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Autore: LaFatiSioPotter    23/04/2015    2 recensioni
“Dorme,” mormorò Kurt, proprio mentre Blaine si toglieva il grembiule a quadretti, chiudendo la porta della stanza di Alfredo, attento a non produrre il minimo rumore, i suoi passi soffici impercettibili sul pavimento.
Blaine sorrise istintivamente, perché Kurt aveva un segno di pennarello rosso su una guancia e i capelli in disordine che gli ricadevano sulla fronte, liberati dalla lacca organica dalle piccole mani di Alfredo. C’era qualcosa di attraente in lui mentre si muoveva svelto e leggero tra i giochi sparsi sul tappeto del salotto, raccogliendoli per radunarli nella cesta che si trasformava in un elegante e insospettabile pouf di pelle.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio | Coppie: Blaine/Kurt
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note:
Buonasera a tutti!
No, non state avendo un'allucinazione, questo è veramente il nickname in comune di un trio fuori dal comune! ... *rullo di tamburi* ... Lusio, LaFatinaScalza e Ginny_Potter! *loud clapping*
Cosa si sono messi insieme a fare, chiederete voi? A che scopo far nascere questa threesome? Ma ovviamente per riempire il mondo di altre fanfiction! E quale lavoro migliore con cui iniziare se non un impasto di fluffyness della miglior specie?! E sì, sembra quasi impossibile tanto quanto salvare l'antico vaso, ma sia Lusio che, soprattutto, la nostra Fatina sono in grado di scrivere Fluff con la F maiuscola (Ginny si sa che col diabete ci sa fare).
Bisogna dire che non si sa di questi tre chi sia più emozionato di lavorare con gli altri due: Ginny dichiara che a confronto dei suoi colleghi si considera una tiny potato, LaFatina ha ammesso di sentirsi star struck ogni volta che apre la conversazione in comune nella quale plottano la conquista del mondo, e Lusio dà per scontato di essere lo small town boy che si ritrova dal nulla a lavorare con i suoi idoli; insomma, tutti sono fan di tutti.
E ora lasciamo spazio a una dichiarazione a testa dei nostri autori:
LaFatinaScalza: "Io voglio dire che il fatto che Ginny non sia Beatrix Potter circondata di topini affaccendati è un deal-breaker per quanto mi riguarda".
Lusio: "Lusio [che parla di sé in terza persona] si aggiudica il primo premio nella gara di STACCE xD. Okay, vediamo di smaltire l'ormon!Darren e ritorniamo al fluff. Se non ci fosse quella dolce anima innocente di *** [Spoiler!], io li avrei già fatti consumare tre o quattro volte come minimo."
Ginny_Potter: "[in risposta] Con questa ultima affermazione hai dimostrato di non aver smaltito l'ormon!Darren. Maaaa in ogni modo... preparate le dosi di insulina. Non è consigliata ai deboli di cuore e ai sessualmente frustrati. Contiene persino un oggetto che dimostra che Lusio è il figlio segreto dei Klaine venuto dal futuro: cento punti a chi lo scova."
Un ringraziamento gigantesco va ad ALanna, altrimenti conosciuta Mrs Grey - "Io non beto. Io correggo forte." -, che ha sistemato questa fanfiction con metodi spietati (soprattutto nei confronti dei poveri avverbi in -mente)  e che è stata la Ramsay Bolton del nostro Theon Greyjoy.
Come al solito le introduzioni vengono più lunghe della fanfiction. Eeeee vabbè.
Enjoyate questo piccolo regalo.
Con affetto,
LaFatiSioPotter

 

The Inappropriate Fettuccina


Blaine appoggiò l’ultimo piatto sul piano del lavandino, attentissimo che non scivolasse e non si infrangesse in mille pezzi sul pavimento, visto che era già accaduto la settimana prima, quando aveva posizionato in bilico tra un bicchiere e un gruppo di forchette il sottopiatto di ceramica del servizio buono – tirato fuori dalla naftalina per motivi a lui sconosciuti – e questo si era infranto sul pavimento, proprio cinque minuti dopo che lui e Kurt avevano convinto Alfredo ad addormentarsi nella sua nuova stanza e a non sgattaiolare nel loro letto. A seguito dell’incidente nulla era riuscito a persuadere il bambino che no, nella nuova casa non c’erano i fantasmi, che papà era soltanto molto maldestro e non era necessario che dormisse con loro.

Kurt aveva passato la settimana seguente a fissarlo con aria truce ogni volta che il piccino sgattaiolava nel lettone, ma insomma, non era colpa sua se il falegname non era ancora venuto a montare lo scolapiatti!

