Storie originali > Horror
Segui la storia  |      
Autore: TheAbsoluteVoid    03/05/2015    1 recensioni
Il tempo è padrone di tutto. Non si può fermare. L'uomo è schiavo del tempo. Deve rimanere ai suoi ordini senza indugiare. L'uomo ha timore del tempo. E se la pazzia e il tempo si unissero sotto una stessa entità, cosa succederebbe? Se il tempo si instaurasse nella mente e nel subconscio dell'uomo, cosa accadrebbe?
Il tempo è un mostro. La follia è un suo mezzo di propagazione. L'uomo non può saperlo. Il tempo sta ancora testando il suo nuovo mezzo di propagazione. Il tempo è oro. Se l'uomo lo trascura, entrerà nel suo terreno di caccia.
Il tempo è... Click Clock.
Genere: Horror, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
"Il cartello diceva ..."
Erano le tre di mattina e Desmond Freud Ancora non riusciva a prendere sonno.
Si girava e rigirava nel letto per trovare una posizione comoda che potesse almeno farlo assopire, ma da qualunque parte fosse voltato non riusciva a chiudere occhio. Non c'era niente da fare e se avesse continuato a rigirarsi sicuramente sarebbe caduto dal letto.
Dopo svariati tentativi invani, si rassegnò e mettendosi supino a osservare la piccola camera in cui era, sarebbe riuscito a far passare il tempo.
Guardò il soffitto della sua stanza. Era di un bianco soffuso che dava quel senso di accoglienza e di focolare. Appeso a quella accogliente distesa bianca, c'era il lampadario. Era in vetro, con due sfere, una sovrapposta all'altra, che servivano per offuscare la troppa luce proveniente dalla lampadina. Era particolare, semplice ed elegante allo stesso tempo.
Dopodichè si girò verso il resto della stanza e la osservò. Si accorse che per lui, quell'appartamento era troppo piccolo; c'era solo l'essenziale: una scrivania di media altezza che raccoglieva una lampada da scrittoio e un computer fisso. Un armadio in legno di cedro alto più o meno quanto il soffitto era posizionato lungo il muro destro dell camera, mentre la televisione era collocata su un comò posto di fronte al letto.
Un'orologio a pendolo da parete era appeso di fianco al letto.
Desmond lo sentiva. Sentiva il tempo passare, che con il suo Click Clock rendeva l'atmosfera più tetra del dovuto. Le sue lancette continuavano a camminare, così come lo scorrere della vita. Desmond già da tempo lo aveva capito. L'essere umano era ossessionato dal tempo, da lui stesso creato. Era schiavo del tempo. Veniva intimorito dal tempo. Se anche un solo uomo avesse avuto il controllo del tempo sarebbe divenuto potente abbastanza da poter monopolizzare il mondo intero. Ma ciò non era possibile. Aveva avuto l'effeto contrario. Era lui che controllava l'uomo. E se per disgrazia quest'ultimo fosse stato troppo distratto da non prendere in considerazione il tempo, la cosiddetta "Terza Età" si sarebbe avvicinata a passo felpato. Era in quel momento che la caccia avrebbe avuto inizio, e la preda sarebbe stata il pover uomo. Dante Alighieri aveva ragione, "Vassene il tempo, e l'uom non se n'avvede".
Quei pensieri inquietavano Desmond, il quale non era riuscito ancora ad addormentarsi. Eppure la giornata precedente era stata faticosa.
La mattina passata fu un inferno. Si svegliò per le sei e tre quarti. Alzandosi dal letto, con gli occhi ancora chiusi per il sonno appena abbandonato, incastrò il piede tra le coperte per poi cadere a terra e slogarsi la caviglia. Zoppicò fino alla cucina per mangiare, dove si accontentò solo di una misera brioshe e del latte freddo.
Si lavò, dandosi una rinfrescante e rinvigorente sciacquata fredda alla faccia. Infilò una camicia beige, una giacca blu navy, dei pantaloni del medesimo colore ed infine delle inglesine. Fin qui tutto bene. Accese il computer per prendere i progetti di lavoro. O almeno tentò di accenderlo. La batteria del computer si bruciò e Desmond dovette rimandare la riunione al giorno seguente, avvisando il suo superiore e buscandosi un gigantesco rimprovero.
