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Autore: eugeal    22/04/2015    0 recensioni
Lo sceriffo è tornato e Nottingham è salva.
Durante l'assedio, Marian ha scoperto un lato di Guy di Gisborne che non conosceva.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Guy di Gisborne, Marian, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'From Ashes'
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Guy restò immobile sul letto, steso su un fianco a fissare il bagliore del fuoco in lontananza.
I fuorilegge avevano iniziato a discutere animatamente su come avrebbero dovuto comportarsi nei confronti di Allan, ma lui non aveva aperto bocca e si era allontanato dagli altri.
Per la banda di Robin Hood Allan era un traditore, non valeva la pena rischiare le loro vite per salvare un uomo che li aveva abbandonati per soldi. Inoltre cercare di impedire l'impiccagione avrebbe potuto mettere a repentaglio il salvataggio di Marian: se i fuorilegge fossero rimasti uccisi o feriti nel tentativo di liberare Allan, chi avrebbe aiutato la ragazza?
Gisborne avrebbe potuto cercare di convincerli, ma come avrebbe potuto chiedere aiuto ad altri per rimediare a una situazione che si era creata unicamente per causa sua?
Era stato lui a rendere Allan un traditore e sempre sua era stata la stupida idea di mandarlo al castello per tenere d'occhio Marian senza pensare ai rischi che avrebbe corso.
Col calare del buio, i fuorilegge smisero di discutere e Guy li sentì tornare ai loro letti uno alla volta. Ascoltò il loro respiro che diventava più profondo e lento mentre si addormentavano e il crepitio sommesso del fuoco, ma lui non avrebbe potuto chiudere occhio nemmeno se avesse voluto.
Rimase a fissare nel buio, assorto nei propri pensieri, poi si rese conto all'improvviso di non essere l'unico sveglio nel campo. Anche un'altra persona era stesa a letto senza dormire, Gisborne ne era certo, anche se non avrebbe saputo dire da cosa lo aveva capito.
- Hood. - Lo chiamò a bassa voce e per qualche secondo non ebbe risposta, tanto da pensare di essersi sbagliato, poi Robin si girò nel letto per voltarsi verso di lui.
- Cosa vuoi? - La voce del fuorilegge era secca e amareggiata.
- Devo considerarmi vostro prigioniero?
Robin ci rifletté per qualche istante, non sapeva nemmeno lui che risposta dare a quella domanda.
- Perché lo chiedi?
- Il tuo uomo, John, non tornerà finché io sono qui e avrete bisogno di lui per salvare Marian. Mi permetterai di andare via oppure mi ucciderete?
Robin fece un sospiro di stanchezza.
- Vattene, Gisborne. Sono stufo di essere considerato un assassino assetato del tuo sangue. Prenditi il tuo cavallo e la tua spada e sparisci. Oppure resta, fai quello che ti pare, non mi interessa. Ma ricordati che se rivelerai a qualcuno dove si trova il campo, allora ti ucciderò con le mie mani.
- Non ho intenzione di farlo. - Promise.
Del resto, anche se avesse voluto tradirli, a chi avrebbe mai potuto dirlo?

Allan riprese i sensi e subito rimpianse di non essere ancora svenuto: era steso sul pavimento della propria cella e sentiva dolore ovunque.
Provò a muoversi e capì di non essere ferito gravemente, anche se ogni movimento gli provocava fitte acute. Il carnefice di Nottingham era abile, sapeva come infliggere sofferenza senza danneggiare troppo il corpo delle proprie vittime, in modo da poter prolungare i tormenti molto a lungo senza provocare la morte.
Allan si trascinò sul pavimento per avvicinarsi alla cella accanto alla sua: sentiva solo silenzio, ma forse la ragazza si era addormentata.
- Marian? - Chiamò, cercando di scorgerla nel buio.
Si sforzò di alzarsi a sedere per guardare meglio, non ricevendo alcuna risposta e premette il viso contro le sbarre per scrutare nella penombra della cella.
Marian non era più lì.
Angosciato, si chiese cosa ne fosse stato di lei. Notò una massa scura sul pavimento della cella accanto e allungò un braccio per toccarla. Le sue dita incontrarono qualcosa di soffice e morbido e Allan sussultò di orrore quando vide di cosa si trattava: una ciocca lunga e folta di capelli neri ondulati.
I capelli di Marian.

