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Autore: rora02L    30/04/2015    19 recensioni
Storia scritta per la sfida: "Una idea, più storie". La consegna era: storia che parli di un enigma, di qualcosa di misterioso, un libro con simboli strani, qualcosa di scientifico che potrebbe cambiare il mondo. La stessa consegna doveva essere sviluppata da un'altra persona, in modo del tutto autonomo in modo da confrontare l'originalità e da vedere come le persone potessero scrivere storie diverse partendo dalla stessa idea.
Tratto dal testo:
"Claude Frollo era l’arcidiacono della Vergine Maria, della grande ed impotente Notre Dame di Parigi. E scavava a mani nude, cercando tra la terra il suo tesoro tanto agognato. Doveva trovarlo, era andato troppo in là per fermarsi a pochi passi dalla sua meta. Aveva scoperto l’ubicazione della casa del più grande alchimista di tutti i tempi, colui che era riuscito a creare la pietra filosofale: Nicholas Flamel."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Claude Frollo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L'arcidiacono alchimista.





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13 febbraio

Claude Frollo era l’arcidiacono della Vergine Maria, della grande ed impotente Notre Dame di Parigi. Scavava a mani nude, cercando tra la terra il suo tesoro tanto agognato. Doveva trovarlo, era andato troppo in là per fermarsi a pochi passi dalla sua meta. Aveva scoperto l’ubicazione della casa del più grande alchimista di tutti i tempi, colui che era riuscito a creare la pietra filosofale: Nicholas Flamel.
Aveva cercato indizi sulla ubicazione della pietra anche nel cimitero dei Saints Innocents, in cui c’erano sì le tombe dei suoi genitori, ma anche la sacra croce del Maestro alchimista. Era ricoperta di simboli, tipici degli alchimisti: l’occhio aperto, triangoli storti, stelle a cinque punte e cerchi alchemici di vario genere. Ed in mezzo a tutti questi simboli, non aveva trovato altro che una promessa di vita eterna.
L’alchimia si basa sulla trasformazione della materia: stato liquido, solido e gassoso. Ad esempio, il ghiaccio rinchiuso sotto terra per mille anni si trasforma in cristallo di roccia. L’alchimia è l’unica vera scienza, basata sui fatti reali del mondo. Non come la medicina o l’astrologia, basate su mere ipotesi e congetture. Non manca mai di scoperte, sempre significative per  l’essere umano. L’arcidiacono amava solo due cose della vita terrena: Dio e la sua scienza prediletta, l’alchimia.
Ma torniamo al nostro arcidiacono Claude Frollo che scava.
Aveva trovato, in quella casa dalle mura deturpate da coloro che avevano voluto lasciare la firma del loro passaggio, un segno, seppure flebile. In mezzo a tutti quei nomi di presunti alchimisti, c’era una parola mascherata: Lucifero. Il portatore di luce. Luce.
Claude Frollo notò che, in quella notte di luna piena del mese di Dicembre, i raggi lunari entravano nella casa diroccata da un preciso punto del tetto e formavano un perfetto triangolo equilatero nel terreno.
Eccitato, si era messo a scavare immediatamente, senza pensare.
Sentiva la terra entrargli nelle unghie, ringhiava ogni volta che si feriva, ma mai desisteva. Finché non scorse la copertina cremisi di un libro, ancora ricoperta per metà dal terreno. Dissotterrò subito il quaderno rilegato in pelle e ne aprì le prime pagine. Riconobbe la firma del grande Maestro alchimista e ringraziò Dio, portandosi il manoscritto al petto. Ansimava per l’emozione, con il respiro affannato. Le sue labbra si muovevano senza proferire una parola, nel buio e nel silenzio di una notte invernale di Parigi.
Nascose poi il quadernetto  tra le sue vesti e si dileguò nelle tenebre, per tornare ai suoi appartamenti e alla sua vita da ecclesiastico. Nessuno doveva sapere che aveva trovato l’eredità di Flamel. Il Signore gli aveva dato questa occasione e non l’avrebbe certamente sprecata. Forse era il tanto agognato premio che gli spettava per i suoi anni di servigi o per aver allevato lo storpio Quasimodo.
