Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Rei_    03/05/2015    5 recensioni
(!) Attenzione! Questa storia parla di bullismo, saranno presenti alcune scene di violenza! (!)
Michele, 27 anni, è appena entrato in un mondo a lui ancora sconosciuto: palazzo Montecitorio.
Lui, giovane insicuro, nasconde un lato fragile causato da un passato buio che vuole dimenticare. A differenza di Nicolò, che invece non ha mai perso nella sua vita e anche nel mondo politico a breve acquisterà una crescente leadership causata dal suo forte carisma naturale.
Due persone di partiti diversi, che inevitabilmente finiranno per scontrarsi, ma se è vero che l'odio è una forma d'amore allora il loro rapporto è destinato presto a cambiare...

Spalancò le braccia nella neve e allargò le gambe. Sarebbe dovuta uscire disegnata la figura di un angelo, ma mentre Michele chiudeva lentamente gli occhi, vinto da quell'insolita stanchezza, pensò che era impossibile che uno come lui potesse essere capace anche lontanamente di assomigliarci.
Perchè gli angeli non finiscono nudi nella neve.
Non vengono chiusi negli sgabuzzini.
Gli angeli sono luminosi, e lui invece era fatto di buio.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nicolò arrivò agli studi di La7 perfettamente in orario.
La sua prima giornata da capogruppo era andata piuttosto bene. Il suo lavoro essenzialmente consisteva in carte da firmare e riunioni ed eventi ai quali era tenuto a partecipare. Ma la parte interessante consisteva nell’intervenire a nome del gruppo per tutte le dichiarazioni di voto più importanti, con tutti i rischi e le responsabilità che questo comportava.
Ormai era più di un mese che era parlamentare e aveva già partecipato a diversi talk show. Era una cosa completamente nuova per lui, ma già sentiva la sottile soddisfazione di mettere sotto con le parole gli avversari politici. E quel giorno sarebbe stato ancora più divertente, perché con lui era stato invitato Michele Martino.
Nicolò sapeva che quell'uomo poteva essere solo un raccomandato o un mafioso. Non c'era altro modo per spiegare come uno inesperto e sconosciuto come lui fosse arrivato a quel risultato. Non come lui, che invece aveva fatto campagna elettorale per altri ma era stato votato in massa ugualmente, per l’impegno che aveva dimostrato. La forza di quei voti era il più grande orgoglio della sua vita.
«Andreani? Prego».
Un signore lo fece entrare in studio e gli indicò una poltrona. Su un’altra c’era un deputato sconosciuto del Movimento del Futuro Ambientalista, mentre sulla terza c’era Martino, gli occhi inequivocabilmente sperduti e le mani tremanti.
Lo fissò, divertito. Aveva le gambe incrociate e stava fissando il telefono, classica scusa per non guardare qualcuno in faccia.
«Buonasera!» lo salutò vivacemente.
Lui quasi sobbalzò, mentre gli rispose a fatica con un cenno freddo del capo.
Nicolò trattenne una risata. Con uno così era anche troppo facile. Si sedette sulla sua poltrona, fissandolo in modo insistente, divertendosi a fargli sentire il suo sguardo addosso mentre l’altro continuava a fissare il telefono.
 
La trasmissione iniziò poco dopo affrontando il tema della riforma delle pensioni, argomento spinoso di quei giorni.
«Onorevole Martino, lei è d'accordo sull'innalzamento dell'età pensionabile previsto dalla riforma?» chiese il giornalista.
Gli occhi del raccomandato di SD si spostarono in automatico verso l’alto, come se stesse per rispondere a memoria a una domanda che conosceva bene.
«Certamente sì, è una riforma di buonsenso dal momento che l'età media si è alzata negli ultimi cinquant'anni».
Chiaro, semplice, diretto. E ingenuo.
«Giusto! Mi piacerebbe anche che l'onorevole Martino ci spiegasse anche come fa a lavorare un operaio a settant'anni dopo aver passato la vita in fabbrica. Faccia uno sforzo di immaginazione, visto che lei non ha mai lavorato un giorno in vita sua» intervenne Nicolò, cogliendo prontamente la palla al balzo.
Martino avvampò subito per la risposta improvvisa, ma per sua fortuna il giornalista lo tolse dall'imbarazzo.
«La prego onorevole Andreani, aspetti il suo turno».
Invitò il deputato di Sinistra Democratica a continuare. Martino si schiarì la voce, gli occhi marrone chiaro che guizzavano di insicurezza mal celata.
«Dicevo, è giusto che l'età pensionabile sia proporzionale all'aspettativa di vita. Nel complesso la nostra è una buona riforma di stampo progressista, sarebbe ipocrita negarlo. D'altra parte, lei non può permettersi di darmi lezioni visto che il suo lavoro è sempre stato all'interno di un consiglio di amministrazione...»
Ma come osava quello? Nicolò, colto sul vivo, sentì l’impulso scattare in piedi, ma all'ultimo riuscì a resistere alla tentazione.
«Non ti permettere!» gridò.
«Calma, uno per volta! Ci fermiamo per una pausa» il giornalista li placò prontamente, annunciando la pubblicità.
Il nuovo capogruppo del Fronte sentiva già un calore adrenalinico bruciargli fin dentro le viscere dal nervoso.
 
