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Autore: Bluemiko    03/05/2015    5 recensioni
La solitudine è la pena più dolorosa che un uomo possa provare, proprio per questo la maggior parte gente non ha la forza di reagire per spezzare le catene della propria sofferenza. Spesso chi ci prova cerca solo un modo per distruggere se stesso e attirare l’attenzione. Lucy riuscirà a spezzare le sue catene imboccando però un cattiva strada che le cambierà la vita.
Sta a voi scoprire se alla fine avrà un risvolto negativo o positivo.
Fairy Tail High School. Droga. Lucy Heathphilia. Queste sono le tre parole chiave di una fic governata dall’insicurezza e dalla volubilità dei sentimenti.
Happy Ending?
One-shot allungata
Genere: Romantico, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cobra, Lucy Heartphilia, Natsu, Natsu/Lucy, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sola. Sola un’altra volta. Di nuovo sola, a pranzo. Sola. Di nuovo. Ancora. Quante volte se lo era ripetuto nell’ultimo mese? Tante. Tantissime. Troppe. Ancora una volta i suoi amici l’avevano lasciato a mangiare sul terrazzo sola come un cane.

Non era la prima volta che succedeva, e Lucy era sicura che non sarebbe stata neanche l’ultima. Dopo che si era trasferita a Magnolia, l’ultima nuova città in cui suo padre l’aveva trascinata per lavoro, aveva dovuto cambiare una volta di più il liceo. Ora frequentava la Fairy Tail high school.

Come ogni altra volta precedente non si era fatta problemi a stringere nuove amicizie, soprattutto lì, dove gli studenti erano sempre pronti ad accogliere nuovi arrivati. Ma dopo i primi mesi, la sua presenza aveva cominciato a far parte della normalità e i suoi amici avevano smesso di starle appiccicata tutto il tempo facendole ogni sorta di domanda, sembrava quasi facessero a gare a chi scopriva più cose su di lei tanto erano invadenti. Ora però tutto quel trambusto la mancava, i suoi amici avevano ripreso la loro normale routine dalla quale lei sembrava essere scomparsa: Gajeel e Levy sparivano sempre insieme, probabilmente andati ad amoreggiare da qualche parte, Juvia e Gray uscivano assieme, sicuramente andati al mare o in piscina, vista la loro fissazione, Erza e Gerard, con la scusa di avere sempre delle importantissime riunioni del consiglio studentesco di cui facevano parte, riuscivano a stare soli facendo la coppietta felice, ancora convinti che nessuno della compagnia sospettasse nulla della loro storia, Cana e Mirajane passavano tutto il tempo a loro disposizione al bar di fronte alla scuola, Mira che le serviva litri di alcol come cameriera, Cana che beveva continuamente come cliente, Natsu era l’unico che era rimasto con lei, ma poi quello stramaledettissimo giorno era arrivato Happy, un suo amico d’infanzia tornato dopo molto tempo. Happy che un gatto blu che volava e sapeva parlare e quando Lucy l’aveva visto per la prima volta era saltata per aria dallo spavento. Qual gatto era un punto di domanda vivente, la sua nascita o la sua specie erano un mistero, ma nonostante questo sembrava che in quel liceo per tutti fosse normale, che nessuno di si ponesse domande su quell’ignota creatura. Lucy aveva cominciato a conoscerlo e, sebbene fosse terribilmente irritante si era affezionata a lui. Ma un giorno il gatto aveva portato Natsu da qualche parte per rincontrare amici di vecchia data. Da allora, appena poteva Natsu si fiondava fuori dall’aula senza salutare nessuno e spariva. Solo dopo un po’ Lucy aveva collegato le due cose, ma di fatto stava che lei era trascurata.

Lucy si appese alla ringhiera del terrazzo, il suo obento, scrupolosamente preparato da lei, abbandonato sul pavimento poco distante da lei. Sospirò, neanche oggi aveva voglia di mangiare. Era da quando i suoi amici si erano allontanati da lei che questa storia andava avanti. Era sicura che ciò fosse dovuto al fatto che i ricordi della loro compagnia che pranzava insieme erano tra i più belli che amava conservare e non mangiare senza di loro poteva ancora darle l’illusione che i suoi amici non se ne fossero andati. Non le faceva bene, stava dimagrendo troppo, ultimamente aveva perso cinque chili. Sicuramente Happy le avrebbe detto che era solo una cosa buona, ma ora lui non c’era più e forse inconsciamente Lucy sperava che così che l’avrebbe notata e si sarebbe preoccupato per lei. Tutta fatica sprecata, ne era pienamente consapevole, ormai le conversazioni che aveva con il gruppo si erano ridotte al saluto mattutino e alle solite scuse che i suoi amici tiravano fuori per uscire senza di lei, le aveva sentite così tante volte che si era messa scommettere con se stessa su quale avrebbero usato la prossima volta.

