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Autore: Clockwise    25/04/2015    2 recensioni
«Il fatto è che tu sei un uomo di scienza: le definizioni sono un obbligo, per te. Io, non proprio. Le definizioni, anzi, mi spaventano. Perché, inevitabilmente, escludono qualcosa. E io non voglio escludere niente, voglio avere ogni possibilità, ogni sfumatura possibile.»
«Cerchi l'infinito.»

John parla, Sherlock ascolta.
Alla ricerca di definizioni, di parole – amore?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fra le righe'
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ἔρως
(amore, passione amorosa)
 
τοῦ ὅλου οὗν τῇ ἐπιθυμίᾳ καὶ διώξει ἔρως ὄνομα.
Al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà il nome di amore.
Platone, Simposio



Si quis in hoc artem populo non novit amandi,
hoc legat et lecto carmine doctus amet.
Arte citae veloque rates remoque moventur,
arte leves currus: arte regendus Amor.
A Sherlock furono necessari appena sessantasette secondi per ritrovare il latino, seppellito sotto pile e pile di vocabolari polverosi in una delle stanze dell'ala Est del Mind Palace, e circa due minuti e venti per sfogliarlo abbastanza da poter tradurre.
Se qualcuno fra voi non conosce l'arte dell'amore, legga questi versi e, allora, sarà in grado di amare. Per arte, le navi veloci corrono a vela o a remi; per arte, corrono i carri leggeri: con arte va guidato Amore.”
Sherlock storse il naso: per l'ennesima volta gli si palesava il motivo per cui aveva rimosso – o per lo meno archiviato – qualunque nozione legata alla letteratura: frivola, sciocca, superficiale, perfettamente inutile.
Voltò il piccolo libro per leggere il titolo e l'autore, aggrottando le sopracciglia. Ovidio, Ars Amatoria, edizione tascabile con testo a fronte, una sterlina e novanta al banco delle occasioni, appena comprato, non per la scuola; sottolineature a matita sparse, opera di Amanda. Sfogliò rapidamente alcune pagine: cosa diamine ci trovava sua figlia nella volgare e inconcludente operetta latina di uno scrittore a dir poco libertino?
«Papà!»
Alzò appena la testa per guardare la ragazza, che lo fissava indignata con i pugni serrati e le guance imporporate.
«Perché stai sbirciando fra i miei libri, nessuno ti ha dato il permesso, sono faccende private...» iniziò, marciando verso di lui e riprendendosi il libro. Sherlock nascose un ghigno, sia per il suo evidente imbarazzo sia per l'ammirevole somiglianza con John – quante volte il medico aveva protestato per invasione di privacy e Sherlock l'aveva platealmente ignorato...
«Sono curioso di sapere con quali letture si diletta mia figlia nel tempo libero, è un mio legittimo diritto, in qualità di genitore acquisito...»
Amanda gli lanciò un'occhiata saettante, sedendosi alla scrivania.
«Non mi sei meno genitore di John, papà» mormorò, abbassando lo sguardo. Sherlock si lasciò scaldare da un sorriso tiepido – tanto lei non guardava. Quindi le riprese il libro.
«In ogni caso, com'è? Interessante? Istruttivo
Amanda assottigliò gli occhi al suo sarcasmo.
«È cultura.»
Sherlock roteò gli occhi, camminando a grandi passi per la stanza, tenendo il libro aperto davanti a sé con una mano, l'altra dietro la schiena.
«Un manuale sull'amore. Più inutile di così.»
Amanda si lasciò andare all'indietro sullo schienale, guardandolo, improvvisamente pensierosa.
«Papà, quando... Voglio dire, tu sai che ho un ragazzo, l'hai gentilmente dedotto davanti a mezza Scotland Yard... quando credi che noi... ecco...»
Sherlock voltò la testa quel tanto che bastava per registrare le orecchie rosse e le dita che si torturavano a vicenda. Piegò le labbra in una linea dispiaciuta.
«Non sono io la persona a cui chiedere» mormorò, più dolcemente possibile – a cos'era dovuta quella stilla d'amarezza nel petto?
Amanda annuì, abbassando il capo. Improvvisamente si sentì a disagio, come non le era mai capitato, con Sherlock.
Il loro rapporto era sempre stato molto naturale, all'insegna dell'onestà e della schiettezza – sarebbe potuto essere altrimenti, con Sherlock? Amanda gli confidava qualunque cosa, sebbene molto spesso non ne avesse bisogno perché lui intuiva tutto con un'occhiata; il detective apprezzava comunque che la ragazza volesse parlargli, e nonostante l'apparente aria distratta o occupata in altre faccende, l'ascoltava sempre, commentando di tanto in tanto. Con John, Amanda non riusciva ad esprimersi così, il loro rapporto era molto più silenzioso. Sapeva bene di non essere formalmente o biologicamente legata a Sherlock in alcun modo, ma forse proprio per questo riusciva ad essere totalmente naturale, con lui.
Ora però, si sentiva la bocca imbavagliata e al contempo un gran bisogno di sfogarsi.
«Ma non posso chiedere a papà, è troppo imbarazzante...»
«Perché no? È un medico, chi meglio di lui...» tentò di scherzare Sherlock, sempre senza guardarla, per allentare un po' la tensione che provava nel petto.
«Tu... Papà...»
Amanda aprì la bocca, poi la richiuse, imbarazzata. Le dita di Sherlock si strinsero in un pugno, per poi correre agitate come se stessero tamburellando un pianoforte immaginario. La ragazza abbassò lo sguardo sul libro.
«Perché non vai a trovare Molly? Non devi restituirle quel melenso romanzo che ti ha prestato?» domandò Sherlock, in tono neutro, apparentemente molto interessato alle venature del legno della porta.
Amanda sorrise del velato tentativo del padre di darle una mano, al limite delle sue possibilità, senza tuttavia darlo a vedere – era tutto sottinteso con Sherlock.
«Giusto, vado a riportarglielo. Orgoglio e Pregiudizio. Bah, uno schifo, avevi ragione, ma forse non è il caso di metterla proprio in questi termini, con Molly, le spezzerei il cuore...»
Sherlock innalzò un mezzo sorriso, che sostenne fino a che la ragazza non fu uscita. Quindi crollò supino sul divano.
Tu... papà...”
Quanto, quanto avrebbe desiderato poter completare la frase, dare un significato e un significante a sé e a John, chiarire e determinare il loro rapporto una volta per tutte.
Arte regendus Amor.
Stupida, insulsa letteratura.

