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Autore: Madam Morgana    07/05/2015    2 recensioni
«Tesoro, non sei costretta ad andare a lavoro, se proprio non te la senti... » perché Madison lo sa che per sua figlia è difficile, ma doveva sapere.
Freya doveva sapere che Michael era tornato.
Dopo quattro anni.
Dopo quattro anni da quando la loro storia era finita.
E c'è che Freya è rimasta la ragazza di sempre, quella un po' persa tra le nuvole, comunque sognante. Mentre Michael è cambiato.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci vuole coraggio a restare,
ad andarsene sono tutti bravi.







 
Freya è agitata, e conosce il motivo della sua inquietudine. Non riesce a calmarsi, mentre continua ad andare da una parte all'altra della stanza. Trascina i piedi con fare stanco ma con la consapevolezza che non può fermarsi.
Eppure c'è da dire che il più delle volte riesce sempre a tenere tutto sotto controllo, nulla le sfugge perché l'ordine è alla base di una vita tranquilla.
Ha mantenuto la calma quando si è diplomata, quando suo padre ha tradito Madison, sua madre e in tantissime altre occasioni.
Lei è sempre stata calma, perché o si vive con tranquillità, affrontando le cose che la vita para davanti, oppure si finisce in pattini verso un oblio di disperazione. A lei, di certo, la seconda opzione non piace.
Ed è così che continua a vivere la sua vita, con calma, organizzazione ed ordine, tutto procedeva a meraviglia, prima di quel giorno.
A svegliarla è stato un tiepido Sole ch'è trapelato dalle tapparelle della sua finestra, lentamente si è rigirata tra le coperte beandosi di un dolce tepore, sembrava tutto normale ed abitudinario, prima che sua madre picchiasse alla porta per avvertirla di quella cosa.
Ed ora che sono passati dieci minuti dalla rivelazione di Madison, Freya è irrequieta, ha mandato al diavolo la calma e l'ordine che tanto adora, perché in quelle circostanze non si può stare calmi.
Gli occhi bruciano, si è ripromessa di non piangere ma probabilmente infrangerà quella promessa fatta tra se e se.
Pigramente decide di percorrere le scale, arrivando al piano inferiore dove Madison è intenta a preparare la colazione, con Bau tra i piedi.
Bau è il suo cane, e Freya le ha dato quel nome perché non fa altro che abbaiare, anche a tarda notte quando, invece, dovrebbe dormire.
«Buongiorno mamma» sussurra, affrante ed avvilita. Bau le scodinzola intorno, abbaiando felice. In altre circostanze sarebbe entusiasta, come sempre del resto – perché Freya è sempre stata solare, felice ed allegra – ma oggi proprio non può, e di giocare con Bau proprio non ha voglia.
«Tesoro, non sei costretta ad andare a lavoro, se proprio non te la senti... » perché Madison lo sa che per sua figlia è difficile, ma doveva sapere.
Freya doveva sapere che Michael era tornato.
Dopo quattro anni.
Dopo quattro anni da quando la loro storia era finita. E c'è che Freya è rimasta la ragazza di sempre, quella un po' persa tra le nuvole, comunque sognante. Mentre Michael è cambiato.
E non in statura, bellezza, o chissà cosa; il cambio rivoluzionario non è stato riguardo all'acne giovanile sparito del tutto, o delle assurde manie di giocare alla play station fino a notte fonda, o cantare canzoni insensate, fingendosi intonato, E' tutt'altro, e Freya l'ha capito quando, Madison, è salita in camera per rivelargli come stanno ormai le cose.
Che Michael ormai è cresciuto, non ha più i capelli biondicci caratterizzati da quell'orrendo ciuffo incollato alla fronte che a Freya, comunque, piaceva. Ora ha i capelli tinti di un blu elettrico, la sua pelle di porcellana non è più pura, ma marchiata da inchiostro nero che non andrà più via. L'abbigliamento è cambiato, ora così punk e diverso da quello di un tempo. C'è che Michael è cambiato, adesso è un'altra persona. Il suo sguardo è fiero, in quella locandina che annuncia il concerto, nella capitale, di domani.
Adesso è Michael Clifford, quello con un cifro di soldi, un'orda di ragazzine impazzite dagli ormoni in subbuglio che lo seguono, come fossero indemoniate, e dalle storie di una notte è via, lei ne è certa.