«Ehi, raccomandato» lo chiamò, avvicinandosi alla sua poltrona, «prova a dire ancora qualcosa su di me e giuro che ti sputtano. Non mi conosci, non sai che cos’ho fatto nella mia vita. Tu non sei nessuno».
Subito gli si avvicinò un uomo della sicurezza, chiedendogli di tornare al suo posto. Nicolò borbottò qualcosa sul fatto che stava solo discutendo civilmente, ma poi ubbidì senza obiettare. Non aveva voglia di passare nei guai per quel tipo.
Martino comunque non aveva risposto alla provocazione. Lo stava del tutto ignorando, concentrandosi su qualsiasi cosa che non fosse lui. Nicolò sorrise. Aveva centrato il suo obiettivo, intimorendolo quanto bastava per non avere problemi.
La trasmissione riprese. Questa volta il giornalista riuscì a far parlare gli ospiti uno per volta, senza tuttavia evitare che ciascuno mandasse frecciatine all'altro durante ogni intervento.
«Ma ci rendiamo conto che in questa riforma nessuno parla di abolire le pensioni d'oro? Con tutti i pensionati in difficoltà nel nostro Paese, che cos’ha da dire la sinistra?» intervenne Nicolò ad un certo punto. Il pubblico esultò ed applaudì, ma Martino restò impassibile e freddo. Non ribatté, nonostante il giornalista lo guardasse, aspettandosi che dicesse qualcosa in quanto deputato “di sinistra”.
«Prego, onorevole Martino, lei cosa ne pensa sul tema?» lo incalzò. Lui ci mise un po' prima di rispondere, con quel di fare così impostato per cui sembrava non credesse nemmeno a ciò che diceva.
«Guardi, le pensioni d'oro sono diritti acquisiti, non è possibile metterci le mani. La riforma è molto equa e le pensioni saranno proporzionate per assistere chi si trova in condizioni di svantaggio». Nicolò smise di fissarlo con odio, tramutando il suo sguardo in una maschera di totale disgusto. La trasmissione finì poco dopo, e non fece in tempo ad alzarsi che un gruppo di persone tra il pubblico scese dagli spalti per salutarlo.
«Ti ho sentito intervenire alla Camera, sei un mito!»
«Posso stringerti la mano?»
«Gliene hai dette in faccia a quello, grande!»
Dispensò strette di mano e sorrisi a tutti. Capitava che dopo un comizio le persone gli si avvicinavano e gli facevano i complimenti, ma non si aspettava che tutta quella gente di Roma lo conoscesse già, visto che era in Parlamento da così poco.
Mentre usciva dallo studio, era talmente euforico di aver stretto la mano con tante nuove persone che notò dopo la presenza di Martino nell’ingresso. Non fu in grado di trattenersi.
«Diritti acquisiti, eh? E tu saresti un esponente della sinistra? State facendo passare una riforma indecente e non dite una parola!
Dovreste vergognarvi!»
Per l'ennesima volta non gli arrivò una risposta, solo due occhi color nocciola che lo trapassavano, indifferenti. Era come se non lo sentisse neppure o come se davvero non avesse nulla da dire, nulla da difendere.
Montò sulla moto più schifato di prima. Nella sua vita non aveva mai sopportato i raccomandati, ma ancora meno le persone senza palle, e ne aveva incontrate tante. Leccavano culi a destra e a manca pur di ottenere una posizione, ma appena il capo usciva dall'ufficio, passavano il tempo a spettegolare e a farsi i cazzi loro. Persone inutili, senza un obiettivo.
La sua rabbia fu tale che sfrecciò velocissimo sulle strade vuote, prendendo tre gialli di fila senza rendersene conto. A casa scaraventò la borsa sul divanetto, tirò fuori una birra dal frigo e ne bevve metà in una botta. Il momento dopo si trovò davanti il suo amico Giorgio, in canottiera, con un'espressione più che euforica.
«Vieni qui fratello! L'hai fatto a pezzi!»
Nicolò gli batté il cinque offrendogli la bottiglia, ma rimase in silenzio.
«Che c’è?»
«Mi ha fatto incazzare quell'idiota raccomandato. Odio la gente come lui. Hai visto come ha difeso la riforma delle pensioni? Quanto era falso! C'era da vomitare!»
«Beh, ripete le cose degli altri soldatini del suo partito» commentò Giorgio, svuotando la bottiglia, «nulla di nuovo, mi sembra».
 