Guardò sconsolatamente il parco della scuola vedendo tantissimi studenti a coppie o in gruppo pranzare allegramente all’ombra degli alberi e bearsi dell’arietta leggera che soffiava alleviando il caldo. Una fitta di gelosia la invase al pensiero che quelli potevano essere lei e la sua compagnia.

“No” si disse, domani le cose sarebbero state diverse, tutto si sarebbe messo a posto. Il giorno del suo compleanno i suoi amici si sarebbero ricordati di lei e della sua presenza, le avrebbero fatto gli auguri e avrebbero passato tutta la giornata insieme, avrebbe potuto sfruttare l’occasione per riavvicinarsi a loro. Sarebbe stato un giorno perfetto. In vista di quella previsione aveva fatto di tutto per fargli ricordare quel giorno senza dirglielo direttamente: aveva scritto del suo compleanno gigantesco sul calendario di classe, aveva volutamente fatto cadere il suo diario vicino a Levy aperto sul giorno del suo compleanno che era stato segnato in rosso anch’esso a caratteri cubitali, aveva attaccato alla bacheca un post-it con su scritto del suo compleanno e si era perfino spinta a scrivere alla lavagna <> quando c’era di turno Gajeel a fare le pulizie. Cos’altro doveva fare per sbattere in faccia ai suoi amici che domani era il suo compleanno? Nient’altro, pensò, a suo parere aveva raggiunto il suo obbiettivo. Si staccò dalla ringhiera e raccolse da terra il suo obento, rientrò nell’edificio scolastico svuotando nel primo cestino il suo pranzo cosicché nessuno si sarebbe accorto che non mangiava. Appena entrò in classe suonò la campanella. Due noiosissime ore di fisica la attendevano.

Dopo quelle che giurava essere molto di più di due ore la campanella la graziò suonando come un’ossessa, assordandola. Mentre faceva lo zaino vide i suoi amici andare via salutandola appena. Non importa, si disse, se tutto andava come avrebbe dovuto, quei dieci si sarebbero incontrati per parlare della sua festa. Uscì anche lei e si diresse verso casa. Era l’ultimo posto in cui voleva stare ora, ma non aveva scelta, suo padre era stato chiaro: oggi doveva tornare subito a casa, avrebbero dovuto ricevere degli ospiti a villa Hearthphilia e lei doveva essere perfetta come ogni singolo angolo di quella casa, tanto da essere potuta mostrare come un trofeo. Appena arrivò a casa suo padre la sgridò per il suo ritardo di, come l’aveva definiti lui, cinque lunghissimi e preziosissimi minuti, senza però considerare di avergliene fatti perdere dieci. Entrò nella sua stanza e trovò il vestito che avrebbe dovuto indossare sul letto. Si fece una doccia veloce, si mise in una piega perfetta i capelli truccandosi un pochino per nascondere alcune piccola imperfezioni della pelle indossò l’abito, tutto blu con un modesto spacco sulla gamba sinistra, le spalline off-sholder* e un generoso scollo a U, e indossò velocemente un paio di tacchi alti blu notte. Si guardò nello specchio e sorrise, era degna della sua defunta madre. Quando sentì il campanello della villa suonare capì che era il momento di muoversi scese velocemente la prima rampa di scale, rischiando più di una volta di ammazzarsi e si fermò sul pianerottolo aspettando pazientemente suo padre. Quello non la fece aspettare, lei lo sentì chiaramente pronunciare il suo nome e, con l’eleganza di una duchessa scese le scale che la separavano dagli ospiti, con uno dei suoi sorrisi più affascinanti stampato in faccia. Mentre scendeva, gli ospiti di suo padre, una coppi e un figlio di all’incirca la sua età, la guardarono folgorati dalla sua bellezza. All’ultimo gradino Lucy chiuse gli occhi, mettendo quanta più distanza fosse possibile mettere tra la vera lei e quell’automa che era diventata per suo padre.

Quando li riaprii, un sorriso accattivante nacque spontaneo sulle sue labbra.

“Bene, mia cara Lucy, questi sono il signor Roger, la moglie Misa e il figlio Kirito Roger. Perché non accompagni i nostri ospiti in una sala più accogliente, tesoro?” le disse suo padre, Lucy provò una punta di irritazione, suo padre le parlava così dolcemente solo quando avevano ospiti.