Non è più Michael, ora è Michael Clifford, il chitarrista di una band. Di quella band.
Freya stringe tra le mani la locandina, con fare assente e disgustato, perché sa bene che la vita cambia ma la cosa che le martella in testa è un'altra. Non riuscirà ad uscire di casa il giorno dello spettacolo, perché le strade saranno affollate solo per vedere quei ragazzi che, ehi!, respirano proprio come lei.
«Freya?» la richiama Madison, convinta che non ha ascoltato il discorso che le ha fatto. E di fatti è così, la ragazza alza il capo mordicchiandosi le labbra, accartoccia la locandina e poi si alza dalla tavola, senza terminare la colazione.
«Andrò a lavoro, mamma. Non m'importa di Michael» ma Madison sa che Freya mente, è impossibile dimenticare una persona quando questa è stata importante.
E Michael, per sua figlia, è stato importante.
C'è che le cose belle difficilmente si dimenticano, e lui è stato una cosa bella.
Ma Freya ha dovuto dimenticarlo, perché quattro anni sono quattro anni, e di tempo n'è passato troppo, il loro amore è germogliato, come un fiore tra sguardi fugaci e sorrisi innocenti di adolescenti, poi è appassito come fanno le rose migliori, lentamente, pian piano, fino a morire.
E fa male pensare che il tempo indietro non può tornare, ma purtroppo ha cercato di dimenticarlo.
Ha cercato di dimenticare le giornate trascorse con lui, i sorrisi, gli abbracci, i baci, il tempo passato a fare ad amarsi senza curarsi né del luogo né di qualcos'altro. Bastavano solo loro due, insieme, poi il mondo poteva pure crollare. Potevano anche vincerlo, quello stramaledettissimo universo, perché a diciassette anni si hanno sogni ed ambizioni che, da adulti, svaniscono.
L'ha dimenticato, senza riuscirci davvero, però. E se ne rende conto solo adesso, quando sua madre la informa della tappa che faranno la band.
«Freya, ma – »
«Niente ma» a denti stretti si dirige verso l'anticamera, afferra la borsetta e poi esce di casa, dirigendosi al negozio di abiti, dove lavora come commessa.
Le strade sono sempre affollate, a Sydney, e Freya si stringe nelle spalle come se non volesse urtare nessuno, quasi per paura di interferire.
Si fa largo tra la folla, mentre issa più volte la borsetta che scivola sulla sua spalla minuta.
Attende poi il bus, che la porta in negozio, la vetrata è pulita ed il merito è di Kamal, un ragazzo marocchino che si occupa della pulizia.
Tuttavia la cosa che cattura la sua attenzione, è il ragazzo intento ad armeggiare con del nastro adesivo.
Silenziosamente si avvicina, mentre continua ad osservarlo. «Kamal?»
L'altro smette il suo lavoro, solleva lo sguardo e le sorride, quella dentatura smagliante che risplende più delle stelle, «Buongiorno Freya!» sembra entusiasta, il ragazzo, forse più di lei che, quel giorno, non ha nulla di cui essere felice.
Sospira, accenna un sorriso e continua il suo interrogatorio. «Cosa stai facendo?»
Kamal allora poggia lo scotch per terra, srotola il foglio bianco e poi glielo mostra con fare orgoglioso.
Freya perde un battito, forse due, o molto probabilmente il suo cuore si ferma: Michael.
Michael insieme ad altri tre ragazzi, con sguardi fieri ed orgogliosi. Sembrano felici mentre impugnano i loro strumenti.
«Oh...» l'esclamazione che esce dalle labbra di Freya è impercettibile, ma Kamal l'ha sentita. Attacca, poi, l'ennesima locandina sul vetro. «Li conosci anche tu, Freya? Che ne dici, ci andiamo? Posso recuperare due biglietti, mi farebbe piacere se – » ma lo blocca, perché non vuole rivedere Michael, lei non può rivederlo.
«Kamal io ti ringrazio ma credo che slitterò l'invito» deglutisce, sente un nodo salirle sulla trachea, acido pronto a corroderle le sue interiora. Stringe i pugni fino a far sbiancare le nocche, congeda Kamal ed entra in negozio, meno vede quelle locandine meglio è.
«Buongiorno Theodor» aggancia la borsa nell'appendiabiti, sfila il foulard rosso e glielo ripone vicino.
