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Autore: celeste98Love    09/05/2015    1 recensioni
Un incontro casuale, che cambierà la vita di due giovani.
Lui: Giovane conte di Cortemila, in cerca di una donna da sposare.
Lei: Giovane donna, ignara di essere cugina del conte di Cortemila.
Il destino li vuol far contrare, in una fredda e piovosa serata d'inverno.
Cosa succerderà, se i due giovani, s'innamorano l'uno dell'altro?
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Tratto dal testo:
''Povera cara: hai scoperto che pensare significa soffrire, che essere intelligenti, significa essere infelici. Peccato che ti sia sfuggito un terzo punto fondamentale: il dolore è il sale della vita e senza di esso non saremmo umani.''
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Un amore crudele.

 

 

Era una turbinosa notte d’inverno del 1815, quando in un cupo e decadente castello situato sulla sommità di una collina rocciosa, un uomo, alla fioca luce di una candela osservava attentamente un quadro appeso alla parete della sua biblioteca. Il suo sguardo su di esso era talmente intenso da sembrare quasi che i suoi occhi di ghiaccio volessero trafiggere quell’immagine che neppure il tempo era riuscito a cancellare dalla tela. Ma in fondo per l’uomo il soggetto di quel ritratto non aveva mai mutato forma.

Il volto di quella donna sarebbe stato per sempre imprigionato nel quadro, identico e immutabile. Nulla avrebbe potuto alterare la dolce armonia di quel viso così grazioso incorniciato da una cascata di boccoli castani; ma ciò che più calamitava l’attenzione di coloro che osservavano quel ritratto era lo sguardo vivace e penetrante degli occhi neri della donna.  Il suo nome era Madonna Vittoria.
Tuttavia, quegli occhi che a prima vista potevano apparire dolci e innocenti, in realtà celavano negli abissi più profondi dell’anima della donna ,una natura indomita e a volte crudele.
Quante notti insonni quell’uomo aveva trascorso osservando il dipinto senza mai distogliere gli occhi dal volto di Madonna Vittora.

Studiando ogni suo minimo e insignificante particolare senza tralasciare nulla, al solo scopo di potersi imprimere bene nella mente quell’immagine così viva ma anche così lontana che ogni volta finiva col dissolversi nell’oblio.

Ed era proprio in quelle occasioni che egli sentiva l’agitazione crescere in lui a tal punto che gli risultava faticoso compiere anche la più naturale delle azioni.

La ricordava ancora quando all’età di sedic’anni, gli parlava con quella sua voce soave, e gli diceva: “Hai proprio ragione! Mio padre morirà con l’idea che non troverò mai marito. Ma in realtà non sà che il mio futuro marito sei tu…Non è vero, Ivan? ” e spesso sfoderando il più dolce dei sorrisi.
In quel momento gli occhi azzurro profondo dell’uomo si chiusero lentamente, quasi che questo gesto lo aiutasse a rammentare più dettagliatamente il suo passato.

Antiche immagini gli attraversarono la mente con una potenza inesorabile che mai si sarebbe aspettato.
In pochi minuti tornarono alla luce tutti quei ricordi che per molti anni aveva preferito dimenticare.

Ebbe un sussulto di dolore, il suo volto era divenuto una maschera di sofferenza. Il suo cuore adesso batteva più lentamente, si era quasi fermato. Il suo respiro lungo e profondo gli faceva pulsare violentemente il petto. L’uomo si sentiva sempre più nostalgico, addolorato, disperato.
Ormai risucchiato nel vortice di una così grande malinconia,  Ivan allungò molto lentamente la sua mano sinistra, ancora coperta dal guanto nero, verso il ritratto. Voleva, anzi, doveva toccare quel viso ancora una volta! Ma in quel preciso istante la candela, ormai esaurita, si spense in un soffio delicato.

L’uomo fu così avvolto dalla totale oscurità della notte che gli impediva di bere dalla sua personale fonte di vita; e in quel silenzio di tomba così profondo, egli elevò un urlo improvviso che gli proveniva dal fondo dell’anima, talmente potente che se soltanto avesse potuto avrebbe fatto tremare il castello dalle fondamenta.

Non aveva nulla di umano.

Sembrava un lupo affamato, che ululava alla luna. Ma dalla sua bocca, a differenza che dai lupi, sgorgarono parole straziate colme di disperazione –“Dove sei? Dove sei? Ti prego, Vittoria, torna! Ti prego!”- gridò.

L’uomo, schiacciato dal peso di quel dolore insopportabile, si accasciò sul ghiacciato pavimento di pietra come in preda a violente convulsioni, e graffiandosi il volto si abbandonò in singhiozzi disperati mentre alcune gocce di sangue cadevano a terra silenziose.

  
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