Allora decise di passare la mattinata per i negozi a fare un po 'di shopping. Andò prima a comprare qualcosa da magiare per la giornata che avrebbe dovuto affrontare e, già che c'era, comprò anche una giacca nuova e due camicie.
Tornò a casa all'ora di pranzo, posò le buste di vestiti sul letto e quelle con il pranzo dentro sul tavolo in cucina. Appese la giacca nell'armadio, piegò le due camicie e le ordinò nel comò. In seguito mise a bollire l'acqua per cucinare. Fece cuocere la pasta, la scolò e ci mise su un mestolo di sugo con del parmiggiano. Mangiò e si andò a stendere sul divano sul letto. Passò il pomeriggio a non far nulla di chè, ma verso le sei di sera alcuni suoi colleghi lo chiamarono per fare una partita di basket tra vecchi amici. Fu una giornata estenuante.
Erano Già le tre e mezzo. Desmond iniziò a pensare che potesse soffrire di insonnia, ma quel pensiero fu scacciato nel rammentare che la sera prima, dopo essere tornato dalla partita aveva bevuto due tazze di caffè, solo per rimanere sveglio un altro paio di ore per rivedere il progetto di lavoro per il giorno seguente. Desmond era ingegnere da circa cinque o sei anni. Esserlo era faticoso e spesso rubava molto tempo, arrivando a volte a lavorare per interi giorni senza mai fermarsi. Aveva studiato al Politecnico di Torino, dove passò i migliori anni della sua vita. Quell'università, oltre ad avergli fornito un istruzione impeccabile, fu per Desmond il centro della sua nuova vita, dove conobbe amici che lo affiancarono per tutto il periodo universitario, e che tutt'ora erano suoi colleghi di lavoro. Non scorderebbe per nulla al mondo un singolo giorno passato in quella scuola, anche i più noiosi, i più stressanti o i più tristi.
Si girò dalla parte dell'orologio e controllò l'orario. Erano le quattro di mattina.
Quell'ora era volata in un niente, ciò nonostante era ancora sveglio.
Forse perchè c'era qualcosa che lo turbava, però non sapeva cosa.
Forse era quell'orologio che col suo ticchettio perforava i timpani e si infiltrava tra i suoi pensieri, facendogli sentire il peso del tempo. O forse era quella camera le cui mura sembravano avvicinarsi sempre più, con la loro forma possente e impenetrabile, schiacciando e intrappolando Desmond.
Aveva iniziato a sudare freddo. Per cosa non lo sapeva, ma quell'ansia si stava trasformando in paura. Paura di qualcosa che non percepiva e forse non esisteva, una paura che aveva dell'ignoto e che desiderava essere provata, una paura nuova e insensata, una paura che poteva essere capite solo dopo la sua seconda venuta, o la terza, o la quarta, o forse mai. Come la paura di un bambino per il buio, questa terrorizzava Desmond, lasciandolo spiazzato poichè non era in grado di affrontarla. D'altronde come poteva farlo se non la conosceva.
Osservò l'orologio cercando di non pensare a nulla e ne controllò l'ora. Erano le cinque di mattina. Si alzò dal letto, tutto fradicio per il sudore appena versato, infilò le pantofole e mise la vestaglia. Si fece strada verso la porta cercando di non inciampare in qualcosa nel buio, strizzando gli occhi e tenendo le mani ben tese davanti a sè. Aprì la porta e attraversò il piccolo corridoio che lo separava dalla cucina. Accese la luce, prese un pentolino e mise a riscaldare una tisana.Fin da quando era un bambino, se aveva paura o si sentiva poco bene, beveva una tisana per calmarsi. Era un'abitudine che gli aveva impartito sua madre.
Con quel suo calore che scioglie anche i nervi più tesi e riscalda le gole più infiammate. Quando la beveva affondava in un piacevole bagno caldo che però agiva dall'interno del suo corpo. Era rilassante come un massaggio il quale accarezzava i suoi pensieri e scacciava le sue paure.