“Dorme,” mormorò Kurt, proprio mentre Blaine si toglieva il grembiule a quadretti, chiudendo la porta della stanza di Alfredo, attento a non produrre il minimo rumore, i suoi passi soffici impercettibili sul pavimento.

Blaine sorrise istintivamente, perché Kurt aveva un segno di pennarello rosso su una guancia e i capelli in disordine che gli ricadevano sulla fronte, liberati dalla lacca organica dalle piccole mani di Alfredo. C’era qualcosa di attraente in lui mentre si muoveva svelto e leggero tra i giochi sparsi sul tappeto del salotto, raccogliendoli per radunarli nella cesta che si trasformava in un elegante e insospettabile pouf di pelle. Blaine sapeva che non sarebbe mai riuscito a confessarglielo senza che Kurt scovasse un’offesa nelle sue parole, ma aveva un debole per il suo lato domestico, quando il make-up di scena non gli copriva il volto e il suo corpo aveva quell’odore inconfondibile di crema idratante ed ammorbidente.

“È piacevole essere entrambi a casa a quest’ora, per una volta,” si limitò a commentare, inginocchiandosi a raccogliere un’automobilina rossa finita sotto il tavolo della cucina.

“Dov’è finito il tuo stacanovismo?” chiese Kurt, con un sorriso divertito e gettando un’occhiata a suo marito che, con quella posizione, gli mostrava una deliziosa visuale del suo sedere.

“Per una volta l’ho lasciato a teatro, dove dovrebbe stare,” rispose Blaine, rialzandosi e porgendo la macchinina a Kurt. “Non ti fa piacere?” domandò, spingendo in fuori il labbro inferiore in quella maniera infantile che a Kurt piaceva tanto.

“E c’è da chiederlo?” replicò Kurt, lasciando scivolare la macchinina nella cesta e allacciando le braccia sulle spalle di Blaine “Erano settimane che aspettavo una serata da passare insieme. Una serata solo per noi.”

“Aspetta che quest’ultima stagione teatrale sia finita e ne avremo quante ne vogliamo,” disse Blaine mettendogli dolcemente le mani sui fianchi per avvicinarlo di più a sé e catturandogli le labbra con le sue.

“Troppo sicuro di lei, Mr Hummel-Anderson,” replicò Kurt, ridacchiando, liberandosi dalla tenera presa delle labbra di Blaine e alzando la testa, lasciandogli piena libertà di concentrarsi su quello che sapeva essere il punto debole di suo marito: il suo collo. “Ha considerato l’eventualità che ci diano delle repliche in più? Angela Lansbury è un tesoro nazionale e un musical su di lei non può che attirare spettatori su spettatori.”

“Mi piace quando mi dai del lei. Sei così professionale,” mormorò Blaine baciando e succhiando voracemente il bianco, morbido e rasato collo di Kurt.

Lui socchiuse gli occhi, abbandonandosi all’abilità di Blaine; dopo tanti anni sapeva che percorsi intraprendere con le labbra, dove graffiare leggermente con gli incisivi, in che punti sensibili indugiare con brevi tocchi a labbra chiuse, mirati a vezzeggiarlo.

“Lo so, quando lo faccio al lavoro metti sempre su quell’espressione sorniona, le ciglia fluttuanti…” ridacchiò, divincolandosi quando Blaine emise un versetto di protesta contro la sua pelle e gli pizzicò i fianchi per gioco.

“Non si è mai lamentato dei miei occhi a forma di cuore prima d’ora, Mr Hummel-Anderson.”

“Oh, adesso si chiamano così? Io lo avrei definito ‘sguardo languido’.”

Blaine lo guardò con l’espressione più fintamente oltraggiata del suo repertorio, condendo il tutto portando la mano destra all’altezza del cuore: “Questa insinuazione mi ferisce.”

Kurt buttò la testa indietro, ridendo con trasporto. “Sono sempre più del parere che la tua decisione di abbandonare il palcoscenico per il dietro le quinte abbia privato il mondo di cose insostituibili, come la tua mimica facciale.”

“Dovresti ritenerti fortunato, invece,” gli rispose Blaine, compunto. Gli occhi di Kurt già scintillavano maliziosi e Blaine non riuscì a reprimere un piccolo sorriso complice. “Perché adesso la mia insostituibile mimica facciale è riservata solo a te.”

