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Autore: monnie    20/04/2015    4 recensioni
«Sono uscito con una ragazza, oggi».
«Senti, non mi int-».
La interruppi. «Lasciami finire, ti prego».
Annuì, poco convinta. «Ho fatto colazione con una ragazza, stamattina» ripresi. «Non è la prima volta, siamo usciti spesso insieme nelle ultime settimane. Si chiama Bonnie, ed è una ballerina. E’ anche molto brava, sai? E’ simpatica, gentile e spiritosa, oltre che molto bella. Insomma, è perfetta. E’ tutto ciò che ogni uomo vorrebbe».
«Bene, sono contenta per te. Grazie per avermi tenuta aggiornata su quello che succede nella tua vita. Ora, se hai finito, avrei la mia di vita da gestire» ribatté secca. Ridusse gli occhi a due fessure prima di voltarsi per rientrare in casa.
«Ma lei non è te».
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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She's not you

 
Is it too late to bring us back to life?


 


Mescolai lentamente il caffè che la cameriera aveva appoggiato davanti a me. Amaro, proprio come mi sentivo in quel momento. E’ brutto da dire, insomma, ero ad un appuntamento con la bella ragazza mora che sedeva dall’altra parte del tavolo, ma la mia mente era altrove. Mi sentivo in colpa perché avrei dovuto darle tutte le attenzioni che meritava, ma non riuscivo a rimanere concentrato. Dentro di me, sapevo che c’era qualcosa di incredibilmente sbagliato in quello che stavo facendo.
«Luke, non bevi il tuo caffè? Si fredda» la voce calma e pacata di Bonnie mi riscosse dal filo dei miei pensieri. Alzai gli occhi dalla tazzina incontrandone un paio color cioccolato.
Abbozzai un sorriso imbarazzato. «Certo, sì… ora lo bevo».
Portai la tazzina alle labbra e presi un sorso di quella bevanda calda, sentendomi inebriato dal suo profumo pungente.
Il caffè era sempre stata la mia droga. Prima di conoscere lei. Chissà cosa stava facendo in quel momento, se stava sorridendo.
Mi guardai intorno: il locale era piccolo ma accogliente. Tutto era un’alternanza perfetta tra rosso e bianco. Assomigliava molto ad una di quelle crêperie di Parigi.
«Domani ho un provino, mi accompagni?» chiese. Bonnie faceva la ballerina. Ed era anche molto brava. Stava cercando di sfondare, perciò quasi ogni giorno era impegnata in provini a destra e a manca.
«Volentieri» dissi soltanto, prima di rintanarmi di nuovo nel mio mondo. Mi sorrise e poi ricominciò a parlare di come fosse agitata e nervosa, ma ormai avevo scollegato il cervello.
La verità era che non la stavo minimamente ascoltando. La guardavo gesticolare con enfasi, portarsi una ciocca corvina dietro l’orecchio e sorridere ma non riuscivo a carpire davvero ciò che mi stava dicendo. Le sue labbra si muovevano frenetiche ma io non percepivo nessun suono. Poggiai il mento al palmo della mano e pensai che la prima volta in cui ero stato in quel locale, ero con Faye ed era il nostro primo appuntamento ufficiale.
Inutile dire che era stato un completo disastro. Mi correggo, io ero stato un completo disastro. Ero così ansioso da non riuscire a pensare lucidamente. Le avevo addirittura rovesciato il caffè sul vestito a fiori.
Sembravano trascorsi anni da quell’episodio. Mi passai la mano sulla fronte come a cacciare quei pensieri. Pensare ad un’altra ragazza mentre ero in compagnia di Bonnie mi faceva sentire ancor di più in colpa. Il problema era che Faye non era un’altra ragazza, lei era la ragazza.
Dio, come avevo potuto lasciarla andare? Come avevo potuto essere così cieco e stupido?
Sarei dovuto essere con lei in quel momento, abbracciati su un divano a guardare una di quelle stupide commedie d’amore che tanto le piacevano. Avrei dovuto baciarla ancora e ancora. Ne avevo bisogno, disperatamente. Ma non potevo farlo, Faye mi detestava. Come darle torno, mi detestavo anch’io. Con tutto me stesso.

