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Autore: _eco    01/05/2015    1 recensioni
[Fitzsimmons] [Post 2x19]
- Ho ucciso una persona. - è tutto quello che riesce a dire.
[...]
Era legittima difesa, si ripete.
Era legittima difesa, vero?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jemma Simmons, Leo Fitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ambientata nella mirabolante dimensione che si trova tra il duemilamai e le scene che non avremo nemmeno se facessimo un patto con il diavolo.
Non so, sinceramente, se Jemma si sentirà in colpa per aver ucciso Bakshi, nè quanto questo si ripercuoterà sulla maturazione di questo personaggio. Forse ha colpito più me che lei che la piccola, innocente Simmons abbia sul serio ucciso qualcuno. Era legittima difesa, però xD Ma vabbé, se dovessi parlare di ciò che penso di questo episodio farei notte.
Quindi vi lascio con questa mezza schifezza e chiedo perdono in anticipo se ho distorto i personaggi.
Fitz è molto più semplice da caratterizzare... Simmons è... aiuto AHAHAHAHAHAH
Va tutto bene.
 
-… probabilmente l’ha fatto fuori lui. – ipotizza Fitz, ruotando leggermente a destra e a sinistra sulla sedia da laboratorio.
A Simmons tutta questa situazione sembra un déjà-vu. Ecco, forse non tutta la situazione nel suo complesso, a partire dal dialogo in corso, che sembra più un monologo in realtà. Solo ventiquattrore fa Fitz era lì che giocava come un bambino con la sedia girevole, e lei era di fronte a lui, un orecchio direzionato verso Fitz e i suoi racconti – forse un po’ ingigantiti, ma cosa importa? -, l’altro rivolto al folle piano omicida che stava progettando dentro di sé.
Jemma non ricorda esattamente quando e soprattutto perché Fitz abbia tirato in ballo la storia di Bakshi.
Quando May le aveva spiegato come mantenere la calma per mentire con successo, le aveva detto che respirare profondamente e contare fino a dieci avrebbe aiutato a costruire un aspetto tranquillo e rilassato.
Aveva messo in atto questa tecnica mesi fa, quando aveva dovuto spiegare a Fitz che si trattava soltanto di poche settimane fuori dalla base, che sarebbe tornata presto, che gli avrebbe portato del tè inglese. Poi aveva chiuso la porta ed era scoppiata in un pianto silenzioso.
-… hai detto che stavi medicando Mike e che Ward stava cercando qualcosa con cui trasportarlo. – la voce di Fitz s’insinua a intermittenza nel turbinio di pensieri che le affollano la testa.
Jemma fissa distrattamente la provetta tra le sue dita. È il sangue di Kara? O di Lincoln? Perché non hanno scritto niente in quella dannata etichetta?
- Sì. – risponde vagamente lei.
Fitz quasi sussulta sul posto.
È stata brusca, forse?
Lo sta insospettendo?
Respira. Conta fino a dieci.
Simmons ostenta un sorriso, che ha tutta l’aria di essere una smorfia però.
- Sì. – ripete con voce più calma. – Quando Ward è tornato, Bakshi non era più con lui. –
Leo annuisce e per un attimo il silenzio regna sovrano fra loro. Per la prima volta dopo quella che sembra un’eternità, Jemma si culla nel silenzio.
È tutto ciò che le serve. Prega, dentro di sé, affinché Fitz non ritorni sull’argomento. Dubita di riusciri ancora una volta a guardarlo dritto negli occhi e a rifilargli una bugia.
- Hai chiesto che fine avesse fatto o…? –
- Ho già fatto rapporto a Coulson, Fitz. – lo blocca lei, sottolineando il suo nome con voce quasi stridula, come se fosse sull’orlo di una crisi isterica.
Respira profondamente e ricostruisce quel falso sorriso che ha cominciato a odiare nel momento in cui Fitz si è svegliato dal coma, e lei cercava, invano, di indorargli la pillola, di rendere un passo da gigante ogni minimo, inconsistente “progresso”.
Stai andando alla grande, Fitz!
Sorriso smagliante, forse troppo tirato.
No che non stava andando alla grande. Ma poteva forse dirgli in faccia ciò che lui stesso pensava?
