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Autore: laurapalmer_    23/04/2015    4 recensioni
"E' quando sei convinto di poter stare in piedi, o di esserlo, che possono passare gli tsunami senza che tu faccia la minima piega."
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ventuno

partiti








Michael non è andato a scuola, ieri, non ne aveva voglia.
Si è sentito per tutto il giorno uno di quegli adolescenti inutili e sfigati dei telefilm americani, che trascorrono le giornate tra il letto e la scrivania, pasteggiando con il gelato più scadente del supermercato e la versione tarocca della Coca Cola.
Sua madre al mattino ha bussato energicamente alla sua porta, dandogli del fallito e del coglione, ma lui nemmeno l'ha sentita, tutto impegnato nell'ascolto (in religioso silenzio) della sua playlist preferita.
Quando il sole era alto nel cielo, la playlist suonava le sue ultime note, accompagnando la voce graffiante di Angus Young.
Michael, sdraiato sulle lenzuola azzurre del suo letto, si è chiesto come sarebbe ora la sua vita, se fosse nato in Australia e se avesse preso lezioni di chitarra. Avrebbe calcato i più importanti palchi del mondo, come gli ACDC? Si ripete che, sì, lui e i ragazzi avrebbero potuto cominciare dal garage del casa di qualcuno, con due chitarre sgangherate. Calum, certamente, avrebbe proposto di fare cover dei Green Day, perché ha passato un paio di anni della sua vita fissato come pochi, con quella band. Ashton sarebbe stato il batterista, ci scommetterebbe.
Karen gli ha lasciato il pranzo e la cena fuori dalla porta, suo padre non è passato a salutarlo, il sole è tramontato, due ambulanze sono passate sotto la sua finestra a sirene spiegate, Calum non ha risposto al messaggio che gli ha mandato quella mattina, Luke, in compenso, l'ha chiamato qualcosa come quattro o cinque volte.
Alle 11 pm, ha sentito ancora le nocche di sua mamma picchiare sul legno bianco della porta, stavolta debolmente.
- Michael - l'ha chiamato, la voce rotta, come se una mano invisibile le stringesse il collo, impedendole di respirare, di urlare.
Michael non le ha dato retta per una ventina di minuti, troppo impegnato a sperare di essere lasciato solo.
All'ennesimo mugolio disperato, si è deciso ad alzarsi, avvicinandosi cautamente all'uscio.
- Dimmi.
Non ha aperto la porta, lasciandosi cadere a terra, la schiena nuda appoggiata allo stipite.
- Michael.
Non aveva bisogno di sentirselo dire, in realtà. Lo sapeva già, in fondo, lo sapeva da quando le serate al pub si sono fatte meno rare, da quando la sveglia si è spostata dalle 7 am alle 6 am e da quando i pacchetti di sigarette sono aumentati considerevolmente.
Aumentate le distanze, ridotte le urla.
Michael già sapeva.
- Se n'è andato - ha esalato e, incredibilmente, non ha fatto male. Non ha sentito nulla.
- Sì - ha pianto sua madre, anche lei appoggiata con la schiena alla parete che li divideva, che li ha sempre divisi.
Avrebbe potuto aprire la porta, Michael, lo sa perfettamente, ma non l'ha fatto. Non ha cercato di consolarla. Non l'ha abbracciata, ha messo la sveglia per il giorno seguente e si è nascosto sotto le coperte.
Lui non glielo perdorebbe.


La casa di Calum è vuota, come sempre, ma risuona delle risate cristalline di Zara, i capelli verdi legati in due trecce e la maglia dei Mayday Parade a coprirle il busto.
Sono le 11 am e hanno appena finito di fare qualcosa che si avvicina tremendamente all'amore. Nessuno dei due ha però voglia di parlarne, anche solo di pensarci, perché classificare le cose non ha mai fatto per Calum e neanche per Zara, anche se lei non lo ammetterebbe mai.
- Fai il caffè?
Calum scuote la testa, infilando sornione una mano sotto alla maglietta di lei.
- Dai, Hood, ho voglia di caffè.
- Non se ne parla, Richards - ride lui, imitandola - Non mi alzerei dal letto nemmeno se minacciato.
- Scommettiamo?
Lui stiracchia un sorriso impertinente, guardandola negli occhi mentre gli sale cavalcioni.
- Ti do il secondo giro, se mi prepari il caffè.
- Non se ne parla proprio. Sei anche seduta su di me, non potrei alzarmi nemmeno volendo.
Zara inarca un sopracciglio: - Stronzate. Non andresti comunque.
Lui, per tutta risposta, porta le braccia dietro la nuca e non toglie gli occhi dal viso corrucciato della ragazza. E' tutto un altro Calum, questo: è rilassato, sorridente, vagamente gentile. Zara sente che, lui, potrebbe amarlo.
- Un bacio me lo dai?
Calum sorride e, facendo leva sugli addominali, si alza a sedere, lasciandole un bacio lieve, infantile.
Gli piace vederla mansueta, completamente a suo agio tra le lenzuola e sopra di lui. Non vorrebbe mai rovinare un momento simile, così butta giù quello che vorrebbe dire e le accarezza con riguardo i fianchi, arrivando poi a sfilarle la maglietta.
Zara lo fa stendere, chinandosi a baciarlo sul viso, sul collo, sul petto.
(Anche) per oggi va così.