«Non possiamo andare avanti così, Luke» sospirò appoggiandosi al bordo del tavolo della cucina. «Credo che possa rendertene conto anche tu».
«Cosa mi stai chiedendo, Faye?» sbottai. Non facevo altro che andare su e giù per la stanza.
«Cosa ti sto chiedendo? Cosa mi stai chiedendo tu? Dio, Luke. Non ci sei mai! Sei sempre in giro con la band oppure chiuso allo studio di registrazione. E poi vieni qui e pretendi di sapere come funziona la mia vita!» alzò la voce. Stavamo litigando, ancora.
«Ma che diavolo stai dicendo?»
«Io non ce la faccio più» mormorò, quasi più a se stessa che a me.
Mi avvicinai, tanto che le punte delle mie scarpe sfiorarono le sue. «E quale sarebbe la tua soluzione? Sentiamo» sputai, acido.
«Ma non lo vedi come ti comporti? Non ne posso più di questi tuoi atteggiamenti altezzosi e infantili. Non sei più un bambino, Luke. E’ tempo che tu cresca» mi scostò appoggiandomi una mano sul petto e si allontanò di qualche passo. «Forse è meglio… non lo so, prenderci una pausa».
«Bella soluzione, Gray, davvero. Stai facendo esattamente quello che ti riesce meglio. Tagli la corda» mi voltai per guardarla negli occhi. «Credo sia una cosa di famiglia, tanto se hai un problema puoi sempre fare come tuo fratello, no?»
Mi pentii di quelle parole non appena ebbi finito di pronunciarle. Mi guardò con gli occhi sbarrati, e solo in quel momento mi resi davvero conto di quanto l’avevo ferita.  Non le lasciai il tempo di replicare. Presi la mia giacca dalla sedia e me ne andai sbattendo la porta.


