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Autore: Sabaku No Konan Inuzuka    23/04/2015    6 recensioni
{ Malinconico, Sentimentale, Triste | Nonsense | What if? | Leo Valdez | lievissimi accenni a Caleo }
Dal testo:
"L'ultimo schizzo di lucidità tentava di insediarsi tra i ricordi, alla ricerca di qualcuno che davvero lo avrebbe rimpianto, di qualcuno che davvero, se avesse potuto, si sarebbe inginocchiato là a implorare il cielo di lasciarlo in vita… ma neanche Calipso lo avrebbe fatto, perché il posto di Leo non era su quella terra, perché ora non serviva più a niente, perché tutto ciò che adesso gli spettava era la morte."
Semplicemente... Domenica mi faceva male il cuore e ho ucciso Leo Valdez.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Leo Valdez
Note: Nonsense, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: Ehilà... Premetto che non mi aspetto niente da questa piccola One Shot dalla punteggiatura claudicante. Praticamente Domenica scorsa stavo uno schifo e... Beh, ho ucciso Leo Valdez. Vuoi perché a BOO mi trovavo nel suo POV, vuoi perché è il più amato dei personaggi dopo Nico... Ma l'ho ucciso, perché io stavo male, nonostanti lo adori.  Non è il mio massimo ma... è. Non mi ci sono particolarmente impegnata, l'ho scritta da schifo e ho corretto il correggibile, ma ci ho provato :3 Ora, non mi uccidete per questo, bensì perché mi sono presa parecchie garanzia sulla scena. Leo non ha mai affrontato una simile situazone e non pioveva (mi pare), per questo è Nonsense. E' ambiantata in Sangue dell'Olimpo ma non ha davvero seguito gli avvenimenti... Semplicemente: Domenica mi faceva male il cuore e ho ucciso Leo Valdez.




 

