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Autore: Ice_DP    20/04/2015    1 recensioni
I muscoli erano tesi in uno sforzo che pareva impossibile, fuori dalle possibilità di ogni comune essere umano.
Non poteva sbagliare; non solo per lui, per il suo orgoglio cacciato in fondo alla gola dopo quella supplica, per la sua testardaggine che lo aveva portato quasi a rovinarsi letteralmente l'esistenza. No. Lo doveva anche a lei, che l'aveva sempre sostenuto nonostante lui avesse cercato di sabotarla, sabotando anche se stesso.
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Il suono della sirena dell'ambulanza giunse alle sue orecchie pochi minuti dopo, trasportandolo in ospedale. Il tragitto gli era sembrato infinito, quasi come se fosse la strada verso l'inferno.
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“Dov'è finito il mio Hisashi? Dove l'hai nascosto? Quando l'hai ucciso?”
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La strada verso la redenzione è lunga e faticosa; ma non impossibile, se si ha qualcuno accanto che sa come farti uscire senza essere spezzato.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hisashi Mitsui, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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*Prima di iniziare*

Questo mio piccolo...sfogo?, se lo si può definire così, nasce in circostanze sospette, quando la mia mente doveva essere concentrata a studiare ma che nella realtà si divertiva a burlarsi di me. Lo fa molto spesso, ultimamente. E siccome mi conosco, e conosco anche lei, finché non vedrò questa cosa scritta nero su bianco, non avrò mai l'anima in pace.
Se passasse inosservata, cosa a cui credo vivamente, pazienza, è solo un puro sfogo alla mia fantasia che cerca di ribellarsi allo studio semi serio a cui la costringo. Studio che, tra l'altro, troverebbe molto utile se solo avesse la minima intenzione di accoglierlo, neanche apprezzarlo.
Detto ciò, ho ancora una piccola osservazione: la partita presa in considerazione non ne riguarda una in particolare, che comunque sarebbe irrilevante ai fini della storia. È una shot senza pretese, comunque. Non potrei mai averne,in fondo.
E con questo, se qualcuno non è ancora morto di noia, vi lascio alla storia, miei prodi. Non starò a pregare di lasciare una recensione, tanto nessuno ascolta mai le preghiere di una povera scrittrice da quattro soldi, indi per cui, spero almeno vi sollazzerete per la lettura.
E ricordatevi, peace and love! <3


La luce in fondo al buio


I muscoli erano tesi in uno sforzo che pareva impossibile, fuori dalle possibilità di ogni comune essere umano. I piedi quasi sembravano aver acquisito la capacità di volare a mezzo metro da terra. Il corpo era un fascio di nervi e la mente non era da meno, concentrata e tesa nell'azione che stava svolgendo. Non poteva sbagliare, quel tiro non poteva essere sbagliato. Non doveva essere sbagliato. Doveva essere tutto perfettamente coordinato in un unico, fluido movimento. Un gesto pulito che non avrebbe lasciato dubbi, ma solo stupore negli occhi degli spettatori.
Se fosse andato storto, tutto ciò per cui aveva lottato negli ultimi tempi non sarebbe servito assolutamente a niente. E questo non se lo sarebbe mai perdonato.
In fondo lui non era un ragazzo qualunque, un ragazzo che si lasciava abbattere. Per quanto potesse essere brutta la situazione in cui era precipitato, in un modo o nell'altro se ne sarebbe comunque tirato fuori.
Non poteva sbagliare; non solo per lui, per il suo orgoglio cacciato in fondo alla gola dopo quella supplica, per la sua testardaggine che lo aveva portato quasi a rovinarsi letteralmente l'esistenza. No. Lo doveva anche a lei, che l'aveva sempre sostenuto nonostante lui avesse cercato di sabotarla, sabotando anche se stesso. Glielo doveva perché aveva capito, tardi ma l'aveva capito, che lei gli aveva salvato la pellaccia. Lo aveva fatto ragionare quando anche l'ultimo lume di speranza si era andato dissolvendo. Lei era stata capace di accendere la luce in quel buio infernale e di riuscire a fargli vedere che c'era ancora del buono in lui, e nel mondo circostante.
E lei, in quel momento, era tra gli spalti, tra la folla urlante. Era sicuro di avere i suoi begli occhi verdi puntati addosso, con il respiro fermo ed il cuore a mille, nemmeno ci fosse stata lei su quel campo al posto suo. Lui era sicuro del suo sguardo, e ne era anche felice, felice che non se ne fosse andato per sempre, ma che avesse potuto vedere quello che si sarebbe rivelato il suo riscatto.
La mente smise un momento di ragionare, e la palla scivolò dalle mani in un tiro che sarebbe stato da tre punti. La sua specialità. Non avrebbe sbagliato, per lei non lo avrebbe più fatto.