Leo corruga la fronte, sentendosi offeso dal tono scorbutico di Jemma. Per la prima volta da quando hanno iniziato questa sorta di conversazione, la guarda dritto in faccia. Simmons ha gli occhi cerchiati da aloni violacei, come se non avesse dormito.
Forse il suo tono aggressivo è dovuto a questo. Fitz spera che sia solo questo.
Il ragazzo deglutisce rumorosamente, le mani intrecciate sul petto, lo sguardo che si perde distrattamente nei quadretti azzurri della camicia.
- L’ha ucciso lui. – mormora più a se stesso che a lei.
Simmons riporta su un foglio le indicazioni trascritte sulla provetta.
È davvero così stordita da non aver letto il nome scritto in chiara grafia sull’etichetta?
Forse dovrebbe contare fino a venti.
- Bakhsi era inutile, no? Insomma, eravamo già entrati, non avevamo più bisogno di lui. –
Jemma si limita ad annuire.
- Ward le persone inutili o le uccide o le butta nell’oceano, rendendole ancora più… inutili.
Quest’ultima parola s’insinua nella testa di Jemma come un punteruolo martellante, preciso. Sa benissimo che non è a lei che Fitz si riferisce, ma a se stesso.
Si sente ancora inutile?
Jemma scuote inconsapevolmente la testa.
No, risponde a se stessa. No, non si sente inutile. È l’argomento che fa emergere in superficie tutte le sue insicurezze.
- O forse le rende più simili a lui. –
All’inizio non è sicura di aver realmente dato voce a quel pensiero. Si sorprende lei stessa di sentire quelle parole sgorgare dalla propria bocca. È un’illusione. Non può averlo detto davvero.
O comunque, Fitz non può averla sentita. Non deve averla sentita.
Per un attimo, il silenzio che li avvolge delicatamente la illude che sul serio Fitz non ha captato niente. Forse lei non ha neppure parlato. Forse quel pensiero, che si ripete in testa come un mantra, si è tanto radicato in lei da sembrarle reale, dotato di consistenza, di voce.
È uguale a lui. A Ward. Ha ucciso una persona. Ha utilizzato le stesse armi che Ward ha adoperato per privare della vita altri esseri umani.
E poco importa se lo meritasse o no.
Ha provato a uccidere Ward e ha fatto disintegrare Bakshi.
È un mostro, né più né meno. Niente le provoca il voltastomaco più di questo.
Fitz ha solo bisogno di un paio di secondi per rielaborare ciò che Jemma ha detto e capire, o iniziare a capire perlomeno.
- Cosa stai dicendo? – le chiede, confuso.
Simmons si morde l’interno della guancia. Non è una tecnica che May le ha insegnato, ma, sin da quando era una bambina, l’ha sempre aiutata a mantenere la calma.
- Cos’è successo laggiù, Jemma? – insiste Fitz, avvicinandosi al bancone con un rapido movimento della sedia.
Simmons continua a fissare il foglio che ha compilato già da un pezzo. S’impone di non alzare lo sguardo. Che cosa troverebbe in Fitz? Forse un’occhiata di rimprovero, forse soltanto confusione, forse disgusto.
Sente i suoi occhi su di sé, pronti a captare ogni movimento sospetto. La sta analizzando.
Se non la smette di soffocarla con lo sguardo, probabilmente esploderà. O forse si limiterà a fuggire.
Lo fa sempre, no?
Scappa, aggira gli ostacoli. Codarda.
- Era legittima difesa, okay? – sbotta all’improvviso, le mani che sferzano l’aria.
Il respiro le muore in gola. Né pervade i suoi polmoni né fuoriesce. Si blocca lì, a metà strada, e le sembra di essere di nuovo nel fondo dell’oceano, il colletto di Fitz stretto tra le dita e le gambe che si muovono freneticamente, la testa che scoppia e una voce che urla che non sta nuotando abbastanza velocemente.
Dallo spostamento d’aria accanto a lei, intuisce che Fitz si è alzato e adesso si trova quasi di fronte a lei, alla sua stessa altezza. Quasi, visto che lei è più bassa.
Jemma non ha il coraggio di guardarlo in faccia. Probabilmente scoppierebbe a piangere o smetterebbe totalmente di respirare davanti alla sua espressione di disgusto.
