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Autore: luxaar    20/04/2015    1 recensioni
Beatrice ed Edoardo saranno protagonisti di una storia posata e scomposta.
Gli amici di Beatrice amano descriverla come un'idealista, una sognatrice disillusa.
Dicono che le piace parlare, ma che di sè non dice mai nulla.
Confonde con le sue chiacchiere e tutti la considerano una persona con cui poter conversare piacevolmente.
Edoardo, invece, evita le ciarle quasi fossero la peste, preferirebbe stare un po' solo, ma più si allontana, più gli altri si avvicinano.
E' bello, affascinante, misterioso e sicuramente ricco.
Gli "sciacalli", come ama chiamarli lui, non abbandonano mai la loro preda.
Eppure Edoardo non si arrabbia, non si scompone, al massimo sorride amaro, e si lascia scivolare addosso ogni moina, lusinga, cattiveria o invidia senza alcuna differenza:
Alza le spalle.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Edoardo era un'anima in tempesta. (1)
Nonostante amasse far credere che egli fosse solo un deserto arido, impassibile ad ogni sentimento, era visibile la sua eterna condanna.
Si poteva scorgere la fragilità d'animo che lo logorava dall'angoscioso tremolio delle mani, dalla risata amara che sempre raggiungeva le sue labbra e da quegli occhi così lucidi e infelici che quasi ti supplicavano di capirlo, abbracciarlo, cullarlo come fosse ancora un bambino.
Perché alla fine, bambino, era esattamente ciò che era.
Attendeva, orgoglioso, con le ginocchia sbucciate, che arrivasse la sua mamma, senza piangere, perché capisse quanto fosse bravo il suo bimbo.
Serrava le labbra e tirava su col naso, attendendo, orgoglioso, con quelle ginocchia sbucciate le dolci parole della sua mamma “Tesoro mio, non è niente” accompagnate da un bacio sulla fronte a curar tutte le ferite meglio di qualsiasi cerotto.
Ma la mamma non arrivava e le ferite non guarivano , non sarebbero guarite senza il bacio.
Però Edoardo non poteva piangere, lui era bravo, doveva solo aspettare con gli occhi pieni di lacrime, ma senza versarne neanche mezza, che arrivasse qualcuno a salvarlo.
Ma nel frattempo le ferite si infettavano.
Certe volte mi chiedevo se si fosse arreso.
Arreso all'evidenza che non sarebbe arrivato nessuno, ma proprio quando me ne convincevo sempre di più in quel grigiazzurro dei suoi occhi scorgevo una scintilla di vita. Era speranza?
Non l'ho ancora ben capito cosa fosse.
Ma era quella luce che mi rincuorava.
E allora,  facevo scorrere l'indice e il medio sulla sua guancia, sfiorandola, a mo' di carezza, quasi impaurita da una sua reazione brusca, e, sempre con la stessa delicatezza, con la stessa lentezza, Edoardo abbozzava un sorriso.
Deglutiva inquieto, portava lo sguardo dal lato opposto al mio, ma, la sua mano tremante raggiungeva la mia, guidandola in una carezza più concreta.
Da sfioramento, da soffio di vento leggiadro e quasi immobile, diveniva brezza marina dall'odore di salsedine.
Era così il nostro rapporto, un continuo destreggiarsi tra pezzi di vetro, attenta a non calpestarne neanche uno.
Studiavo le sue reazioni, lo sollecitavo ad agire quando ero sicura che non sarebbe rimasto in mezzo alla stanza con lo sguardo basso e il cappuccio sulla testa, immobile nella sua apatia apparente.
Era a pezzi: fragile e rassegnato al suo abbandono.
Senza la mamma, nel parco dove si era sbucciato le ginocchia, non sapeva dove andare.
 
A volte avevo paura di perderlo, spaventata che i suoi stessi pensieri lo distruggessero completamente.
Ogni mattina tastavo il lato destro del letto e ogni santa volta, delusa, ritraevo bruscamente il braccio, ritrovandomi al freddo, sola.
Eppure la delusione durava poco: appena mi ritrovavo davanti allo specchio, nella stanza attigua, un tè e un muffin al cioccolato si avvicinavano pericolosamente al mio viso, che, infastidito,  dipingeva un'espressione contrariata. Allora Edoardo divideva in piccoli pezzi il muffin e incominciava a porgermeli, quasi fossi io,questa volta, la bambina.
E quando finivo di bere il tè, mi depositava un bacio sulla fronte, come se mi volesse premiare.
Mi tratteneva un altro po', perché non fuggissi in bagno, e dopo ritornava a studiare i suoi spartiti.
Ci prendevamo cura l'uno dell'altra.
Conoscevamo le nostre debolezze e facevamo in modo che l'altro non affondasse.
Ecco perché a questo punto, anch'io scendevo al piano di sotto e lo osservavo mentre scriveva provava suonava struggeva.
Lo consumava quel benedetto violino o forse era il violino a consumare lui.
Era una guerra la loro e alla fine non si capiva chi ne fosse uscito vincitore e chi, invece, vinto.
Forse il loro era un amore simile al nostro.
Il mio compito, a quel punto, era quello di osservarlo mentre leggevo un libro sul divano.
Eppure, ogni volta, le righe scorrevano veloci, senza trovare senso alcuno nella mia mente che intanto vagava alla ricerca di risposte, scavava in quell'anima tanto tormentata.
Poi, stufa, mi alzavo, prendevo le chiavi di casa e nel momento in cui aprivo il portone i suoi occhi puntavano su di me, come i fari degli elicotteri che nei film illuminano i fuggitivi, però in quel suo grigiazzurro, in cui tutto poteva essere letto, non vi era accusa, bensì paura e poi rassegnazione,  come se si aspettasse che anch'io un giorno o l'altro l'avrei abbandonato, senza dire niente, in punta di piedi.
Così “Esci” mi diceva, non domandava: affermava.
Atono.
E io, abbassando lo sguardo: “Non c'è più latte” sussurravo.
Peccato che a nessuno dei due piacesse.
Credo che lo facessi apposta, volevo che me lo ricordasse. Speravo che si arrabbiasse, aspettavo una reazione che puntualmente non sopraggiungeva.
Così, delusa dalla sua passività andavo al parco che si trovava davanti casa e mi sedevo sempre su una panchina diversa, con le ginocchia al petto e lo sguardo nel vuoto dell'oblio.
Ritornavo senza latte.

Note
(1) Ugo Foscolo.
E' da anni che non scrivo qualcosa; ho paura di essere scaduta nel banale, che questa storia non abbia alcuna speranza. Eppure mi piaceva. Avevo bisogno di scrivere ciò che ancora non avevo letto.
Questo è un prologo da considerarsi atemporale. Se continuerò questa storia capirete che sicuramente è ambientata molto più avanti, nonostante non alla fine.
Purtroppo sono logorata dal dubbio. La continuo o è banale/brutta/priva di senso?
Ditemi voi.
Ci sarebbero altri capitoli già pronti ma non so davvero se questa storia ha qualche possibilità.
Grazie mille per aver letto il primo capitolo, sarei felicissima se lasciaste una recensione anche per scrivermi 'continua' o 'lascia stare: fa schifo'.
Comunque i personaggi sono completamente inventati e mi piacerebbe trattare delle tematiche che fino ad ora sono state trattate superficialmente e sarei contenta di approfondirle,
Grazie ancora!
Luxaara
  
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