Quella fitta al ginocchio che l'aveva colto la prima volta alla sprovvista, non si fece attendere per un ritorno di fuoco. Letteralmente. Sembrava aver scelto il momento giusto per infierire ancora una volta, ed ancora più forte di prima. E dire che sembrava che tutto fosse tornato a posto, come doveva essere.
Era stata di nuovo come un fulmine a ciel sereno, e come un fulmine, gli aveva scaricato addosso un'elettricità tale, da farlo ruzzolare per terra.
In fondo un po' se lo aspettava, ma sperava che i suoi timori fossero infondati e che avesse potuto ritornare a giocare a basket come aveva sempre fatto.
Il basket era la sua ragione di vita, senza quello, nulla aveva più un gran senso che accompagnasse le sue giornate.
Viveva in funzione della pallacanestro, ma evidentemente quello sport rivelatosi così crudele, non lo voleva più.
Non accettava più uno dei suoi giocatori migliori.
Un urlo disumano si fece strada tra le mura della palestra, e Hisashi Mitsui si teneva dolorosamente il ginocchio sinistro, fonte di tanta disperazione.
-Non è possibile, dimmi che non è vero!- urlava la mente del ragazzo, piena di frustrazione per la situazione in cui era di nuovo caduto.
Le lacrime iniziarono a scendere dagli occhi, senza ritegno.
Hisashi non si curava minimamente delle persone che gli erano attorno e che potevano vederlo piangere. Non se ne accorgeva nemmeno, e l'unica cosa che riusciva a vedere era solamente il suo grande sogno che si allontanava, sfuggendogli dalle mani, dalla vita.
-NO!- un grido che riecheggiò per tutta la palestra, suonando come un lamento straziante e pieno di angoscia. Era qualcosa che nessuno dei presenti aveva mai sentito in tutta la vita: una sillaba carica di dolore, frustrazione, abbandono e tanta rabbia; una rabbia nata dall'impedimento nel raggiungere i propri obiettivi, i propri sogni, che erano sfumati via come un segno di matita cancellato di fretta. In un solo momento gli era crollato il mondo addosso, insieme alle sue certezze ed al suo grande amore per quello sport.
Mitsui temeva il peggio, temeva di essere emarginato per sempre da quel campo di legno, tagliato fuori da tutto ciò che poteva avere importanza per lui.
Era una sensazione ed una consapevolezza insopportabile per un solo, così giovane ragazzo.

Il suono della sirena dell'ambulanza giunse alle sue orecchie pochi minuti dopo, trasportandolo in ospedale. Il tragitto gli era sembrato infinito, quasi come se fosse la strada verso l'inferno.
La sua stanza era un posto freddo ed inospitale, e aveva tutto meno che l'atmosfera di casa. Non aveva il calore a cui Mitsui era abituato, e non aveva nemmeno ciò che lui cercava disperatamente: un posto che sentiva suo.
Quel luogo gli ricordava, e lo avrebbe sempre fatto, una sconfitta più forte e dolorosa di qualsiasi pugno che avesse mai potuto ricevere in vita sua.
Aveva l'odore pungente di fallimento, di chi non ce l'aveva fatta.
E il ragazzo, volente o nolente, ne era entrato a far parte.
Molti pensieri gli affollavano la mente, ma tutti rimanevano con la stessa risposta buia: non avrebbe mai più potuto giocare a basket. La sua mente era offuscata ormai da giorni da questi pensieri, e il lenzuolo bianco del letto subiva tutta quella rabbia attraverso i pugni serrati che lo stringevano durante l'arco della giornata.
Le mani gli facevano male dalla troppa forza che metteva in quel gesto, quasi come a voler passare a quel materiale inanimato un po' del suo dolore. Ma in cambio non otteneva altro che rabbia e consapevolezza del fatto che non sarebbe mai più stato quello di un tempo.

