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Autore: Ziggie    27/04/2015    0 recensioni
Mycroft e Sherlock. Due fratelli, due facce della stessa medaglia, due tra i più brillanti uomini che servono l'Inghilterra. Ma com'era la loro vita prima dei fatti che tutti noi conosciamo? Perché sono arrivati ad essere così schivi l'uno con l'altro? Questa long fiction si propone di esplorare questo mondo antecedente ai fatti della BBC collegandolo con alcuni fatti e personaggi del nuovo film Kingsman, The Secret Service, attraversando la serie per superarla ed arrivare ad un ipotetico e se? da dietro le quinte, sperando di cogliere nel segno.
Non solo Sherlock e Mycroft, ma ci saranno altri personaggi a coronare questi capitoli, un nome a caso: Anthea.
Buona lettura e, mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Anthea, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi scuso per il ritardo, ma gli esami ed altri impegni mi distolgono un po' dalla scrittura di questi tempi, nonostante le idee. Questo capitolo è stato un po' un parto, cambiato in mille maniere e in mille modi, ed anche ora non ne sono totalmente soddisfatta, ma rispetto a prima non mi lamento per nulla. Volevo ringraziare tutti coloro che lasciano un commento nella sezione recensioni o che me li fanno al di fuori da qui, mi rendete felice, grazie. Detto ciò vi auguro buona lettura e spero di leggere un vostro parere. Al prossimo capitolo.

 
 
6. Brother Mine

 
Gli ultimi anni di studio in accademia misero a dura prova le mie facoltà sia fisiche che mentali, così come quelle dei miei compagni. Le missioni stavano diventando sempre più numerose, sempre più fitte e a queste occorreva aggiungere l'addestramento per il passare gli ultimi esami. Avevo venticinque anni, stavo per laurearmi e avevo già preso parte a cinque missioni attraverso la Gran Bretagna e l'Irlanda volte a fermare il traffico d'armi e alcuni attentatori che, in quegli anni di scontri tra cattolici e protestanti, infiammavano Belfast.

Non rientravo mai in accademia quando la missione vedeva la fine, avevo bisogno di respirare Londra e le sue vie, bisogno di toccare con mano la mia e la sua esistenza e una passeggiata nei suoi vicoli mi dava quella certezza. Avevo due luoghi nei quali potevo tornare: casa e la camera di Cambridge inutilizzata, ma sempre disponibile e fu quella la scelta che feci quella volta, visto e considerato che i miei si trovavano oltreoceano per un convegno sulla fisica quantistica e la cerimonia dei 50 anni di insegnamento di uno dei colleghi di mia madre. Credevo di aver fatto la giusta scelta entrando in quella stanza, avevo solo voglia di dormire e avevo dato per scontato, visto l'assenza dei miei, che mio fratello si trovasse a casa, probabilmente mi sbagliavo. La puzza acre di fumo misto ad erba era ancora forte nel locale, impregnata nell'ambiente e nei pochi tessuti circostanti. Narghilè, mozziconi di sigaretta, qualche bong, mio fratello stava facendo buon uso del suo tempo libero: - Ah, gli anni dell'adolescenza che vedono la fine! La facoltà di chimica lo saprà mettere sulla buona strada - pensai sarcastico, ben convinto del contrario. Cercai di non fare caso al disordine, pensando al meritato riposo che volevo e dovevo prendermi, ma un laccio emostatico sul pavimento attirò la mia attenzione e mi fece riprendere il cammino per le vie della città.

Tre erano i luoghi che mio fratello usava come nascondigli, tre erano quelli che conoscevo e, visto e considerato che non era nella mia vecchia stanza, questi si restringevano a due: la mansarda della nostra casa e una piccola baracca sul Tamigi abitata da alcuni poveri in canna che aveva preso a frequentare. Perché avrebbe dovuto farlo? Perché buttarsi in quel vortice di perdizione? Noia? Mero piacere personale? Il brivido della libidine? Erano tante le domande che mi accompagnavano nella mia ricerca disperata, domande che vennero interrotte alle prime luci dell'alba dallo squillare del telefono nella casa dei miei. Presi la telefonata e venni a sapere che mio fratello si trovava ricoverato in ospedale per uno svenimento causato dall'accumulo di sostanze stupefacenti, che lo avevano portato alle soglie di una leggera overdose. Riattaccai la cornetta, presi un taxi ed arrivai in poco tempo al London Bridge Hospital. Una volta raggiunta la stanza di mio fratello appresi che aveva appena subito una lavanda gastrica e che l'avrebbero mantenuto in osservazione per diversi giorni.

- Diventerai famoso per il tuo tempismo perfetto nel mettere in subbuglio i programmi e gli animi, fratellino - esclamai a bassa voce, mentre lo osservavo dormire, atto che mi accinsi io stesso a fare non appena mi accomodai su una sedia lì accanto al letto.

