十四歳
«Mamma, devo proprio andare da Akira dopo l'allenamento? Perché non posso andare da Komatsu o da Tooru?»
«Kouyou, basta lamentarti. Tornerò presto a prenderti. E
poi, tu e Akira non siete migliori amici? Quindi fila a preparare il
borsone, o arriverai in ritardo.»
Il piccolo Kouyou non poté far altro che annuire e obbedire,
tenendo il capo chino in segno di sconfitta. Certo, lui e Akira erano
ottimi amici, se non – come aveva appena detto la sua cara madre
– migliori amici. Però... in quell'ultimo periodo, tutto
stava cambiando. O meglio, Akira stava cambiando – in tutti i
sensi. Sia lui che Kouyou avevano da poco compiuto i quattordici anni,
eppure c'era qualcosa che era andato storto. Akira aveva cominciato a
svilupparsi all'improvviso, da un giorno all'altro, lasciando tutti a
bocca aperta, mentre Kouyou sembrava il solito ragazzino efebico e
effeminato di sempre, con le sue labbra rosee e carnose e le sue guance
ancora tonde e morbide, con la pelle simile a quella di una pesca. Ad
Akira cominciavano a spuntare peli ovunque – sulle gambe, sotto
le ascelle e soprattutto in quella zona dove quello che lui e il suo
migliore amico chiamavano scherzosamente “cetriolino”
cominciava a diventare sempre più grande e sensibile –
mentre Kouyou rimaneva il solito bambino di sempre, con la pelle liscia
e delicata.
Si recò in camera sbuffando sonoramente, preparando il borsone
per andare all'allenamento di calcio. Gli vennero i brividi al solo
pensiero di dover far la doccia in compagnia degli altri compagni di
squadra. Se non altro, a differenza dei compagni di classe, i vari
membri della squadra erano parecchio uniti e non se la prendevano con
Kouyou per il suo aspetto non proprio mascolino e virile. Anzi, a dire
il vero, gli avevano anche affibbiato un soprannome affettuoso e
scherzoso che piacque subito a tutti, nonché al diretto
interessato stesso: “principessa”. Ecco, Kouyou era la
principessa della squadra. Gli mancavano solamente un paio di scarpette
con tacchetti di cristallo, poi sarebbe stato perfetto. Per fortuna che
Akira, che non poteva che essere capitano della squadra, arrivava
sempre a difenderlo quando qualche avversario si metteva a commentare
il suo aspetto o a prenderlo in giro. A Kouyou sarebbe tanto piaciuto
potersi difendere da solo, ma chissà perché, allo stesso
tempo, desiderava anche che fosse Akira a proteggerlo da ogni male e
guaio.
Kouyou voleva un bene dell'anima ad Akira, nonostante lo invidiasse
parecchio. Perché Akira era il suo unico vero amico, l'unica
vera persona su cui potesse contare. Lo invidiava per il suo carattere
estroverso e testardo, per il suo atteggiamento determinato e ambizioso
e, soprattutto, per quel bel corpo che poco alla volta sembrava
sbocciare nel suo splendore, rivelandosi poco alla volta. Anche Kouyou
voleva la sua voce roca e profonda che stava cambiando, anche lui
voleva il suo mento che cominciava a squadrarsi, le sue mani grandi, il
pomo d'Adamo che cominciava a pronunciarsi e quella peluria scura che
gli era spuntata in posti improbabili.
Mentre preparava il borsone mettendo tutto in ordine, Kouyou si
sentì avvampare a causa di quei pensieri. La crescita gli stava
giocando dei brutti scherzi – era forse a quello che servivano i
tanto famigerati “ormoni della crescita”, a fargli pensare
cose sulle quali forse era meglio non soffermarsi? Sorrise timidamente
fra sé e sé, aggiungendo a tutto il necessario che aveva
messo in quella grande borsa anche un paio in più di mutande che
molto probabilmente avrebbe indossato sotto la doccia, per non farsi
vedere da nessuno completamente nudo. Era già da un po' che
cercava di superare quel suo grande imbarazzo – dopotutto erano
tutti uomini, che problema c'era nel farsi vedere nudo dagli altri
compagni di squadra? – ma ora che gli altri si stavano
sviluppando mentre lui ancora rimaneva indietro, aveva una ragione in
più per non mostrarsi come mamma l'aveva fatto. Borbottando
qualcosa fra sé e sé e maledicendo Akira con tutta la
dolcezza e l'affetto che provava nei suoi confronti, chiuse il borsone
e se lo mise in spalla, pronto ad andare all'allenamento.