 
•°•

John si stropicciò gli occhi e controllò per l'ennesima volta l'orologio. L'una meno venti. Dove diamine si era cacciato quel figlio di una buona donna di Sherlock, dannazione, neanche un messaggio...
Come se avesse ascoltato i suoi pensieri, la porta si spalancò.
«Per la miseria, Sherlock, sai che ore sono? Un messaggio, almeno un messaggio potevi mandarlo, ho i nervi a pezzi e...» si alzò dalla poltrona per fronteggiarlo. Tutta la sua rabbia e preoccupazione scoppiarono come una bolla di sapone. Un trionfante Sherlock gli sorrideva dalla soglia ricoperto dalla testa ai piedi di...
«È miele quello?»
Sherlock annuì e tese le braccia verso di lui, in una muta richiesta. John alzò gli occhi al cielo e lo aiutò a liberarsi dei vestiti appiccicosi, ostentando riluttanza.
«Non riusciremo mai a lavarli, dovremmo portarli in lavanderia... Ci vai tu, però, dopo l'ultima volta, quando ho allagato tutto, penso che se mi faccio rivedere mi cacciano a calci...»
«Solo tu sei in grado di manomettere lavatrici automatiche che sanno usare anche i bambini» sogghignò Sherlock. John gli tirò un pugno scherzoso sull'addome, mentre gli sbottonava la giacca.
«Vado a prenderti la vestaglia, lascia tutto in bagno e fatti una doccia. Attento a non sporcare, o Mrs Hudson ti farà vedere i sorci verdi» sospirò quindi alla fine, ad uno Sherlock in mutande e canottiera, che annuì ed eseguì, obbediente.
Il detective ritrovò John sul divano, davanti ad un televisore che ciarlava silenzioso per conto suo.
«Amanda non sarà vergine ancora a lungo.»
John spalancò gli occhi.
«Per la miseria, Sherlock! Sono fatti suoi, noi non dovremmo saperlo!»
«Me l'ha praticamente detto lei» alzò le spalle il detective, avvolgendosi in una vestaglia che giaceva sulla poltrona di John. Il dottore scosse la testa.
«Assurdo. Ma non stai dicendo sul serio, è troppo giovane...»
«Ha quasi diciotto anni. Tu l'hai fatto molto prima.»
John si imporporò, spalancando gli occhi ancora di più.
«E tu come fai a... No, non voglio saperlo.»
Sherlock sogghignò e si raggomitolò accanto a John.
«La nostra bambina. Sembra ieri che giocava con il tuo teschio e scarabocchiava sui muri...» mormorò John, con un sorriso nostalgico. Sherlock scivolò lentamente fino ad accucciarsi sulla spalla di John, lasciando che gli passasse le dita fra i capelli umidi, pensieroso, assente; sentiva ogni nervo attaccato ad ogni singolo capello fremere e vibrare e scuoterlo da dentro, in un impulso che partiva dalla testa e raggiungeva le piante dei piedi infreddoliti. Che pace...
«Sherlock.»
La voce di John gli giunse roca, ovattata, e non riuscì a capire se era perché stava lentamente scivolando fra le braccia di Morfeo o perché era effettivamente così.
«Mh» mugugnò in risposta, inarcando appena la schiena. Le carezze di John cessarono e Sherlock si tirò su, puntellandosi sulle mani per guardare l'altro bene in viso. John fuggì i suoi occhi, ma non poteva mentirgli: battito accelerato, rossore sul viso, mani strette a pugno per aumentare l'autocontrollo.
«Sherlock... tradiresti mai il tuo lavoro?»
Sherlock sollevò appena un sopracciglio, divertito.
«Spiegati.»
John si schiarì la gola, lasciando scivolare gli occhi sul viso dell'altro.
«Ecco, tu una volta hai-hai detto di essere... “sposato con il tuo lavoro”. Ed, ecco, è ancora così?»
Sherlock sollevò appena il mento, ponderando bene le parole.
«Il matrimonio è una pura convenzione. Se esiste qualcosa come l'Amore, non serve un matrimonio, né qualunque costume sociale, a definirlo.»
John finalmente lo guardò. Annuì piano, come se avesse raggiunto un accordo con sé stesso, poi chiuse gli occhi, si sporse in avanti, e all'ultimo istante trattenne il respiro – gli mancò il coraggio. Fu Sherlock, con un mezzo sorriso, a doverlo baciare per primo.
Era il loro primo vero bacio, eppure aveva il sapore caldo e dolce della consuetudine. Era come baciare un ricordo – Sherlock si ritrovò a sorridere, e stringere John per il maglione.