Non aveva ancora finito di pronunciare la frase che le labbra di Kurt erano sulle sue, morbide e insistenti, mentre le sue mani si facevano strada fra i suoi capelli, con i palmi che gli sfioravano la mascella per garantire miglior accesso alla lingua fra i suoi denti. Le mani di Blaine fluttuarono appena sulla sua schiena, tracciarono la sua spina dorsale come accarezzando leggere i tasti di un pianoforte fino a quando Kurt non si rilassò e i muscoli delle sue braccia tremarono piano mentre gli avvolgeva le braccia più strette intorno al collo.

Le loro labbra si separarono poco a poco, con piccoli baci impercettibili, e nel silenzio del loro salone ancora da terminare di arredare, Blaine riusciva a sentire il ronzio del proprio cuore nelle orecchie. Anche dopo tanti anni, Blaine trovava incredibili gli abbracci di Kurt ed il modo in cui lo avvolgeva completamente fra le sue braccia, come se non riuscisse mai a dare per scontata la sua presenza.

“Hai perfettamente ragione,” gli sussurrò Kurt senza aprire gli occhi, mentre Blaine sembrava non riuscire a smettere di baciargli piano la guancia sporca di pennarello rosso.

“Che ne diresti di continuare da qualche altra parte?” mormorò Blaine con voce arrochita. “Magari… in camera da letto.”

“Dovrei rimettere in ordine qui…” rispose Kurt, ma nella sua voce e soprattutto nelle sue intenzioni non sembrava esserci la minima voglia di mettere in pratica le sue parole.

“Hai detto bene: dovresti,” replicò Blaine stringendolo ancora di più ai fianchi e facendo scontrare i loro bacini, causando una piacevole ed elettrizzante frizione. “Ma qui c’è tuo marito che vuole solo che ti rilassi… e tu sai benissimo cosa intendo con ‘rilassarsi,’” e lo baciò ancora, con molta più passione di prima, annullando quelle false resistenze dietro le quali Kurt non aveva mai pensato di trincerarsi.

Con un gemito a malapena soffocato (pur con tutto il carico di passione che li pervadeva, non potevano scordare la presenza di un bambino sotto il loro stesso tetto, specialmente se quel bambino era loro figlio) Kurt si lasciò andare contro il tavolo che tremolò sotto il peso di loro due abbracciati; il vaso che fungeva da centrotavola ondeggiò in maniera evidente.

“Ok, forse è proprio il caso di andare in camera da letto” si convinse Kurt.

Blaine ridacchiò contro le sue labbra, indietreggiando e tirandolo con sé, le labbra incollate alle sue come se temesse di dimenticarne il sapore.

Kurt girò gli occhi, fingendosi esasperato: “Possiamo…” un bacio a stampo “…camminare…” i denti di Blaine a graffiare per scherzo il suo labbro inferiore “…civilmente?” la sua lingua a tracciare quello superiore. Evidentemente la risposta era no.

Zoppicarono fino alla loro stanza, rischiando di mettere in serio pericolo il poco mobilio che avevano iniziato a disporre e Kurt tentò di rimproverare Blaine almeno cinque volte riuscendo a mala pena a fargli capire che stava provando a ricordargli che non avevano più diciassette anni e che non potevano comportarsi in quel modo e che se il bambino si fosse svegliato… ma Blaine lo attirò più vicino a sé, compiendo il passo decisivo che li portò a entrare in camera da letto e chiudendo la porta con un movimento fluido, spingendovi poi Kurt contro con delicata fermezza e prendendo a zittire con più impegno ogni sua protesta.

“Sono esattamente undici giorni, nove ore e- uhm, che ore sono di preciso?” farfugliò Blaine, senza riuscire a staccare la bocca dal collo di Kurt, che rise divertito mentre iniziava a sbottonargli la camicia con una pazienza metodica che eccitava Blaine più di qualsiasi altra cosa. Dopo quasi una decade trascorsa insieme a scoprire ed esplorare l’intimità, Kurt aveva acquisito una sensualità quasi spudorata, in grado di lasciare Blaine senza parole, ma c’era sempre una purezza, una timidezza insicura nel modo in cui affidava il suo corpo al tocco di Blaine.

“Le dieci e un quarto,” rispose Kurt, senza riuscire a trattenere un risolino, sfilandogli con impazienza l’indumento e circondando le sue spalle con le braccia.

“-e venti minuti circa, allora, dall’ultima volta che ti ho avuto tutto per me,” terminò Blaine, allungando una mano dietro la schiena di Kurt per far scattare la serratura della porta con un deciso clic e scivolando piano in ginocchio senza distogliere lo sguardo da quello di suo marito.