Andò in salotto dove sua madre lo aspettava insieme alle
sorelle. «Allora, Kou, possiamo andare?» domandò lei
in tutta calma, dandogli poi un sacchettino di carta con dentro una
bottiglietta d'acqua fresca e un panino imbottito. «La merenda...
e vedi di mangiare, altrimenti non cresci più!»
scherzò lei dolcemente, scompigliandogli appena i capelli
sottili e sbarazzini.
Lui annuì, convinto che quel panino lo aiutasse veramente a
crescere. Chissà, magari dopo un morso gli sarebbero spuntati i
peli su una gamba, un altro morso e peli anche sull'altra gamba, un
altro ancora e peli sotto le ascelle e, una volta finito, ecco che gli
sarebbero cresciuti i peli anche fra le gambe. Magari con un secondo
panino gli sarebbe cresciuto anche il cetriolino e il pomo d'Adamo. Fu
quasi tentato dal chiedere a sua madre di fargli un altro panino, ma
era già ora di andare.
Mise il borsone nel baule della macchina e, rimanendo dietro insieme
alla sorella mentre quella maggiore era davanti con sua madre, si
limitò ad osservare distrattamente il paesaggio che si stagliava
al di fuori del finestrino, senza soffermarsi sui dettagli.
Non ci misero molto ad arrivare al campetto. Scendendo dall'auto per
aprire il baule e prendere il borsone, prima di andare negli
spogliatoi, Kouyou diede un bacio a sua mamma dal finestrino.
«Non verrò a prenderti tardi, va bene? Promettimi di fare
il bravo... e salutami tanto la mamma, la nonna e la sorella di Akira,
ok?» raccomandò lei al figlio, carezzandogli gentilmente
una guancia. «A presto, piccolino.» lo salutò
infine, dandogli ancora un bacio prima di allontanarsi.
Voltandosi verso il cancello d'ingresso del campetto, Kouyou
riuscì a vedere l'allenatore salutarlo con un cenno della mano.
«Takashima, pronto per l'allenamento di oggi?» gli
domandò, battendogli il cinque non appena lo vide passargli di
fianco.
Il piccoletto annuì timidamente, arrossendo un poco
dall'imbarazzo. «Ce la metterò tutta!»
esclamò, ritrovando parte della grinta racchiusa dentro di
sé.
«Sì, principessina! Così ti voglio –
aggressivo!» disse il coach fiero di quel ragazzino, dandogli
qualche pacca sulle spalle per farlo andare negli spogliatoi a
cambiarsi.
Quando Kouyou entrò nello spogliatoio, ad un tratto, tutta la
determinazione che gli parve d'aver accumulato andò bellamente a
farsi un giro. Gli bastò vedere di sfuggita il torso nudo di
Akira nell'atto di infilarsi la maglia per sentirsi il cuore salire in
gola, rendendogli difficile anche solo respirare.
«Kou! Perché sei così silenzioso?»
domandò squillante Komatsu, saltandogli letteralmente addosso
mentre lo trascinava su una panchina, facendogli mettere il borsone in
terra. «Lo sai che oggi nell'altro campetto si alleneranno le
ragazze della squadra di lacrosse? Non sei emozionato?»
ghignò maliziosamente il ragazzino, attirando l'attenzione negli
altri compagni di squadra.
«Il capitano della squadra di lacrosse si più riconoscere
subito – ha due tette che sembrano meloni!» esclamò
Akito, il portiere, mettendosi entrambe le mani sotto la maglia ad
imitare con un gesto esagerato le misure della ragazza in questione.
Tutti scoppiarono a ridere, Akira compreso. Kouyou diventò
gelatina nel sentire quella voce in continuo cambiamento abbandonarsi
ad una risata ancora infantile e innocente. Per di più, il
sorriso di Akira era perfetto: i suoi denti erano tutti perfettamente
allineati, bianchi come la porcellana, senza la minima imperfezione.
Abbassando lo sguardo, Kouyou si sentì morire d'invidia nel
vedere la sua peluria piuttosto scura ma ancora un po' rada spuntare
dall'elastico dei calzettoni di spugna. Dovette ricorrere a tutto
l'autocontrollo necessario per distogliere gli occhi da quelle gambe
perfette e mascoline.