Prese il pentolino e versò la tisana in una tazza. Quest'ultima era del Dinner Cafè, un bar li vicino che frequentava già dai tempi dell'università. All'epoca aveva una relazione con una delle cameriere che ci lavoravano, Jennifer. La conobbe quando gli versò addoso un intero panino con hamburger, condito e con le dovute salse, sporcandolo e ungendogli i vestiti. Era sempre stata una ragazza goffa e priva di qualsivoglia neurone. A discapito di ciò, era molto bella. Aveva dei fantastici capelli biondi che le arrivavano fino alla schiena, incorniciandole perfettamente un viso paffutello e allo stesso tempo slanciato. Per non parlare degli occhi, i quali erano dello stesso colore del ghiaccio. Solo guardarli avrebbero fatto raggelare il sangue, ma sciogliere il cuore.
Dopo quell'incidente Jennifer promise a Desmond che gli avrebbe offerto una cena per potersi scusare. Quella fu la miglior serata di sempre. Andarono in una piccola pizzeria poco distante dal Dinner Cafè. Ovviamente Desmond pregò Jennifer di poter pagare lui per entrambi. Se non l'avesse fatto, il suo spirito da Gentleman ne avrebbe risentito non poco.
Da quella cena iniziarono a sentirsi quasi ogni giorno. Si piacevano, e questo era più chiaro dell'acqua cristallina e Desmond a quei tempi aveva occhi solo per lei. Ricordava ancora come fu il loro primo bacio. Erano sotto casa di lei e prima di salire Desmond la prese per un braccio e la baciò. Si amarono per molti mesi o almeno fin quando Jennifer non giocò con il cuore di Desmond come se fosse un vile pupazzo con cui passare il tempo. Lui la disprezzava, ma non era così debole da non poterla affrontare a testa alta. Infatti, per ripicca, Desmond andava almeno una volta al mese in quel bar per ordinare qualcosa. Dopotutto Jennifer ci lavorava ancora.
Ci stava pensando troppo, perciò scacciò quei rimasugli di una vecchia tristezza e bevve la tisana. Un brivido caldo gli percorse la schiena rassicurandolo e facendolo sentire meglio.
Quella paura ignota era stata scacciata ma Desmond sapeva che sarebbe tornata a tormentarlo e a terrorizzarlo solo per il gusto di farlo.
Ma la prossima volta sarebbe stato pronto, pur conscio di starsi solo ingannando.
Tornò in camera sua e si infilò sotto le coperte e guardò l'orologio.
Erano le sei e non aveva ancora chiuso occhio.
Quella mattina aveva la riunione e il progetto su cui stava lavorando era complicato. Aveva già ritardato di una giorno e Desmond non voleva prendersi un altro richiamo dal Capo Cantiere. Doveva dormire almeno un po', altrimenti durante la riunione si sarebbe accasciato come un orso in letargo sul tavolo. Non poteva permettersi di perdere un altro posto di lavoro. Già il precedente progetto era stato un disastro. Due operai stavano per rimetterci la vita per il suo egoismo. Per fortuna si salvarono, ma uno dei due fu portato in ospedale, ricoverato per un trauma cranico.
Ricorda benissimo il perchè dell'accaduto, non riusciva a rimuovere quelle scene.
Quel giorno il meteo non permetteva la continuità dei lavori, pioveva e il vento soffiava incessante contro le impalcature dell'edificio, ma Desmond sapeva che il tempo rimanente non sarebbe bastato per finire tutti i lavori. Costrinse gli operai a continuare la costruzione, dicendo loro che avrebbero perso i posti di lavoro se il palazzo non fosse stato finito entro la data prestabilita. Era stato incosciente, e più di tutto egoista. Quell'egoismo che portò Desmond a ferire, anche se indirettamente, un pover uomo che stava svolgendo il suo lavoro, d'altronde sotto ricatto.
Desmond fu in rancore con se stesso in quei giorni. Ripensò tanto a tutto il sudore e la pazienza buttata su tale progetto, ricordando anche che durante quel periodo non riusciva a dormire a suo agio e che in una notte in particolare ebbe delle crisi dovute al panico. Passava notti insonni a guardare l'orologio nella sua camera o a pensare cosa gli sarebbe successo l'indomani, e anche se il senso di stanchezza lo assaliva, riusciva a dormire al massimo un paio di ore.
