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Autore: goddessofnightmares    09/05/2015    0 recensioni
4 settembre
Caro diario,
oggi succederà qualcosa di terribile.
Non so perché l’ho scritto.
È pazzesco. Non ho nessun motivo per essere turbato, invece ne ho molti per essere felice, eppure…
Eccomi qui alle 5:30 del mattino, sveglio e spaventato.
Continuo a ripetermi che sono semplicemente sconvolto per la differenza di fuso orario tra la Francia e qua.
Ma questo non spiega perché mi sento così spaventato. Così perso.
L’altro ieri, mentre zia Jenna, Alison e io tornavamo in auto dall’aeroporto, ho avuto una sensazione stranissima. Quando abbiamo svoltato nella nostra via ho subito pensato: “Mamma e papà ci stanno aspettando a casa. Scommetto che saranno nella veranda oppure in soggiorno a guardare fuori dalla finestra. Avranno sentito tantissimo la mia mancanza”.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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4 settembre
Caro diario,
oggi succederà qualcosa di terribile.
Non so perché l’ho scritto. È pazzesco. Non ho nessun motivo per essere turbato, invece ne ho molti per essere felice, eppure…
Eccomi qui alle 5:30 del mattino, sveglio e spaventato. Continuo a ripetermi che sono semplicemente sconvolto per la differenza di fuso orario tra la Francia e qua. Ma questo non spiega perché mi sento così spaventato. Così perso.
L’altro ieri, mentre zia Jenna, Alison e io tornavamo in auto dall’aeroporto, ho avuto una sensazione stranissima. Quando abbiamo svoltato nella nostra via ho subito pensato: “Mamma e papà ci stanno aspettando a casa. Scommetto che saranno nella veranda oppure in soggiorno a guardare fuori dalla finestra. Avranno sentito tantissimo la mia mancanza”.
Lo so. Sembra completamente pazzesco.
Ma anche quando ho visto la casa e il portico vuoto mi sentivo in quel modo. Dopo aver fatto di corsa gli scalini, ho provato ad aprire la porta e ho bussato con il batacchio. E quando zia Jenna ha aperto la porta mi sono precipitato dentro e mi sono fermato nell’ingresso ad ascoltare, aspettandomi di sentire la mamma scendere dalle scale o papà chiamare dalla sua “tana”.
Proprio allora zia Jenna ha lasciato cadere la valigia sul pavimento dietro di me e con un enorme sospiro ha detto: «Siamo a casa». E Alison ha riso. Allora mi ha sopraffatto la sensazione più orribile che abbia mai provato in vita mia. Non mi sono mai sentito così totalmente perso.
Casa. Sono a casa. Perché sembra una bugia?
Sono nato qui a Mystic Falls. Ho sempre vissuto in questa casa, sempre. Questa è la mia solita camera, con la bruciatura sulle assi del pavimento dove io e Harry abbiamo cercato di fumare di nascosto in seconda media e ci siamo quasi soffocati. Se guardo fuori dalla finestra riesco a vedere il grande melo su cui James e i ragazzi si sono arrampicati per rovinare la serata tranquilla che avevo intenzione di passare di fronte alla play-station il giorno del mio compleanno due anni fa. Questo è il mio letto, la mia sedia, il mio cassettone.
Ma in questo momento tutto mi sembra estraneo, come se non fosse casa mia.
Sono io a essere fuori posto. E il peggio è che sento che la mia casa è da qualche parte, ma non riesco a trovarla.
Ero troppo stanco ieri per andare all’incontro di orientamento. Ashton ha preso per me il programma, ma non avevo voglia di parlare con lui al telefono. Zia Jenna ha detto a tutti quelli che chiamavano che soffrivo ancora per il jet lag e stavo dormendo, ma a cena mi ha osservato con una strana espressione.
Devo vedere la banda oggi, però. Dobbiamo incontrarci al parcheggio prima della scuola.
È per questo che sono spaventato? Ho paura di loro?

 
 