Theodor, un omone di mezz'età dalla capigliatura brizzolata, le sorride. E' il titolare del negozio in cui lavora e, sebbene sia abbastanza robusto e vecchio, veste comunque firmato. Sembra curarsi più di quanto i giovani d'oggi non fanno.
Freya si rolla le maniche della camicetta a motivi floreali, poi sparisce tra le rastrelliere colme di vestiti per servire qualche cliente appena arrivata.
E la giornata passa così, tra un abito troppo corto, costoso, pomposo, sfarzoso, che costringono Freya a non pensare a Michael, o almeno a provarci.
La verità è che non ci riesce.
Non riesce a non pensare che domani si esibirà nella sua città, nella loro città.
Perché nonostante Michael, adesso, è costretto a spostarsi di continuo, resta comunque un australiano.
E si chiede come può, un amore come il loro, andare in rovina per degli stupidi sogni, gli stessi che lei adora ma che, purtroppo, non sempre portano a cose belle.
C'è che Michael ha deciso di seguire i suoi sogni, perché all'epoca voleva diventare come Slash, chitarrista dei Guns n' Roses. E lei comunque rideva, perché sapeva che alcuni sogni non potevano avverarsi, restavano tali.
Poi però, lui, aveva conosciuto quei tre strampalati ed allora il loro amore era mutato. Pian piano Michael aveva deciso che passare più tempo con i ragazzi, a suonare, era migliore di stare con lei. E poi un bel giorno aveva deciso di terminare la storia.
Devo coronare il mio sogno, Freya, qui non ho un futuro. Ti amo, ti prego perdonami” non potrà mai dimenticare quelle parole, lei, che ancora le tiene strette in quel dannato pezzetto di carta che Michael le ha lasciato il primo giorno d'Inverno, quando è partito andandosene a Los Angeles, per coronare il suo stramaledetto sogno.
E sono passati quattro anni, a lei non dovrebbe più far male, ma rivederlo in quella locandina, sapere ch'è riuscito a diventare quello che voleva, le fa ribollire il sangue ma, allo stesso tempo, le provoca una morsa al petto che le vieta di respirare.
E' triste Freya, che non aveva fatto i conti con il passato, pensando di poterlo seppellire insieme agli anni della sua adolescenza.
Lei non aveva valutato la possibilità che tutto può tornare, prima o poi.
Fa male ogni cosa, come la consapevolezza ch'è trascorso troppo tempo e che Michael ormai possa averla dimenticata del tutto.
In fondo il loro amore cos'era? Solo cotte passeggere degli adolescenti. Solo questo, solo stupido amore adolescenziale.
Perché lo ricorda, lei, quando si sono incontrati per la prima volta, nel vialetto del signor Clifford.
Erano vicini di casa, e Freya era rimasta affascinata dalla Cadillac di collezione che suo padre stava verniciando. Michael gli girava intorno, volendo giocare, ma lui lo respingeva.
Ed allora Freya si era fatta avanti, presentandosi come la vicina, lei era disposta a giocare ed a Michael non gli era importato poi granché che questa fosse una ragazza. Giocavano e basta, ogni giorno, alla stessa ora.
La scusa era stata la Cadillac del signor Clifford e da allora erano passati quattro lunghi anni. L'amicizia aveva fatto spazio all'amore.
Tutta colpa della Cadillac.
E Freya, adesso, si chiede se Michael ricordi tutto. Anche del loro primo bacio.
Il primo bacio.
Lei di certo non l'ha dimenticato.
«Signorina?» una signora bassotta la porta alla realtà.
Freya sbatte le palpebre, tornando nel mondo dei vivi, accenna un sorriso e guarda la signora. Accanto a lei, Theodor, lo guarda con cipiglio severo.
«Freya, cosa c'è che non va? Stai male?» le chiede, perché oggi, davvero, sta lavorando malissimo e lui non sa cosa le prende. Sbuffa, incrocia le braccia grasse al petto e continua ad osservarla.
Freya li guarda con occhi acquosi, mordicchiandosi l'interno guancia.
Scuote il capo, mortificata, perché non dovrebbe permettere ai ricordi di interferire con il suo lavoro. «Mi dispiace, sono mortificata, la prego di perdonarmi signora, Theodor»
«Riposati un po', Freya, sembri stanca» Theodor le poggia la mano sulla spalla, carezzandola piano. Sa che la sua dipendente nasconde qualcosa, ed ormai sono parecchio conoscenti ma di fare l'invadente proprio non ha voglia.
