~Tutti, Heath~
Australia
1 gennaio 2008
Mezzanotte
-Buon anno!-
Il grido esplose dalla
folla come un unico potente boato che invase la notte.
Le persone stapparono le
bottiglie di spumante, scoppiarono palloncini colorati e si baciarono a
vicenda, sempre con un gran sorriso entusiasta sul viso. Tutti avevano riflessa
negli occhi quella trepida passione per le feste e quella speranza invincibile
che l’anno dopo sarebbe stato migliore di quello appena passato.
Solo un ragazzo, sulla
ventina, se ne stava in disparte, lontano dal rumore della festa, dal chiasso
fastidioso della gente. Seduto sulla riva del mare, con i piedi appoggiati alla
sabbia scura, fissava senza motivo la linea del mare all’orizzonte. Una sua
mano stringeva una bottiglia di champagne quasi piena, appena stappata.
Ne bevve un altro sorso
avidamente, senza pensare a quanto tempo gli sarebbe rimasto prima di diventare
ubriaco. Semplicemente portò la bottiglia nera alla bocca e mandò giù: l’alcool
gli rinfrescò la gola.
Si concesse una pausa, dopo
l’ennesimo sorso. Il mare era calmo, il silenzio assoluto: le persone avevano
smesso di gridare ed ora il loro mormorio sommesso non lo disturbava più. La
notte era completa: il cielo nero si susseguiva ininterrotto da un orizzonte
all’altro; la luna aveva deciso di non apparire. C’era solo un soffio di vento
che gli scompigliava i capelli di tanto in tanto, divertendosi a cambiare
direzione ogni volta.
Il ragazzo si chiese cosa
pensasse la luna. Così bella, luminosa, eppure non si era presentata in quella
grande occasione. Nell’ultimo giorno dell’anno si era nascosta dietro un
mantello nero per spiare senza essere vista, o forse per non vedere e basta.
Come lui. Che aveva
deciso di non venire, lasciandolo solo in balia dei futili discorsi di qualche
donna infedele o moglie tradita. Non c’era spazio, quella sera, in quel luogo,
per coppie felici. Solo uomini e donne insoddisfatti. Forse era quello il
motivo per cui lui aveva disertato: in fondo aveva una moglie e una
figlia, due bellissimi doni. Forse era felice.
Per qualche settimana si
era illuso che anche lui sentisse il bisogno di qualcosa di diverso,
qualcosa di maggiore, qualcosa di più intenso di una semplice famiglia. Aveva
creduto che gli facesse piacere passare del tempo in sua compagnia.
Probabilmente si era
sbagliato.
Sospirò, poi fece per
inghiottire un altro sorso.
Ma la sua mano venne
bloccata proprio quando la bottiglia stava per raggiungere le sue labbra. Un
braccio muscoloso afferrò il suo e lo riportò in basso, verso la sabbia.
-Non bere-.
La voce profonda lo
scosse. Un brivido gli percorse la schiena per tutta la sua lunghezza.
Chiuse gli occhi, per
ricacciare indietro le emozioni che sentiva salire in gola.
Sospirò ancora, dopo aver
trattenuto il respiro troppo a lungo.
-Heath-, respirò.
Pianissimo.
L’altro si sedette di
fianco a lui, incrociando le gambe, incurante dei pantaloni neri perfettamente
puliti.
Per un momento il silenzio
fu assoluto; anche il mare rese omaggio alla pace che invadeva il cuore del
ragazzo, acquietando il suo moto cantilenante.
-Che fai qui, Jake? La
festa è là dentro-.
Il giovane si voltò e per
la prima volta si concesse di ammirare l’uomo di fianco a lui. Guardava il mare
assorto, tanto che Jake si chiese se stesse davvero attendendo una risposta.
Pensò a cosa dire. E poi
optò per la pura verità.
-Aspettavo te…-, sussurrò.
Il biondo non si mostrò
sorpreso. Il suo sorriso dolce parve all’altro la cosa più bella mai vista.
Il vento passò tra i suoi
capelli lasciati crescere liberamente e poi giunse a Jake, trasportando il
profumo salmastro dell’acqua di fronte a loro.
-Perché non sei venuto
prima?-
Heath sospirò.
-Ho promesso ai miei che
avrei passato il capodanno con loro-, ammise, -E il capodanno comprende anche
la mezzanotte… Ho fatto più veloce che potessi-.
Jake arrossì per la sua
arroganza, grato alla luna che si era nascosta, rendendo invisibile il suo
imbarazzo.
-Ma io…-, tentò, -Non
volevo rovinarti il capodanno… Cioè, quando ti ho chiesto di venire… Insomma,
so che la tua famiglia viene prima e…-
L’australiano rise,
spiazzando l’amico.
-Non sei bravo a scusarti,
Jake-, sogghignò.
L’altro ammutolì, ancora
una volta vergognandosi per le sue parole.
