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Autore: Baldr    05/05/2015    3 recensioni
Loki è stato portato ad Asgard e messo in prigione, in attesa che Odino emetta la sentenza. E nelle ore di solitudine non può che ripensare a quali sono le sue vere manette, quale sia la reale prigionia. Perché qualsiasi pena che Padretutto potrà infliggergli, non sarà mai superiore a quella che sta vivendo.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Loki, Thor
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Kamar


Asgard custodiva i propri prigionieri, con la stessa attenzione con cui proteggeva i propri tesori, solo che questi ultimi erano riposti in stanze maestose e impreziosite dagli architetti asgardiani con particolari decorativi straordinari. Ai prigionieri in attesa di giudizio spettava invece una stanza claustrofobica, illuminata da una fioca luce color indaco a freddare gli animi di chi era relegato entro quelle celle.

Loki sedeva su di una fredda panca di marmo che fuoriusciva dalla parete scura. I polsi ammanettati erano appoggiati sulle ginocchia, lo sguardo vitreo, fermo sulla porta.

Era opinione comune che l'indaco aiutasse a riflettere. Per quello era stato scelto come tonalità per l'illuminazione delle celle.

Loki non aveva da riflettere. Lui era prigioniero da ben prima che il fratellastro gli mettesse quel dannato bavaglio, che gli tormentava la parte inferiore del viso. Thanos ne aveva imbrigliato la volontà da molto, molto tempo, approfittando dello stato in cui lo aveva trovato dopo che si era lasciato cadere dal Bifrost.

Più e più volte aveva cercato di liberarsi, di porre fine a quella che, persino ai suoi occhi, era una follia. Aveva urlato, aveva picchiato e graffiato le pareti della sterile e intangibile prigione che racchiudeva il suo senno. Era arrivato anche a piangere, poiché la tortura maggiore era l'esser pienamente cosciente di quanto avveniva. Era perfettamente conscio di quanto faceva o di quello che diceva. Se certe azioni potevano trovarlo parzialmente d'accordo, altre non le tollerava. Non poteva accettare di essere finito a fare il burattino di un padrone desideroso di asservire l'universo intero, di essere lo schiavo di chi aveva approfittato della sua debolezza fisica e psicologica, del suo senso di inferiorità e inadeguatezza.

Lui voleva solo essere accettato. Non voleva essere diverso dagli altri Æsir. Voleva essere come loro, amato e rispettato. Ma lui era solo un orfano di Jotunheim, era solo un trofeo di guerra.

La porta della cella si aprì e l'azzurro velò le iridi del dio degli inganni, altrimenti verdi.

Thor entrò nella stanza e avanzò con passo pesante, mentre il secondino richiudeva la porta alle sue spalle.

Loki si alzò, sorridendo sprezzante dietro il bavaglio.

“Fratello” esordì grave il dio del tuono, “presto nostro padre valuterà le tue colpe, ma non sono qui per parlare di questo...”

Loki sbuffò, lasciando sibilare l'aria attraverso il bavaglio.

“Ascoltami, fratello!”

A quelle parole, il dio degli inganni rise debolmente, memore della scena su Midgard in cui chi aveva innanzi gli aveva rivolto quelle stesse parole, prima di venire atterrato dall'uomo di metallo. Si accomodò sulla panca, accavallò elengantemente le gambe, poi posò i polsi sulle ginocchia, dandosi un tono professionale. Gesticolò, quel poco che le manette gli permettevano, invitando Thor ad andare avanti.

Dietro al vetro blu, la sua anima batteva i pugni, contro quella barriera impostagli da Thanos.

“Thor! Non sono io che parlo! Stupido idiota! Almeno tu, cerca di capirlo!”

Il dio del tuono lo afferrò per le spalle, scuotendolo con veemenza. “Loki! Se non mostri pentimento, almeno nello sguardo, Padre non potrà fare nulla, se non condannarti. Ti prego, abbandona il tuo ostinato orgoglio, piegati alla ragione! Non posso credere che tu sia divenuto così insensibile!”

L'anima di Loki sussultò. Anche Thor lo giudicava? Si appoggiò all'incostintente muro della mente, chiudendo gli occhi in preda alla disperazione. Nella mente risentiva le parole di quella canzone sentita su Midgard.

“Nessuno sa come ci si sente a essere l’uomo cattivo, a essere l’uomo triste dietro gli occhi azzurri. E nessuno sa come ci si sente a essere odiato, a essere accusato di dire solo bugie. Ma i miei sogni non sono cosi vuoti come sembra essere la mia coscienza. Ho ore, in totale solitudine. Il mio amore è una vendetta che non è mai libera.”

Quanto ci si ritrovava in quella canzone dei The Who, lo sapeva solo lui. Quante volte aveva cercato di far del bene, ma era sempre stato frainteso, perché lui era Loki, dio degli inganni. Un bugiardo. Il figlio di Laufey.

L'anima scivolò in ginocchio, annaspando contro quella parete che ne dominava la volontà.

Thor posò la fronte contro quella del fratello, tenendogli una mano sulla nuca. “Ti prego, Loki, rinsavisci” mormorò con un fil di voce.

L'anima sollevò lo sguardo di colpo, scrutando il fratellastro con i propri occhi, che tornarono al loro naturale colore. Cercò di parlare, padrone delle proprie azioni, ma quel dannato bavaglio glielo impedì. Abbassò lo sguardo, mentre avvertiva il potere di Thanos strappargli nuovamente il controllo.
Una lacrima scivolò lungo la guancia, scomparendo sotto la museruola.

I cardini gemettero, rivelando la figura di Volstagg. L'irsuto guerriero squadrò gelidamente Loki, che aveva posato lo sguardo su di lui. “Thor.” Il dio del tuono inspirò, sollevando lo sguardo sul volto del fratello, troppo tardi per cogliere quella stilla di rammarico e il verde dell'iride lasciar posto al gelido azzurro. “Ti stiamo aspettando” aggiunse.

L'erede al trono volse lo sguardo oltre alla propria spalla. “Arrivo” disse prima di riportare l'attenzione su Loki. “Fratello, pensa a ciò che ti ho detto.” Mormorò la sua supplica, prima di incamminarsi verso l'uscita.

Loki lo guardò lasciare la cella. L'ultima cosa che vide fu la dura occhiata di Volstagg, giudicarlo senza alcuna remora.

La porta si chiuse e il dio degli inganni, tornò a sedersi.

“Nessuno sa come ci si sente a essere l’uomo cattivo, a essere l’uomo triste dietro gli occhi azzurri. E nessuno sa come ci si sente a essere odiato, a essere accusato di dire solo bugie. Ma i miei sogni non sono cosi vuoti come sembra essere la mia coscienza. Ho ore, in totale solitudine. Il mio amore è una vendetta che non è mai libera.”

Ore, in totale solitudine.




 
Questa storia era già stata pubblicata, ma poi cancellai tutti miei racconti. Ho approfittato del contest "Just let me cry" sul forum di EFP, per revisionarla e ripubblicarla. 
Disclaimers: Nel testo è presente uno stralcio tradotto della canzone: “Behind blue eyes” dei Who. 
Elementi del contest: Bad Ending, Missing Moment, uno dei protagonisti ha un disturbo mentale (causato da Thanos in questo caso), impasse psicologica.
Cronologicamente è ambientata post Avengers.

Grazie a tutti i lettori.
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Per chi fosse interessato, può passare a trovarmi presso il mio gruppo su facebook:
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Daniela

 

   
 
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