Maledizione!!”
Il lenzuolo cadde a terra come un fagotto, ed il rumore di piatti rotti riempì la stanza e le orecchie di Hisashi. Il pranzo era rovinosamente rovesciato sul pavimento; tanto non aveva fame. Non ne aveva più da giorni ormai, e nemmeno le visite dei suoi amici gli erano di aiuto.
Aveva provato a passare il tempo leggendo, ma la sua mente era troppo distratta e cercava in tutti i modi di non essere riempita di qualunque informazione. Anche lei aveva preso a ribellarsi.
Le foto accanto al letto lo aiutavano sì a stare un po' meglio, ma lo rigettavano in un malumore che nemmeno con tutta la forza e la buona volontà del mondo sarebbe riuscito ad allontanare.
La sua stava lentamente diventando un'ossessione che non lo abbandonava mai, né durante il giorno, e né tanto meno durante la notte.
Quello era il momento peggiore; quel lasso di tempo in cui l'oscurità la faceva da padrone gli riportava a galla tutta la fatica che aveva fatto durante il dì per buttare giù quella pillola amara che per sua sfortuna rimaneva sempre incastrata in gola. Lo ridestava dalla calma apparente che era riuscito a raggiungere, facendolo ripiombare nell'oblio.
I sogni non lo consolavano certo di più: il volto del signor Anzai infestava la sua testa quando cercava ristoro almeno durante il sonno. Quando riusciva ad addormentarsi, era ovvio. Anche la veglia era disturbata, e forse era ancora peggio che sognare.
Hisashi pareva non farcela più.

Una testa riccioluta fece capolino dalla porta, con un sorriso in volto.
Posso entrare?” chiese, con voce limpida ed allegra.
Hisashi si girò verso la fonte del rumore, scorgendo la sua amica Ai sulla porta.
Sorrise a sua volta.

Vieni Ai, lo sai che sei sempre la benvenuta!” la invitò, e la figura minuta della ragazza fece il suo ingresso nella stanza. Era piuttosto piccola, con due occhi grandi e verdi e la faccia pulita, quasi angelica.
Ai era sua amica fin dai tempi dell'infanzia, e lo aveva sempre incoraggiato nello sport che più amava al mondo. Era presente ad ogni partita e conosceva a memoria il gioco di Mitsui, non essendosi mai persa una sua azione. Quando poteva andava anche a sbirciare gli allenamenti, ed al ragazzo questo non poteva che far piacere.
Anche in quel momento era felice di vederla, ma non avrebbe voluto che lei sapesse del suo infortunio. Sapeva che si sarebbe preoccupata più del dovuto, spaventandosi come una preda quando sente il predatore nelle vicinanze.
Mitsui le voleva molto bene, e per lui era diventata una figura importante nella sua vita.
La ragazza dalla folta chioma castana si sedette sulla sedia accanto a lui, non perdendo mai il suo sorriso.

Come stai, campione?” gli aveva chiesto, usando il nomignolo che gli aveva affibiato anni or sono.
Già, come stava? Si sentiva uno straccio, un incapace, un fallito.

Sto bene...” rispose però, non volendo dare adito ai suoi più cupi pensieri. Non voleva intristire l'amica, nonostante sapesse benissimo che non gli avrebbe creduto.
Lui per Ai, era un libro aperto. Lo leggeva con una facilità tale da fargli paura, a volte.

Certo, e io ho vinto l'ultimo concorso di bellezza!” lo schernì. “Dimmi la verità”.
Mitsui strinse come di consueto, ultimamente, il proprio lenzuolo, cercando di trattenere la rabbia e le lacrime di nervosismo. Uno sforzo vano, con lei sarebbero uscite comunque: era incapace di nasconderle i propri sentimenti.

Sono un fallito, ecco tutto!” quasi lo urlò, ma Ai gli mise gentilmente una mano sulla spalla, quasi come se volesse assorbire un po' del suo dolore.
Se fosse stato possibile lo avrebbe fatto davvero.

