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Autore: Soul Of Slytherin_    04/05/2015    16 recensioni
La natura ha molto in serbo per noi umani.
Uno dei regali che essa ci offre sono proprio gli animali, che come gli uomini sono icona di valori e sentimenti. A far parte della storia, ci saranno tre di queste speciali creature, quali una farfalla, un leone ed una lince.
La farfalla rappresenta appieno l’animo umano, per bellezza e fragilità. E' lei, qui, la nostra Diana, le cui ali colorate verranno purtroppo spezzate da situazione sgradevole. A condurla è stato l'inganno di Dario, il leone: predatore possente che si ciba della preda sempre per primo, facendo costantemente valere la sua autorità.
Diana, però, saprà di non essere sola: verrà sostenuta da molte persone, che arriveranno - alcune prima, altre dopo - solo per lei.
Ed infine c'è la lince, l'animale scaltro per eccellenza. Essa custodisce ciò che è oscuro agli altri animali; si muove rapida, in perfetta armonia col silenzio, e sarà difficile carpire tutti quegli antichi segreti di cui è guardiana. Questa enigmatica creatura è Zaahid, un uomo tutto da scoprire.
Questa storia è un intruglio fatto di mistero, innumerevoli ostacoli, scelte, ripensamenti ed amore.
Non sarete mai in grado di immaginare quanto possa essere difficile per Diana, amarlo.
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©
IN FASE DI REVISIONE.
Genere: Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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I


Perdersi in un bicchier d'acqua 
 
 
23 Novembre

«Sono le sette» affermò decisa, dopo aver dato un veloce sguardo al suo orologio a muro, comprato al mercatino delle pulci ad un prezzo stracciato, due settimane prima.
«Devo essere lì per le nove» continuò, seguendo un probabile filo logico nella mente.
«Dovrei iniziare a prepararmi?»

Diana non è mai stata brava coi numeri, men che meno con gli orari. Non ha mai avuto una piena considerazione del tempo, e non c'è mai stata una sola volta che non sia arrivata in ritardo ad un appuntamento (trattasi di quei rinvii tipici, che si aggirano attorno ai venti minuti).                      
Ma per quanto questo potesse dar di lei l'idea una ragazza irrispettosa (o forse maleducata, a seconda dei casi), ogni persona che la conosceva l'adorava. O forse era lei, che con tutti i suoi difetti - minimi o rilevanti che siano - sapeva farsi amare dagli altri.
Magari ciò non poteva essere propriamente riscontrato in tutti gli episodi della sua vita...
Il fatto stesso che, ai tempi delle medie, per via di uno dei suoi scatti eccessivi di rabbia, impiastrò di yogurt la maglietta del suo compagno di banco, perché "mi aveva dato della timida". O quando, molte volte, i suoi repentini sbalzi d'umore hanno portato diversi litigi con i suoi amici, allo stremo di sopportare una Diana allegra e con la voglia di divertirsi, seguita dalla Diana-sacco-di-patate insopportabilmente noiosa, nel giro di neanche una mezz'oretta.
Ma, nonostante ciò, chiunque aveva voglia di passare una serata con lei. Nessuno l'aveva mai evitata come compagnia, come si fa per esempio nei confronti dell'immancabile amico puzzolente, con il quale si fa di tutto per cercare di non frequentarlo più, purché non gli si dica la realtà, nella maniera più obiettiva possibile: «Amico, lavati» 
Con questo non si vuole assolutamente affermare che il carattere di Diana poteva essere paragonato all'insostenibilità del tanfo altrui, ma quasi. Pressoché, ci si avvicinava.