Sospira, la fa accomodare e decide di far lavorare Kamal, che sicuramente è più elettrizzato di lei, quel giorno.


«Cosa c'è che non va, Freya?» alla fine della giornata, quando ormai il negozio ha già voltato il cartellino con su scritto “chiuso” Freya, Kamal e Theodor sono pronti a contare i guadagni del giorno, Freya ha gli occhi persi sulle banconote, mentre Kamal è riuscito ad avere una paga extra per comprare un biglietto in più a sua sorella Malia, 'ché lei adora i 5 Seconds of Summer.
«Non c'è niente che non va,» sussurra anche se, deve ammetterlo, nemmeno lei crederebbe a tale affermazione.
Theodor scuote il capo, perché nemmeno lui le crede «Avanti, parla» ed allora lei scoppia, perché non riuscirebbe a fingere nemmeno un secondo di più, svuota il sacco come nulla fosse, raccontando di Michael e lei, all'età di diciassette anni, di quanto si sono amati e di come, i sogni, hanno distrutto il loro amore.
Perché non sempre i sogni migliorano la vita, bensì la distruggono, a volte. Ed ormai lo sa bene.
«Michael era tutto per me, ed ho provato a dimenticarlo, lo giuro – Kamal sospira, forse totalmente assorto nella storia che la guarda con occhi traslucidi – ma non ci riesco. E pensare che domani suonerà con i suoi amici, qui, nella sua città, a me fa male» borbotta infine, mentre cerca di cacciare le lacrime con entrambi i palmi.
«Dovresti andare al concerto, Freya» prova Theodor, anche se conosce già la risposta.
«Che vado a farci? Lui ormai non si ricorda di me, sono passati quattro anni, ed eravamo degli stupidi adolescenti!» ringhia, inferocita e, sì, anche distrutta dalle circostanze. Perché sa che, a ricordarsi, è solo lei. Perché non è cambiata, sono passati anni, certo, ma non è poi così diversa da un tempo.
Mentre sa bene che, la fama, la gloria, i soldi e tutto ciò che porta al successo, offuscano i ricordi, senza contare che – quasi certamente – Michael avrà ragazze a valanghe. Come può ricordarsi di una mocciosetta a malapena diciassettenne?
«Credo che Theodor abbia ragione, Freya» la rimbecca Kamal, perché la pensa proprio come l'altro.
Freya, esasperata, scuote il capo grida un “non potete capire”e poi va via, sbattendosi la porta dietro le spalle.
Corre a perdifiato, tra la gente, mentre calpesta il marciapiedi illuminato dal pallore dei lampioni. Corre per dimenticare, corre perché lei di Michael non vuole più sentirne.
E quando ormai arriva a casa, colma di lacrime in viso e di cocci di cuore che cadono a pezzi, si butta a letto, sprofondando nell'ennesimo pianto isterico, addormentandosi con il salato in bocca.

Quando si sveglia, il sole è già sorto da un pezzo, sono le otto di Giovedì mattina. Di quel Giovedì mattina.
Perché Freya lo sa bene che giorno è, e si è ripromessa di non uscire. Di non farlo perché non potrebbe sopportare le strade tappezzate da locandine con affisse la sua faccia. Quello sguardo che non è più il suo, quell'accenno di barba che prima non aveva, quell'abbigliamento così diverso, così cambiato. Il suo Michael, quel vecchio Michael, ormai non c'è più.
Gli occhi bruciano, è pronta a piangere di nuovo, quando la porta si spalanca rivelando Madison.
Lentamente si siede ai bordi del letto, carezza il capo della figlia e poi sorride, perché sa cosa sta passando Freya in quel momento. Sa che vorrebbe svegliarsi solo quando quel giorno è già passato.
«So a cosa pensi» sussurra.
«Non puoi capire, mamma» e non le trattiene, perché non ci riesce. Lacrime salate tornano a bagnare il suo viso di porcellana, Madison sospira, la stringe al petto e, delicatamente infila un pezzetto di carta dentro la sua tasca.
Ed è allora che Freya si scosta dal petto della madre, fruga tra le tasche e per scoprire cosa le ha passato.
«Che cos'è?» chiede, quasi come se provasse paura a tirar fuori quel pezzetto di carta.
«Theodor mi ha chiamato molto presto, questa mattina, ci siamo visti e... » e Freya sgrana gli occhi nel momento in cui, dalla tasca, estrae un biglietto per il concerto. La vista è appannata a causa delle lacrime, ma giura che il nome della band è quella di Michael.