No, non lo sei. E lo sai bene.” le sue parole erano dolci, ed erano le uniche che gli avevano dato un minimo di conforto sperato.
Lo sai che puoi anche metterti a strillare come un neonato, se ti può aiutare. Io rimango qui.” e sorrise amorevolmente.
E fu allora che tutta la rabbia, la frustrazione e la tristezza uscirono dalle labbra del ragazzo, accompagnate dalle lacrime amare di una sconfitta. Parlò come se potesse essere l'ultima volta possibile, svuotò tutto se stesso da quelle angosce e da quelle ossessioni che lo attanagliavano, e una volta finito, si sentì meglio.
Ai lo stette ad ascoltare senza fiatare, attenta ed in silenzio religioso.
Sapeva quanto fosse importante per Hisashi sfogarsi e buttare tutto fuori; non poteva che fargli bene. Tenersi dentro tutto lo avrebbe consumato, fatto marcire da dentro. Non poteva portarsi quel fardello dietro da solo, non era in grado di reggere un macigno di quella portata. Almeno non un'altra volta. Non era così forte come voleva dare a vedere. Gli era già successo una volta questa sventura, ed un'altra non poteva che peggiorare le cose se non si fosse aperto con qualcuno.
Ai lo guardò un attimo, prima di rispondergli. Doveva pesare bene le parole: non voleva né dargli false speranze ma nemmeno illuderlo di un qualcosa che non sarebbe mai più potuto accadere.
Faceva male anche a lei sapere che il suo migliore amico non avrebbe più potuto giocare a basket e realizzare i suoi sogni.

Io dico che non tutto è perduto!” sentenziò allegramente, non credendo troppo alle sue parole. Guardò un attimo fuori dalla finestra.
La speranza è l'ultima a morire, e non va bene abbandonarla!”
Mitsui la guardò sorpreso. Erano le stesse parole che gli aveva detto Anzai il giorno della finale.
Sorrise, pensando che fosse davvero fortunato ad avere accanto un'amica del genere.
Ai se ne accorse, ma non disse niente, felice almeno di aver alleggerito il carico del ragazzo per un po'.

Ma lo sai che c'è un'infermiera che non mi lascia in pace?” esordì d'un tratto, un po' infastidito. “Crede che mi piaccia e continua a farmi delle avance!”
Ai strabuzzò gli occhi e scoppiò in una fragorosa risata, che le fece venire male alla pancia e le lacrime agli occhi. La scena che le si era presentata agli occhi della mente era qualcosa di esilarante: si immaginava le avances spinte della donna nei suoi confronti, e lui che non riusciva ad accettarle.
Mitsui si accigliò.

Ma perché ridi tanto eh?”
Per tutta risposta ebbe un altro scroscio di risa.

Va beh, quando sei tornata nel mondo reale fammi un fischio!”
Ai si trattenne a fatica, guardando Mitsui divertita.

E togli quel muso lungo, permaloso!” disse, punzecchiandogli la guancia.
Il viso del ragazzo si deformò ed un mugugno di dissenso uscì da quella massa maltrattata.
Un altro suono di risate riempì l'aria. Ai era riuscita a portare un po' di buonumore in quella stanza tanto cupa e triste.

Mistui era steso sul letto e guardava il soffitto in cerca di una qualsiasi risposta che lo facesse stare meglio.
Ai se n'era andata, e con lei il suo buonumore. Ed era tornato tutto il macigno che lo appesantiva da ormai troppo tempo.
Pensava al fatto che ci aveva riprovato; aveva provato a giocare di nuovo, e per un attimo l'illusione che tutto sarebbe tornato come prima lo aveva pervaso.
Ma il suo demone era dispettoso, e gli aveva preparato un tiro mancino. Una ricaduta tremenda, che non gli aveva più permesso di tornare ad essere un serio giocatore di basket.
Se n'era andato, lasciando tutto; lasciando anche la sua sfida con Akagi rimanesse aperta.
Non si era fatto più vedere, e aveva lasciato che la sua figura venisse accantonata ed oscurata, lasciata in u cassetto a impolverarsi; ma a non ad essere dimenticata.
Nessuno poteva dimenticarsi di Hisashi Mitsui.
D'altronde una leggenda non la si scorda mai. Ed una leggenda viene anche tramandata di generazione in generazione.

Per un po' di tempo aveva lasciato scorrere i giorni nel vuoto più completo. Le sue giornate ora sembravano inevitabilmente più lunghe e senza fine. Avrebbe dovuto pur trovarsi qualcosa da fare.
Adesso che riusciva a camminare normalmente, senza l'ausilio della stampella, poteva muoversi senza problemi. Apparentemente era tornato ad essere un ragazzo normale.
L'unica cosa che gli andava di fare ultimamente era proprio camminare. Vagare senza una meta precisa, pur di occupare il tempo in eccesso.