“Ma certo, padre. Signori, signora, prego, da questa parte” disse in tono affabile.

“Chiamami pure Misa” le rispose gentilmente la moglie. Lucy capì al volo che quella doveva essere la seconda se non la terza moglie di quell’uomo e, dall’occhiata che le rivolse in figlio, dedusse che non apprezzava affatto quella donna. Mentre li conduceva attraverso quell’immensa villa, Lucy guardò di sottecchi la coppia, era evidente che l’uomo l’avesse sposata per il suo corpo, dato l’età molto giovane della moglie per un marito che doveva avere più o meno venti-venticinque anni più di lei, mentre quest’ultima si era unita a lui solo per i suoi soldi. “Un classico” pensò Lucy, ma non ci badò, più di tanto, il suo obbiettivo quella sera era essere la figlia perfetta.

“Lei si interessa di politica, signor Roger?” gli chiese attendendo il ritorno del padre.

“ Oh, si, certamente.” Rispose quello, evidentemente molto felice che la ragazza glielo avesse chiesto.

“Allora mi saprebbe cosa ne pensa delle ultime disposizioni del primo ministro riguardo la politica estera che verrà adottata per i prossimi due anni?” gli chiese con noncuranza, sapendo perfettamente di aver colpito il signore che sedeva di fronte a lei, il quale non si aspettava minimamente che una ragazza della sua età si interessasse di politica.

“Oh beh, se devo essere sincero…” attaccò a parlare, Lucy ascoltò solo a metà sorridendo e annuendo nei punti giusti . Suo padre li raggiunse presto, notando con piacere come la figlia aveva intrattenuto il suo ospite.

“La cena verrà servita tra un’ora. Lucy cara, perché intanto non mosti il nostro giardino a Kirito. Sai” disse rivolto a lui “abbiamo un giardino stupendo”. Il figlio non sembrava molto entusiasta, ,ma suo padre insistette quindi non poté fare altro che seguire con un finto sorriso quella splendida ragazza. Lucy si annoiò da morire, quel ragazzo era un perfetto esempio di cosa significa vivere con un padre degenere e tanti soldi: era un snob pervertito, convinto che tutto gli fosse dovuto. Non smise neanche un istante di vantarsi di quello che aveva o di quello cosa faceva. Anche durante la cena non aveva lasciato nemmeno un secondo di pace alla povera Lucy. Quando, alla porta salutarono i coniugi e il figlio, Lucy notò con immenso sollievo che il padre sembrava soddisfatto. Doveva avere concluso il suo affare, tanto meglio, almeno non avrebbe dovuto sorbirsi le sue urla sul fatto che lei non aveva fatto il suo dovere etc etc… . appena il cancello di villa Heathphilia si richiuse, Lucy fuggì in camera sua togliendosi quei tacchi che le avevano martoriato i piedi durante quella serata infinita. In fretta e furia si liberò del vestito e si buttò di peso sul letto. Sospirò e si rialzò, dirigendosi in bagno per lavarsi. Era stanca morta, quelle visite la svuotavano sempre di tutte le energie. Si mise il pigiama e si infilò sotto le coperte. “Domani” si disse, “Domani tornerò a vivere”dopo quelle parole, con il sorriso sulle labbra, si addormentò.

Driiiiiiin

Il fastidioso rumore della sveglia le fece aprire gli occhi, come ritornò cosciente scattò in piedi non riuscendo a trattenere la gioia. Finalmente era arrivato, oggi, era il suo compleanno.

Prese un profondo respiro e cominciò a prepararsi per andare a scuola, si lavò, indossò la divisa composta da una camicia bianca, una mini-gonna e un paio di comode scarpe da tennis e prese la cartella. Per la prima volta dopo mesi scese in cucina e si fermò a fare colazione, ma appena si rese conto dell’orario scappò fuori con una fetta di pane imburrato in bocca. Afferrò la cartella e corse fuori dalla villa, in direzione della scuola, verso quello che sarebbe stato uno dei giorni più belli della sua vita.

 

 

Ah, sospirò Lucy sulla soglia della sua classe, arrivata appena in tempo.

“si accomodi al suo posto, signorina Heathphilia” la invitò la professoressa alle sue spalle. Lucy si scusò velocemente e scattò verso il suo banco, salutando i suoi amici di sfuggita.