Nessuno si degnò neanche di chiudergli gli occhi


La pioggia calava giù scrosciante dal cielo, come se volesse affogarlo, e lui bruciava, bruciava incresciosamente… da dentro. La vita ardeva in lui con forza, tanto da fargli male e soffocarlo. Non si sarebbe sorpreso se gli fosse uscito fumo dalle orecchie. Quell’ardente morso di vita gli aveva attanagliato il cuore che bruciava dolorosamente, attorno alla lama d'oro imperiale che lo aveva trafitto con un colpo secco e un suono nauseante. Fuoco e fiamme attorno a lui, sangue, lacrime e feriti; le gambe cedettero e cadde in ginocchio, osservando la lama che sbucava fuori dalla parte sinistra del suo petto bagnata da macabri fili di sangue che sapeva essere il suo, il che era abbastanza impressionante. Non riuscì a soffocare un verso strozzato quando l'aggressore - sicuramente un romano- estrasse l'arma e corse via come se niente fosse, come se non avesse appena posto fine a una vita, come se non avesse appena ucciso Leo Valdez, solo perché era un graecus. Un colpo di tosse lo costrinse a sputare un grumo di sangue, mentre si accasciava a terra con la bocca rossa e un foro nel petto, laddove c'era il cuore. I rumori di battaglia cominciavano a farsi fievoli e indistinti, lontani, come se fossero prodotti da un televisore dal volume troppo basso. La vista si appannò e le cose persero i loro contorni, mentre Leo tentava invano di respirare, sebbene a ogni tentativo quel foro nel petto gli procurasse un dolore lancinante e lo costringesse, ancora, a sputare sangue. Era un male bruciante, se non stesse già morendo avrebbe detto di preferire cento volte l’Ade piuttosto che patire tutto ciò.
La pioggia continuava ignara a irrompere su di lui, annacquando le macchie di sangue e penetrando dolorosamente nella ferita senza neanche chiedere permesso. Un sorriso amaro gli increspò le labbra sporche di rosso: era così, quindi, che doveva finire? Così era destinato a perire Leo Valdez, figlio di Efesto, uno dei sette della profezia? Era questo che per lui avevano previsto le Parche? Un accenno ad una risata, fievole e strisciata, forse fu la cosa più dolorosa. Chiuse gli occhi mentre lacrime di dolore scivolavano via senza il suo consenso, confondendosi alla pioggia, perché questo Leo era: una lacrima di dolore sotto la pioggia; nata diversa, ma che buttata nel mondo altro non era che acqua, e lui altro non era che un graecus che prendeva fuoco destinato a morire da solo, in un’impresa dove in molti avrebbero dovuto perire; nato per essere diverso ma designato per morire come uno dei tanti.
Nessuno attorno a lui assisteva alla sua dipartita, e forse era questa la storia di Leo: "È simpatico, ma non è il mio tipo", la frase che descriveva la sua vita. Gli giravano intorno perché esisteva, ma nessuno era davvero accanto a lui, solo una persona lo era, solo lei. Lei che, casualmente, era imprigionata su un’isola che nessuno trovava due volte, lei che era lontana e che di certo non avrebbe potuto sentire via Whatsapp o Facebook. Un singhiozzo gli sfuggì al pensiero, aveva giurato che sarebbe tornato a prenderla, a salvarla, glielo aveva promesso… E invece stava morendo lì, chissà quanto lontano da lei, e non l’avrebbe mai più rivista. Calipso lo avrebbe aspettato a lungo senza sapere che non sarebbe mai più tornato, e Leo si pentiva solo di questo. Ma la verità era un'altra: non c'era posto per lui in quella vita. Avrebbe dovuto rimanere ad Ogigia ma doveva salvare il mondo, un mondo, tra l'altro, in cui per lui non c'era posto.
Singhiozzò piano mentre avvertiva il suo stesso sangue bagnargli il viso e impregnare all'erba, una volta morbida, del Campo Mezzosangue, Leo non doveva stare là. Era nato solo per salvare il mondo, e ora che ci era riuscito era solo carta straccia. Non serviva più a nessuno, a nessuno importava: Il suo dovere lo aveva fatto, ora se ne poteva anche andare. Si pentì di aver illuso Calipso, convinto allora che c'era davvero un'altra ragione per cui era in vita.
Il dolore al petto si faceva sempre più pressante e ormai era sul punto di vomitare il suo stesso sangue; sarebbe morto lì, sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno lo vedesse davvero. L’ennesimo colpo di tosse per rigettare ciò che non era affluito alla ferita, e il dolore era tanto che si costrinse in posizione fetale. Era una morte lenta quella di Leo, come se non avesse già sofferto abbastanza. Una morte con il fuoco della sua stessa vita che tentava di incendiarsi come ultimo sprazzo di energia, di vitalità, incurante del dolore fisico. L'ultimo schizzo di lucidità tentava di insediarsi tra i ricordi, alla ricerca di qualcuno che davvero lo avrebbe rimpianto, di qualcuno che davvero, se avesse potuto, si sarebbe inginocchiato là a implorare il cielo di lasciarlo in vita… ma neanche Calipso lo avrebbe fatto, perché il posto di Leo non era su quella terra, perché ora non serviva più a niente, perché tutto ciò che adesso gli spettava era la morte.
Fu così che morì: La vista prese ad offuscarsi sino a diventare opaca, il dolore retrocesse rapidamente e i ricordi sfumarono, come una fiammella contro uno spiraglio di vento, come una candelina di compleanno sullo sfondo di un cadavere.
I suoi occhi persero vita e quello scintillio allegro che sempre aveva predominato, le ultime lacrime scivolarono libere mentre nelle iridi svaniva la felicità, il dolore, il sollievo, la preoccupazione… Nelle sue stesse iridi scomparve ogni cosa che rappresentava Leo Valdez, il cui cadavere sorrideva amaramente fissando la scena senza davvero guardare. Nessuno si avvicinò a lui, nessuno lo guardò, nessuno si degnò neanche di chiudergli gli occhi.

 
  
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