non mi crederai ugualmente».
JD parve pensarci su, le dita sempre serrate intorno all’impugnatura della mazza.
«Poi mi lascerai in pace?».
«Sì», rispose Sam. «Se mi chiederai di andarmene, non farò storie».
JD si sedette di nuovo sulla poltrona, la mazza in bilico sulle ginocchia.
«Hai un minuto, riempilo di parole».



Il “bar qui a fianco” si trovava in un vicolo talmente sporco, umido, buio e defilato che sarebbe stato lo scenario perfetto per una scena del crimine, o il set di un film horror. O l’habitat naturale per una qualche creatura demoniaca. Più che di un bar si trattava di un corridoio stretto in cui, Dean non riusciva proprio a immaginare come, avevano fatto entrare a mala pena un bancone e una fila di sgabelli scomodi e traballanti. Il barman conosceva molto bene Darla: quando presero posto sugli sgabelli, lui la accolse con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.
«Cosa ti porto, dolcezza?», le chiese, ignorando platealmente Dean.
«Tequila. Lascia pure la bottiglia», aveva risposto lei. «Ah, e… Daryl?» Nella sua lunga carriera di cacciatore, Dean aveva visto mostri in grado di sfondare pareti a colpi di pugni. Per trattenere il cameriere a Darla erano bastati un sorriso da gatta e una mano poggiata languidamente sul gomito. «Porta anche sale e lime».
Daryl il cameriere obbedì senza fiatare.
«Non mi chiedi se la preferisco con la sangrita, la tequila?», domandò Dean.
«No, tu sei un tipo da sale e lime». Darla gli prese la mano sinistra e gli leccò l’aria posteriore tra indice e pollice. «Sbaglio?», chiese, scrutando Dean con quel suo sguardo dannatamente sexy da gatta golosa.
Lui scosse la testa.
«Assolutamente no».
Sorridendo sotto i baffi, Darla posò un po’ di sale sull’area che aveva leccato e ripeté l’operazione anche sulla sua mano sinistra. Porse una fetta di lime a Dean e riempì i due shottini con la tequila.
«Salute!», dissero all’unisono.
Dean prese un bel respiro, leccò il sale sulla mano, bevve la tequila in un sorso solo e diede un morso alla fetta di lime. Quando riprese a respirare, vide Darla mandare giù lo shot buttando la testa indietro. La pelle sulle clavicole si tese, stirando la collana di tribali tatuata intorno al collo, il cui pendente puntava dritto in mezzo alle tette. Sembrava quasi volesse accompagnare lo sguardo ad abbuffarsi del bendidio che straripava dal top nero. Mentre dava un morso alla fetta di lime, Darla accavallò le gambe, mettendo in mostra la giarrettiera infiocchettata tatuata intorno alla coscia.
«Noto che i miei tatuaggi hanno fatto colpo…».
«Be’, sono… interessanti. Hanno un significato particolare?».
Lei fece spallucce.
«JD dice che ogni tatuaggio dice la sua su ciò che siamo. Secondo te cosa dicono i miei?».
Urlavano ai quattro venti “Prego, serviti pure!”.
«Che ti piace farti notare».
Darla rise.
«Che gentiluomo! Sono sicura che non erano queste le esatte parole che stavi pensando. Invece, il tuo? Quello che si spera JD ti farà domani? Cosa dirà di te?».
Dean ci pensò su un attimo.
«Che frequento gente poco raccomandabile».
«Ah, un po’ come la mia giarrettiera, allora. Ogni fiocco corrisponde a uno stronzo che mi ha spezzato il cuore. Vedi, ho questo terribile vizio di farmi coinvolgere soltanto da figli di puttana. Che è il motivo per cui ho chiesto a te, e non al tuo amico Sam, di offrirmi da bere».
Dean aggrottò la fronte.
«Fratello, non amico. E… ho come l’impressione di essere stato appena insultato».
Darla rise di nuovo.
«Fratello? Strano, non vi somigliate affatto».