“Bene ragazzi, ho riconsegniamo le verifiche della scorsa settimana…” Lucy aveva già smesso di ascoltare, la sua mente era concentrata su un unico fastidioso particolare che la testa non riusciva a tralasciare come se niente fosse: nessuno le aveva ancora fatto gli auguri di compleanno. “Calmati, c’è ancora tempo, non c’è fretta.” Si disse prendendo in mano la verifica che la prof le tendeva.

“Tanti complimenti signorina Hearthphilia, è la migliore delle sue verifiche, si è superata.” Lucy la guardò perplessa, non si era mi impegnata troppo per andare bene a scuola, era una ragazza intelligente e non le serviva stare tanto tempo china sui libri per prendere un voto che soddisfacesse suo padre. Rivolse il suo sguardo sulla verifica: 98/100. sgranò gli occhi, quello era un voto che si sarebbe aspettata da Erza o Gerard che, in quanto membri del consiglio studentesco, dovevano mantenere alta la considerazione che gli insegnanti avevano di loro. Probabilmente avere molto più tempo libero di quanto desiderasse l’aveva convinta a spendere un po’ più di tempo a studiare. Si guardo intorno cercando di capire come fosse andata in generale alla classe, vide tantissimi visi di ragazze sull’orlo delle lacrime e diversi ragazzi che avevano una faccia da condannati a morte o con l’aria di non desiderare altro che sbattere la testa contro il muro. Istintivamente cercò Natsu, vagando con lo sguardo per la classe. Proprio in quell’istante la porta si spalancò facendo più rumore di quello che Lucy credeva fosse possibile. “Vedo che ci degni della tua presenza, Dragneil” disse la professoressa “Muoviti a sederti al tuo banco e chiuderò un occhio per stavolta” concluse senza più degnarlo di uno sguardo ritornando a rivolgere la sua attenzione a una Erza piuttosto scossa. Natsu scattò come una lepre e raggiunse la sua sedi in un istante. Accorgendosi che Lucy lo stava fissando le rivolse un dei suoi sorrisi che le scaldavano il cuore. Lucy felice abbandono definitivamente l’idea che se ne fosse dimenticato. La lezione continuò con un ripasso generale degli ultimi argomenti visto le gravi insufficienze della maggior parte della classe fino a che non suonò la campanella.

 

 

Un soffio di vento le scompigliò i capelli, stancamente li sistemò dietro l’orecchio, senza staccare lo sguardo dal bellissimo tramonto che si mostrava in tutta la sua bellezza di fronte a lei.

Sospirò, ancora una volta ripensando alla giornata appena trascorsa. Durante gli intervalli si era trovata a consolare una Erza e un Gerard che increduli vagavano come corpi senza anima vaneggiando qualcosa su disonore e vergogna e a dover calmare un Natsu molto energico che sventolava il voto come fosse un trofeo, vantandosi con Gajeel di aver preso una “ottima sufficienza” come la chiamava lui dopo aver appena imparato il termine, anche se Lucy non capiva come riusciva a prendere la sufficienza per un punto potesse renderla ottima. All’ora di pranzo, invece, come al solito Natsu sparì dopo neanche un secondo che era cominciata la pausa, Erza e Gerard avevano, e per davvero stavolta, una riunione del consiglio studentesco, Gray e Juvia avevano gli allenamenti di nuoto, da quello che aveva capito si stavano preparando per un’importantissima gara regionale mentre Cana e Mira erano state risucchiate da quel maledetto bar. Gli unici rimasti con lei erano Gajeel e Levy, ma dopo cinque minuti che non se ne tornavano dal bagno, Lucy decise che era meglio che li lasciasse in pace. Sul terrazzo si era concessa qualche fetta di torta al cioccolato che aveva portato da condividere con gli altri, poi, presa dalla frustrazione, aveva cominciato a prendere a calci la porta del terrazzo, quando si era sfogata abbastanza aveva trovato dentro di sé una calma innaturale, come un vuoto di emozione nel suo cuore, con quello stato d’animo era scesa come in trance per le scale e rientrò in classe senza nemmeno una parola, passando così il resto dell’orario scolastico. All’uscita di scuola quando l’avevano salutata lei non aveva risposto e se ne era andata, senza una meta precisa, pronta a girare fino a che non sarebbe crollata per la stanchezza, sicura che tra poco sarebbe scoppiata.