“Shhh,” sorrise con la bocca poggiata sotto al suo ombelico quando Kurt non riuscì a trattenere un gemito. “Alfredo-”

“Sta dormendo,” disse Kurt, respirando in maniera disarticolata. “Non ci sentirà.”

“Almeno cerca di contenerti,” con un sorriso malizioso e gli occhi scuri, Blaine infilò le dita nel bordo dei pantaloni di Kurt. “Ricordi l’ultima volta? Hai urlato talmente tanto che credo ti abbia sentito l’intero isolato.”

“Non incolpare me per dei meriti che sono solo tuoi,” rispose Kurt, immergendo le dita nei suoi riccioli freschi di shampoo. “Se tu non fossi così bravo non urlerei.”

“Se non ti volessi così tanto, ogni volta come se fosse la prima, non sarei così bravo.”

Blaine calò con un solo gesto i pantaloni e i boxer di Kurt, liberando la sua più che evidente eccitazione e iniziando a dargli piacere, tenendogli teneramente stretti i fianchi e i glutei. Perché tra loro non c’era solo la passione, il desiderio, quelle frasi dette per stuzzicarsi a vicenda, ma c’era soprattutto l’amore vivo che li teneva legati, che faceva sentire loro stessi vivi e pieni e completi.

Kurt gettò la testa indietro facendola sbattere contro il legno della porta e il rumore soffocò il nuovo gemito che liberò dalla sua gola. Stimolato da quel suono che lo accendeva ogni volta, Blaine aumentò i movimenti della sua bocca e delle sue carezze, suonando il corpo di Kurt come un violino dai toni bassi o acuti a seconda di ciò che faceva. Per evitare di lasciarsi andare troppo, Kurt si coprì la bocca con una mano, addentando le dita.

“Blaine…” andiamo a letto avrebbe voluto dire ma, ad un tratto, un piccolo picchiettio contro la porta (la stessa porta contro cui Kurt era appoggiato; la stessa porta contro cui Kurt, che si stava godendo uno dei mille talenti di suo marito, era appoggiato) li gelò entrambi sul posto.

“Papà?”

“No,” gemette Blaine miseramente, appoggiando la fronte al fianco di Kurt che ringhiò un sussurrato “Levati!” e lo spinse per terra, imprecando sottovoce e risistemandosi alla velocità della luce, quasi piagnucolando dalla frustrazione: “Un secondo tesoro!” balbettò subito dopo, con voce eccessivamente acuta, prima di tirare un debole calcio a Blaine ancora per terra, impegnato a soffocare in una serie di risatine tinte di una certa dose di isteria. “Quanti anni hai?” sibilò, afferrandogli un gomito e trascinandolo in piedi a forza.

“Quattordici,” soffiò in risposta Blaine con un sorrisetto divertito, prima di girare la chiave nella toppa e aprire la porta: “Alfie,” salutò composto, incrociando le braccia al petto e scrutando indagatore la piccola figura che teneva stretto a sé un elefante di peluche.

Kurt si appoggiò all’uscio, rimanendone in parte nascosto, e Blaine non riuscì a trattenere un sorriso, quando lo notò con la coda dell’occhio, guadagnandosi di rimando un’occhiata sdegnata.

“Tesoro, cosa succede?” domandò suo marito, ben attento a non muoversi più del necessario.

“Papà, ci- ci- ci sono i mostri!” urlò Alfredo, coprendosi gli occhi con una mano come se il corridoio buio alle sue spalle fosse davvero infestato di creature invisibili e raccapriccianti ed abbracciando a sé Peanut l’elefante.

Blaine sospirò, lanciando un’occhiataccia laterale a suo marito, che sembrava non avere nessuna intenzione di spostarsi dalla sua posizione privilegiata dietro la porta. “Tesoro, non c’è nessun mostro, te lo prometto. Vuoi che andiamo a controllare insieme?”

Alfredo tese le braccia e Blaine lo sollevò attirandolo al suo petto ancora nudo. “No, ho troppa paura, papà,” bisbigliò il piccolo, con un piccolo singhiozzo. “Ho paura che mentre dormo vengano Wazowski e Sulley e mi portino via Peanut!”

“Nessuno ti porterà via Peanut, lui è un elefante coraggioso!” intervenne Kurt. “Dai, andiamo a controllare tutti insieme, così poi possiamo tornare a dormire.”

“Ma io v-v-v-voglio dormire con voi, per favooooore,” disse Alfie, iniziando a piangere con la testa nascosta tra il collo e la spalla di Blaine ed inzuppando il suo peluche di lacrimoni.