John si tirò indietro per primo, un'indefinibile quantità di tempo dopo; lo guardò per un istante con occhi tremanti, poi seppellì il viso nell'incavo del suo collo. Sherlock lo cinse con le lunghe braccia, rinchiudendolo dentro di sé.
«Mi dispiace, Sherlock. Mi dispiace davvero.»
«Per cosa, John?» chiese il detective, la voce ovattata e bassa; immerso in un tepore dorato, in una situazione che gli era tutto meno che familiare, esibiva una calma inesorabile.
«I-io non ci riesco, Sherlock, vorrei con tutto me stesso, m-ma...»
«Non importa. Va bene.»
«No, Sherlock, non va bene!»
L'ex soldato si tirò su per guardarlo bene in viso, le mani ancorate alla sua vestaglia, il viso contratto.
«I-io...» chiuse gli occhi e trasse un sospiro vibrante. Parlò con le palpebre ancora serrate, la voce che si alzava e si abbassava, si inceppava e poi riprendeva, come un ruscello scosceso.
«Un tempo, ti amavo, Sherlock.»
Si costrinse ad aprire gli occhi, pentendosene non appena quelli di Sherlock lo perforarono come lame di ghiaccio – Sherlock non credeva a tutte quelle metafore disgustosamente poetiche, eppure il cuore gli doleva, crepato, prossimo ad esplodere; John lo vedeva e soffriva per lui.
Ma il Capitano Watson prese il comando e non si arrese, pur sapendo che erano poche le probabilità di ritornare indenne.
«Un tempo, p-prima che tu cadessi, io ti guardavo e desideravo baciarti con tutto me stesso. Pensavo di essere impazzito, per mesi ho continuato a fare finta di nulla anche con me stesso, e poi a ripetermi che era solo una fase – Dio, che idiota – e poi che tu non mi avresti mai guardato, perché ero troppo stupido per te, ero solo un amico. E poi...»
Sherlock lo guardava con un dolore e un rimorso che John non riusciva a quantificare– sembrava sul punto di urlare.
«Sei morto. E io non sapevo più che fare di me stesso. Un mondo di... possibilità e d-desideri si era buttato dal Bart's insieme a te, e io ero solo un... involucro di pelle secca. E allora mi sono costretto a seppellirti per davvero, a lasciarti andare, a ricordare quanto di bello c'era davvero stato, e basta. E allora è arrivata Mary, e io ho quasi creduto che fosse tutto un sogno. Se non che faceva così male, Sherlock, baciarla senza pensare a te.»
Chiuse gli occhi, quasi vergognandosi. Trasse un respiro, riaprì gli occhi ma non lo guardò.
«Poi è passato, e le cose sono andate sempre meglio. Se solo avessi saputo allora chi era in realtà... Ma poi sei tornato, quando io credevo che la terra avesse ripreso a girare, e hai mandato tutto all'aria un'altra volta.
I-io amavo Mary, l'amavo davvero. Nonostante tutto. E questo non cambierà mai, le devo molto.
Quando amavo te... era un amore ancora acerbo, ancora giovane, e... il fiore è stato reciso prima che sbocciasse.
Io non lo so, adesso, Sherlock, ma è così difficile... È che ho paura. Ho paura di farmi male un'altra volta e rimanerci secco. E poi, non mi è rimasto più molto da dare. Anche Amanda, ormai, è già parte di te. Ma io...» la gola si chiuse, e lui non riuscì più ad andare avanti. Si nascose il viso con una mano, sentendosi un miserabile quando le dita si bagnarono.
Le mani di Sherlock, gentili ed impacciate, gli strofinavano la schiena. Poi artigliarono il suo maglione e John sentì il suo dolce peso fargli da rifugio, una coperta di rami di salice piangente.
«Non riesco ad amarti come meriteresti, Sherlock, e mi dispiace così tanto.»
Sherlock lo strinse.
«Non importa.»
«No, invece...»
«Sì, invece.»
Si allontanò, e l'improvviso cambiamento fu come uno schiaffo per il dottore.
«Sei rimasto con me più a lungo di chiunque altro. Sei ancora con me, qui e ora. Non importa se noi non... Io prediligo la mente, lo sai. Quindi va bene così.»
Non era da Sherlock esprimersi in questo modo, a frasi spezzettate, inconcludenti. John lo guardò cercando di leggergli le parole negli occhi, ma i ghiacci si erano ormai sciolti.
«Andiamo a dormire, John.»
Il medico chiuse gli occhi e annuì, sentendosi contemporaneamente stanco come un vecchio e impaurito come un bambino.
Le spalle di Sherlock erano appena curve, mentre sventolava una mano per augurargli buonanotte e spariva nella sua stanza con uno svolazzo della vestaglia.