Luke Hemmings smise di scrivere. Guardò l’ultima riga e scosse la testa, la penna sospesa sul libricino dalla copertina di velluto blu. Poi, con gesto improvviso, alzò la testa e gettò penna e libro verso il grande bovindo dove rimbalzarono senza danni e atterrarono sul divano imbottito.
Era tutto troppo ridicolo.
Da quando in qua lui, Luke Hemmings, aveva paura di incontrare la gente?
Da quando in qua aveva paura di qualcosa? Si alzò e rabbiosamente infilò le braccia nel maglione sformato.. Non diede neanche un’occhiata all’elaborato specchio vittoriano sopra il cassettone in legno di ciliegio: sapeva cosa avrebbe visto. Luke Hemmings, bello, biondo e slanciato, all’ultimo anno di liceo, il ragazzo che tutte le ragazze volevano avere e tutti i ragazzi volevano essere. Che in quel momento aveva un’insolita espressione accigliata e le labbra serrate.
Con un bagno caldo e un po’ di caffè mi calmerò, pensò. Il rituale mattutino di lavarsi e vestirsi era rilassante, e lui se la prese comoda, scegliendo fra i nuovi abiti comprati a Parigi. Alla fine optò per una maglietta rossa ed un paio di calzoncini di lino bianchi abbinati che lo facevano sembrare un gelato panna e lampone. Abbastanza buono da mangiare, pensò, e lo specchio gli mostrò un ragazzo con un sorriso riservato. Le paure di prima erano svanite, dimenticate.
«Luke! Dove sei? Farai tardi a scuola!». La voce giungeva debolmente dal piano di sotto.
Luke si passò ancora una volta le lunghe dita affusolate tra i capelli lisci come seta. Poi afferrò il suo zaino e scese giù.
Alison, la sorellina di quattro anni, era a tavola in cucina a mangiare cereali, mentre zia Jenna bruciava qualcosa sui fornelli. Zia Jenna era quel tipo di donna che sembra sempre vagamente agitata; aveva un viso sottile e mite, e chiari capelli svolazzanti raccolti disordinatamente. Luke le diede un bacio sulla guancia.
«Buongiorno a tutti. Scusa ma non ho tempo per la colazione».
«Ma, Luke, non puoi uscire senza mangiare. Hai bisogno di proteine…».
«Prenderò una ciambella prima di scuola», disse Luke vivacemente. Baciò Alison sui capelli color stoppa e si girò per andarsene.
«Ma, Luke…».
«E probabilmento andrò a casa di Calum o di Ashton dopo la scuola, perciò non mi aspettate a cena. Ciao!».
«Luke…».
Luke era già alla porta d’ingresso. Se la chiuse dietro, troncando le lontane proteste di zia Jenna, e uscì sul portico.
E si fermò.
Tutte le brutte sensazioni del mattino lo assalirono ancora. L’ansia, la paura. E la certezza che qualcosa di terribile stava per succedere.
Maple Street era deserta. Le alte case vittoriane avevano un aspetto strano e silenzioso, come se fossero tutte vuote all’interno, come le case di un set cinematografico abbandonato. Sembrava che fossero vuote di persone, ma piene di strane cose che lo osservavano.
Ecco cos’era; qualcosa lo stava osservando. Il cielo non era blu, ma lattiginoso e opaco, come una scodella gigante sottosopra. L’aria era soffocante, e Luke era sicuro che degli occhi lo spiassero.
Intravide qualcosa di scuro fra i rami del vecchio melo davanti alla casa.
Era un corvo, appollaiato e immobile come le foglie ingiallite intorno a lui. Ecco cosa lo osservava.
Cercò di convincersi che era ridicolo, ma in qualche modo sapeva. Era il corvo più grosso che avesse mai visto, grassoccio e lucido, riflessi arcobaleno fra le piume nere. Scorgeva ogni dettaglio chiaramente: gli artigli scuri e rapaci, il becco acuminato, quell’unico occhio nero luccicante.
Era così immobile che poteva essere un uccello di cera quello appollaiato lì. Ma mentre lo guardava, Luke si sentì arrossire lentamente, con ondate di calore in gola e sulle guance. Perché stava… guardando lui.
Lo guardava come facevano le ragazze quando indossava un paio di skinny jeans o una maglietta aderente che metteva in evidenza i muscoli appena accennati. Come se lo spogliasse con gli occhi.
Prima di capire cosa stesse facendo, posò lo zaino e raccolse un sasso di fianco al vialetto. «Vattene via», disse, e sentì la sua stessa voce tremare di rabbia. «Via! Va’ via!». Con l’ultima parola lanciò il sasso.
Ci fu un tramestio di foglie, ma il corvo si alzò in volo illeso. Le ali erano enormi e rumorose come un intero stormo di uccelli. Luke si accovacciò, improvvisamente terrorizzato mentre il corvo volava direttamente sopra la sua testa e l’aria spostata dalle sue ali gli arruffava i capelli biondi.
Invece l’uccello si lanciò verso l’alto e volò in cerchio, una silhouette nera contro il cielo bianco. Poi, con un grido gracchiante, si diresse verso il bosco.
Luke si raddrizzò lentamente, guardandosi intorno imbarazzato. Non riusciva a credere a ciò che aveva appena fatto. Ma ora che l’uccello era andato via, il cielo sembrava di nuovo normale. Un leggero venticello agitava le foglie, e Luke fece un profondo respiro.
Lungo la strada si aprì una porta da cui uscirono molti bambini, ridendo.
Dopo aver sorriso loro, inspirò ancora, mentre una sensazione di sollievo lo pervadeva come la luce del sole. Come aveva potuto essere così sciocco? Era una bellissima giornata, piena di promesse, e non stava per accadere niente di male.
Non stava per accadere niente di male, tranne che avrebbe fatto tardi a scuola.
Tutta la compagnia l’avrebbe aspettato al parcheggio.
Poteva sempre dire che si era fermato a tirare un sasso a un barbone, pensò, e quasi si mise a ridacchiare. Questo si che avrebbe dato loro da pensare.
Senza voltarsi a guardare il melo, si incamminò il più velocemente possibile.
ANGOLO AUTRICE: è la prima fanfiction che pubblico qui soo.. spero vi piaccia. Lasciatemi qualche recensione, giusto per sapere cosa ne pensate e se ne vale la pena continuare. Alla prossima.
   
 
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