Così, decise di alzarsi da quel piccolo divano in pelle rosso che, per quanto fosse scomodo (soprattutto se si rimane appollaiati per due ore e più), era uno dei pezzi d'arredo più belli, che adornavano il suo grazioso appartamento. Diana lo chiamava suo, forse per voler manifestare un certo orgoglio, ma in realtà non lo era affatto. Ciò che le apparteneva sul serio era soltanto la maggior parte dei mobili lì presenti; per il resto si trattava di un comunissimo bilocale, in pieno centro città, tenuto in affitto.
La coperta lillà in pile le stava dando impiccio mentre cercava di alzarsi. Era piuttosto lunga, e non le permetteva di muoversi liberamente, anche perché le si era attorcigliata completamente su sé stessa: risultava quasi imballata lì dentro, ed era rigida come un salame.
A piccoli passi, ristretti, tentò di avvicinarsi al basso tavolino in legno per poter afferrare il telecomando (che per la gioia dei pigri, risulterà essere sempre, come per magia, lontano da chi ne ha un disperato bisogno di tenerlo in mano) e spegnere la televisione. Ogni movimento accompagnato da uno, due, tre sbuffi svogliati, che nel loro silenzio imprecavano una sorta di irritazione: quella sera Diana non aveva proprio voglia di uscire.
Di solito, quando la serata era particolarmente ventosa, non le andava giù di spostarsi dal suo letto, dal suo divano, o che sia. Avrebbe di gran lunga preferito starsene nel suo salotto, al caldo, guardano una delle tante serie televisive che amava; il tutto accompagnato da una tazza di latte piena di cereali. Amava fare la colazione di sera.
Rigettando con malavoglia l'idea che aveva nella sua mente - quella di lei, pronta ad accendere il gas del cucinino, sentirne il flebile suono rilassante, e riscaldare del latte che tanto avrebbe voluto gustare - si sfasciò da quel plaid e buttò, nuovamente, l'occhio sull'orario. Un quarto d'ora alle otto in punto.
Grandioso, pensò. Come se non bastasse, la sua poltroneria l'aveva portata a perder tempo, come d'altronde le succedeva sempre.

Mancava solo un'ora all'incontro con le sue amiche. L'indirizzo del locale lo aveva scritto da qualche parte, questo Diana se lo ricordava bene, l'unica cosa che non rammentava era, però, quella principale: dove aveva riposto il bigliettino? Richiamare una delle sue amiche per farsi ripetere una stupida via non le sembrava proprio il caso, e non voleva farsi ripetere uno "sbadata" per la decima volta. E dopo aver farfugliato qualcosa di incomprensibile, cercò di darsi una mossa per una nuova ed entusiasmante caccia al tesoro.
«Insomma, la casa non è molto grande...» bisbigliò fra sé, incoraggiandosi del fatto che - nel migliore dei casi - ci avrebbe messo poco per trovarlo, forse: tutto rimaneva una     probabilità.                                                                                                                  
La prima cosa che le venne in mente era, ovviamente, la sua borsa, quella che usava più spesso. Corse dritta verso lo sgabuzzino alla stessa velocità della luce e, appena recuperata, ci affondò la mano. Frugò all'interno per pochi secondi, maledicendo quale grande stilista aveva avuto l'idea geniale di creare borse con i tessuti interni in nero; ma alla fine dei giochi non trovò il tesoro richiesto in partenza, se non un pacchetto di mentine che per altro sentì quasi vuoto, all'agitarlo.  
«Dovrei comprarne un altro» si consigliò in sussurro.
Si intimò a cercare ancora, nella speranza di trovarlo. Aprì i taschini, le cerniere... ma, alla fine, nulla. Iniziò ad entrare leggermente in panico: le orecchie che cominciarono a riscaldarsi e le braccia che le prudevano non erano di certo un buon segno.
A quel punto, mille erano i pensieri che le frullavano nella testa, ed intanto sapeva che non poteva più perdere del tempo inutilmente. 
Dopo un sonoro "al diavolo" che echeggiò nell'intero salotto, fece ingresso nella sua stanza. La visione dei vestiti stesi sul letto, già scelti in precedenza, la rincuorò talmente tanto che le sue guance, da rosse, iniziarono gradualmente ad assumere sfumature più tenui. In fatto di moda, Diana era davvero pignola: conoscendosi, uno fra i pochi doveri che imponeva a se stessa era proprio quello di "preparare l'abbigliamento prima di un appuntamento, almeno due ore prima" in modo tale da essere sicura di aver scelto con cura l'abito adatto, e fare tutto il resto con la più estrema calma.                                                                                        
Per quella serata, optò per qualcosa di non troppo eccessivo, ma nemmeno troppo contenuto. Insomma, lei era Diana. Quella dai capelli lunghi color cioccolato fondente, pelle di luna stellata da miriadi di lentiggini e profondi occhi di gatto: non era di certo una da due straccetti qualunque.
Era la tipa dalla frase "l'apparenza è importante"; e ci teneva davvero molto a curarsi, a pettinarsi ripetutamente i capelli con la spazzola della nonna prima di andare dormire, ad essere elegante in ogni dove. Non faceva altro che essere sé stessa, cosa più naturale di qualsiasi altra.                     
A Diana piaceva essere sé stessa, e probabilmente questo era uno dei mille motivi per cui veniva ammirata. Lei, nel suo sfavillare eccentrico, riusciva lo stesso a far risaltare la sua semplicità e bellezza d'animo.