Blaine lanciò a Kurt un’occhiata piena di una richiesta di comprensione, stringendo a sé il piccolo Alfie, accarezzandogli la schiena e sussurrandogli contro la testa piena di riccioli castani “Su, piccolo, non aver paura, va tutto bene, ci siamo io e papà con te adesso,” per calmarlo.

A quella visione, Kurt lasciò la sua presa sulla porta. Sentire il pianto di suo figlio aveva spazzato via ogni altro pensiero e sebbene una parte di lui avrebbe voluto tantissimo ritornare a farsi amare da Blaine, il piccolo Alfredo avrebbe sempre avuto la massima priorità per entrambi.

“Dai, non piangere più,” disse Kurt, posandogli un bacio sulla testolina, e cingendo con le braccia entrambi gli uomini della sua vita, suo marito e suo figlio. “Se proprio vuoi, per stanotte puoi dormire nel lettone con noi. Poi, domattina, quando sorgerà il sole, i mostri se ne andranno e se si azzardano a ritornare, io e papà li conciamo per le feste.”

“Avanti, asciugati gli occhietti, ometto,” disse Blaine, allontanandolo un poco da sé per dare al piccolo la possibilità di asciugare gli occhioni lucidi e le guance paffute rigate di lacrime contro la morbida stoffa di un Peanut che sembrava avere un urgente bisogno di un colpo di phon.

“Non così, scimmietta.” Kurt alzò gli occhi al cielo, sorridendo suo malgrado e sporgendosi verso la scatola di kleenex che aveva appoggiato sul proprio comodino qualche ora prima – e che no, non avrebbero dovuto avere la funzione di asciugare le lacrimucce di un bambino –, ne cavò fuori un paio di salviette con le quali provvide a pulire il viso del piccolo con movimenti delicati ma esperti. C'erano gesti che lui e Blaine avevano imparato a compiere istintivamente, da quando Alfredo era entrato nelle loro vite, come se fossero state capacità innate che si erano sbloccate nell'esatto momento in cui l'avevano preso in braccio per la prima volta; c'erano invece altri aspetti della loro vita da genitori che avevano dovuto scoprire lottando quotidianamente, come fare a rispettare i turni per dormire, ricordarsi di avere sempre la borsa con i ricambi per il piccolo dietro, in caso di emergenza, ritagliarsi i propri spazi, essere partner oltre che genitori – beh, sull'ultimo punto avevano ancora qualche dettaglio da limare, in effetti. Ma ne valeva la pena. Ogni sorriso del loro piccolino valeva ore e ore di fatica.

Alfredo tirò su col naso un'ultima volta e Kurt lo aiutò a soffiarselo, prima che si arrampicassero tutti e tre sul lettone. Alfie si sistemò tra loro due, guardando prima l'uno e poi l'altro con malcelata soddisfazione. Mentre rimboccava la coperta, Blaine diede una gomitata alla scatoletta di cartoncino in bella vista sul bordo del proprio comodino, e questa cadde nel cassetto semi-aperto senza un rumore.

“Allora, adesso vogliamo dormire?” chiese Blaine con dolcezza, accarezzando i riccioli del bambino.

“Mm-mm,” assentì Alfredo, con le palpebre già pesanti, accoccolandosi al collo di Kurt. Blaine allungò una mano verso il comodino per cercare a tentoni l’interruttore della abat-jour, e l’ultima cosa che vide di suo marito prima che la stanza piombasse nel buio fu il piccolo sorriso sconsolato che gli stirava le labbra mentre stringeva a sé Alfredo.

“Buonanotte,” mormorò, rilassando la testa sul cuscino e tentando di trovare i piedi di suo marito con i suoi sotto le coperte oltre il corpo paffutello di suo figlio, ma il silenzio durò non più di mezzo minuto.

“Papi?” bisbigliò Alfredo, con un tono cospiratorio, muovendosi piano tra le lenzuola per far sì che Blaine non riuscisse a sentire le sue parole. “Papi?”

“Papino,” chiamò ancora, tirando leggermente la manica del pigiama che Kurt aveva infilato in quattr’e quattr’otto, e Blaine aguzzò l’udito, cercando di cogliere almeno qualche stralcio della conversazione.

“Che c’è?” chiese Kurt, con la voce dolce striata d’esasperazione.

“Ho paura dei mostri.”