Guy finì di sellare il cavallo alla luce della torcia che aveva piantato a terra poco più in là.
La spada, recuperata poco prima, era un peso rassicurante da portare in vita e ormai anche l'unica cosa che possedesse oltre al cavallo e ai vestiti che indossava. Beh, nemmeno tutti i vestiti che indossava erano suoi, pensò con un sorriso ironico mentre piegava la propria giacca di pelle nera e la infilava nella borsa attaccata alla sella.
Per il momento sarebbe stato più prudente continuare indossare gli abiti più comuni che gli erano stati procurati da Djaq il giorno prima e il mantello di lana grigia che gli era già stato molto utile in passato per nascondere il volto.
Si avvicinò alla torcia per prenderla prima di mettersi in cammino: il sole sarebbe sorto entro poche ore, ma per il momento il buio era ancora fitto.
- Non saluti nemmeno? - Chiese una voce dall'ombra e Guy si fermò ad attendere che Djaq si avvicinasse. La ragazza entrò nel cerchio di luce proiettato dalla torcia e lo guardò, severa.
- È meglio così. Non ho alcuna voglia di ascoltare le discussioni e le proteste dei tuoi amici. Hood ha acconsentito a lasciarmi andare via e io non dirò a nessuno dove vi nascondete. Questo è sufficiente.
- Dove andrai adesso?
- Per il momento a Locksley, se potrò avvicinarmi senza essere riconosciuto. Ho bisogno di recuperare alcune cose. Poi non lo so, ci penserò dopo, se sarò ancora vivo.
Djaq lo osservò, cercando di guardarlo in faccia nonostante la luce debole.
- Hai intenzione di salvare Allan, non è vero? - Gli chiese all'improvviso.
- Sì. -
- Da solo?! Sei impazzito?
- Voi dovete pensare a Marian, non ho intenzione di mettere a rischio la sua sicurezza per un problema causato da me. E comunque da quello che ho sentito ieri sera, ben pochi dei tuoi amici sarebbero disposti ad aiutare un traditore. Allan è un mio uomo, devo farlo io.
Djaq sospirò.
- Questo è un suicidio, lo sai?
- Forse, ma va bene così. Potrei riuscire a salvarlo e allora avrei fatto qualcosa di buono nella mia vita, se invece morirò almeno saprò di averci provato.
- Non riuscirò a convincerti di non farlo, vero?
- No.
La ragazza si avvicinò a lui e lo abbracciò all'improvviso. Guy sussultò, sorpreso e fu sul punto di sottrarsi a quel contatto, poi pensò che quello probabilmente sarebbe stato l'ultimo gesto di affetto che avrebbe ricevuto in vita sua e ricambiò la stretta di Djaq.
Era una sensazione piacevole e gli ricordò un tempo lontano della sua infanzia quando sua sorella si aggrappava a lui per essere consolata per un rimprovero o per una sbucciatura dopo un gioco troppo agitato.
- Non farti uccidere. - Sussurrò la ragazza. - Almeno provaci, promettilo.
Guy le sorrise.
- Farò di tutto per salvare Allan e sopravvivere a mia volta, è una promessa. Ma se non dovessi farcela voglio che tu dica a Marian che sono morto libero, facendo qualcosa in cui credo e che non ho avuto paura.
- Solo questo?
- Quello che provo per lei non cambierà mai, ma non ho più il diritto di dirlo.
Djaq annuì e si alzò in punta di piedi per dargli un bacio sulla guancia.
- Buona fortuna, che Allah ti protegga.
Gisborne la tenne stretta ancora per un secondo, poi si sciolse dall'abbraccio e montò a cavallo. La ragazza gli passò la torcia.
- Grazie. - Disse Guy, senza curarsi di nascondere la sua commozione. Fece per spronare il cavallo, ma esitò e tornò a rivolgersi a Djaq. - Probabilmente è impossibile, ma se mai dovessi trovare il modo di contattare mia sorella, dille che mi dispiace. Si chiama Isabella.
- Sopravvivi e fallo tu.
Gisborne annuì, poi fece muovere il cavallo e si inoltrò nella foresta.

Marian cercò di guardare fuori dalla finestra, ma l'apertura era troppo piccola e in alto per riuscire a guardare fuori, appena sufficiente per far entrare un po' d'aria nella minuscola stanza.
Il luogo in cui era stata rinchiusa era ancora più piccola della cella nelle segrete e non c'era nulla, a parte una panca di legno da usare come letto, un vaso da notte e un tavolino con una brocca d'acqua.
La ragazza bagnò un fazzoletto e lo premette sul viso per bloccare il sangue che le colava sulla guancia dal taglio sullo zigomo. Non aveva uno specchio per controllare lo stato della ferita, ma sapeva che le sarebbe rimasta una cicatrice.
Si sfiorò con una mano i capelli, ora tanto corti da arrivarle a malapena al collo e si rimproverò per l'insensata vanità che la faceva soffrire per la loro perdita.
Forse con i capelli tagliati e il viso segnato dal pugnale di Barret non era più bella come prima, ma se il suo destino era davvero quello di dover sposare quell'uomo, allora si augurava di essere diventata orrenda, di provocare in lui disgusto al punto di tenerlo lontano.
Sedette sulla panca e guardò in alto, osservando il pezzetto di cielo stellato che riusciva a vedere dalla finestra: non sarebbe riuscita ad arrampicarsi fino a lì e comunque la stanzetta in cui era imprigionata era troppo in alto per poter pensare di saltare giù.
A meno di non voler morire.
E lei non voleva: sperava ancora che qualcuno venisse a salvarla.
   
 
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