In fretta, sperando di non esser visto dagli altri, si mise la divisa
dell'allenamento, legandosi i calzoncini e alzandosi le calze fino al
ginocchio, controllando se per caso nel frattempo gli fosse spuntato
qualche pelo, sospirando rassegnato quando s'accorse che non fu
così. Quando si alzò dalla panchina portando con
sé la bottiglietta d'acqua, notò d'esser rimasto solo con
Akira nello spogliatoio. Il suo cuore perse un battito, per poi
cominciare a palpitare sempre più velocemente, fino quasi a
fargli male.
«Pronto?» gli domandò il capitano Suzuki,
avvicinandosi a lui per dargli una pacca sulla spalla. «Sicuro di
star bene ultimamente? Mi sembri sempre perso nel tuo mondo...»
proseguì, sentendosi leggermente preoccupato nei confronti del
suo miglior amico d'infanzia.
Kouyou annuì, facendosi coraggio e pattando a sua volta la
spalla di Akira, sorridendogli docilmente. In fin dei conti cosa era
cambiato fra di loro? Nulla. Era solo colpa sua se si faceva tutti quei
problemi oltretutto inesistenti. Andava tutto bene. Doveva solamente
cercare di autoconvincersene. «Tutto bene, davvero...»
cercò di rassicurarlo, passandogli una mano fra i capelli senza
pensarci troppo, scoprendogli la fronte pallida. «Perché
hai deciso di aspettarmi? Gli altri avranno già sicuramente
iniziato senza di noi, sono il solito ritardatario...»
mormorò abbattuto, sentendosi in colpa al solo pensiero di far
arrivare in ritardo anche Akira che non c'entrava niente.
«Un capitano deve sempre assicurarsi che tutti stiano bene e deve
sempre aspettare gli ultimi.» spiegò quest'ultimo con tono
alquanto altisonante, gonfiando il petto con fare teatrale, imitando a
modo suo l'allenatore. Dopodiché, carezzò l'amico sulla
testa, abbassando lo sguardo per incrociare i suoi occhi trasognanti e
scuri. «Sono diventato ancora più alto! Ma qualcosa mi
dice che tra non molto mi supererai ancora...» sospirò
sconsolato, cominciando ad uscire dallo spogliatoio insieme a Kouyou.
«Dici...?» pigolò il più piccolo fra i due,
non riuscendo a trovare tutta 'sta gran differenza d'altezza rispetto
ad Akira. «Comunque... spero non ti dispiaccia se oggi sono da
te...» mugolò con un certo impaccio, cercando in tutti i
modi di non incrociare lo sguardo dell'amico. Si sentiva così
insignificante al suo fianco... sperava tanto che quella brutta
sensazione se ne andasse presto, altrimenti sarebbe certamente
impazzito. Chissà come aveva fatto ad incasinarsi tanto la vita
– per una spruzzata di peli poi! Questione di tempo e sarebbero
cresciuti anche a lui, l'unica cosa era che gli pesava dover sempre
essere ultimo in tutto. Forse a c'era una spiegazione logica a tutta
quell'insensata sofferenza – in ogni caso, non ne voleva sapere.
Doveva solo ritrovare la pace interiore e tornare ad essere il Kouyou
Takashima di sempre, miglior amico di Akira Suzuki, principessina della
squadra B dell'under 15.
«Dispiacermi? E perché mai? Mi è mai dispiaciuto
una volta che tu fossi lì da me?» gli chiese
scherzosamente il capitano, punzecchiandogli giocosamente un fianco
mentre vedeva gli altri già intenti a fare i soliti giri di
corsa del campo. Fece un cenno di saluto all'allenatore e, notando il
suo buonumore, si sentì sollevato al pensiero di doversi
risparmiare i giri di punizione. «Anzi, vuoi sapere una cosa? Mia
mamma ha preparato il budino al riso con la salsa di mirtilli... so che
ti piace tanto.» ghignò, facendogli solletico ai fianchi,
vedendolo contorcersi tutto fra le proprie braccia, fino a ritrovarsi
con la sua schiena poggiata contro il petto.
Kouyou, ridendo come un matto per il solletico, non riuscì a
trattenere un gemito sorpreso quando si sentì abbracciare dalle
braccia di Akira, diventando rosso come un gamberetto cotto.