Come avevo potuto dirle quelle cattiverie? Io la amavo, diamine. Ma ero stato così egoista da pensare solo a me stesso. L’avevo trascurata, l’avevo data – forse – per scontato. E avevo commesso l’errore più grande della mia vita. Ero io il codardo, quello che scappava da tutto, non lei.
Non riuscivo a togliermela dalla testa. Mi era entrata sotto pelle e non riuscivo a liberarmene. Avrei voluto avere tra le mani quell’idiota che per primo aveva detto “chiodo scaccia chiodo” per fargli capire che erano solo balle. E non lo avrei fatto sicuramente in modo gentile.
Non puoi dimenticarti dell’amore della tua vita. Ne sostituendolo, ne cancellandolo. Lui rimane lì, a farti compagnia. A ricordarti quanto sei stato stupido a lasciartelo scappare.
Tornai a guardare la ragazza seduta davanti a me. Bonnie era perfetta. Ma non aveva i capelli biondi e gli occhi screziati di verde. Beveva caffè al posto del salutare tè verde che odora di fieno per cavalli. Aveva addirittura lo smalto rosa alle unghie, mentre lei lo odiava. Lei odiava il rosa in tutte le sue sfumature.
Non dovevo essere lì.
«Luke, mi stai ascoltando?» domandò seccata. No, non la stavo ascoltando.
Mi coprii il viso con entrambe le mani prima di lasciarle cadere mollemente in grembo. «Mi dispiace, non posso».
«Non puoi cosa?»
«Io la amo ancora» soffiai. Dirlo ad alta voce non fece altro che aumentare la mia urgenza. Dovevo assolutamente vederla.
«Ah» rimase in silenzio per qualche istante. «Va' da lei».
Un sorriso triste le increspò le labbra e io sospirai.
Presi dal portafogli delle banconote e le posai sul tavolo. «Mi dispiace, davvero. Dalle al cameriere e chiama un taxi, dovrebbero bastare».
Mi alzai dalla sedia con così tanta foga che per poco non la rovesciai a terra. Mi diressi all’uscita del locale e aprii la porta di slancio. «Mi scusi!» urlai alla signora a cui ero quasi andato addosso.
Iniziai a correre. Casa sua distava circa due isolati da lì, ma non aveva alcuna importanza. Sarei arrivato anche in Alaska di corsa se fosse stato necessario. La mia mente ormai non era più lucida, pensava solo ed unicamente a lei. Al fatto che l’avrei rivista dopo cinque lunghissimi mesi, in cui non avevo fatto altro che crogiolarmi nel senso di colpa e nel rimorso. Stavo per cambiare le carte in tavola, o almeno ci avrei provato.
Continuai a correre finché non mi ritrovai davanti ad una casa azzurro pastello. La sua casa. Mi venne in mente quando l’avevamo tinteggiata insieme. Avevamo combinato un mezzo disastro il che ci costrinse a chiamare un vero imbianchino per limitare i danni. Mi venne quasi da ridere.
Mi bloccai non appena la vidi.
Era più bella di quanto riuscissi a ricordare, nonostante fosse vestita con solo il pigiama giallo limone e una vestaglia sulle spalle. Teneva in mano il giornale, segno che si era appena svegliata.
«Cosa ci fai qui?» lo stupore le si poteva leggere a chiare linee sul volto roseo. Non se lo aspettava di certo, e onestamente nemmeno io mi aspettavo una cosa del genere da me stesso.
«Sono uscito con una ragazza, oggi».
«Senti, non mi int-».
La interruppi. «Lasciami finire, ti prego».
Annuì, poco convinta. «Ho fatto colazione con una ragazza, stamattina» ripresi. «Non è la prima volta, siamo usciti spesso insieme nelle ultime settimane. Si chiama Bonnie, ed è una ballerina. E’ anche molto brava, sai? E’ simpatica, gentile e spiritosa, oltre che molto bella. Insomma, è perfetta. E’ tutto ciò che ogni uomo vorrebbe».
«Bene, sono contenta per te. Grazie per avermi tenuta aggiornata su quello che succede nella tua vita. Ora, se hai finito, avrei la mia di vita da gestire» ribatté secca. Ridusse gli occhi a due fessure prima di voltarsi per rientrare in casa.
«Ma lei non è te».
Si bloccò con una mano sulla porta ancora semi aperta. Mi dava le spalle, così continuai. Era più facile mettermi completamente a nudo senza doverla guardare negli occhi.
«Io… lei non ha i tuoi capelli, le tue mani, la tua bocca, i tuoi occhi» si voltò e immerse le sue iridi verde brillante nelle mie. «Lei non guarda commedie romantiche per poi piangere sempre sul finale. Non mangia caramelle gommose a tutte le ore del giorno, non suona il pianoforte come fai tu. Beve addirittura il caffè come tutte le persone normali».
Incrociò le braccia al petto e un sorriso dolce e forse un po’ timido le si disegnò sulle labbra.
«Mi dispiace, sono stato un vero stronzo».
«Sì, lo sei stato».
«Non avrei dovuto dire quelle cose».
«Già, non avresti dovuto» pronunciò con una smorfia buffa. La ammonii, giocoso, con lo sguardo. Proprio non riusciva a farmi finire il discorso senza interrompermi.
«Ho avuto così tanta paura di perderti che… non lo so, ho perso la testa e ho detto cose che non pensavo» mi ero avvicinato a lei senza nemmeno accorgermene. Distava da me solo pochi passi, era lì ad un soffio.
«Non basta. Non basta venir qui e chiedere il mio perdono» stava cercando di rimanere seria ed impassibile ma l’ombra di un sorriso stava già prendendo forma sul suo viso.
«Ti amo» sorrisi.
«Non basta, Luke».
Sapevo che mi aveva perdonato, glielo leggevo negli occhi.
Feci un passo verso di lei. «Ti amo» passo «ti amo» un altro passo «e ti amo, Faye» soffiai ad un paio di centimetri dalle sue labbra. Il mio naso sfiorava il suo e il suo profumo mi stava dando alla testa.
Non ebbi il tempo di formulare un pensiero sensato che le sue mani afferrarono il colletto della mia camicia e le sue labbra si posarono sulle mie. Calde, morbide. Erano esattamente come le ricordavo. Le mie mani corsero lungo il profilo del suo corpo per poi fermarsi sui suoi fianchi. La strinsi a me come non facevo da tanto, troppo tempo.
Schiuse le labbra gettandomi le braccia al collo e io la baciai con più foga. Dio, quanto mi era mancata. Come diavolo avevo fatto a sopravvivere per dei mesi senza la mia aria?
Si staccò lentamente da me per riprendere fiato, le guance arrossate e gli occhi liquidi. E io poggiai la fronte alla sua.
«Cos’hai contro il tè verde, scusa?» mormorò sulla mia bocca.
Ridacchiai. «Che ne dici se ne riparliamo un’altra volta?» non aspettai la sua risposta e tornai a posare le mie labbra sulle sue.







 

Saaaalve! :)
Non so nemmeno io il motivo per cui sto postando questa cosa, ma mi andava di farlo.
L'avevo scritta qualcosa come tipo mille anni fa, e ho deciso di riproporla in questo fandom sia perché ci sono molto legata ma soprattutto perché è una delle poche cose che ho scritto che mi soddisfa - abbastanza, per lo meno.
Anche se credo che il mio modo di scrivere sia parecchio cambiato da allora, but who cares.
Avevo fatto anche un banner, ma efp ha deciso che gli sta sul culo e non mi permette di inserirlo. Ci avevo speso un'intero pomeriggio per farlo.. argh!
Spero apprezzerete, ora mi dileguo :)

Monica
  
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