- Ho bisogno di te.
- Di me?
- Non ti chiamavo da... un casino di tempo.
- Siamo in pausa pranzo. Perché cazzo mi chiami e non mi vieni a cercare?
- Non sono a scuola.
- E dove sei? Dove siete tutti, oggi?
- Cosa significa?
- Sono sola con Lia e Nina.
- Sono lì con te?
- No.
- Ok.
- Vieni al sodo, Mike.
- Mio padre se n'è andato di casa.
- Oh... Io... Quando?
- Ieri sera. O ieri mattina, non importa. Non era questo, il sodo. Volevo dirti che mi dispiace averti lasciata sola.
- Non sono sola.
- Hai capito di cosa sto parlando. Ho passato una notte intera sveglio a cercare una giustificazione per scusarmi, ma non ce ne sono. Ti ho chiamata lo stesso, però.
- Non importa.
- Scusami, Danie.
- Non importa, ti dico, mi sono rialzata.
- Calum ha preso il mio posto, ti ha aiutata.
- Il tuo posto è sempre e comunque vuoto - e ridacchia.
Michael non risponde, si sente soltanto il rumore che un po' fischia del suo respiro pesante.
Danie è certa che stia fumando, probabilmente in camera sua, perché a sua madre non ha mai dato realmente fastidio e ora che suo padre ha scelto di andare non ci saranno regole.
- Quando hai intenzione di tornare a scuola?
- Vengo a prenderti dopo?
- Ok.
Ed è incredibile come tutto sia improvvisamente più facile, per Danie: respirare, sorridere, mangiare, ignorare i messaggi ai quali Franciscus non risponde.


Quando Luke Hemmings non ha voglia di andare a scuola, semplicemente, non ci va.
Dopo aver avvisato Lia con un messaggio (al quale lei ha risposto piuttosto freddamente, Luke è certo che se la sia presa), si incammina.
Ha un appuntamento con Victor, il tipo conosciuto alla festa di Joy Buster, che l'ha contattato per cercare di convincerlo a comprare delle pillole.
C'è riuscito, ovviamente, data la forza di volontà a dir poco vergognosa del biondo che ha rifiutato mezza volta, prima di lasciarsi prendere dall'entusiasmo.
Sono le 9 am e tira un venticello leggero che lo costringe a nascondere il mento nella felpa grigia che ha rubato a casa di Calum qualche settimana fa. Dovrebbe ridargliela, effettivamente.
Victor lo aspetta appoggiato al muro, una sigaretta tra le labbra sottili. Porta un cappello nero sui capelli corti, una giacca da militare della quale va fierissimo, i jeans sbrindellati e gli anfibi incrostati di fango. Non è il genere di persona che potrebbe far impazzire sua madre, ma Luke ne sorride al pensiero.
Sono quasi diciotto anni che disobbedisce a Liz e la cosa lo fa sentire bene, vivo.
- Hemmings - lo chiama Victor, staccandosi dal muro con un colpo delle anche.
- Ehi. Tutto bene?
Quello butta fuori un po' di fumo, stringendosi nelle spalle: - Tutto normale, non mi lamento. Hai i soldi?
Luke storce il naso, infilando la mano in tasca ed estraendo 30£, come richiesto. Li ha sottratti dalla busta che sua madre aveva intenzione di donare al reverendo della chiesa anglicana poco lontana da casa.
A Luke fa schifo, come i suoi genitori si sentano a posto con se stessi e con il mondo regalando somme di denaro più o meno consistenti a destra e a sinistra.
Victor fa passare i soldi da una mano all'altra, contandoli un paio di volte per essere sicuro, poi si lascia andare in una risatina contenta, nè alta nè bassa: semplicemente divertita.
Luke non è sicuro che Victor gli piaccia così tanto come ha detto a Michael l'altro giorno.
- Vieni, Hemmings, ti offro un caffè.
Il biondo annuisce distrattamente, più attento a mettere a tacere la vocina che, dentro al petto, gli ricorda di aver raccontato una marea di cazzate a Lia.
Sono quasi davanti alla National Gallery, quando Victor sgrana gli occhi e bestemmia a gran voce, portando Luke ad alzare gli occhi dalle punte consumate delle Converse nere.
Nessuno sembra essersi accorto della volgarità del ragazzo, tutti troppo occupati a guardare verso la strada, dove un'auto prima inchioda violentemente e poi riprende la sua corsa con tutta la fretta di chi non sa fare altro che scappare.
Luke non ha mai visto un incidente stradale in vita sua, ma ne ha sempre avuto una gran paura.
Victor corre, seguendo la folla che si riversa sulla carreggiata.
Il ragazzo steso a una ventina di metri dal luogo del disastro ha i dreads lunghi e un maglione che entrambi i giovani riconoscono soltanto una volta sufficientemente vicini.
Quello è Franciscus McDogan e adesso Luke sa perché gli incidenti lo spaventano da quando è piccolo.















NdA: Non mi scuso nemmeno più per il ritardo vergognoso, ormai dovreste saperlo!
Mi spiace molto, ma here I am, con il nuovo capitolo che vede protagonista specialmente Michael. Suo padre se ne va di casa, fisicamente, dopo essersene andato mentalmente tempo fa. Questo gli dà la forza di chiamare Danie, dopo averle tolto la parola per un sacco di tempo.
Sembra l'inizio di qualcosa di bello, perché Danie ancora non sa che Franciscus è vittima di un incidente. E bam, ci scommetto tutto che non ve lo aspettavate, ma il suo personaggio è nato per fare una fine di questo genere.
E ora scappo che mangio e poi esco! Un bacione grandissimo a tutte,

Eleonora




  
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