Ed ora era lì, dove i suoi piedi l’avevano condotta, al parco comunale aperto ventiquattro ore su ventiquattro. Lentamente il sole stava calando lasciando il posto al buio ed a una luna lattea e pallida. Chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo e, stancamente aveva avviato i suoi passi verso l’uscita. Per il parco si stavano accendendo le prime luci della notte e le panchine venivano ghermite dalle coppiette di adolescenti, la maggior parte delle quali con intenzioni poco caste. Lucy rabbrividì nell’aria fredda della sera. Sorpassò il cancello e si fermò. Voleva urlare, gridare fino a lacerare le sue corde vocali, strillare così forte che nessuno, nemmeno i suoi amici, avrebbero potuto ignorare. Strinse i pugni di scatto, tanto forte da far sbiancare le nocche, doveva fare qualcosa, qualunque cosa che l’avrebbe fatta sentire viva, e più sarebbe stata sbagliata più sarebbe stata soddisfatta. Fece vagare i suoi occhi sulla città che le si apriva davanti.

“My Little Doll”, l’insegna luminosa si era accesa, insieme a tante altre nelle strade intorno a lei.

Aveva sentito parlare a scuola di quel posto, alcuni dicevano che era il paradiso dei ragazzi, altri che era un inferno, ma tutti nella sua scuola concordavano che fosse il posto più malfamato della città. Lucy sorrise, era proprio quello che cercava. Si avviò verso l’entrata con passo sicuro, uno dei due uomini cercò di fermarla, ma le , senza smettere di camminare, si girò verso di lui, le labbra distese in un sorriso sensuale e negli occhi uno sguardo di sfida che gli stava tacitamente ordinando di non fare nulla. Lucy continuò ad avanzare distogliendo lo sguardo dall’uomo e, come se niente fosse, come se tutto questo fosse normale per lei, entrò. La musica la colpì stordendola,si guardò in giro: di fronte a lei c’era un casino pazzesco. Da lato c’erano dei palchi con sette-otto ragazze in bikini che stavano ballando la lap-dance davanti a una schiera di uomini di ogni età che stavano sbavando come cani. Notò in modo particolare una di quelle ragazze, assomigliava tantissimo a Mirajane, aveva lo stesso viso e gli stessi capelli, tuttavia era palese che non fosse la sua compagna di classe. Dal lato opposto c’era un bar non troppo affollato, mentre in mezzo, nella pista da ballo si stava scatenando un bordello. Lucy, senza far troppo caso a tutti quelli che si erano girati a fissarla, andò verso il bar sedendosi su uno sgabello, poggiando i gomiti sul bancone.

“Cosa ti porto, biondina?” le chiese loquacemente il barista. Lucy pur mantenendo la sua espressione, dentro di sé ghignò, non le aveva nemmeno chiesto se era maggiorenne, lì poteva fare qualunque cosa volesse.

“Un birra, grazie.” Disse Lucy con un finto sorriso innocente. Il barista non la fece attendere troppo e le portò un bicchiere di birra. Lucy mandò giù un sorso. Il spore è tremendo. Bevve ancora. Pietoso. Di nuovo il sapore di quel liquido dorato le invase la bocca. Sospirò, aveva già finito il bicchiere, pensò con amarezza. Si girò dando le spalle al bar e la copia di Mira attirò la sua attenzione, d’altra parte un era difficile, era sul palco più grande attaccata a un palo mentre qualcuno, probabilmente un ospite speciale, le stava sciogliendo una parte del reggiseno. Lucy si girò irritata, non sapeva perchè, ma quella ragazza le dava sui nervi. Davanti a lei si ritrovò il barista di prima che stava ancora fissando la ragazza come lei stava facendo poco prima. Lucy lo ignorò e si rilassò sul bancone nascondendo la faccia tra le braccia appoggiandosi ad esso.

“È bella, non è vero?” disse. Lucy alzò la testa e si voltò verso l’uomo, chiedendosi se stesse parlando con lei.

“Parlo della ragazza con i capelli bianchi.” Ripeté di nuovo indugiando un attimo a guardare

Lucy prima di ritornare a fissare la ragazza.

“Mhpf” rispose Lucy tirandosi su dal bancone e ritornando a guardare la bianca. Il barista rise dietro di lei porgendole un altro bicchiere di birra che lei accettò con piacere.

“Si chiama Lisanna” continuò lui “e di lei si può dire una sola cosa, è un demone. In tutti i sensi, a letto ma soprattutto nel suo lavoro e nella sua vita privata.” Lucy lo squadrò di sottecchi cercando di capire se stesse parlando per esperienza personale. Lui se ne accorse e rise di nuovo divertito.

“Tranquilla la conosco solo perché lavoriamo nello stesso posto.” Lucy arrossì un po’ a quel fraintendimento e si offese.

“Non mi interessa, la cosa non mi riguarda!” disse, ma lui non se la prese e continuò.