Forse era un problema che riscontrava solo quando si avvicinavano avvenimenti importanti. Era sempre stato ansioso, sin da ragazzino, ma non era mai entrato nel panico a tal punto da sudare freddo come gli era appena successo. Per il momento lasciò perdere, forse si stava crucciando troppo per una semplice notte insonne. Si convinse che non sarebbe riuscito a dormire. Si alzò nuovamente dal letto, si infilò le pantofole e accese il lampadario. La luce gli perforò le pupille, stordendolo un po'. Era rimasto tutta la notte sveglio, e per la maggior parte del tempo aveva guardato nel buio assoluto, abituandocisi. Quando si riprese, si avviò verso il bagno per darsi una sciacquata. Gli avrebbe fatto bene una doccia per eliminare tutto lo stress di quella notte. Si spogliò per docciarsi, buttando tutti i vestiti appena sfilati di dosso per terra. Attraversò il bagno e passando davanti lo specchio quasi si spaventò. Aveva un aspetto terribile. I capelli erano del tutto scompigliati, trovandosi ciuffi sparati verso l'altro e chiocche che andavano a destra e a manca. Le occhiaie erano enormi e si aggiravano tra il nero e il viola, prolungandosi in lunghe borse che facevano apparire la faccia gonfia e stanca. Sicuramente avrebbe fatto invidia al più spaventoso dei film di paura. Quella doccia gli serviva assolutamente. Prese il necessario per la doccia, tra cui la spugna, il bagnoschiuma e lo shampoo. Aprì le ante in vetro della doccia, sistemò il fondo doccia in legno in modo da non scivolare ed entrò. Fece scorrere l'acqua e un brivido di gelo percorse la schiena del povero Desmond, congelandolo. L'acqua era ghiacciata. Aveva scordato di accendere lo scaldino.
Già... Un ragazzo che viveva nel XXI secolo utilizzava ancora uno scaldino. Ma per ora poteva permettersi solo quello. I soldi gli servivano e non doveva assolutamente spenderli per beni di seconda necessità come quelli. Stava mettendo da parte abbastanza soldi per comprare un nuovo appartamento. L'attuale era troppo piccolo ed era in una zona troppo lontana dal centro città, dove di solito svolgeva i suoi lavori.
Chiuse velocemente l'acqua e scese dalla doccia infilandosi l'accappatoio blu e le ciabatte da bagno. Avrebbe dovuto aspettare almeno una mezz'oretta prima che l'acqua si fosse completamente scaldata. Quella giornata era cominciata assolutamente col piede sbagliato. Decise allora di passare il tempo, nel mentre che l'acqua fosse pronta, controllando i progetti di lavoro salvati nel computer.
Uscì dal bagno e attraversò il corridoio. Quest'ultimo era pervaso dal buio, il che innescava un certo senso di angoscia in Desmond. Era come se tutta quell'oscurità potesse avvolgerlo per poi soffocarlo. Non si fidava del buio. Chi d'altronde l'avrebbe mai fatto. Toglieva la possibilità di percepire la realtà e creava illusioni, forme o figure puramente immaginarie, facendo materializzare le paure e le ansie di chi si ritrovava dentro la sua famelica morsa.
Mentre le Ombre, sue figlie, abbracciavano con delicatezza, apparendo innocue e quasi innocenti, coloro che si trovavano nel cammino impetuoso delle tenebre per poi trascinare violentemente le loro prede nel terreno di caccia della madre, il Buio.
Velocizzò il passo. Si trovava a disaggio lungo quel corridoio scuro. Dopotutto quella scena tetra era accompagnata dall'incessante Click Clock dell'orologio, il quale segnava secondo per secondo lo scorrere del tempo, martellando la testa di Desmond costringendolo a velocizzare, perchè temeva che da un momento all'altro tutte quelle tenebre lo avrebbero assalito senza lasciargli via di scampo. L'orologio in quel momento era come un timer, impostato per suonare alla fine della sua vita. Il ticchettio delle lancette si prendeva gioco di Desmond, raggirando la sua sicurezza e portandolo a pensare che quella giornata non avrebbe avuto mai fine.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: TheAbsoluteVoid