“Ma qui non ci sono mostri, tesoro. Ci siamo solo tu, io ed il tuo papà. Non ti fidi? Io e papà ti proteggeremo dai mostri per tutta la notte.”

“Ma papà-” gemette Alfredo, insistendo. “Sono stati i mostri a- a- a fare quello. A farti male.”

“Farmi male?” chiese Kurt, confuso e, anche se Blaine non poteva vederlo nel buio della stanza, riuscì ad immaginare la sua fronte corrugata e la sua espressione perplessa.

“Io li ho visti i tuoi lividi sul collo,” chiarì Alfredo. “Quelli dove il mostro ti ha morso.”

Dire che Kurt rimase spiazzato è dire nulla.

Ci sono dei momenti nella vita di un genitore che quest’ultimo non vorrebbe mai vivere, pur sapendo che sono inevitabili. Certe domande da parte di un figlio sono al primo posto. Ma Kurt sperava che simili chiacchierate avrebbero atteso per almeno altri dieci anni prima di iniziare.

Ok, non doveva farsi prendere un infarto per nulla. In fondo Alfredo non aveva detto nulla di che… aveva solo notato i succhiotti che suo marito gli aveva lasciato sul collo e li aveva scambiati per “i lividi lasciati dai mostri”. Bastava solo trovare una scusa qualsiasi, magari evitando di citare i mostri per non togliere definitivamente a suo figlio il sonno. Insomma, che ci voleva?

Ma Kurt non si rese conto di quanto erano durate le sue elucubrazioni perché dopo un po’, sentì la piccola manina di Alfredo scuotergli la spalla. “Papà,” lo chiamava sottovoce, sperando di non svegliare papà Blaine, che invece era sveglissimo. “Papà, ti sei addormentato?”

“Eh? No, piccolo,” si ridestò Kurt, le guance arrossate e un fastidioso calore al collo. “Non devi preoccuparti. Non ci sono mostri qui. Questi lividi che papà ha sul collo… ehm… sono solo… una piccola allergia. Deve essere stato il detersivo per lavare i piatti.”

“E perché ti sei passato il detersivo sul collo?” chiese Alfredo, stupito.

“No, non mi sono passato il detersivo sul collo… cioè…” Blaine, ti prego, aiutami, Kurt si morse la lingua per non lasciarsi uscire quelle parole, anche perché aveva intravisto Blaine che nascondeva una risatina soffocata di sincero divertimento sotto le coperte.

“E poi, prima, ti ho sentito urlare. Pensavo che i mostri fossero anche nella stanza tua e di papà e che vi stessero facendo male,” disse Alfredo, implacabile. Kurt avrebbe voluto soffocarsi col suo stesso cuscino in quello stesso istante.

“No tesoro,” pigolò con voce bassa “sai che papà è maldestro, mi ha pestato un piede per sbaglio.”

“Oh.” Alfredo annuì, parzialmente convinto, arrotolandosi ancora di più al suo fianco.

Rimase in silenzio per qualche minuto e quando Kurt sentì il suo respiro farsi regolare iniziò a rilassarsi, pensando di essersi definitivamente salvato. Stava quasi per tirare un calcio a Blaine e insultarlo per non averlo spalleggiato sentì un ditino premere contro il suo braccio: “Papi?”

Perché? Perché a lui? Perché aveva scelto quel dannato cartone animato? All’inferno Disney, Pixar e qualsiasi casa di produzione esistente.

“Sì, amore?”

“Ma allora cosa avete schiacciato contro la porta? Io pensavo che ci avevate ucciso un mostro contro.”

Kurt era troppo esasperato, a pezzi e, soprattutto, sessualmente frustrato per anche solo pensare di correggere gli errori grammaticali di un bambino di cinque anni. Gli avrebbero insegnato tutto a scuola, poi; ecco, a quello serviva quell’Accademia privata a cui lo avevano pre-iscritto circa due settimane dopo la sua nascita – non si è mai troppo preparati, questo era il loro motto. Non poteva affrontare tutto quello da solo, non era corretto. Allungò una gamba cercando di non compiere un movimento troppo ovvio e tirò un calcio discreto ma ben assestato negli stinchi di Blaine.

“Chi vuole del latte?” trillò Blaine, con un tono eccessivamente allegro e forzato, mettendosi seduto. Era palese che non sarebbero riusciti a dimenticare questa conversazione almeno per i prossimi venticinque anni. “Una bella tazza di latte caldo ci aiuterà a prendere sonno. Spero.”

