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Autore: Niglia    06/05/2015    1 recensioni
«Guardala, Ade, gli aveva sussurrato, indicando la fanciulla che sedeva poco distante dalla madre alla mensa degli dei. Volgi pure il tuo sguardo verso di lei. Il suo nome è Persefone. Non è forse una sfida adatta al potente sovrano dell’Oltretomba? Non senti il profumo della vita su di lei? Non vedi come la sua pelle risplende di calore e gioventù? Eppure non conosce nulla della vita, la poverina. Sua madre la tiene ben stretta alle sue gonne e le impedisce di prendere il volo… Scommetto che vorresti essere tu le sue ali.»
Il mito di Ade e Persefone – raccontato a piccoli pezzi.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Altri, Persefone
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ade









Era stato Hermes, come al solito, ad informarlo del rapido capovolgimento degli eventi. In realtà non aveva fatto altro che confermargli qualcosa che lui sapeva già, ma fu piacevole udire la sentenza del re degli dei. Nessuno, adesso, avrebbe osato opporsi al suo matrimonio con Persefone.
Salvo, forse, Persefone stessa.
I mesi che la dea aveva trascorso sull’Olimpo erano stati, e Ade rise amaramente all’immagine che tale pensiero gli evocava, un inferno. Terribilmente lunghi e innaturalmente lenti, gli avevano per la prima volta fatto tastare il gusto dell’eternità, e non era un sapore che il dio aveva apprezzato in modo particolare se condito con l’amaro assaggio della solitudine. Immerso com’era nell’autocommiserazione e crogiolandosi nella consapevolezza del suo fallimento, Ade non si era reso conto di quanto la presenza seppur effimera della giovane sposa avesse modificato la sua concezione stessa del tempo e dello spazio, confortandolo con l’idea ch’ella abitasse nei suoi domini, respirasse la sua stessa aria, volgesse gli occhi verso il medesimo cielo soffuso che avvolgeva gli Inferi. Il saperla entro il regno dell’Oltretomba gli aveva fatto scordare come fosse la sua esistenza prima del suo arrivo, e solo dopo la sua partenza il dio aveva per la prima volta sofferto le pene dell’abbandono.
Ogni momento libero dai suoi doveri lo aveva passato nelle stanze di Persefone, inebriandosi dell’odore di vita e primavera e lacrime che la dea aveva suo malgrado lasciato indietro, e non aveva chiuso occhio – non che ne avesse realmente bisogno – preferendo perdersi in lunghe riflessioni e rimembranze che non gli avevano offerto alcun conforto, ma solo aggravato la sua frustrazione.
Non era così che sarebbe dovuta andare – in quei mesi aveva maledetto il nome di Afrodite almeno tante volte quante aveva sussurrato con desiderio e rimorso quello della sua sposa.
E se mai gli capitava di cedere alle lusinghe di Morfeo, vinto infine dalla stanchezza e dall’angoscia, il suo sonno era invaso da lei, dalla sua voce, dal ricordo di meravigliose risate che mai avevano risuonato nei saloni del suo palazzo, dai suoi occhi e dalle sue labbra che invitavano baci mai dati né presi…
Ade non credeva che un figlio di Crono potesse essere così debole da impazzire d’amore, ma ogni mese che trascorreva senza che avesse notizie della sua sposa confermava che una simile follia era infatti possibile, e che per sua sfortuna non ne aveva alcun controllo.
La sua unica consolazione, in quei mesi, fu immaginare che Persefone fosse felice tra le braccia della madre, e che il lungo periodo di lontananza – Ade osò almeno sperare – finisse per invocare in lei un briciolo di nostalgia per il suo sposo.









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