Non ci può credere.
Non ci vuole credere.
«Perché mamma? Perché continui ad insistere? Perché non capisci che io non voglio vederlo?» urla, in preda all'ennesimo singhiozzo che le tartassa il petto.
«Ma non capisci Freya? Non capisci che stai male così? Perché neghi a te stessa? Perché ti ostini a dire che non vuoi vederlo quando, invece, muori dalla voglia di incontrare nuovamente i suoi occhi?» e forse non è giusto forzare la figlia, ma anche Theodor ha capito che, sì, Freya deve vedere Michael.
E due adulti che cospirano contro di lei, significa solo una cosa: dovrà accettare.
Sbuffa, mentre uno dei suoi singhiozzi squarcia il silenzio. Trascina i piedi verso l'armadio per poi dare una rapida occhiata al suo interno. Lei non è mai andata ad un concerto, non sa nemmeno come vestirsi.
«Non hai nemmeno valutato l'idea che non ho abiti per andarci, 'sta sera?» ringhia, perché ogni scusa è buona per depennare quell'evento dalla sua vita.
«Non ti sei mai posta problemi con i vestiti, Freya» e basta così, per Madison è giunta l'ora di non parlare più. Si alza dal letto, le da una rapida sistemata e poi esce via, lasciando Freya ai suoi pensieri e, sì, anche a scegliere l'outfit per la serata.
E' sola, adesso, lei, mentre osserva l'armadio colmo di vestiti. Sa bene che il vestiario non è il problema, ma Michael Clifford.
Sbatte l'anta dell'armadio senza aver trovato nulla, torna a sedere sul letto e poi sbuffa, con l'ennesima voglia di piangere mentre fissa il biglietto.
Un biglietto per la prima fila, che tiro mancino le ha tirato il destino.
Non faceva Theodor così impiccione e ficcanaso, di certo non gli parlerà più delle sue angosce né gli confiderà altro della sua vita.
Ma ormai il gioco è fatto, ed il tempo passa in fretta, quasi come se fosse contro di lei anche quest'ultimo.
Non ha altra scelta, Freya sa che ci andrà.

«Ma cosa spingete!» ringhia, perché, davvero, la gente che spinge lei proprio non la sopporta.
E' arrivata nell'arena dove i ragazzi si esibiranno, e tra calci, spintoni e manate è riuscita ad arrivare in prima fila. C'è che Freya farebbe volentieri dietrofront perché non vuole vedere Michael.
C'è anche che, però, è impossibile. Non è stata una passeggiata arrivare fin lì, figuriamoci tornare indietro con una mandria di ragazze che esultano e gridano a più non posso.
E si sente morire, perché il calco può essere a dieci metri distanti da lei, ad occhio e croce. Vorrebbe che la terra la risucchiasse, sprofondare in un abisso senza più venire a galla, ma non è possibile.
Osserva lo schermo del cellulare, sono le dieci di una calda sera di Maggio.
Le luci soffuse dei riflettori illuminano una batteria rossa sgargiante, mentre ai lati giacciono degli amplificatori, qualche metro più avanti tre stecche con i microfoni, pedali per le chitarre e qualche altro congegno a lei sconosciuto.
Ancora nessuno in vista, ancora nessuno è salito.
Ancora nessun Michael.
Il cuore di Freya batte a più non posso come se volesse uscirle dal petto, schizzandole fuori per cadere poi sul palco.
Poggia la mano sul torace, per paura che i suoi pensieri diventino reali, poi un boato scaccia via i suoi pensieri, e ben presto i riflettori cominciano ad illuminare tutto il palco.
Dietro la betteria è arrivato un ragazzo dalla capigliatura riccia, lunga fino alle spalle, i capelli castani gli ricadono sul viso incorniciandolo graziosamente. Il sorriso di chi è fiero, felice, della serata.
Poco dopo arrivano gli altri, un ragazzo biondo dagli occhi azzurri, uno moro dai bicipiti enormi contornati da tatuaggi e poi...
E poi Freya lo vede, ed il cuore le si ferma in petto.
Non ode più la folla schiamazzare perché il suono le arriva ovattato, confuso, distante. Fissa la figura di Michael felice, mentre issa la chitarra in aria come fosse un trofeo. Gli occhi fiammanti di chi sa che, quella sera, spaccherà di sicuro su quel palco.