«Non sei la prima a notarlo».
«Quindi, racconta. Come vi guadagnate da vivere tu e tuo fratello?».
Dean sospirò.
«È una storia complicata».
I bicchierini erano tornati colmi di tequila. Darla stava affettando un altro lime.
«Le storie complicate vanno a braccetto con l’alcol».



«Tu sei pazzo».
Sam abbozzò un sorriso.
«Te lo avevo detto che non mi avresti creduto, ma almeno non mi stai sbattendo fuori a calci in culo. È già qualcosa».
«No, ma lo sto prendendo in considerazione». JD posò finalmente la mazza da baseball a terra e incrociò le braccia al petto. Sam lo prese come un buon segno. «Okay, ammettiamo per un secondo che tu abbia ragione, che i fantasmi esistano. Stai dicendo che Juno ha cercato di uccidere Darla? Per gelosia?».
«Sì. E che potrebbe prendersela con te. Non so se ci sia o ci sia stato qualcosa tra Darla e te, ma agli occhi di Juno tu l’hai tradita.».
JD scosse la testa.
«No, ti sbagli, Juno non è mai stata gelosa da viva, di sicuro da morta non vorrebbe che mi facessi monaco. Non farebbe mai una cosa del genere».
«I fantasmi non ragionano razionalmente, sono bloccati in una specie di loop infinito, costretti a rivivere sempre la stessa tragedia. Si aggrappano a qualcosa, ci si aggrappano così forte, che quel qualcosa diventa tutto il loro mondo e li tiene ancorati alla terra. E più passa il tempo, più si arrabbiano, e la rabbia li cambia, trasformandoli in qualcosa di completamente diverso da quello che erano. Qualcosa di rancoroso e pericoloso».
«Mi sembra di essere finito in un episodio di Ghost Whisperer». JD prese una sigaretta dal pacchetto che aveva in tasca, se la mise in bocca e se l’accese con uno zippo. Sam pensò che stesse prendendo tempo per digerire le sue parole e così attese in silenzio. «Ed eventualmente cosa si dovrebbe fare per liberala?», chiese infatti poco dopo.
Sam sorrise apertamente.
«Significa che mi credi, adesso?».
JD espirò una boccata di fumo.
«No, significa che penso che i pazzi sia meglio assecondarli».
Be’, a caval donato non si guarda in bocca.
«D’accordo…», disse Sam, serio. «Ho bisogno di sapere dove è stata sepolta Juno».
«È stata cremata». La punta della sigaretta brillò di rosso. JD fissò Sam per qualche istante e ghignò. «Qualcosa mi dice che non era la risposta che ti aspettavi».
Sam scosse la testa.
«No, infatti. Hai conservato qualcosa di suo, per caso?».
«Ho diverse cose di lei, nel mio appartamento».
«No, deve essere qualcosa qui, nel negozio, è qui che si è manifestata».
JD si accarezzò il mento, sovrappensiero.
«Ho buttato uno scatolone di cose di Juno giusto ieri sera. Poco prima che arrivaste voi due avevo chiesto a… cazzo!». JD frugò nelle tasche dei pantaloni, quando non trovò nulla, andò a cercare in quelle della giacca appesa all’appendiabiti. Ne tirò fuori un mucchio di vecchi scontrini, un bracciale e un anello. «Questo era di Juno», disse, porgendo il bracciale a Sam. Le perline erano nere, a forma di teschietti. «A Darla piaceva, così l’ha tenuto. Ce l’aveva al polso quando ieri l’auto ha preso fuoco», continuò JD. «Anche se… non credo che Juno ci fosse particolarmente affezionata, era un bracciale come un altro».
«Non ha importanza», disse Sam, euforico, rigirandosi il bracciale tra le dita. «Può darsi che qualche frammento di epidermide sia rimasto attaccato al bracciale, a volte basta pochissimo».
L’espressione di JD era scettica.
«E distruggendo il bracciale pensi che Juno avrà pace?».
«Sì, esatto».