«Solo per sopportarti me ne servirebbe una doppia
porzione...» scherzò, sfilandosi delicatamente dalla sua
presa per poi entrare in campo, mettendo la bottiglietta d'acqua in
panchina vicina all'asciugamano per tergersi il sudore a fine
allenamento.
«Tutta quella che vuoi, Kou... ne ha fatta una vaschetta
immensa!» lo informò Akira, cominciando insieme a lui a
fare il riscaldamento.
Infine, come preannunciato da Komatsu, arrivarono anche le ragazze
della squadra under 17 di lacrosse. Durante l'allenamento, mentre gli
altri ragazzi erano impegnati ad osservare le creature del gentil sesso
che si impegnavano duramente, gli unici a metterci tutte le forze e la
buona volontà in ciò che facevano sembravano essere
proprio Kouyou e Akira; uno perché voleva sempre superarsi, non
volendosi dare per vinto proprio davanti al suo più grande amico
e rivale, l'altro perché doveva dare il buon esempio da bravo
capitano qual'era.
Inutile dire che quei pigroni che si divertivano tanto a sbavare dietro
alle ragazze più grandi furono ripresi più volte, finendo
col guadagnarsi anche qualche giro di punizione. Non che ne fossero
tanto dispiaciuti, in fin dei conti valeva la pena farsi qualche giro
di corsa in più per poter ammirare quelle natiche sode e quei
seni ancora un po' acerbi che ballonzolavano sotto le maglie delle loro
divise piuttosto larghe.
Alla fine, comunque, furono tutti convocati per la partita che si
sarebbe tenuta nel fine-settimana in quello stesso campetto. Kouyou era
al settimo cielo: nonostante alla fine venissero sempre convocati
tutti, per lui era sempre un onore poter giocare in quella squadra.
Insomma, non si riteneva certo il giocatore più bravo e abile di
tutti, però era piuttosto veloce e sapeva fare qualche
trucchetto coi piedi per confondere l'avversario. Ora che ci pensava,
forse era proprio per quel motivo che lo facevano giocare volentieri,
seppur non tentasse mai una volta a lanciare in porta. Un bel sorriso
s'allargò sul suo volto. Era contento d'esser riuscito da solo a
trovare una sua caratteristica forte. Chissà se anche Akira lo
sapeva... forse sì. Ne era quasi certo.
«Bene, femminucce! Ora andate a farvi una bella doccia che siete
tutti sporchi e sudati come animali. Ci vediamo dopodomani alla
partita!» li salutò il coach, vedendoli schizzare negli
spogliatoi mentre riordinava le ultime cose prima di lasciare il campo
ai ragazzoni dell'under 21.
«Hey... ogni tanto non viene neanche a voi voglia di... come dire – di riempire di pisello una ragazza?»
«Eeeh? Ma cosa stai dicendo! Si dice fare sesso, non riempire di pisello!»
«Ma alla fine è sempre la stessa cosa no? L'ho detto in
modo volutamente volgare per attirare la vostra attenzione,
pervertiti.»
«Oh, ma sentite chi parla! Hai mai avuto esperienze del genere?»
«Non ancora, ma dammi il tempo di trovare la ragazza giusta e ti
racconterò tutto! Però sono pronto a scommettere che il
nostro Suzuki Akira ha qualcosa da nasconderci...»
«Cosa? Io? E cosa dovrei nascondervi? Ho solo quattordici anni, cosa credete?»
Kouyou, stretto stretto sotto la solita doccia posta nell'angolino
più remoto del bagno, se ne stava col volto rivolto al muro,
dando la schiena ai compagni. “Certo che hai solo quattordici
anni, Akira – guai a te se mi nascondi qualcosa!”
pensò fra sé e sé, sentendoglisi i capelli rizzare
in testa dal tanto sangue gli era andato alla testa ascoltando quelle
parole. “Oh, ma cosa mi preoccupo a fare di lui? Sono così
ridicolo... come minimo passerà intere giornate a toccarsi sul
capitano della squadra di lacrosse mentre io sono qua a rodermi il
fegato per lui. Per cosa poi? Per niente!” si maledisse
nuovamente, cercando di mantenere la calma.
Ad un tratto, sentì qualcuno sgattaiolargli alle spalle. Non
fece neanche in tempo a girarsi che si trovò con le mutande
abbassate e il sedere al vento, in bella mostra per i compagni.