In uno dei tanti giorni di noia, sempre accompagnati da quella frustrazione che lo tormentava, Ai era venuta a fargli compagnia. Era preoccupata per lui, e cercava in tutti i modi di riuscire a combinare qualcosa di buono pur di far sentire meglio Hisashi. Non voleva lasciarlo solo, in balia dei suoi brutti pensieri. Gli voleva bene, e non l'avrebbe abbandonato per nulla al mondo.
Hisashi, e fammi un sorriso su!” lo implorava lei, alzandogli gli angoli della bocca per averne almeno una parvenza. “Sei così bello quando sorridi!” cercava di incitarlo, toccandolo sull'orgoglio puramente maschile.
Ai, piantala dai!” mormorò, spostando con poca delicatezza le piccole mani della ragazza dal suo viso.
Lei sbuffò infastidita.

Io faccio quello che mi pare, e adesso ti dico che devi almeno provare a sorridere, cercando di vedere qualcosa di positivo anche in questa faccenda!” si era adirata leggermente, toccando un tasto che per Mitsui era scomodo.
La rabbia gli montava dentro, e non ce la fece a controllarla.

Smettila! Smettila e vattene! Non ho bisogno di te e della tua misericordia! Non mi serve a niente! Tu non mi servi a niente!” le sputò queste parole addosso, facendola sobbalzare ed insieme colpirla nel profondo. Seguì un breve silenzio, carico di tensione.
Bene.” si alzò dalla panchina sulla quale era seduta, riavviandosi il vestito. “Se è questo che vuoi, allora ti lascio in pace.” si era voltata, e se n'era andata, sparendo in fretta dalla sua visuale. Era successo tutto così velocemente, che lui quasi a stento se n'era accorto. Era successo davvero? Ma la risposta la conosceva bene, e si era immediatamente pentito di ciò che aveva fatto un attimo prima.
Sapeva di averla ferita, ma in quel momento non capiva che lei era davvero l'unica che potesse tirarlo fuori dai guai. La lasciò andare via, senza nemmeno chiamarla, stando seduto a fissare la sua figura sparire lentamente all'orizzonte. Si pentì subito dopo per averla trattata a quel modo. Non voleva paragonarla ad un oggetto utile, lei non lo era. Lei si preoccupava solo per la sua salute. E lui l'avrebbe capito troppo tardi.

Non l'aveva cercata per giorni, e lei non era stata da meno. Era troppo orgogliosa per fare il primo passo.
Si erano lentamente persi, senza smettere di pensare l'uno all'altra. Se nessuno metteva da parte l'orgoglio, la situazione rimaneva immobile. E nessuno dei due voleva cedere, l'una perché era stata ferita e pretendeva delle scuse, l'altro perché era troppo testardo per poterle pronunciare.

Si incontrarono un giorno, per strada, per caso. Lei era sola, mentre Mitsui era in compagnia dei suoi nuovi amichetti, tra cui il famoso Tetsuo. Avevano già suscitato scalpore con tutte le risse che avevano provocato. Hisashi non poteva scegliere una compagnia peggiore per lui.
Le passarono accanto, non risparmiandole dei commenti allucinanti e volgari. Hisashi cercò di zittirli senza un grande successo, cercando però di non dare troppo nell'occhio, specialmente quello di Ai.

Cos'è, la tua ragazza?” gli aveva detto uno, prendendola per un braccio in modo tutt'altro che galante e delicato.
Lasciami brutto stronzo!” era stata la sua reazione, cercando di divincolarsi dalla stretta. Mitsui gli prese il braccio e liberò Ai dalla morsa ripugnante. Lei si ricompose.
Fate proprio schifo” si rivolse a tutta quella banda di teppisti dalla pessima reputazione “E tu, più di tutti.” era gelida nel dirlo, guardando Hisashi negli occhi, con un'espressione delusa e inquisitrice. Quello sguardo lo penetrò nel profondo, aprendo una ferita che sanguinava più di quando aveva perso i due denti davanti. Faceva male, un male cane. Lei non poteva pensare una cosa del genere, lei lo aveva sempre apprezzato. Ma lei non credeva che sarebbe arrivato a ridursi così. Un teppista da strada che trova in un branco di idioti la sua nuova casa. Non lui, non Hisashi Mitsui. L'aveva profondamente delusa, e questo lui lo sapeva.
Senza aggiungere altro s'incamminò per la sua strada, non voltandosi nemmeno una volta. Mitsui la guardò di nuovo andare via ed allontanarsi. L'aveva persa, di nuovo.