Con sua grande sorpresa, Fitz si limita a chiamarla per nome, anche se non ce n’è bisogno. C’è compassione nella sua voce, e Simmons non sa se questo le piaccia o le provochi amarezza, piuttosto.
È solo un sussurro lasciato in sospeso.
Soltanto “Jemma.” E poi silenzio.
Lei deglutisce rumorosamente e, senza sapere bene da dove tanta risolutezza provenga, decide di non nascondere più niente; non a Fitz, non di nuovo.
Lo sguardo inchiodato sul bancone, così come le mani, ancorate ai bordi del tavolo di metallo, Simmons tenta di ricostruire ciò che è successo il giorno precedente. Sarebbe bello poter dire che ci riesca, ma non è così.
Non è mai stata una tipa di molte parole, non ha mai raccontato qualcosa che l’ha profondamente turbata nel dettaglio; non facilmente, perlomeno.
Vorrebbe davvero dare conto e ragione di ciò che è accaduto a Fitz. Se lo merita.
Ma non ne è capace. Non è in grado di dirgli che, dopo aver attivato la bomba-scheggia, Bakshi l’ha presa per il collo, lei lo ha spintonato e lui si è disintegrato. Non è in grado di raccontargli che Ward le ha puntato la pistola alla testa, poi al petto, ma non l’ha uccisa. Perché non l’ha uccisa? Per dimostrarle, in qualche modo, di essere migliore di lei? O perché effettivamente lo è stato, in quel preciso istante?
- Ho ucciso una persona. – è tutto quello che riesce a dire con voce tremante, lo sguardo puntato sulle sue mani, come se vi potesse essere ancora traccia del sangue di Bakshi.
Il che è buffo, visto che l’uomo si è letteralmente sgretolato. Com’è che aveva detto lei?
Puff. Uno schiocco di dita. Polvere. Niente più Bakhsi. Detta così sembra una favola dall’aspetto sinistro, un gioco quasi.
Il suo respiro si trasforma in una sequenza di sospiri che si rincorrono freneticamente, bloccandosi l’un l’altro.
La mano che fa pressione sulla sua spalla allevia il peso soffocante di ciò che Simmons ha appena ammesso.
Ho ucciso una persona.
Se lo ripete in testa, mentre gli occhi si riempiono di lacrime. Non tanto per Ward e perché ha tentato di ucciderlo. Non tanto per Bakhsi.
Jemma vuole piangere per se stessa. Non c’è spazio per la rabbia che prova per Ward, non c’è spazio per il pentimento che nutre nei confronti di Bakhsi.
La rabbia è tutta direzionata verso di sé. Il pentimento è rivolto a quella ragazzina che avrebbe a stento sfiorato una pistola con la deliberata intenzione di uccidere.
Era legittima difesa, si ripete.
Era legittima difesa, vero?
Ci sono tante cose che Fitz potrebbe dirle in questo momento. Potrebbe farle notare che uccidere una persona non ti rende migliore di quella; ma con quale coraggio, visto che lui per primo ha tentato diverse volte di ammazzare Ward?
Potrebbe dirle che lei non è nemmeno lontanamente simile a lui; ma Simmons ribatterebbe sostenendo il contrario. Potrebbe dirle che va tutto bene, ma quale bugia sarebbe più grossa di questa?
Ricorda tutte quelle volte in cui Jemma gli aveva sorriso forzatamente, fingendo che il solo fatto che sapesse reggersi in piedi fosse un prodigio. E forse lo era. Ricorda che, per quanto sapesse che non era la verità, a volte tutto ciò che gli serviva era proprio quello: un sorriso, un “va tutto bene”. Poi si ricominciava.
Alla fine Fitz non dice niente, perché neppure lui è molto bravo con le parole.
Si limita a girare delicatamente Jemma verso di sé e ad abbracciarla.
Simmons non si preoccupa nemmeno di trattenere le lacrime e di rendere meno rumorosi i singhiozzi. Piange e basta.
Fitz la stringe forte a sé, accarezzandole delicatamente la schiena.
- Va tutto bene, Jemma. – riesce a sussurrarle poi. - Va tutto bene. -



 
 
 
  
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