Quando accese di nuovo la luce, Kurt si lasciò sfuggire un risolino alla vista della sua espressione irritata e nervosa, i suoi riccioli in disordine, il pigiama infilato al contrario nella fretta di coprirsi. Blaine lo fulminò con un’occhiataccia, ma era palese che non facesse sul serio, ed Alfredo li soppesò con lo sguardo per qualche secondo, prima di dichiarare con tutta la saggezza dei suoi cinque anni, “Non si dicono le bugie, papà. Io lo so cosa stavate facendo voi due.”

“Ah sì?” chiese Kurt, cercando invano di mantenere la calma mentre suo marito sembrava essere andato in iperventilazione.

“Sì,” annuì Alfredo. “Mi stavate facendo un fratellino! È così che nascono i fratellini, quando i papà di notte si scambiano il seme.”

Se non fossero stati già seduti sul letto sarebbe stato davvero probabile che Kurt e Blaine fossero cascati per terra, trascinandosi dietro quanti più mobili e oggetti di uso domestico possibili. Non poteva essere vero. Quella era decisamente una nottata da dimenticare… primo tentativo di effusione coniugale escluso, naturalmente.

“Come, scusa?” scattò Blaine, mentre Kurt sembrava incapace di spiccicare parola. “Cosa hai detto, tesoro?”

“È così che i genitori fanno i figli,” ripose Alfredo come se stesse facendo lui stesso una lezione di biologia ai suoi padri. “Ce lo hanno imparato a scuola.”

Ma in che razza di posto portiamo il nostro bambino la mattina, pensò Kurt sconvolto. Tentano di insegnare educazione sessuale ai bambini e non sono in grado di curare la loro grammatica.

“Un papà prende il suo seme e lo unisce a quello dell’altro papà,” continuò a spiegare Alfredo, con l’entusiasmo del primo della classe. “E dopo nove mesi compare un bambino nuovo nella culla. La mia amichetta Alice, che ha due mamme, mi ha raccontato che funziona così, mentre Tom, che ha una mamma e un papà, crede ancora di essere stato portato dalla cicogna. Ma posso chiedervi una cosa che non ho capito?”

Sia Kurt che Blaine non ebbero il coraggio di assentire… anche perché avrebbero voluto cadere entrambi in uno stato di morte apparente pur di porre fine a quella situazione imbarazzante.

“Come fate a tirar fuori il seme?”

Calò un silenzio pesante. Blaine prese un profondo respiro e abbassò lo sguardo su Alfredo, pensando intensamente prima di rispondere. “È un segreto,” decretò infine.

“Cosa?” gracchiò Kurt, in tralice.

“Cosa?!” gli fece eco Alfie, con il tono più piagnucoloso e capriccioso del suo repertorio. “Ma io lo voglio sapere!” si lamentò, stringendo i pugnetti ed esibendo la sua migliore espressione da cucciolo, ereditata senza dubbio alcuno dal genitore che tanto lo stava deludendo.

“È un segreto,” ripeté Blaine serissimo “perché è nascosto. E serve un potente incantesimo per liberarlo.”

Se Kurt avesse ancora avuto la forza per reagire in qualsivoglia modo, quella notte – e non ne aveva, perché tutte le sue energie erano finite ancora prima che la parte imbarazzante iniziasse e dunque la situazione era piuttosto tragica – si sarebbe schiaffato una mano in fronte, gemendo con disperazione, per poi cedere a una serie di risatine incontrollate perché, in fondo, non era davvero una bugia quella che Blaine stava dicendo, pur con un giro di parole alquanto singolare.

Alfredo guardò Kurt in cerca di conferme, con quella sua piccola bocca carnosa corrugata dal dubbio, come se Blaine avesse ormai perso tutta la sua credibilità come genitore. “Ma quindi voi siete anche un po’ maghi?” domandò, con la voce piena di stupore ed incredulità.

“Uh-uh,” balbettò Kurt, cercando di apparire il più convincente possibile. “È esattamente come il seme di un’anguria, però magico. Solo i papà e le mamme che si amano tanto sanno fare la magia. Ora possiamo dormire?”

“Penso di sì. Ma io e Peanut stiamo stretti con voi due che vi date i calci sotto il letto. Vogliamo tornare al lettino,” biascicò Alfredo con uno sbadiglio ed annuendo a sé stesso come se si stesse convincendo che i suoi genitori avessero perso il senno e lui fosse l’adulto della situazione.

“Buonanotte,” dichiarò poi con decisione, afferrando Peanut per la proboscide e dirigendosi a passo spedito verso la sua stanza, senza attendere una risposta da Kurt e Blaine, che se ne stavano seduti sul letto come gli unici due superstiti di un uragano.