Quel libricino era la chiave per arrivare alla pietra dei filosofi, la sostanza catalizzatrice simbolo dell'alchimia, capace di risanare la corruzione della materia. E forse anche dello spirito.
[*]La pietra filosofale è dotata di tre proprietà straordinarie: fornisce l’elisir di lunga vita in grado di conferire l'immortalità fornendo la panacea universale per qualsiasi malattia; far acquisire l'onniscienza ovvero la conoscenza assoluta del passato e del futuro, del bene e del male ed infine la possibilità di trasmutare in oro i metalli vili.
Come Dio trasforma i cuori dei poveri peccatori in quelli di agnellini puri, grazie al suo infinito perdono. Claude Frollo non era interessato al denaro fine a sé stesso: lui voleva la conoscenza ed il potere. Li voleva da sempre, anche nei suoi anni giovanili di studio e nelle sue ore di preghiera tra le mura santissime di Notre Dame, mentre pregava la Madonna. Mani giunte e croce d’oro al collo.
                                                              *
Accese di gran fretta la candela del suo studiolo ed estrasse da un cassetto a doppio fondo della sua scrivania il manoscritto. Lo aveva nascosto là per sicurezza.
Fremeva, chiedendosi quali segreti arcani nascondesse quel così piccolo quadernetto.
Lo aprì delicatamente, con le mani tremanti, mentre si sedeva sulla sua sedia dallo schienale imbottito e ricoperto di velluto scarlatto. La prima facciataera completamente bianca. La seconda recava sull’angolo destro in basso un simbolo: l’occhio della luce. Un occhio aperto, spalancato, che guarda il mondo con gli occhi dell’alchimia.
Andò avanti, con il cuore in gola e gli occhi brillanti per la curiosità, di una luce perversa e quasi sinistra, che rispecchiava la sua ossessione per la ricerca della pietra.
La pagina dopo era scritta con caratteri eleganti e fitti. Vi era un titolo all’inizio un po’ più in grande, scritto alla buona: Piccioni in salamoia alle quattro spezie d’oriente.
Veniva poi riportata una stranissima ricetta dall’aria rivoltante e nelle pagine seguenti ce ne erano altre, rigorosamente scritte a mano: Cane al pepe verde, Gatto al vapore con aroma di curcuma, Brodo di ratto ed anguilla al peperoncino… 
Claude Frollo sgranò gli occhi e sollevò il capo dal quadernetto, trattenendo una imprecazione a denti stretti.
Lo prese con furia, in uno scatto di ira. Stava per gettarlo nel fuoco del suo caminetto, chiedendosi che razza di scherzo aveva escogitato Flamel per scrivere delle assurdità del genere. Si alzò furente dalla sedia, con il quadernetto rilegato in pelle stretto tra le ossute dita e si apprestò a gettarlo nelle fiamme.
La sua mano si fermò a mezz’aria, ricordandosi un particolare che aveva imparato da giovane, mentre studiava le basi della alchimia. Fece un respiro, cercando di calmarsi.
Molti alchimisti del passato avevano camuffato i segreti della loro scienza in ricette astruse, mettendole in un codice sempre diverso, da decifrare con pazienza.
Probabilmente anche Flamel aveva adottato lo stesso stratagemma. Ciò voleva dire che avrebbe dovuto trovare la chiave dell’arcano, del codice con cui avrebbe poi potuto decodificare gli appunti del sommo alchimista e così avere la formula per ricreare la pietra dei filosofi o almeno per ritrovarla.
Ripose il quadernetto nel doppio fondo del cassetto della sua scrivania. Si appoggiò con le mani ,con tutto il suo peso, al legno della cattedra. Si massaggiò poi le tempie, ancora scosso dagli ultimi avvenimenti. Aveva molto lavoro da fare, la strada verso la pietra filosofale era appena iniziata.
La cosa lo irritava e allo stesso tempo lo stimolava. Aveva sempre amato la ricerca, ma detestava questo scherzetto delle ricette che il sommo alchimista aveva escogitato per coloro che avrebbero trovato i suoi appunti. Era di pessimo gusto.