«Già, tutti bravi soldatini del cazzo. Neanche se li prendi da soli hanno le palle di dire come la pensano. Vado a dormire, sennò mi sale la bile».
E se ne andò nella sua stanza.
 
 
*
 
 
Aveva cercato di sistemarsi il viso come meglio poteva, ma anche con due strati di fondotinta la sua faccia appariva più sbattuta di quanto volesse far sembrare.
Era arrivato alle sette alla Camera dei deputati per non incontrare nessuno. Il piano era prendersi la colazione con calma, andare nel suo ufficio a lavorare fino alle undici e presentarsi poi alla seduta in aula cercando il posto più lontano possibile da Thomas.
Per tutta la mattina percorse i corridoi a passi svelti, attaccato alle pareti, evitando le parole e gli sguardi dei suoi colleghi. Sapeva che vi avrebbe trovato solo pena o rimprovero, e non sapeva nemmeno quale delle due cose lo intristiva di più.
Era riuscito a partire bene in quel primo mese, a guadagnarsi la stima di molti deputati, tra tutte anche quella del suo segretario. Ora tutto era andato a rotoli. Aveva dimostrato la sua incapacità, nessuno più gli avrebbe rivolto una parola di stima.
Arrivato in aula, sedette in uno dei banchi in fondo. Tirò fuori la sua agenda e cominciò a prendere appunti, cercando di impedire che il suo sguardo si posasse sui banchi di SD o su quelli del Fronte.
In pochi minuti riuscì ad isolarsi in un modo così perfetto che trasalì quando una voce lo raggiunse dal banco alla sua destra.
«Ciao».
«Ciao», rispose.
Thomas aveva la sua solita camicia sgargiante, ma conservava nello sguardo la stessa serietà del loro ultimo discorso.
 
I lenti secondi di silenzio crearono un imbarazzo tagliente. Era evidente che si era seduto lì solo per parlargli, ma sembrava incapace di farlo.
«Senti» sospirò pesantemente, «ieri non so che mi è preso, mi sono innervosito. Non pensavo che alla fine saresti andato lo stesso, se
l’avessi saputo ti avrei dato una mano. Non era mia intenzione farti sentire obbligato a partecipare, davvero. A volte non penso a quello che dico».
Si sistemò con una mano il ciuffo di capelli. Fece un lungo respiro, come se si sentisse già più libero.
«E comunque, Arturo e io pensiamo che non sei andato così male. Hai difeso la linea del partito, hai fatto il tuo dovere. Sei stato coraggioso, visto chi avevi davanti».
Michele cercò di sorridere, capendo che l’amico stava cercando di dargli conforto. Anche se, quando Andreani aveva parlato di abolire le pensioni d'oro, il suo primo istinto era stato quello di dargli ragione, perché in fondo era d’accordo con lui. Per un attimo si era chiesto perché avrebbe dovuto difendere un presunto bene superiore del suo partito al posto di dire ciò che realmente pensava.
Se fosse stato al posto di Andreani, probabilmente si sarebbe insultato da solo per quella frase sui “diritti acquisiti”. Quell’uomo aveva ragione. Era questo che, più della sconfitta e dell’umiliazione, lo faceva stare male.
Ad ogni modo, gli insulti verso di lui erano stati tutti gratuiti, tra cui quel “raccomandato” che chissà da dove gli era uscito. Gli era anche venuto a muso duro per intimorirlo, e lui da perfetto idiota non era stato in grado di rispondere per le rime. Anzi, non poteva nemmeno rispondere, perché doveva difendere la linea della maggioranza, difendere il suo partito. Così facevano tutti, così gli avevano insegnato.
 