«Ngh!» mugolò, cercando in fretta di rimettersi a
posto le mutande madide, almeno per coprirsi l'intimità.
«E dai, Takashima! Siamo tutti ragazzi, di cosa ti vergogni? Sei
forse tu quello che ha qualcosa da nasconderci...?» ghignò
Komatsu, punzecchiandolo alle spalle mentre Tooru e Akira lo ripresero
a tono.
«Lascialo stare, sai che è timido.» ringhiò
Akira, dando una pacca sulla nuca al compagno piuttosto vivace e
curioso. «E comunque, posso assicurarti che non ha niente da
nascondere. È come tutti noi. Anzi, il suo cetriolino è
proprio bello.»
A quel punto, le gambe di Kouyou diventarono budino. Anzi, lui stesso
diventò budino. Il buon budino al riso di mamma Suzuki con tanto
di sciroppo di mirtillo a colorargli il volto ormai al culmine
dell'imbarazzo.
«Ah, un cetriolino... come quelli sottaceto?» rise Komatsu,
lasciando poi cadere il discorso. «Scusami, Kou. Non volevo
offenderti. Non sei arrabbiato con me, vero?» mormorò poi
timidamente, sapendo d'aver fatto uno sbaglio.
Quella era la cosa che a Kouyou più piaceva del carattere di
Komatsu: seppur fosse impulsivo e tendesse spesso a sbagliare, alla
fine ammetteva sempre i suoi errori, a costo di mettersi in ridicolo
davanti agli altri. Gliene doveva essere davvero grado, altrimenti
chissà dove sarebbe andata a sfociare quella discussione circa
cetrioli e affini. «Non preoccuparti, Komachan...» sorrise
Kouyou, voltandosi infine verso gli altri, cercando in tutti i modi di
non far cadere lo sguardo fra le gambe di Akira. Era un uomo, non una
femminuccia!
Alla fine, prendendo quella che gli sembrò la decisione
più drastica di tutta la sua breve vita fino a quel punto, si
tolse di punto in bianco le mutande, rimanendo col famoso cetriolino al
vento. Si sentì gli occhi di tutti addosso, manco avesse fra le
gambe una delle cose più rare di quel mondo.
«Non me lo ricordavo così... rosa!» esclamò Komatsu, meravigliato davanti a quella visione.
Anche Tooru, Akito e tutti gli altri rimasero sorpresi. «Non ha
neanche un pelo...» «È così proporzionato e
carino...» «Anche io voglio un cetriolino da principessa
come quello di Kouyou, non questo fungo cardoncello tutto storto.»
Infine, tutti i ragazzi uscirono dalla doccia, andando a cambiarsi
mentre parlavano di misure e forme, come al solito. Come sempre, gli
ultimi erano ancora Akira e Kouyou. Quest'ultimo tornò a
voltarsi col viso rivolto al muro, troppo timido per vedere e farsi
vedere dall'amico. Cercò per quanto possibile di non sembrare un
pervertito, ma ogni volta che chiudeva gli occhi non riusciva a vedere
altro che la scura peluria disordinata che copriva l'inguine magro di
Akira.
«Kou...?»
«Mh?»
«Non ti manca molto, vero?»
«No, non preoccuparti... se vuoi comincia pure a cambiarti, arrivo subito.»
«Figurati, ti aspetto volentieri. Non voglio rischiare che qualcuno rapisca la mia principessina e il suo prezioso cetriolino rosa.»
“La mia principessina.”
La sua principessina.
La principessina di Suzuki Akira.
Kouyou, la principessina di Suzuki Akira.
– Doppia porzione di budino al riso con salsa di mirtillo in arrivo al tavolo Suzuki! –
«La tua principessina. Da quando sono diventato di tua proprietà, Suzuki?»
cercò di ribattere il piccoletto, non riuscendo a nascondere il
tremolio esitante della sua voce infantile, in perfetto contrasto con
la risata profonda e mascolina dell'amico.
Akira, in punta di piedi, s'avvicinò a Kouyou da dietro,
afferrandolo gentilmente verso i fianchi e tirandolo verso di
sé, chiudendo il suo corpicino in un abbraccio. «La mia
principessina calda, profumata e pulita!» esclamò
scherzando, facendogli poi scorrere le mani sul petto, come se stesse
cercando qualcosa di importante. «Oh, ma dove sono le tette della
mia principessa?» disse a voce alta, con fare teatrale, attirando
anche l'attenzione degli altri compagni di squadra che, dando
un'occhiata dentro la stanza delle docce mentre tra di loro mormoravano
“Oh, guardate! Suzuki e Takashima che si abbracciano – che
sporcaccioni!”, assistettero alla scena con fare divertito.