“Sai, ho sentito che, per colpa di una relazione complicata, si diverta a fare tutta la carina la per una notte, e poi, il giorno dopo ti scarica come se fossi solo un rifiuto.” Lucy intanto aveva già finito il suo secondo bicchiere di birra e già cominciava a perdere un po’ di lucidità, non era abituata all’alcol, per questo non si accorse che, in più di uno, avevano cominciato a fissarla in modo non proprio casto. Lucy si girò verso il barista e indicò in suo bicchiere vuoto che quello prontamente tornò a riempire per la terza volta. “È una frustrata che si sfoga in modo crudele sugli altri?” chiese Lucy, sorprendendo il barista che ormai aveva perso le speranze di avviare una conversazione con lei.

“Se la metti così non sembra figo!” ribatte lui scherzando.

“Perché, in che modo sarebbe figo?” rispose Lucy, ma lui non rispose, anzi si era allontanato e stava fissando preoccupato qualcosa oltre lei. Si girò per capire cosa l’avesse turbato.

“Ehi bellezza, che ne dici se ci divertiamo un po’ solo io e te?” Un uomo tarchiato e tutt’altro che una bellezza le si era avvicinato. Lucy lo guardo scettica cercando di capire se stesse dicendo sul serio. Non si accorgeva del fascino che esercitava sugli uomini, non ci era abituata, di solito nessuno la filava sebbene fosse una bellissima ragazza, adesso invece più beveva più si lasciava andare e meno lucida rimaneva più aumenta il desiderio dei maschi nei confronti del suo corpo. Irritata da quell’uomo lo scacciò come fosse una mosca agitando stancamente una mano.

“Sparisci. “ gli disse senza farsi troppi problemi prendendo un altro sorso dal bicchiere che le era stato riempito. L’uomo non la prese bene.

“Razza di …, ma sai chi sono?” le disse rabbioso, senza però riuscire nemmeno a spaventare la ragazza che lo ignorò. Furioso stava per costringerla a considerarlo con la forza quando una mano blocco saldamente i suoi polsi.

“Ti consiglierei di tenere a posto le tue manacce, sempre che non voglia farti male” gli disse con un tono di voce freddo e distaccato che in un altro contesto sarebbe potuto essere scambiato per una richiesta cortese un ragazzo più alto di lui, capelli bruni che tendevano a un colore rosso, gli occhi due pozzi neri e profondi. Lucy, improvvisamente interessata dalla piega che aveva assunto la situazione si fermò a scrutare l’uomo che l’aveva aiutata, era bello, molto, ma la sua non era una bellezza convenzionale, tuttavia Lucy non poté fare a meno di rimanerne affascinata. L’uomo che l’aveva disturbata prese a sbraitare e cercò di colpire il nuovo arrivato, che non si scompose ma che al contrario lo respinse senza fatica. L’uomo, caduto a terra, come preso da un lampo di genio, guardò con orrore misto a paura il ragazzo che aveva attaccato, lo stesso che ora, senza che Lucy lo potesse vedere, lo stava fissando un uno sguardo assassino. Come un topolino che cerca disperatamente di scappare dal leone che gli afferrato la coda, si mise goffamente in piedi e si allontanò più velocemente che poté, travolgendo diverse persone che imprecarono contro di lui.

Lucy non si preoccupò, incredibilmente, non era la prima volta che vedeva una scena del genere, tornò piuttosto a rivolgere la sua attenzione sul ragazzo che le aveva dato una mano, che ora si era seduto di fianco a lei e aveva ordinato un drink con una nome del tutto sconosciuto al barista. Lucy si decise.

“Grazie, …” disse. “Cobra” rispose quello, “E tu, piccola biondina?” Lucy dentro di sé sorrise.

“Lucy. Comunque non ce ne era bisogno, so gestire persone come quella.” Disse orgogliosamente.

“Ah si, gattina? No, perché sai, non si direbbe proprio…” replicò Cobra ghignando. Lucy sorrise in modo provocatorio, sorprendendo il bruno, che non credeva che la bionda fosse così sicura di sé.

“Anche i gatti hanno gli artigli…” Rispose lasciando volutamente in sospeso la frase riempiendola di sottointesi.

“Mi piacerebbe vedere i tuoi, sai?” disse lui provocandola. Lucy stava per ribattere ma non ebbe la possibilità dal momento che uno strano ragazzo con lunghi capelli biondi e magnetici occhi rossi gli si avvicinò.