Sembra così cambiato, così diverso, così non Michael.
Non più il suo Michael, quello che ha chiesto di giocare con lei quando suo padre era troppo impegnato con la Cadillac.
Le lacrime di Freya scendono impetuose, e lei non riesce a muoversi. Sa bene che il trucco le stia colando, ma a che importa? A chi deve apparire bella?
Piange, ora, perché avercelo così vicino e sapere che un tempo era suo, le fa male.
E chissà se si ricorda di lei, di quello che sono stati, di quello che potevano diventare, del futuro che progettavano.
E' strana, la vita, un giorno ti svegli e noti come tutto sia cambiato. Perché le cose mica restano uguali per sempre.
Stringe i pugni, ingoia il malloppo di dolore che le pizzica la trachea e poi alza il capo, mentre la luce dei riflettori l'abbaglia.
Tra l'orda di ragazzine impazzite ed i primi riff, Freya continua a non sentire granché di tutto quanto, piuttosto il suo cuore sembra rimbombare più forte di tutto ciò.
I ragazzi cominciano a suonare, e lei è proprio sotto Michael che, però, non l'ha notata.
E probabilmente non la noterà, ed anche quando lo facesse, chi lo dice che si ricorderà di lei?
In fondo l'amore adolescenziale è il più effimero di tutti, tende a sparire soprattutto con l'arrivo della fama.
E lei purtroppo lo sa, tutto questo, lo sa bene.
Annaspa aria, singhiozza e poi torna a guardarlo. E, cazzo, è così bello.
Possibile che lei debba trovarlo bello anche adesso, dopo tutto quel tempo trascorso?
Non è possibile, lei non può innamorarsi di nuovo, non può. Anche se, probabilmente, non ha mai smesso di amarlo.
Lo fissa come guarda il mare alla fine dell'estate. La nostalgia che l'assale e la consapevolezza che quasi certamente è l'unica a sentirla.
Poi è un attimo, una frazione di secondo. Michael punta lo sguardo verso di lei, sgrana gli occhi e non ci crede.
Perché non può accettarlo, non vuole crederci.
Il suo vecchio amore.
Il suo primo amore, tra le prime file.
Cerca di mantenere il controllo, perché non può mandare a puttane l'intera serata, ma sa bene che il battito del suo cuore, così accelerato, non è causato dall'adrenalina per il concerto.
Si guardano, poi sorridono e Freya nasconde il sorriso tra i palmi bagnati di lacrime.
Michael si avvicina al microfono, e «Voglio ringraziare una persona che, dopo tutto questo tempo, è qui. Non farò il tuo nome, ma so che capirai. E questa canzone è per te» poi parte Beside You, ed a Freya quello basta per farle capire che, no, nemmeno Michael si è dimenticato di lei.
Poco importa se adesso è Michael Clifford.
Si guardano di nuovo, e quello a Freya basta.
Non è felice, ma quasi.
Ma in quel momento a lei va bene anche un quasi.


 
SBAAAAAAAAAAM !

I'm not normal, I know.
Comunque questa oneshot l'ho scritta di getto, così, perché
boh, io sarò una delle tante che non sarà al concerto né di Torino né di Milano,
l'happiness proprio. Comunque a parte questo che dire?
Voi cosa avreste fatto se foste stati in freya? Ci sareste andate al concerto
per rivedere il vostro vecchio amore?
Io francamente no, o forse sì? boh, dipende dalle circostanze, ehehe.
Comunque spero la storia vi sia piaciuta, perché ci ho messo l'anima per
delle ore che nemmeno conto più. La scrivo da stamattina e finalmente l'ho terminata.
Ricordo che, chi vuole seguirmi nelle altre storie mi trovate con
E te lo giuro sei la mia unica cosa bella e Humanoid Love!

Spero che mi facciate sapere cosa ne pensate di questa piccola bimba appena nata,
confido tantissimo nelle parole di voi lettori.
Un bacione grande.


 
Dedico questa oneshot a tutte coloro che sarebbero volute essere
al concerto di domani, a Torino, e a quello di Milano ma che, come me,
rimarranno a casa a sperare che, in un futuro non molto lontano
possano cantare anche loro, insieme a Luke, Michael, Ashton
e Calum. Perché io, infondo, ci credo ancora.
Sto solo aspettando il mio turno.
 
Madam Morgana.
   
 
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