Quando provò quell'abito nero, si sentì magnifica. Era un vestito che finiva esattamente al principio delle ginocchia; il pizzo nella parte superiore lasciava trapelare sensualmente le braccia, fino ad arrivare al petto e al collo, avvolto da codesto con grande eleganza. Mentre era con lo sguardo immerso nel lucido specchio che le si posava d'avanti, all'attenta ricerca di un possibile filo di cotone nero fuori posto, il telefono di Diana prese a squillare.                                                   
Così concentrata nell'immagine riflessa, non s'avvide per niente di quel trillo; ma non appena quel suono rimbombò nel suo padiglione auricolare, balzò scuotendo la testa, ad un udire così repentino e altisonante.
«Chi sarà?» si domandò spontaneamente.
Senza alcun indugio, per soddisfare il suo dubbio nell'immediato, raggiunse a lunghi passi il comò, dove trovò la luminosa schermata bianca del suo cellulare sulla quale era impresso il nome di qualcuna a lei noto.
«Emma! Ti ascolto» era una sua amica, una di quelle che avrebbe incontrato di lì a poco.
«Diana, volevo solo avvisarti che non ceneremo più lì...» e anche se quel  lei l'aveva proprio dimenticato a causa del foglietto smarrito, fece almeno finta di capirci qualcosa.
«Oh - sospirò allora, con tono quasi dispiaciuto - come mai? Era... un posto davvero bello, no?» farfugliò le prime parole che le vennero in mente.
«E già - proseguì Emma in risposta - se non fosse altro che per l'odore nauseabondo di quel barista, Geremia. Lo si sente persino dall'entrata! Non lo trovi disgustoso?» una risatina, mista ad un flebile senso di ribrezzo, si sentì dalla parte opposta del telefono.
Ma a quale locale si riferiva? E chi era quel Geremia? A Diana si riscaldarono nuovamente le orecchie: la situazione stava iniziando a sfuggirle di mano, e ciò non le piaceva affatto, anche se le capitava spesso di discutere di cose che nemmeno lei sapeva.
«Come ci si può dimenticare dell'odore di Geremia? Pazzesco! Meglio non entrarci più lì dentro...» in ogni caso, provare a mentire non le era mai riuscito alla grande; tanto che, dopo aver pronunciato quella frase, si sentiva lo stomaco traballare così tanto che aveva l'impressione di essersi fatta scoprire troppo presto.                           
«Diana... - Emma la riprese - lo so, non ricordi alcun Geremia» aggiunse, attonita. Come volevasi dimostrare.
«Anche perché l'ho inventato al momento»
Al sentire ciò, Diana spalancò la bocca, incredula, e rimase sorpresa dall'ingegnosa astuzia della compagna: la conosceva così a fondo da prenderla in giro, così egregiamente! Dodici anni di amicizia erano serviti a qualcosa, allora.
«Come? Tu avevi già capito tutto dall'inizio? Sono così prevedibile?» le chiese Diana con ironia. Ridacchiarono entrambe all'unisono. Dopo poco, la conversazione prese a continuare, ed Emma fu la prima a parlare.
«Comunque, ti dicevo, ho saputo che è chiuso, per lutto...»  
«Oh - la interruppe l'amica - povero Geremia» 
Entrambe scoppiarono presto in una fragorosa risata, fino a quando i loro zigomi non risultavano dolenti.

La chiacchierata terminò poco dopo, quando Emma le comunicò la via del nuovo locale nella quale si sarebbe presto recata, a due isolati da casa sua.
Dopo un lungo periodo di "No, non posso", "Lavoro fino a tardi" e "Il capo mi sta trattenendo", finalmente potevano passare insieme una serata, perché tanta era la voglia di rivedersi vicendevolmente.

 




 
Angolo autrice

Salve a tutti, cari lettori.
Sono Soul Of Slytherin_ e questa è la mia prima storia di quest'anno (ho ripreso a scrivere soltanto adesso, dopo una lunga pausa).
Per ora, come avete ben letto, si tratta di un semplice primo capitolo-introduttivo (dove appaiono delle descrizioni generali sul modo di essere e di fare della protagonista, soprattutto), ma - nonostante ciò - vorrei comunque sapere cosa ne pensate.
Vi prego, quindi, di commentare in molti: mi farebbe tanto piacere sentire le vostre voci!
Vorrei sapere se vi piace il modo in cui scrivo, se ci sono dei passi del testo non chiari... Vorrei leggere ogni vostro consiglio e critica, positiva o negativa che sia. Tutto è costruttivo, e mi aiuterà.
Fatemi sapere 
<3
A presto (dipende solo da voi).
SOS_ 

Ps. : DISPONIBILE ANCHE SUL MIO PROFILO WATTPAD!

 
   
 
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