“Oh mio Dio,” gemette Blaine, scuotendo la testa e nascondendo il volto nel cuscino. “Cosa diavolo è successo? Dimmi che è stato solo un brutto incubo.”

“Non so cosa sia stato, ma certo è che mi ha traumatizzato a vita,” riuscì solo a dire Kurt, il viso che andava dal verdognolo al porpora in una maniera innaturale. “Momenti da dimenticare,” fece lasciandosi ricadere sul letto, esausto. “Magia, eh?” continuò con una risatina, rivolto a Blaine che tirò su il viso dal cuscino e ricambiò il sorriso divertito.

“Allora… noi due dove eravamo rimasti?” domandò Blaine, cambiando tono ed espressione e facendosi più vicino al compagno, in modo molto eloquente.

“Oh, temo di non ricordare,” rispose Kurt, avvicinandosi a lui a sua volta senza riuscire a trattenere un sorrisetto.

“Allora forse dovrei usare la mia bacchetta magica, per farle ricordare,” recitò Blaine, soffocando le risa nel collo di suo marito. “Non so se lo sa, ma io sono un mago.”

“Ho sempre pensato che avessi una certa somiglianza con Harry Potter, in effetti,” confessò Kurt, prima di stendersi fra i cuscini ed attirarlo a sé, ponendo fine allo scambio di battute con un bacio.

Ripresero a baciarsi con trasporto, le mani che viaggiavano sui loro corpi allacciati, sopra e sotto le maglie stropicciate. Improvvisamente era come se tutta la tensione accumulata, tutta la frustrazione si fossero riversate in ogni loro singolo gesto.

Ma ad un tratto, mentre Blaine stava già iniziando a sfilarsi i pantaloni del pigiama e i boxer con gesti scoordinati e molto lontani da quelli di un sexy strip tease degno dei migliori romanzi rosa, Kurt lo fermò, lanciando un’occhiata di traverso alla porta. Per un attimo orribile, Blaine temette che Alfredo fosse ritornato nella loro stanza, peluche alla mano e sguardo terrorizzato e davanti ai suoi occhi iniziarono già a comparire ricevute di anni di terapia da uno psicologo infantile e i continui ‘Vedervi copulare mi ha traumatizzato a vita! Non riuscirò mai ad avere una normale vita sessuale per colpa vostra!’ di un Alfredo adolescente e infuriato ad ogni litigata.

“Va’ a chiudere la porta, Blaine,” disse invece Kurt con tutta tranquillità e Blaine si voltò e vide che non c’era nessuno sull’uscio della stanza ma, semplicemente, la porta era rimasta semi aperta. Con un sospiro di sollievo, si alzò dal letto e si diresse a chiudere l’uscio, stando bene attento ad evitare di fare un qualsiasi tipo di rumore. Prima di buttarsi sul letto, Blaine raccolse e ripiegò con cura i vestiti che avevano buttato sulle sedie nella foga di sistemarsi e di impedire a Alfie di rimanere traumatizzato a vita; in più, se non l’avesse fatto, avrebbe dovuto sopportare le lacrime di coccodrillo di Kurt il giorno dopo.

“Devo prendere altro… materiale?” domandò ammiccante, sollevando un sopracciglio e voltandosi verso il letto, già pregustando il sapore delle labbra di suo marito. Suo marito che aveva gli occhi chiusi e il petto che si alzava e abbassava ritmicamente. “Kurt?” tentò debolmente, riaccostandosi e cingendogli la vita… ma Kurt si era addormentato.

No!, urlò Blaine frustrato nella propria testa. Non era proprio la loro serata, o perlomeno non sarebbe stata la loro serata di intimità.

Sospirò, afferrando un lembo della coperta e tirandola sopra entrambi, prima di avvolgere le braccia attorno al petto di Kurt e tirarlo a sé. Tenere Kurt stretto contro il proprio cuore era qualcosa a cui non mai avrebbe rinunciato, in qualsiasi situazione ed evenienza. Affondò il viso nel suo collo, respirando il suo profumo familiare e si accoccolò ancora di più a lui, con delicatezza, per non svegliarlo, intrecciò le gambe alle sue e poggiò il capo di Kurt sul proprio petto e il corpo del suo amore sembrava rispondere, anche nel sonno, alla sua guida.

“Buonanotte, Kurt,” mormorò Blaine, la bocca premuta contro i suoi capelli spettinati.

Kurt gli rispose con un mugolio di soddisfazione.

 

   
 
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