Le mani di Akira erano grandi e calde, Kouyou si sentì
letteralmente sciogliere sotto i suoi tocchi gentili e maliziosi, ma
non volti a qualcosa di losco o cattivo. Quando poi giunsero fra le
proprie gambe, carezzandogli l'intimità, non riuscì a
trattenere un gemito imbarazzatissimo, sentendo dei brividi corrergli
lungo la spina dorsale per poi riunirsi in quello stesso punto.
«A-Aki, basta...!» lo implorò, sentendosi già
ridicolo abbastanza.
«Ecco dove sono finite le tettine della mia
principessina...» mormorò l'altro al suo orecchio,
soppesandogli i testicoli mentre con le labbra gli baciava una tempia.
Takashima Kouyou, 14 anni. Meglio conosciuto come “il bambino
più felice sulla faccia della Terra” nonché
“principessina del principe Suzuki Akira, erede al trono nel
regno del budino di riso”.
Alla
fine Kouyou ottenne la sua ricompensa. Era già alla seconda
scodellina di budino di riso con una colata abbondante di sciroppo di
mirtillo quando Akira, saltando in piedi dalla sedia della cucina, si
mise ad armeggiare col cuoci-riso elettrico. «Kou, sai per caso
come funziona 'sto coso?» gli domandò, sbuffando
sonoramente.
Siccome la mamma di Akira era dovuta andare all'ospedale con la nonna e
la sorella era agli allenamenti di pallavolo, i due erano rimasti
momentaneamente in casa da solo. Non che la cosa gli dispiacesse
più di tanto, ma Kouyou si sentiva piuttosto in soggezione a
rimanere in casa da solo con l'amico. Insomma, non che avesse qualcosa
in particolare di cui preoccuparsi, però si sentiva in qualche
modo schiacciato e dipendente dalla sua presenza.
Finendo il budino e ripulendo la ciotola dallo sciroppo di mirtillo,
Kouyou si alzò e andò a vedere come funzionava quel
cuoci-riso. Fortunatamente era uguale identico a quello che aveva a
casa. «Sì che lo so usare... vuoi il riso bianco al
vapore?» domandò, vedendosi materializzare come per magia
un pacco di riso davanti agli occhi. «Va bene... quanto ne
vuoi?» chiese ancora, aspettandosi stavolta una risposta.
«Tre scodelle. Abbondanti.»
«Eeeh? Non è troppo?»
«Nah... sto morendo di fame, sta sicuro che lo mangerò tutto.»
«Va bene... qualche minuto ed è pronto.»
Se non altro, Akira era un principe di parola: finì le tre
ciotole colme di riso fino all'ultimo chicco, accompagnandole con la
salsa curry avanzata la sera prima. Kouyou lo guardò stupefatto
ogni volta che si riempiva ancora la scodella, chiedendosi dove
mettesse tutta quella roba senza farsi esplodere lo stomaco. Forse era
dovuto al fatto che stava crescendo e aveva bisogno di più
energie e di più cibo per svilupparsi meglio, o forse aveva
semplicemente dato troppo all'allenamento. Kouyou dovette riconoscere
che si era veramente impegnato tanto – il suo viso sporco di
sudore e di polvere gli balzò subito in mente, facendolo
arrossire timidamente mentre teneva il capo chino a fissare il fondo
della ciotola ancora lievemente macchiata dalla salsa di mirtilli.
Avrebbe mangiato ancora volentieri una porzione di quel dolce squisito,
ma si sentiva già scoppiare dal tanto ne aveva mangiato –
per non parlare dell'enorme panino che sua madre le aveva preparato e
che aveva mangiato nel tragitto per andare a casa di Akira, dividendolo
anche con lui.
Fu riportato alla realtà solamente da un sospiro soddisfatto
proveniente dall'amico. «Adesso sì che sono pieno... mi
viene quasi sonno.» mormorò il più grande dei due
– anche se di poco –, massaggiandosi il ventre con fare
contento e pago.