Che, ti fai mettere i piedi in testa da una femmina qualunque?” qualcuno aveva sparato accuse, beccandosi un pugno come risposta. Lei non era una “femmina qualunque”. Lei era la sua Ai.
Ehi ehi, calma Mitsui” Tetsuo era intervenuto. “E tu, idiota, piantala”.
Lui, capo della banda, era forse l'unico ad avere un po' di sale in zucca. Aveva captato qualcosa.

Razza di coglioni.” commentò Hisashi, guardando il cielo. Lui e Ai erano soliti guardare le stelle, insieme. A inventarsi nomi improponibili per le costellazioni e a ridere su quella scemenza. Le mancava tanto, le mancava da morire. E anche stavolta l'aveva lasciata andare, senza fare nulla, senza muovere un muscolo.
Si maledisse, si maledisse tutta la sera. L'avrebbe rivoluta accanto a sé. Lei era la sola a non giudicarlo mai, ed a comprenderlo come nessuno mai aveva fatto.
Voleva di nuovo la sua amica -ma davvero solo amica?- accanto a sé, per non smarrire di nuovo la strada.
Nella sua mente si fece largo questa idea, e ci mise poco ad essere convertita in realtà.

Quella sera i suoi pensieri quotidiani erano stati fermati da un tirapugni che gli aveva lasciato il segno. Una piccola cicatrice sul mento sarebbe rimasta lì, a ricordargli l'accaduto per il resto della sua vita. Avrebbe voluto essere già oltre, aver già passato quell'età critica; avrebbe voluto guardarsi allo specchio e dire “Ce l'ho fatta, nonostante tutto.”
Ma quel giorno era ancora lontano.
Poche sere prima avevano fatto a botte con un certo Myagi, e adesso volevano pareggiare i conti. Quella volta a Mitsui non era andata bene come sempre. Se l'era prese di santa ragione, ed i suoi due denti mancanti ne erano la prova.
Gli era montata una rabbia smisurata, e le mani gli prudevano tanto da farlo quasi impazzire; sarebbe stato meglio se se le fosse tirate via a morsi.
Quel pomeriggio aveva incontrato Ai nei pressi di casa sua, mentre bighellonava sperando di vederla. Ormai da quando avevano litigato, lo faceva spesso.
Lei lo aveva appena guardato, lo sguardo deluso e cattivo. Non avrebbe voluto farle così tanto male, ma in fondo non la biasimava. Se non voleva parlare al ragazzo che era diventato, ne aveva tutti i motivi. Hisashi aveva sperato che almeno lo salutasse, ma lei non gli aveva concesso neanche quello: gli era passata accanto quasi sfiorandolo, senza degnarlo di uno sguardo o di una parola. Quel comportamento lo aveva ferito come se avesse preso cento pugni nello stomaco. Lei era sempre stata quella che non lo aveva mai giudicato, ma adesso Mitsui aveva davvero passato ogni limite.
Anche se aveva provato a parlarle, dopo quella volta che i suoi amici l'avevano quasi aggredita, si era sentito rispondere che lei non lo conosceva più, che era diventato un mostro del quale non ci si può fidare.

Dov'è finito il mio Hisashi? Dove l'hai nascosto? Quando l'hai ucciso?”

Quelle parole erano arrivate come una pallonata dritta in faccia.
Se nemmeno lei si fidava più, se non lo voleva più vicino, allora aveva perso completamente le speranze.

Hisashi ti prego, smettila di vederti con quei teppisti! Ti rovineranno!”

Non le aveva dato retta. E solo Dio sapeva adesso quanto avrebbe voluto.

Hisashi, torna a giocare a basket...”

L'aveva implorato, sapendo perfettamente che lui si sarebbe arrabbiato e avrebbe rinunciato in partenza.

Niente è perduto...”

Le aveva urlato in faccia, per risposta. E l'aveva mandata via, forse per sempre. Non avrebbe mai dovuto...non avrebbe mai voluto.