*
 
- Signore, è per lei - esclamò una voce femminile, posandomi una mano sulla spalla mentre ero ancora tra le braccia di Morfeo - Signore - fece poi gentile e con gli occhi ancora socchiusi le riservai un sorriso prendendo il telefono.

Fu una chiamata veloce, sbrigativa, durante la quale scossi il capo più e più volte - sembrerebbe che la droga stia diventando l'ordine del giorno di questi tempi - mormorai contrariato, chiudendo la chiamata una volta ottenute le coordinate. Era una missione semplice, non sarebbe durata più di qualche ora se non ci fossero stati intoppi e, svolgendosi in città, avevo tutto il tempo di ritornare al capezzale di quel folle di mio fratello.

- Devi proprio andare? - esclamò Sherlock con voce flebile.

- Si, fratellino, ma non starò via molto, giusto il tempo delle tue visite di controllo - lo ammonii piccato, prima di sistemarmi camicia e gilet, rimettermi la giacca per poi avviarmi al luogo dell'appuntamento: il porto di Londra.

Ero arrabbiato con me stesso, deluso dai miei gesti nei confronti di mio fratello, quasi sconfitto e la domanda del "perché lo hai fatto, Sherlock?" che mi aveva accompagnato nei sogni, ora era più vivida che mai. Per una volta, per la prima volta non riuscivo a rimanere distaccato, il mio pensiero tornava sempre a quella camera di Cambridge impregnata dei più acri odori e alla chiamata avuta dai medici. Il mio pensiero era fisso su Sherlock, sul fatto che avrei dovuto chiamare i miei e su quello che per la prima volta non sapevo come avrei dovuto comportarmi.

- Mycroft, sei tra noi? - mi picchiettò un dito sulla spalla Merlin.

- Mi sembra di essere qui, no? - esclamai sarcasticamente ironico.

- Non sembrerebbe, anzi mi stupisce vederti qui piuttosto che al capezzale di tuo fratello -

- Non mando all'aria una missione per degli sbagli fatti da un diciottenne alla deriva, dovresti conoscermi ormai, Merlin -

- Certo, certo, il tuo essere di ghiaccio non è una novità - esordì pacato, sfoderando una pistola con silenziatore annesso, facendo fuoco su un cecchino che stava puntando alla mia persona - lo è il fatto che io ti debba coprire le spalle -.

- Perché? Non lo hai mai fatto, forse? - la buttai sul ridere, impugnando la pistola pronto a cimentarmi in quello scontro a fuoco tra la nostra banda e quella del narcotrafficante, che era circondato da quando aveva messo piede sul molo.

- Giusto per ricambiare alcuni favori - ridacchiò - Finiamo questa faccenda, dopodiché potrai distrarti quanto vuoi all'ospedale -.

Requisimmo trenta chili di hashish ed altrettanta cocaina al trafficante sudamericano, quantità che ad ogni missione contro il narcotraffico si facevano sempre più alte, missioni che ormai divenivano l'ordine del giorno.

*
 
Dovevo molto a Merlin, se non fosse stato per il suo gesto, mi sarei trovato all'altro mondo alquanto presto; un grazie e mille altri pensieri tornavano a galla, ma aveva senso rimanere arrabbiati? Aveva senso darsi delle colpe? Non ero una persona che si piangeva addosso e non avrei iniziato a farlo in quel momento.
Tornai al'ospedale e trovai Sherlock addormentato, così decisi di fare una telefonata.

- Mamma -

- Oh, ciao Mickey! Come vanno le cose a casa? -

- Tutto bene, mamma. Sherlock è in ospedale, ma tutto relativamente bene -.

- Come? Il mio bambino è in ospedale? Che è successo, Mycroft? -

- Quando te lo ricordi, lo usi il mio nome, eh! - convenni con ironia. Ero appena fuori dalla stanza a chiamare, ma il mio sguardo era ben puntato sul capezzale di mio fratello, che notai muoversi appena - Non è successo nulla, ha solo avuto una forte colica renale, che ha fatto presupporre una sospetta appendicite ed i medici lo hanno ricoverato per qualche giorno, uscirà domani - una mezza bugia vale più di mille verità alle volte.

- Buon Dio! Ora come sta? Posso parlarci? - fece apprensiva.

- Ora è fresco come una rosa, ma sta dormendo, gli riporterò i tuoi saluti. -

Parlammo ancora qualche istante e le feci sapere i dettagli sulla cerimonia di laurea. Da una parte mi spiaceva che i miei non potessero prendervi parte, purtroppo però la data era uscita pochi giorni prima, in perfetto stile kingsman, ed i miei si trovavano già dall'altra parte del mondo per il convegno, con i biglietti aerei già prenotati, ma era un lusso sapere di averli al fianco almeno per cena.  