Sembrava il ricettario di un qualche popolo di zingari, di barbari animali. Eppure nascondeva il segreto dell’oggetto più importante che l’intera umanità avesse mai avuto e che avrebbe cambiato il destino del mondo, una volta ritrovato.
Se fosse finito nella mani sbagliate, sarebbe stato il caos.
Ma Claude Frollo era convinto di essere l’uomo giusto, l’uomo retto, l’uomo di Dio ed il cavaliere della Vergine Maria. Colui che era incorruttibile, senza macchia e ricco di virtù.
L'uomo che ricacciava indietro la spazzatura che osava mettere piede a Parigi, distruggendo l’armonia della sua città. Quella feccia schifosa doveva sparire e lui, il soldato prescelto dal Signore, aveva il compito di estirpare la gramigna dal giardino santo di Notre Dame.
Ora il suo Dio gli aveva affidato l’importante missione di ricostruire la ricetta per creare la pietra mistica dei filosofi e degli alchimisti.
Lui era l’uomo dorato degli alchimisti, colui che aveva la conoscenza del bene e del male. Infatti deteneva la sapienza del tutto. Toccava a lui stringere tra le mani la pietra della purificazione, capace di trasformare il corpo mortale in immortale, i metalli vili in prezioso e puro oro e la limitata conoscenza umana in quella infinita a totale di Nostro Signore.
                                                              *
L’arcidiacono aveva passato interi mesi a decodificare il manoscritto del Maestro Falmel. Aveva usato vari codici di antichi alchimisti. Ma era riuscito a decifrare solo la prima facciata scritta, con tutte le sue ricette raccapriccianti.
Aveva trascritto il testo decifrato in un pezzetto di carta stropicciato, preso dal retro di un qualche altro libro poco importante.Leggeva e rileggeva il testo oscuro:
ΆΝΑΓΚΗ
Per la porta delle vergini di sangue entrerai, folli e sagge donne portatrici di Luce. Lo sguardo del corvo seguirai, fino a che non giungerai nel luogo aureo del Sole eterno. Là avrai l’onniscienza , l’immortalità ed il tesoro dei Filosofi. Ma un prezzo vermiglio e caro pagherai, per varcare la porta che la Nostra Dama custodisce, colei che tiene lontani dalla Luce accecante gli stolti ed i deboli di cuore, poiché non sono degni di un tale tesoro.”
L’attenzione dell’arcidiacono era stata catturata da quella parola greca all’inizio, così familiare ed al tempo stesso lontana. Sentiva di averla già vista, in passato. Ma non rammentava né il dove né il quando.
Decise quindi di dedicarsi al resto dell’indovinello misterioso lasciato dal Sommo Maestro.
Le uniche vergini che aveva conosciuto in vita sua erano le statue di Notre Dame. La Vergine Maria, ad esempio, di cui lui era l’arcidiacono.
L’indovinello parlava anche di lei, dunque l’indizio seguente era forse nascosto nella cattedrale? Se così fosse stato, quale incredibile segno divino per Claude Frollo ! Il Signore lo stava certamente indirizzando al suo destino.
Il testo parlava anche di un corvo. Non ne ricordava alcuno tra le statue della cattedrale. Ed in quanto alla minaccia finale, era certo di esserne degno. Lui era destinato a ritrovare la pietra filosofale, quello era il suo fato.
Si recò immediatamente nella sua amata cattedrale, di cui conosceva ogni angolo e segreto. Ma non il più importante, che custodiva gelosamente nel suo grembo: il luogo in cui Nicolas Flamel aveva nascosto il suo capolavoro. Per lui, affinché un giorno lo ritrovasse. L’alchimista ne era ormai certo, accecato dalla bramosia e dal desiderio di ritrovare l’oggetto mistico.
Iniziò esaminando le vergini sagge dalla lampade dritte, portatici di luce pura e giusta. Passò in seguito alle vergini folli con le loro lampade capovolte, luce storta e depravata.