«Non so quanto ti convenga stenderti adesso... hai mangiato
tanto.» mormorò Kouyou, cercando qualcosa da fare per
permettere ad Akira di non addormentarsi subito, volendo almeno dargli
il tempo di mandar giù ciò che aveva appena finito di
mangiare. «Non dovremmo lavare queste cose...?» disse,
indicando tutto ciò che in quell'istante si trovava sul tavolo.
Akira scosse la testa, limitandosi solamente a mettere tutto nel
lavandino. «Ci penserà mia mamma quando tornerà...
voglio andare a stendermi un po'... vieni con me?»
domandò, uscendo dalla cucina mentre Kouyou lo seguiva.
«Stai andando in camera a dormire?» chiese il piccoletto, grattandosi la nuca.
L'amico annuì, abbandonandosi ad un lungo sbadiglio contagioso.
Kouyou dovette pizzicarsi una coscia per non sbadigliare a sua volta.
«Posso venire a fare un riposino con te?» disse con un filo
di voce, facendosi piccolo piccolo mentre iniziava a sentire tutta la
stanchezza post-allenamento appesantigli le gambe e la testa.
«E me lo chiedi pure? Certo che puoi.» rise lui,
afferrandolo per il polso e trascinandolo letteralmente nella propria
camera situata al piano superiore insieme con la camera di sua sorella,
un piccolo studio e un bagno che non utilizzavano quasi mai.
«Però non aspettarti che ti lasci tutto il letto,
principessina.» ghignò, facendolo infine entrare nella
propria camera un po' disordinata, ma comunque accogliente.
Kouyou perse qualche battito nel sentirsi chiamare ancora in quel
mondo. Pensava fosse solo uno scherzo, ma a quanto pare Akira doveva
averlo preso sul serio. Lo vide accomodarsi per primo sul letto,
sdraiandosi supino. Lentamente, andò a sedersi sul bordo del
letto, non prima d'essersi chiuso accuratamente la porta alle spalle.
Ed eccolo immerso nella tranquillità e nella pace della
cameretta del suo principe. Insomma, non aveva un aria molto regale, ma
se non altro ci si stava bene. Tastò innocuamente il materasso,
trovandolo incredibilmente soffice. «Hai un letto
comodo...» pigolò flebilmente, tenendo lo sguardo basso
mentre gli dava la schiena, non sapendo che fare.
Così, Akira si vide costretto ad afferrare l'amico per i
fianchi, trascinandolo verso di sé e facendolo sdraiare accanto
a sé. «Come se fosse la prima volta che ti sdrai nel mio
letto...» ridacchiò spensieratamente, stringendoselo fra
le braccia.
Kouyou andò in brodo di giuggiole – non riusciva a
ragionare lucidamente con Akira così vicino. Inspirò
profondamente ed espirò lentamente dalla bocca, tenendo gli
occhi chiusi. Sarebbe andato tutto bene... erano i soliti amici di
sempre, non era la prima volta che dormivano insieme. Anche se...
«Beh, in realtà è un po' come se fosse la prima volta, Aki...»
«Mh? In che senso...?»
«Non lo so nemmeno io... mi sembri cambiato tanto ultimamente...
e io invece sono sempre lo stesso. Forse è solo una mia
impressione, ma mi sento insignificante e impotente quando sono con
te.»
«Kou... ma perché ti fai questi problemi? Sono il solito
Akira di sempre, non mi sento cambiato. Forse è solo
perché sto crescendo, ma ti assicuro che ti voglio bene come te
ne ho sempre voluto.»
«T-tu... m-mi vuoi... b-bene?»
Kouyou non riuscì a trattenersi dal formulare quella domanda che
gli scivolò dalle labbra sottoforma di balbettio confuso e
impacciato. Akira aveva appena confessato di volergli bene. Akira
Suzuki. Quell'Akira Suzuki – lo stesso che si rifiutava anche di
baciare la guancia della sorella perché era troppo un duro per
farlo. Non riuscendo ancora a credergli e pensando che quella fosse
stata solamente una delle allucinazioni uditive più belle e
reali della propria esistenza, si rigirò fra le sue braccia,
facendosi coraggio e cercando infine il suo sguardo, rispecchiandosi
nei suoi occhi piccoli e scuri. Contrasse le labbra in una smorfia
sconcertata e attese una sua parola qualsiasi, pendendo dalle sue
labbra.
«Certo che ti voglio bene, Kou.» confessò Akira con
sincerità, andando a carezzargli una guancia morbida e rosea.