Quando avevano varcato la soglia della palestra, qualcosa in Hisashi era scattato. Tutti i ricordi si affollavano nella sua mente, facendolo annegare. Non riusciva quasi a respirare.
Nonostante le botte prese e quelle date, i racconti di Kogure gli avevano fatto più male. Non voleva sentir parlare del ragazzo che era stato.
Ma qualcuno, quel giorno, aveva deciso di aiutarlo. Una manna dal cielo, avrebbe poi pensato Hisashi.
Il Signor Anzai era l'unico, insieme ad Ai -ma questo Mitsui l'avrebbe capito solo a conti fatti- che potesse tirarlo fuori dal baratro in cui era precipitato.

Allenatore Anzai...la prego..io voglio giocare a basket!”

Quel giorno, a guardare la scena da lontano, c'era anche Ai. Non lo aveva mai perso di vista, nonostante fingesse di evitarlo. Non avrebbe mai potuto abbandonarlo, nemmeno in quella circostanza.
Quando Hisashi, finalmente senza essere seguito da quella banda di idioti, era uscito dalla palestra, l'aveva trovata lì, ad aspettarlo.
L'aveva guardata, ed in quel momento aveva capito tutto.

Tu...ci sei sempre stata...” le lacrime gli rigarono di nuovo il viso sporco di sangue. “Non mi hai mai abbandonato...” i singhiozzi gli spezzavano la voce già debole.
Ai non disse niente. Gli si avvicinò e lo abbracciò più forte che poteva. Le sue braccia lo tenevano stretto, come se non volessero più farlo scappare; le mani stringevano la giacca scura, aggrappandosi.

Non andare più via...” era quasi come se lo stesse implorando.
Questa volta fu Mitsui a non dire nulla; la abbracciò forte. Mille parole non sarebbero bastate per rendere l'idea della gratitudine che lui provava.
E Ai lo sapeva bene.

Certo che così è tutto un altro vedere!”
La ragazza riccia sorrise guardando il giocatore di basket che si esibiva in pose da book fotografico.

Sono bello, lo so!”
Si atteggiava come un pavone che fa la ruota, camminando avanti ed indietro come se stesse sfilando su una passerella.
Ai rise a crepapelle; una risata che veniva dal cuore.
Hisashi la guardava sorridendo. L'aveva davvero salvato. Lei c'era sempre stata per lui, anche nel momento peggiore, anche se lui stesso non se n'era accorto.
Aveva giurato a sé stesso, e per lei, che mai più avrebbe commesso un simile errore.
Aveva i capelli corti e i denti davanti erano tutti al loro posto.
Poteva ricominciare da dove aveva lasciato.
Ce l'avrebbe fatta, questa volta.
Anche il ginocchio sembrava stare molto meglio.
Lo avrebbe fatto per Ai; e se non ci fosse riuscito, almeno ci avrebbe provato. Non poteva più avere rimpianti.
La ragazza smise di ridere ed incatenò i suoi occhi in quelli del ragazzo.
Sorrise.

Ce la farai Hisashi. Ne sono sicura.”

La palla entrò nel canestro, scatenando un boato tra le tribune. Mitsui toccò terra, come se si fosse tolto un peso enorme dallo stomaco. Quella sensazione di felicità che lo invadeva dopo ogni canestro, era tornata a farsi sentire prepotentemente.
Ce l'aveva fatta. Ai aveva ragione.
Cercò il suo sguardo tra le tribune, ma la gente era davvero troppa per poterla vedere. Nonostante quello, Hisashi lo sapeva che lo stava guardando. Mentalmente le dedicò quel canestro; se lo meritava fino in fondo.
I suoi compagni di squadra gridarono la loro felicità ed approvazione, accerchiandolo e buttandolo nella mischia. Grazie a lui avevano vinto la partita.
Hisashi Mitsui era tornato sul terreno di gioco.
Ed era tornato per restare.

Mi scusi, posso avere anche io un autografo?"
Hisashi si girò in direzione della voce e sorrise, vedendo Ai davanti a lui.

Ma certo” sorrise malizioso, atteggiandosi a grande uomo. “Per lei posso anche farne più di uno!”
Ai rise, e gli si buttò tra le braccia, affondando la testa sul suo petto. Respirò a fondo il suo profumo, mentre il ragazzo si inebriava della fragranza che emanavano i suoi capelli.

Ce l'hai fatta, hai visto?”
Le tirò su il viso con due dita, fissandola nei suoi grandi occhi celesti, con enorme gratitudine.

E' anche grazie a te...” sussurrò, prima di posare le sue labbra su quelle della ragazza.
Ora, tutto sembrava andare per il verso giusto, per una volta nella sua vita.

   
 
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