Cercò per svariati giorni il corvo, finché non lo trovò appollaiato sul portale di sinistra, con lo sguardo fisso verso un punto in lontananza. Che fosse il luogo che tanto stava cercando ? Frollo calcolò più e più volte l’angolo dello sguardo del pennuto nero e setacciò le zone di Parigi che coincidevano con quella pendenza. Ma non trovò nulla che lo ricollegasse alle vergini, alla luce divina , a Notre Dame o a Flamel stesso. Niente.
Ma l’arcidiacono si era persuaso che trovare la pietra filosofale era il compito che Dio gli aveva assegnato e non poteva certo desistere.
Passò mesi ad analizzare ogni particolare delle statue della cattedrale e scoprì anche il significato di quella parola sinistra e antica, che era riportata anche su una delle mura di Notre Dame.
In greco, voleva dire “fatalità.” Lo aveva domandato ad un uomo di lettere, venuto a visitare la cattedrale in occasione della Festa dei Folli. Quando aveva sentito il filosofo pronunciare quella parola lugubre, aveva provato una strana sensazione di inquietudine. Ma l’aveva subito scacciata via, non si sarebbe lasciato spaventare da una semplice parola.
Claude Frollo non conosceva ancora il potere delle parole, che ogni singola parola possiede. Sono capaci di evocare un intero mondo con il loro solo suono sulla lingua di ogni mortale.
Forse, se lo avesse saputo, non avrebbe interpretato in modo così zelante e letterale l’enigma di Flamel. Forse avrebbe capito che la ricerca della pietra filosofale era maledetta e che l’elemento chiave per crearla era il sangue di vittime innocenti, vergini dalla cattiveria del mondo.
L’arcidiacono già svolgeva svariati esperimenti sull’elemento del sangue, trattandolo come avrebbe usato lo zolfo o qualsiasi altro elemento alchemico. Proveniva principalmente da zingari e malfattori chiusi in celle e destinati a morte certa.
Ma il sangue è vita. La pietra filosofale ruba la vita agli esseri umani.
Infatti, una delle basi dell’alchimia è la seguente legge: ricevi l’equivalente di ciò che dai. Si basa sugli scambi, di energia e di calore ad esempio. Ma non si può avere qualcosa senza darne un’altra in cambio che abbia valore pari o superiore.
Ed il prezzo che richiede la pietra dei Filosofi è davvero alto:  il sangue di migliaia di innocenti. Un prezzo equo, dato che l’oggetto mistico può renderti immortale, facendoti vivere le vite degli esseri umani che avevi sacrificato. E l’aumento della conoscenza si avvicina alla onniscienza, poiché immagazzini il sapere delle vittime.
Frollo non sapeva ancora come trasformare il sangue nella pietra filosofale ed ogni volta che tentava l'impresa, falliva miseramente. Eppure non smetteva di ritentare, utilizzando come cavie la sporcizia che raccattava tra le vie infette della città, come gli zingari e gli accattoni. A nessuno importava di loro, quindi poteva farne ciò che voleva, nessuno lo avrebbe fermato.
D’altronde, il suo compito era anche quello di ripulire il mondo da questa lurida gentaglia che impestava Parigi.
Prediligeva la notte per i suoi esperimenti, utilizzando tutto il suo sapere alchemico. Molti abitanti di Parigi avevano visto delle luci verdi illuminare la finestra dei suoi appartamenti a notte fonda. Ormai il suo nome era divenuto “Claude Frollo Lo stregone” per ogni parigino. Tutti lo temevano. O lo odiavano.
Che gente ignorante … - si ripeteva sempre l’arcidiacono, quando sentiva i bisbigli della folla mentre passava per le strade parigine- Non capiscono che la mia non è né stregoneria né eresia, poiché l’alchimia è l’unica vera scienza. Stolti plebei! 
Dunque alzava il suo sguardo fiero e continuava il suo cammino, implacabile. Lui era nel giusto, nessuno avrebbe mai potuto persuaderlo del contrario.
                                                              *
L’arcidiacono, come ogni mattina, stava consultando i suoi testi biblici e di teologia. D’altronde, non poteva continuare ad occuparsi della sua disperata ricerca anche davanti al resto degli ecclesiastici che popolavano Notre Dame. Ed anche lo spirito aveva bisogno del suo quotidiano nutrimento, dopo le preghiere del mattino.