 
Buio.
Un senso di oppressione al petto.
 
Il cortile di scuola ondeggiava sotto i suoi occhi mentre correva.
«Dove scappi?»
Correva, non sapeva nemmeno lui dove. Sapeva solo che avrebbe corso finché le gambe non lo avrebbero retto e i polmoni non si fossero svuotati dell'ultimo fiato di ossigeno. Correva sempre sapendo bene che era inutile, che non correva mai abbastanza veloce da non farsi raggiungere e farsi sbattere a terra da un calcio sul polpaccio. E quella volta era stato stupido, perché era corso troppo lontano e nessuno avrebbe visto ciò che sarebbe successo.
Nessuno lo avrebbe aiutato.
Cadde rovinosamente a terra, strisciando il gomito contro le pietre. Il sangue iniziò a colorare il terreno di rosso mentre cinque ombre lo sovrastarono.
«Fine della corsa!»
Si sentì afferrare il braccio e venne strattonato con forza da mani che purtroppo conosceva bene. Sapeva perfettamente che era inutile ribellarsi, ma cercò lo stesso di sfilare l'arto con movimenti decisi, fino a quando un pugno sullo stomaco lo fece piegare in due. Sputò della saliva mentre ansimava forte, immobilizzato.
«Occhio Michelino, ti sei sporcato!»
Qualcuno prese una manciata di terra e gliela lanciò in faccia. La sabbia gli inondò le narici mentre cercava di tossirla via. Sentì i polmoni andare in fiamme. Ogni respiro gli costava una fatica enorme, provocandogli bruciori al naso e alla bocca. Una scia umida di sangue gli scese lungo il gomito.
«Attento che se ti sporchi poi mammina ti sgrida!»
Un bambino da dietro gli abbassò il collo, con una forza improvvisa. Un altro gli afferrò il braccio, rivoltandolo dietro la schiena. Michele sentì tirare e iniziò ad agitarsi. Erano in cinque, lui uno solo. Era il più piccolo della classe, non giocava a calcio, non faceva lunghe nuotate, non riusciva a correre se non per qualche metro. Non sarebbe riuscito a difendersi con uno solo di loro, figurarsi con cinque.
«Lasciatemi! Lasciatemi, per favore!»
Non avrebbe voluto dirlo. Non avrebbe voluto arrivare a supplicarli, ma aveva paura. Il tendine del braccio gli tirava fino a fargli male e
 