“Ehi Cobra, chi è quella bella biondina, perché non me la presenti, neh?” esordì il biondo poggiando una mano in modo amichevole sulla spalla di Cobra, il quale però non sembrò apprezzare.

“Idiota di un biondo, non vedo che sono impegnato, perché tutte le volte che parlo con una ragazza devi sempre venire a rompere il cazzo, eh? E leva quella mano, lo sai che lo odio. Vattene.” Esplose Cobra dando una manata al braccio del biondino che riuscì a evitare e che, come se niente fosse, riappoggiò sulla spalle dell’amico noncurante, allungando la mano a Lucy.

“Piacere io sono il biodo che frega sempre tutte le ragazze a Cobra, tu sei…?” disse ignorando completamente quello che Cobra gli aveva detto.

Lucy,sorpresa, strinse la mano sussurrando il suo nome. No riuscì a dire una parola di più che Cobra, infuriato, afferrò la spalla sinistra del biondo e lo tirò indietro, portando a scontrare le teste una di fronte all’altra afferrandolo intanto per il bavero della maglietta che portava.

“Ascoltami quando ti parlo, Zancrow! Non. Ti. Intromettere.” Disse il bruno guardano male l’amico. Zancrow non gli diede peso e mantenne il sorriso sfrontato che aveva.

“Oh, ma dai. Non vorrai tenerti la figlia di papà tutta per te, siamo amici in fondo…” replicò provocantemente Zancrow. Lucy, che fino allora aveva assistito alla scena divertita, perse all’improvviso quel sorrisetto che aveva mantenuto finora. Cobra stava per ribattere, ma Lucy lo precedette.

“Figlia di papà?” fece instillando odio in ogni lettera. Odiava esserlo e odiava ancora di più essere considerata tale, senza contare che, loro no la conoscevano, Come… facevano a sapere chi era…?

I due ragazzi si voltarono verso di lei, un po’ sorpresi, lasciando totalmente perde la loro disputa.

“Beh, sai dolcezza, per due come noi, una come te è una figlia di papà.” Spiegò Cobra cercando di calmare velocemente la acque, fallendo miseramente e al contrario, fermentando il fastidio di Lucy.

“Un come me?” ripeté velenosa.

“Una che indossa un braccialetto come quello non è certo una che vive come noi.” Continuò Cobra indicando il braccialetto che Lucy aveva al polso, mentre Zancrow guardava la scena divertito. Lucy portò istintivamente una mano al polso guardandosi intorno per vedere se qualcuno li stesse osservando ma nessuno sembrava interessatato a loro, probabilmente erano tutti ancora incantati davanti alla bianca-copia-di –Mira, pensò con immensa irritazione. Prese un’altra decisione.

“E allora sentiamo, come vivete, voi?” chiese con un falsissimo sorriso innocente Lucy.

Zancrow e Cobra si guardarono negli occhi per un istante, cercando una conferma l’uno nello sguardo dell’altro.

“Se te lo dicessimo, scapperesti come una furia, principessina.” Disse Zancrow fissandola negli occhi. Lucy si offese, lei non era affatto una principessa e nemmeno voleva esserlo. Qui due non avevano la più pallida idea di chi fosse lei né di ciò che aveva visto e provato sulla sua stessa pelle.

Non era la dolce e pura ragazzina che tutti pensavano che fosse. Non voleva esserlo, non più.

“Mettimi alla prova. Potrei stupirti.” Disse sbattendo le ciglia con fare innocente per poi assottigliare lo sguardo in modo provocatorio.

I due risero cercando di capire quanto fosse seria, poi smisero ghignando.

“Va bene, biondina, vediamo.” Disse Cobra “Noi vendiamo ciò che fa volare la rene di Babbo Natale.” Continuò lui. Zancrow scoppiò a ridere facendo un sacco di rumore lasciando Lucy interdetta.

“Oddio Cobra, ma ti senti?” disse Zancrow senza smettere di ridere. Quando si fermò per riprendere fiato Lucy rispose.

“Intendi…, droga?” disse insicura, ricordando la barzelletta idiota che le aveva raccontato una volta un suo amico. Zancrow, dopo un attimo di incredulità, riprese a ridere ancora più forte.

“Non ci credo, ha pure capito cosa intendevi…” rise lui. Anche Cobra sembrava sinceramente impressionato, ma riacquisto velocemente il suo solito ghigno.

“Esattamente, gattina. La polvere bianca.” Confermò tirando fuori dalla giacca un sacchettino il cui contenuto era palesemente illegale.