«Oggi non scherzavo quando dicevo che eri la mia principessina, mia e basta.»
continuò in un sussurrò, arrivando quasi a sfiorargli la
fronte tiepida con la punta delle labbra. «Non so perché,
ma quando sono con te sono felice... e non voglio che nessun altro ti
faccia ridere come faccio io e neppure che ti carezzi o ti abbracci
come faccio io... mi arrabbierei molto.»
Kouyou si morse il labbro inferiore, sentendosi gli occhi colmi di
lacrime dalla gioia e dall'emozione. Stupido Suzuki Akira. Pur non
avendo fatto niente, l'aveva portato sull'orlo di un pianto da
femminuccia. Gliel'avrebbe fatta pagare in un futuro forse non tanto
prossimo, ma quello non era il momento adatto. Facendosi forza,
sollevò il busto quel tanto che gli bastò per potersi
allungare a stampargli un dolcissimo e delicatissimo bacio sulla
guancia, premendo le labbra nella carne morbida e profumata.
«Anche io ti voglio bene, Akira... te ne voglio tanto,
tantissimo.» sussurrò a contatto con la sua pelle, prima
che la voce gli si spezzasse a causa dei singhiozzi che non
riuscì più a controllare. Infine, si rannicchiò su
se stesso, stringendosi nel petto di Akira per abbandonarsi a un
leggero pianto, sentendo la sua mano calda e grande carezzargli la
schiena.
Akira gli baciò affettuosamente il capo, prima di tornare ad
affondare comodamente la testa nel cuscino, chiudendo gli occhi che si
erano fatti troppo stanchi. «Le principesse non piangono, Kou...
poi va a finire che si rovina il trucco e inzuppano tutto il
cuscino...» ridacchiò, lasciandosi poi andare a quel
sonnellino che tanto sentiva d'essersi meritato.
Quando Kouyou smise di piangere, spuntò dal rifugio tranquillo
che erano le braccia e il petto di Akira, sollevandosi per scrutare
quest'ultimo: il suo viso era rilassato in una smorfietta infantile e
beata e i suoi lineamenti, seppur momentaneamente, tornarono ad essere
quelli del bambino di una volta, quel Suzuki Akira dalle guance paffute
e dalle fossette che sapevano sempre strappare un sorriso a chiunque.
«Buonanotte, principe...» mormorò, posando la testa
accanto alla sua, sul cuscino, mentre ancora si stringeva fra le sue
braccia. “Mi chiedo quando mi porterai al primo ballo...”
si domandò fra sé e sé, sperando che quelle parole
potessero raggiungerlo nella dimensione dei sogni. “Il ballo di
fine anno delle medie mi sembra una buona occasione, no...?”
E
chi si aspettava un'altra mia one-shot a rating giallo, tutta dolce
dolce e tenera? Ah, io non di certo. E pensare che m'è venuta in
mente tutta stanotte, mentre mi giravo e rigiravo nel letto cercando di
prender sonno, cosa che alla fine non ho fatto. Pazienza, per fortuna
Madame Ispirazione è venuta a trovarmi e a farmi compagnia.
Partendo dal presupposto che non shippo la Reituha perché, per
me, la loro non è un OPT ma un brOTP, devo dire che mi ha fatto
senso scrivere una cosa del genere su quelle due belle creaturine.
Però mi sono divertita parecchio e alla fine posso ritenermi
più che soddisfatta del risultato. Un modo alternativo per
festeggiare il “kodomo no hi”, anche se loro sono ormai
più adolescenti che bambini... insomma, sempre di piccoli umani
si parla, no? Non saprei che altro aggiungere... perdonatemi il
linguaggio un po' strano, ma ho voluto cercare di utilizzare il
linguaggio stupido che usano i bambini – o meglio, il linguaggio
stupido che i bambini usavano, visto che adesso sono dei barilotti di
parolacce e infamie a go-go... pazienza.
Ah, giusto. Il titolo significa “quattordicenne”.
Spero l'abbiate apprezzata! So che è un po' particolare, ma ho
dovuto scriverla tutta d'un fiato. L'ispirazione m'è venuta di
getto e non ho potuto far altro che coglierla al volo. E adesso, tutti
a mangiare il buon budino di riso con lo sciroppo di mirtillo di mamma
Suzuki!
Grazie ancora per aver anche solo letto e per essere giunti fino qui in fondo, significa molto per me.
Alla prossima!
- g.