Stava rileggendo un passo della Bibbia per la messa della domenica, quando una musica fastidiosa ed irritante giunse alle sue orecchie da conoscitore di ogni scienza, compresa la musica.
Arricciò le labbra, infastidito, ed il suo viso si indurì, preso da un sentimento di puro odio e disprezzo per quella melodia così volgare.
Decise di chiudere il suo tomo e di affacciarsi alla finestra per vedere chi mai suonava un tale abominio musicale.
Dall’alto della finestra dei suoi appartamenti vide un gruppo di zingari che suonavano vari strumenti poveri: tamburelli, fluati e tamburi. I parigini accorrevano incuriositi, mentre partecipavano alla consueta Festa dei Folli.
Ma l’attenzione dell’arcidiacono cadde sulla fanciulla che ballava al centro della piazza. La giovane aveva dei lunghi capelli corvini e ondulati come le onde del mare, che danzavano insieme a lei.
La sua pelle olivastra sembrava la più liscia e morbida su cui Claude Frollo avesse mai posato lo sguardo. Danzava a piedi nudi, aveva dei piedini piccoli ed aggraziati. La sua veste colorata di rosso e verde da zingara svolazzava al vento, seguendo le sue movenze sensuali. Accanto alla ragazza vi era una capretta curiosa, che sembrava partecipasse al ballo della padrona.
Restava immobile a fissare la piccola gitana, intenta ancora a ballare per il pubblico. Non riusciva a distogliere lo sguardo dal corpo sinuoso e leggiadro di lei, che si muoveva con maestria, come fiamme danzanti nel focolare. Era come pietrificato ed un brivido risaliva la sua schiena ossuta, fino a scuoterlo dentro.
Ammirava ancora i suoi piedini scalzi saltellare avanti ed indietro e le sue mani volteggiare, formando archi evanescenti.
Desiderò ardentemente passare le dita tra i capelli corvini della fanciulla, avrebbe venduto l’anima al demonio per riuscirci. I suoi occhi ardevano, mentre si posavano su ogni curva della giovane con voglia.Una passione disumana si impossessò dell’arcidiacono, che sentì una forte vampata di calore bruciargli le membra. Il suo corpo non faceva altro che desiderare quella gitana danzante, urlando con tutto la sua potenza questo desiderio malato che aveva acceso l’anima ed il corpo di Claude Frollo. Seppe che la sua carne reclamava lei, lei era l’unica che poteva concedergli il Paradiso. La zingara smise di ballare.
L’alchimista si rese finalmente conto di essere rimasto a fissare la giovane in modo morboso per tutto il tempo e si allontanò da quella creatura celeste che lo aveva condannato per sempre, anche se inconsapevolmente. Era bastata una sua danza a risvegliare i più bassi istinti di Claude Frollo, che non aveva avuto occhi che per Dio fino a quella mattina.
L’uomo si allontanò dalla finestra, come se si fosse scottato a contatto con essa. E maledisse in quel preciso istante quella fanciulla celeste e diabolica, che aveva corrotto la sua anima pura con quel desiderio malsano che si stava radicando in lui e che lo bruciava da dentro.
C’era una sola parola per descrivere la ragazza che aveva appena visto: bella. Bella, questa parola doveva essere nata insieme a lei. Quel demone dalle fattezze d’angelo che ormai annebbiava già la sua mente e gli attanagliava il cuore.
Nei giorni seguenti, l’arcidiacono non riuscì più a studiare senza pensare a lei, desiderandola carnalmente.
Era caduto nell’abisso di un pensiero fisso che lo stava distruggendo.
Quando pregava  Notre Dame, non faceva altro che supplicare la Vergine Maria di fargli un unico favore: rendere la gitana sua. Farlo entrare in lei come entrava per la porta della chiesa. Oppure far finire entrambi all’Inferno, per passare l’eternità insieme. Dannati, certo. Ma insieme. Se non poteva averla in vita, la avrebbe avuta nell’aldilà. Questo pensiero si insinuò sempre più nella mente dilaniata dell’alchimista, che ormai non aveva più interesse in null’altro che la sua piccola zingara dai piedi nudi. Lei aveva messo la passione ed il desiderio nel suo corpo, nella sua anima, nella sua mente e nel suo cuore. La amava alla follia, non faceva altro che pensare a lei, desiderandola con tutto sé stesso.