Lucy cominciò ad agitarsi, era vero, non era la prima volta che era sul punto di fare qualcosa di illegale, ma quello era un punto di non ritorno e non era sicura di volerlo oltrepassare…la sua gamba cominciò a tremare nervosa, ma Lucy la nascose in modo che gli altri non potessero vederla,

“Avanti prendila.” Disse Zancrow con un tono suadente “A meno che tu non sia una ragazzina impaurita…” continuò. Lucy la strappo di mano a Cobra talmente veloce che lui rimase per un attimo sorpreso dal fatto di non averla più in mano. Sapeva perfettamente che il biondo aveva fatto apposta leva sul suo orgoglio, ma non le importava, non importava più a nessuno. Il terrore però non era sparito, al contrario stava progressivamente crescendo, tanto che Lucy temeva che sarebbe svenuta. Cobra aprì la bocca per dire qualcosa, ma lo squillo di un cellulare lo fermò prima che potesse spiccicare anche solo una lettera. Lucy riconobbe la suoneria del suo cellulare e si affrettò a rispondere. Era suo padre. Lucy ringraziò il cielo che l’avesse chiamata. Premette il tasto di risposta e mimò uno “scusate” a i ragazzi che la fissavano. Un urlo assordante provenne dal cellulare che aveva in mano. “Luuucyyy! Dove diavolo ti sei cacciata, dannata bambina! Il coprifuoco è scaduto da DUE ORE! Salterai la cena. Se non sei qui in cinque minuti non ti farò entrare in casa fino a domani. Preparati per la tua punizione!” suo padre finì di urlare e Lucy non poté fare ameno di pensare a quanto dolcemente gli avesse parlato suo padre il giorno del suo compleanno. Un sorriso incredibilmente triste le salì spontaneo sulle labbra. “Si padre.” Disse con voce ferma e riattaccò.

Abbassò la mano che teneva saldamente il telefono e lo mise via soprappensiero.

Lucy prese un respiro profondo e si voltò verso Cobra e Zancrow, sulle labbra un sorriso tra i più tristi che i due avessero mai visto, un sorriso che rispecchiava la sua anima e che li fece zittire invece che prenderla in giro come probabilmente avrebbero fatto.

“Purtroppo devo andarmene, spero di rivedervi.” Mentì Lucy, era estremamente felice di allontanarsi da lì, ma allo stesso tempo non voleva andarsene, perché se no sarebbe stata sola con se stessa, sola con i suoi pensieri…

I ragazzi di fronte a lei non dissero una parola, ma la salutarono con un cenno della mano quando se ne andò dopo aver pagato.

Lucy uscì nell’aria fredda della notte e immediatamente portò le mani a scaldarsi la braccia colpita dal freddo. Si allontanò da quel posto dirigendosi verso la sua villa, a un paio di minuti da lì. Nel buio della notte Lucy sentì il rimorso per aver lasciato quel locale, sebbene tutti i pericoli e tutto il resto, lì non era Lucy Heathphilia e nemmeno Lu-chan, era solo una biondina come tante, una biondina senza né dolore né un vuoto nel cuore. Presa da quei sentimenti così pesanti Lucy pianse nascosta nel buio della notte.

Era quasi arrivata a casa quando un uomo emerse dall’oscurità, sicuramente ubriaco, e la fermò facendole una proposta indecente, prendendola per un braccio.

Lucy guardo verso casa sua e si portò una mano agli occhi, l’uomo che l’aveva fermata, vedendo che non lo respingeva cominciò a trascinarla. Lucy però non mosse un passo, l’uomo contraddetto si girò a guardarla perplesso.

Lucy si scoprì il volto rivelando un sguardo assassino, gli occhi sgranati e la testa leggermente piegata di lato. L’uomo si inquietò e cercò di scappare, ma Lucy glielo aveva impedito portando una mano su quella dell’uomo, gliela stritolò in una morsa di ferro. Un sorriso sadico si aprì sul suo viso, gli portò il braccio dietro la schiena torcendoglielo e facendolo urlare di dolore. Si avvicinò al suo orecchio e disse “Sei ancora sicuro di voler passare la notte con me?”

L’uomo terrorizzato strattonò il braccio e Lucy lo lasciò andare, quello senza aspettare altro corse via imprecando al suo indirizzo. Lucy non se ne curò e sospirò pensando, eccoli qui i miei artigli. Cominciò a correre più forte che poteva verso casa sua, sperando con tutta se stessa che fosse ancora in tempo.

Arrivò alla porta di casa sua e si concesse di riprendere fiato, con mano tremante afferrò la maniglia della porta e lentamente la abbassò.

   
 
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