A chiamata terminata entrai nella camera di Sherlock e mi accomodai sulla sedia, che da qualche giorno era diventata la mia seconda casa e il mio luogo di riposo, lo osservai e sorrisi, notando che stava facendo finta di dormire, ma non interferii con il suo piano e mi misi a leggere un quotidiano che avevo recuperato prima di salire in reparto.

- Non è da te non chiedermi il perché l'ho fatto - esordì dopo qualche minuto, dodici per l'esattezza.

- Già, ma ho sempre saputo di avere un fratello sconsiderato e ci sono occasioni in cui non occorrono domande - risposi pacato, continuando la mia lettura senza distogliere lo sguardo dal giornale.

- Tutto patria e regina, ecco cosa sei diventato. Alla minima chiamata accorri e le vecchie promesse vengono sempre meno - esclamò risentito, sospirai cercando di non dargli troppo peso, per niente in vena di litigi.

- Stai parlando a vanvera, Sherlock -.

- Così a vanvera che sono arrivato ad essere qui per il gusto di osare in un momento di noia. Sai cos'è la noia, fratellone? No, forse no, le missioni adrenaliniche non ti permettono di toccarla con mano -.

- Abbiamo un diciottenne in vena di litigate, infermiera porti del calmante - esclamai ironico, abbassando solo allora il giornale - Sai, Sherlock, l'adrenalina a volte è talmente un'abitudine che non riesci a distinguere quando la preoccupazione la sovrasta, facendoti perdere il controllo dalla tua missione, destabilizzandoti e solo allora ti domandi perché? Perché io, che ho sempre cercato di tenermi in disparte, dovrei essere coinvolto? - mi alzai e  mi avvicinai a lui - attento a giocare con il fuoco, fratellino o finirai per bruciarti - gli sussurrai all'orecchio, dandogli un buffetto sulla guancia, prima di riprendere ombrello e soprabito ed avviarmi all'uscita.

- Sei sentimentalmente di ghiaccio, fratello -.

- La prossima volta rifletti sul da farsi, Sherlock, non sei il primo in famiglia a giocare con erbe e composti, lascia questo primato allo zio Rudy -.

- Va al diavolo, Mycroft -.

Sherlock uscì dall'ospedale il giorno successivo, dopo che aveva passato sotto osservazione un'intera settimana. Il nostro colloquio quel giorno si era incentrato semplicemente sul saluto, nulla di più, ma a sera, quando stavo preparando il completo per la cerimonia di laurea, arrivò in camera mia rimanendo appoggiato allo stipite della porta.

- Il tuo grande capo permetterà a noi comuni mortali di accedere alla vostra sede supersegreta, domani? - chiese cercando di nascondere la curiosità.

- È un piacere sentire che, qualche volta, ti definisci un comune mortale - ridacchiai - comunque no, la cerimonia si terrà in quel di Cambridge, per gentile concessione del rettore, alle due di pomeriggio - lo notai arricciare il naso contrariato, immaginando bene la sua curiosità riguardo i vari congegni segreti e simili, un giorno chissà, magari gli avrei mostrato qualcosa.

- E per quanto riguarda mamma e papà? -

- Saranno in volo verso l'Inghilterra a quell'ora, festeggeremo con loro a cena -

- Gli hai raccontato del tuo fratellino sconsiderato, non è vero? - esclamò in tono pungente e sospirai, voltandomi verso di lui per guardarlo dritto negli occhi.

- Si, sanno della tua situazione - commentai con tono grave - una forte colica renale e sospetta appendicite, era per quello che eri sotto osservazione ospedaliera, no? E non far finta di non aver sentito il mio colloquio con mamma - lo ammonii, appendendo il mio miglior completo alla maniglia dell'armadio, mentre Sherlock era rimasto sconcertato - Vedi di non farmene pentire, fratellino -.
 

Ho un bel ricordo di quella giornata, un ricordo fresco racchiuso nella mente e in una fotografia, che rappresenta me e mio fratello spensierati e sorridenti, una fotografia rara, che allontanava entrambi da quanto era successo i giorni precedenti.
Sherlock era sempre stato un ragazzo sveglio al quale piaceva mettersi in gioco e sperimentare su e con sé stesso; la scelta del proseguo degli studi in chimica non è mai stata un caso, così come non era un semplice incontro tra libido e noia quel principio di overdose avuto in quell'occasione. Più e più volte ho dovuto correre per lui, aiutandolo in prima persona o muovendo i fili dal dietro le quinte. Più e più volte l'ho fatto e continuerò imperterrito. 
Diogenes.
Ora.
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