«Sei sicuro che sia il bracciale?».
«Sicuro, l’ho appena distrutto».
«Missione compiuta, quindi. Requiescat in pace, Juno Lee. Che fai tu, torni al motel?».
«Sì. JD ha detto che ci tatuerà domani mattina, anche se è sabato: aprirà il negozio solo per noi. Tu quando torni?».
Dean lanciò un’occhiata a Darla. Seduta al bancone, chiacchierava anche lei al cellulare. Le gambe accavallate e un sandaletto che penzolava in bilico dal piede.
«Non aspettarmi alzato».
Non poteva vederlo, ma sapeva che Sam aveva alzato gli occhi al cielo.
«‘Sta attento».
Chiuse la conversazione e tornò da Darla, proprio mentre lei riponeva il cellulare nella borsa.
«Mio fratello ha detto che la faccenda è risolta, non dovreste avere più problemi».
Darla annuì.
«Lo so. Ho appena parlato con JD. Mi ha detto anche che non è più necessario che torni al negozio stasera. Pensa lui a chiudere».
«Potremmo rimanere qui a bere un altro po’, allora».
«Sì, potremmo». Darla si portò i capelli dietro l’orecchio. «Oppure potresti darmi quel passaggio a casa che mi avevi offerto ieri».
Dean ghignò.
«Con vero piacere».
Si incamminarono verso la macchina, Dean un po’ più instabile sulle gambe di quanto volesse ammettere. Guardò di sottecchi Darla, che invece sembrava perfettamente a suo agio nella posizione eretta.
«Così girate l’America a caccia di fantasmi. Siete un po’ come i marinai? Tu e tuo fratello avete una donna che vi aspetta in ogni porto?».
Dean scalciò una lattina.
«No, io non credo che loro ci aspettino…».
La risata di Darla era roca, gli faceva venire la pelle d’oca sulla nuca.
«Almeno sei sincero».
Dean si fermò accanto all’Impala e aprì la portiera del passeggero.
«Ehi, nemmeno tu sei una santa, da quello che mi è parso di capire».
«Certo che no, e non tengo a esserlo». Darla accarezzò l’auto con lo sguardo e fischiò. «Una Chevy Impala del ’67. Non si vedono tutti i giorni».
«Te ne intendi di macchine?».
«Quel che basta per capire che quest’auto è uno schianto». Darla ammiccò. «Posso guidarla?».
Dean inorridì al solo pensiero.
«Nemmeno per sogno, tesoro. La mia bambina posso toccarla solo io. A mala pena lo consento a mio fratello».
«Forse mi sbagliavo, non siete come i marinai».
Dean inarcò un sopracciglio.
«Ah, no?».
Darla prese posto sul sedile del passeggero e sorrise, mentre Dean faceva il giro dell’auto.
«Siete più dei cowboy. Due cowboy che cavalcano verso l’orizzonte in sella al loro fido destriero. Senti com’è poetico!».
L’auto rombò.
«Smettila di prendermi per il culo», disse Dean. «O a casa ci torni a piedi».



Aveva ordinato gli stencil per gli appuntamenti della settimana successiva, pulito l’attrezzatura, chiuso la cassaforte, preso la giacca… cos’altro mancava? Si tastò le tasche dei jeans: sigarette e zippo c’erano, ma dove erano finite le chiavi dell’auto? Cercò sul e sotto il bancone, dietro il registratore di cassa, nei cassetti, tra la carta straccia. Dannazione! Se Darla fosse qui, le troverebbe in un secondo. Oltrepassò la tenda e accese le luci del laboratorio. Non potevano essere che là. Da qualche parte. JD sospirò pesantemente. Senza chiavi dell’auto, poteva mettersi l’anima in pace e rassegnarsi all’idea di passare la notte sul divano del negozio, così si rimboccò metaforicamente le maniche e cominciò a cercare.