non sapeva se sarebbero arrivati a romperglielo.
«Ehi, Michè, facciamo a braccio di ferro!»
«Smettila, mi fai male!» gemette tra i respiri affannosi. La vista davanti a sé traballava, tutto era annebbiato comprese le gambe che lo circondavano. Era sparito dalla sua vista anche l'edificio della scuola, unica lontana speranza di salvarsi.
Era in trappola.
Eppure avrebbe dovuto impararlo, dopo tutte quelle volte. Primo: non scappare, non uscire mai dalla visuale degli insegnanti. Secondo: non mostrare paura, non emettere alcun suono, non supplicarli in alcun modo, perché così avrebbero solo continuato. Possibile che il suo istinto doveva prevalere sempre sulla ragione, cacciandolo puntualmente nei guai?
Uno strattone più forte sul braccio lo costrinse a mordersi forte il labbro per evitare di urlare. Chiuse gli occhi. Aveva imparato che era quello il metodo più efficace per limitare il dolore. Bastava non vedere, far finta che non stava succedendo niente, far finta di essere da un'altra parte.
Adesso era sulla barca di suo zio, con la testa che bruciava piacevolmente per il sole, il vento che gli sferzava le guance, gli spruzzi d'acqua che lo bagnavano e il movimento delle onde che lo cullava...
Ma la barca stava scricchiolando. E non solo scricchiolava, ma faceva anche male, un dolore acuto e forte.
«Dai Miché, chiama la maestra».
Ci furono delle risate. Doveva essere divertente avere uno della loro età a cui potevano fare ciò che volevano, senza preoccuparsi delle conseguenze. Chiamare aiuto era un invito allettante, ma Michele non poteva. Lo sapeva, sapeva già che sarebbe stato inutile. Non lo avrebbero sentito, perché dar loro anche quella soddisfazione?
Iniziò a pensare, terrorizzato, a cosa sarebbe potuto succedere se gli avessero davvero rotto il braccio. Non sarebbe potuto tornare in aula o avrebbero chiamato a casa, e suo padre avrebbe scoperto che si era fatto picchiare di nuovo. Avrebbe dovuto prima correre in un nascondiglio, pulirsi, cercare di presentarsi a casa con una scusa credibile e sperare che nessuno in famiglia si accorgesse del suo braccio, altrimenti sarebbero stati guai. E poi come si sarebbe curato? Il respiro si affannò ancora di più e iniziò a sudare freddo, preso da un terrore puro.
«No! Per favore!»
Questa volta la paura ebbe il sopravvento sull’orgoglio. Li fissò uno ad uno, terrorizzato. Le lacrime premevano per uscire, ma era inutile. Non era così che avrebbe suscitato loro qualche tipo di pietà.
Perché? Perché tutto questo succedeva a lui?
Richiuse gli occhi. Sarebbe almeno riuscito a non urlare? Erano settimane che si era esercitato a non emettere alcun suono quando lo picchiavano, ma non erano ancora arrivati a slogargli un osso.
Avrebbe fatto abbastanza male da rompere le sue difese?
Fece un ultimo respiro atterrito prima di rendersi conto che c'era più di una mano a tirare il suo braccio. Non riuscì a stare fermo come si era imposto quando sentì che qualcosa dentro il suo corpo si muoveva contro la sua volontà. In un impeto di terrore provò a divincolarsi con tutte le forze residue, ma non riuscì a fare niente.
Le sue urla riecheggiarono nel vuoto, ma solo per pochi secondi, perché una mano intervenne prontamente per ricacciargliele in gola. Si accasciò per terra, con gli occhi sgranati, aperti in un urlo soffocato. Sentiva delle risate intorno a sé, ma non capiva se fossero reali o no. L'unica certezza impressa nei suoi occhi era che qualcosa non era più al suo posto.
Era come se avesse delle lame conficcate nella carne. Il dolore si concentrava in tanti lampi, acuti e intensi.
Era caduto dalla barca, e stava affogando. Ma per quanto si sforzasse di perdere la coscienza, i suoi occhi rimanevano ostinatamente aperti. E vedevano tutto.
 

Si svegliò in un bagno di sudore e istintivamente mosse la mano alla ricerca dell'interruttore della luce, tirandosi a sedere con molta fatica, scosso da tremiti forti. Cercò di respirare normalmente ma non era un compito facile: sentiva i polmoni compressi da un peso troppo grande, come se qualcosa lo stesse schiacciando.
“Sono nella mia camera, sono nella mia camera, è un sogno, solo un sogno…”
La mano andò a toccare il braccio destro, tornato al suo posto originario dopo tutti quegli anni. Corse in bagno, ci buttò addosso dell'acqua fredda e lo toccò ossessivamente in ogni punto.
Lo sguardo poi gli cadde sullo specchio, che rifletteva un viso terribilmente pallido.
“Era un ricordo, solo un ricordo, non è successo niente” si ripeté mentalmente più e più volte, come un mantra.
Andò in salotto con passi svelti. Si sedette sul divano, con la testa tra le mani. Gli ci vollero parecchi minuti prima di calmarsi del tutto e far scomparire il sudore, che lasciò una scia gelida lungo tutto il suo corpo. Quando fu abbastanza sicuro di averne la forza, si rialzò per prepararsi una camomilla. L'odore dolce e familiare lo calmò, ma sapeva che non sarebbe riuscito comunque a tornare a dormire. Non ce l’aveva mai fatta dopo quegli incubi.
Guardò l'orologio: erano solo le quattro di mattina. Quel giorno la seduta sarebbe stata solo pomeridiana, ma sarebbe comunque potuto andare lì presto. Poteva portarsi avanti con il lavoro, studiare carte, o fare qualsiasi cosa che gli impedisse di pensare troppo.
Si sedette su una sedia, tenendo la tazza tra le mani per riscaldarsi. Di nuovo quei sogni. Era la prima volta che gli succedeva da quando era lì a Roma. Negli ultimi anni gli era successo solo quando era tornato a Cutro, una volta laureato. Lì erano ripresi gli incubi, che per tutti gli anni in cui era stato a Palermo si erano spenti, donandogli quella magnifica illusione di aver lasciato tutto alle spalle. Non avrebbe mai pensato che gli sarebbe ricapitato lì, a Roma.
Il calore dell'acqua bollente nello stomaco lo calmò. Ritornò a letto, provando a riaddormentarsi.

 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Rei_