 
•°•

Amanda salì le scale in punta di piedi. John era già uscito, ma Sherlock forse dormiva ancora.
Aprì la porta delicatamente su un soggiorno silenzioso, appena increspato dai primi raggi del mattino che filtravano attraverso le tende.
«Papà?»
Avanzò di pochi passi. Sherlock non si mosse, e lei sospirò. Andò in cucina, preparò il tè e dei toast alla marmellata. Si sedette sulla poltrona di John e lasciò il piatto e la tazza sul tavolino accanto a Sherlock.
«Avete litigato?»
Sherlock scosse appena la testa, lo sguardo vuoto fisso sulla parete di fronte. Amanda chinò il capo, impotente di fronte a un dolore troppo grande, che non poteva comprendere né contrastare.
Le labbra di Sherlock si contrassero appena, come chi tenti con tutte le forze di non urlare, o piangere.
Amanda si sporse in avanti e lo avvolse in un abbraccio, ma lui non rispose.
«Se ti può consolare, Ovidio non ha aiutato affatto neanche me» sussurrò. Quando si scostò, sul volto di Sherlock aleggiava un principio di sorriso, e i suoi occhi la ringraziavano.
Ma nella sua mente – o anima, o cuore, o come diavolo andasse chiamata – imperversava un uragano; non c'era modo di parlare.





La colpa di tutto è da attribuirsi unicamente ad Ovidio e alla mia noiosissima insegnante di latino.
Grazie gigante a chi legge/segue/preferisce e soprattutto recensisce =)
A presto, con l'ultima parte.
-Clock

  
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