Era immerso nelle cianfrusaglie fino ai gomiti, quando uno scricchiolio alle sue spalle lo distrasse. Si voltò, ma ovviamente non c’era nessuno. Rimase immobile, in ginocchio e in silenzio, in attesa di chissà che cosa per chissà quanti minuti come un coglione, finché non scosse la testa ridendo. Povero stronzo, ti stai facendo influenzare dalle cazzate di quel Sam? Stava per rimettersi alla ricerca delle chiavi perdute, ma lo scricchiolio ricominciò, più forte di prima. Come di assi di legno marcio che stanno per cedere. JD guardò il pavimento, che era di solito cemento. Come sempre. Allora da dove proveniva quello scricchiolio?
JD si mise in piedi e impugnò la mazza da baseball, attento a non fare rumore, i nervi tesi e le orecchie pronte a cogliere il più impercettibile dei rumori.
Kreeeek, kreeek.
Adesso che ci faceva maggiore attenzione, lo scricchiolio non aveva a che fare con del legno marcio, ma piuttosto con qualcosa in bilico che sta per…
Kreeeek, kreeek.
Sollevò lo sguardo.
…cadere.
Il grosso armadio di metallo alto fino al soffitto e pesante probabilmente una tonnellata se ne stava pericolosamente in bilico su due dei quattro piedi. Oscillava avanti e indietro facendo kreeek kreeek, come se qualcuno lo stesse trattenendo.
Kreeeek, kreeek.
E se qualcuno lo stava trattenendo…
Il kreeek cessò all’improvviso e venne sostituito immediatamente dal woooom dello spostamento d’aria. JD non ebbe nemmeno il tempo di cagarsi in mano, pensò solo a buttarsi di lato per mettersi in salvo. Spiccò letteralmente il volo, la gravità cessò di esistere e i suoi piedi lasciarono la terra ferma per ben dieci secondi netti. Poi il fracasso infernale dell’armadio che si schiantava a terra.
JD aprì gli occhi sul pavimento.
Della stanza attigua.
Come cazzo ci era arrivato?
Il negozio piombò nel buio e una folata di vento gonfiò la tenda che separava il laboratorio dalla sala d’aspetto. Le ombre del negozio si staccarono dalle pareti, colarono sul pavimento e si solidificarono in una sagoma umana. Era la sagoma di un uomo che indossava un cappello da cowboy e che avanzava a passi lenti e strascicati. JD si rese conto di avere ancora la mazza da baseball in mano, così scattò in piedi e tentò di colpire lo sconosciuto più forte che poteva, ma l’uomo sembrava fatto d’aria, anzi, no, d’ombra, e la mazza lo attraversò da parte a parte. JD, invece, era fatto di carne, così quando l’uomo ombra alzò il braccio, lui venne scaraventato via da una forza invisibile, che lo inchiodò alla parete a un metro dal pavimento. JD era completamente immobilizzato, poteva solo guardare l’uomo ombra andargli incontro.
All’improvviso un puntino luminoso apparve dal nulla, davanti a JD. Volteggiava placidamente nel buio come una lucciola e perfino l’uomo ombra si fermò ad osservarlo con aria stranita. Il suo volto venne illuminato e JD scorse lineamenti emaciati e una cicatrice sulla guancia destra. La lucciola cominciò a gonfiare rapidamente, trasformandosi in una bolla di luce dalla superficie malleabile e sottilissima come una pellicola. E più gonfiava, più diventava accecante. Prima di essere costretto a chiudere gli occhi, JD vide la bolla ingrandirsi a tal punto da inglobare l’uomo ombra ed esplodere in un fuoco artificio di luci blu e verdi.
Quando JD riaprì gli occhi, era in piedi, libero di muoversi. I neon si erano riaccesi.
L’uomo ombra e la bolla luminosa erano spariti.







________________







Note autore:
E questo era il secondo capitolo.
Questa volta c’è poco da dire. Spero che vi sia piaciuto e che non abbia deluso le aspettative.
Grazie mille per le recensioni e il caloroso benvenuto nel fandom!
A lunedì prossimo.
   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: vannagio