Voleva toccare il suo corpo, stringerlo fra le mani e farla totalmente sua. Non sarebbe stata di nessun altro.
Oramai nemmeno sfogliare il quaderno di Flamel lo distoglieva dal pensiero della giovane. Claude Frollo si domandò come aveva fatto la gitana ad insinuarsi nel suo cuore in modo così radicale, nessun’altra donna aveva mai attirato la sua attenzione, ad eccezione della Santa Vergine. Eppure quella piccola straniera aveva fatto breccia nel suo cuore di pietra, fatto della stessa pietra dura di cui era fatta la cattedrale a cui aveva dedicato l’esistenza. Era riuscita ad annientare ogni controllo che c’era dentro di lui.
Il fuoco dell’Inferno bruciava dentro l’arcidiacono ogni giorno di più. E non si sarebbe fermato.
                                                                     *
Ormai la giovane zingara di nome Esmeralda era morta, impiccata alla forca. Claude Frollo e Quasimodo fissavano ancora il suo corpo senza vita, che penzolava legato alla corda. Era ancora bello, ma era solo il riflesso sfocato della bellezza che lei portava da viva. La bellezza che aveva mentre danzava sinuosa e seducente.L’arcidiacono provò un brivido molto diverso da quello che aveva provato la prima volta che aveva visto la ragazza.
Questo era freddo e gli faceva venire voglia di piangere. Ma lui non aveva mai pianto. E non si era mai ricreduto sulle sue azioni. Non riusciva ancora a credere ai suoi occhi, la bella Esmeralda era morta. L’aveva uccisa lui, con l’inganno.
Un urlo rabbioso lo riscosse dai suoi pensieri e vide il campanaro scagliarsi contro di lui, per poi gettarlo giù dal tetto della cattedrale.
Gli occhi dell’arcidiacono si spalancarono, presi dal terrore della morte. Ma poi si ricordò che morire era quello che voleva, da quando aveva visto il corpo della sua amata privo di vita. Perché così l’avrebbe seguita all’Inferno e lì sarebbero potuti stare insieme per l’eternità. Non vi era Paradiso alcuno senza Esmeralda.
E lui l’avrebbe seguita tra le fiamme degli Inferi in cui lui stesso l’aveva gettata, facendola impiccare per un reato che non aveva commesso. Negli ultimi istanti di vita, Claude Frollo sorrise. Era riuscito nel suo intento. Arrivo da te, mia dolce Esmeralda. Staremo insieme, finalmente. Ti amo.
L’unico rimpianto che ebbe l’arcidiacono alchimista era quello di non aver trovato la pietra filosofale e di aver quindi fallito nell’impresa che il Signore gli aveva assegnato. Ma l’idea di morire cadendo dal tetto di Notre Dame, l’unica altra donna che aveva amato, metteva il suo cuore in pace.
                                                                *
Un giovane prete della cattedrale entrò negli appartamenti del deceduto arcidiacono.
Aveva dovuto raccogliere tutto il suo coraggio per varcarne la soglia, poiché aveva sentito delle storie su Claude Frollo e molti temevano che anche i suoi alloggi fossero stregati e maledetti.
Ma bisognava ripulire la stanza per la venuta del suo successore e quel compito era stato affidato a lui. Il nome del giovane era Fabien Durand, appena divenuto pastore ed affidato alle cure dei più anziani padri di Notre Dame.
Fabien entrò nella stanza. Vide subito la tavolata che l’ex arcidiacono utilizzava per i suoi esperimenti alchemici, piena di ampolle e varie polverine accuratamente selezionate.
Delle braci ardevano appena nel focolare in fondo alla camera. C’era anche un baule nero chiuso da un lucchetto ed infine la scrivania dell’alchimista, provvista di penna d’oca ed inchiostro.
Fabien si sedette sulla sedia imbottita che era appartenuta a Claude Frollo ed esaminò da lì la stanza: a parte le varie boccette contenenti chissà cosa ed alcuni libri d’alchimia sparsi per la stanza, non sembrava il luogo degli esperimenti di uno stregone.
Decise infine di frugare tra i cassetti della scrivania, ora ricoperta di un sottile strato di polvere. Nel primo vi trovò svariati fogli ammucchiati ed ingialliti, qualche strano strumento di ferro ed un rosario di perle bianche. Mentre rovistava, scoprì il doppio fondo del cassetto. Non resistette alla curiosità e guardò cosa nascondeva così gelosamente l'alchimista ormai morto.
C’era solo un libricino, un quadernetto dalla copertina in pelle color sangue. Lo sfiorò con l’indice, temendo un qualche sortilegio.
Notando però che non accadeva nulla, prese tra le mani l’oggetto e lo sfogliò. Vi trovò gli appunti dell’arcidiacono deceduto e sgranando gli occhi per la sorpresa, lasciò subito cadere a terra il manoscritto. Quel libricino conteneva un oscuro segreto, conduceva ad un oggetto maligno frutto di un patto col Diavolo. Fabien ne era certo, non poteva trattarsi d’altro. Si chiese dunque che cosa farne.
Guardò l’ultima brace del focolare spegnersi del tutto, con uno sbuffo. Avrebbe potuto bruciarlo. Così nessuno ne sarebbe venuto a conoscenza e avrebbe salvato l’anima degli sventurati peccatori che volevano ritrovare la pietra.
Fissò la copertina stropicciata, prima di decidere cosa era meglio fare. La sua curiosità gli impediva di gettare il quadernetto via, anche se si trattava di una ricerca maledetta.
Non voleva farlo, perché rinunciare all’immortalità per sempre? Per non parlare della ricchezza.
Con la pietra filosofale, avrebbe potuto finalmente far vivere la propria madre in una reggia. Lei , che era una povera contadina che aveva sacrificato tutto per il suo amato figliolo, avrebbe potuto fare una vita degna di una signora grazie a lui ed alla pietra.
Se non per lui, almeno per sua madre, avrebbe potuto utilizzare quell’oggetto malefico.
Così decise di nascondere il quadernetto nelle sue vesti, come aveva fatto Claude Frollo la notte in cui lo aveva ritrovato.
Su una cosa sola il giovane aveva avuto ragione: avrebbe salvato molte anime se avesse gettato il libro di Nicolas Flamel tra le fiamme, prime fra tutte la sua.
Ma l’avidità umana non conosce limiti. Vogliamo avere sempre di più: denaro, fama, potere e amore. Vogliamo tutto. Ma quanto siamo disposti a sacrificare per ottenerlo?
Senza sacrificio l'uomo non può ottenere nulla. Per ottenere qualcosa, è necessario dare qualcos'altro in cambio che abbia il medesimo valore.
In alchimia, è chiamato il principio dello scambio equivalente, ed è ciò che governa questa scienza. Su di esso si basa anche il manufatto per eccellenza, la pietra filosofale.
Ancora oggi, nessun uomo è riuscito a ritrovarla. Se ciò accadrà, le anime del nostro mondo saranno in terribile pericolo. Preghiamo la Vergine Maria affinché ciò non avvenga. Preghiamo Notre Dame.




Angolo autrice:
Storia scritta per una sfida su FB. La mia stessa consegna è stata assegnata a Life before his eyes.
Alcune frasi sono riprese direttamente dal libro, da Wikipedia, dal cartone della Disney o dal musical. In più, ce ne è una tratta da Full Metal Alchemist. Mi auguro che la storia sia stata di vostro gradimento e spero di non aver stravolto troppo il libro. Ho preferito seguire l'andamento del libro, per questo Frollo muore. Non me la sentivo di stravolgere tutto. Non parlo molto del prima perché mi sono voluta attenere al testo originale e ho rielaborato ciò che c'era già scritto. Ovviamente aggiungendo del mio, ma essendo una pietra miliare della letteratura, non ho voluto esagerare. Devo dire che è stata una impresa più difficile del previsto, è la prima volta che faccio una FF di questo tipo. Spero di aver fatto un buon lavoro.
A presto,
La vostra Rora-chan !

 
  
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