L’amico non continuò.
Rimase in silenzio. E di nuovo quella strana quiete scese su di loro.
-Sono contento che tu sia
qui…-
Heath sorrise ancora. Era
irritante come rendesse ridicolo ogni suo gesto.
Ma le sue parole lo
colpirono. –Anch’io sono contento di essere qui-.
Jake si ritrovò le labbra
distese e arcuate verso l’alto senza accorgersene. La sua felicità andava più
veloce della ragione, precedendolo con reazioni inaspettate. Soddisfatto, si
distese sulla sabbia umida, sentendo il freddo del terreno a contatto con la
sua pelle nascosta dalla camicia.
Quando riportò gli occhi
sul compagno, lo vide intendo ad accarezzarlo con lo sguardo, seguendo la linea
del suo profilo magro.
Arrossì per l’ennesima
volta, affrettandosi a guardare da un’altra parte, a disagio.
Ma l’altro gli si accostò,
coricandosi accanto a lui, di profilo. Inaspettatamente prese ad accarezzargli
il petto con una mano, dolcemente, come una mamma con il figlio.
Jake deglutì, tentando di
pensare ad altro, sentendo il cuore prendere a battere pericolosamente troppo
veloce.
All’improvviso
dall’orizzonte nero partì una scia luminosa che esplose in alto con una stella
di luci. I fuochi d’artificio cominciarono a susseguirsi rapidissimi, inondando
di luce tutta l’oscurità.
-I fuochi…-
Jake lo sussurrò
inconsciamente e per un attimo Heath interruppe le sue attenzioni per osservare
lo spettacolo.
-Ti piacciono?-, chiese.
Il bruno annuì, distratto.
Poi abbandonò la testa all’indietro, mentre il collo iniziava a dolergli per
quella posizione scomoda.
Respirò lentamente,
godendo della freschezza che invadeva i suoi polmoni ogni volta.
-E’ arrivato il 2008…-,
mormorò Heath.
Nella sua voce c’era una
punta di tristezza che non sfuggì a Jake. Sollevò di poco il capo, per
osservare l’altro con un’espressione corrucciata scrutare lontano.
-Che c’è?-, chiese.
Heath sorrise stancamente.
-Ogni anno che passa
divento sempre più vecchio…-
Fu il momento del bruno di
ridere. Si lasciò andare, sentendo nelle parole dell’amico troppa angoscia.
-Cavolo, hai ventotto
anni, Heath!-, esclamò.
Ma l’altro non si unì alla
sua serenità malcelata.
-Tra due anni ne avrò
trenta, poi quaranta…-
A quel punto Jake cominciò
a preoccuparsi. Si resse sui gomiti per avvicinarsi al biondo e gli afferrò il
mento con una mano, facendolo voltare verso di sé. Lo fissò preoccupato, mentre
quello teneva gli occhi sul suo collo, tristemente.
-Ehi, Heath… Che c’è? Cos’è che ti preoccupa?-
Il silenzio che gli arrivò
lo investì come una ventata gelida.
-Heath, ti prego…-, lo
implorò, -Hai paura di invecchiare: è questo?-
Il biondo sospirò, poi
scacciò la sua mano e si alzò in piedi, facendo due passi verso il mare. Rimase
immobile, dandogli le spalle, con la testa china in avanti. E sembrava che
soffrisse infinitamente.
-Questo successo che
abbiamo, Jake…-, mormorò, -Non durerà. Ora siamo al massimo della fama, siamo
stati candidati all’oscar, abbiamo recitato ruoli importantissimi nel mondo del
cinema… Ma tra qualche anno cominceremo a diventare vecchi e saremo stanchi,
non potremo più interpretare quello che vorremmo, verremo gradualmente scartati
e poi dimenticati…-
Jake era rimasto a bocca
aperta.
-Ma Heath, noi…-
-Aspetta-, lo interruppe
l’altro, -Sarà così, esattamente come dico io. Non ci hai mai pensato?-
Il ragazzo ancora seduto a
terra restò per un attimo senza parole.
-Ma Heath… Abbiamo ancora
tanti anni di carriera davanti a noi, no?-
-E dopo?-, lo incalzò
l’australiano.
-Poi…-, tentennò, -Heath…
E’ normale invecchiare: è ovvio, non si può cambiare il corso della natura…-
L’altro non ribatté. Restò
in silenzio, la testa ancora incassata pesantemente tra le spalle possenti.
Jake sospirò, sentendosi
come Jack Twist davanti ad Ennis. Si alzò puntellandosi con un ginocchio a
terra e raggiunse l’amico. Gli sfiorò timidamente una spalla e, quando non vide
reazioni negative, lo abbracciò, circondandogli il petto da dietro.
-Heath, su… E’ capodanno che ti
fa quest’effetto, vero?-, ridacchiò.
Finalmente il compagno si
lasciò andare ad una flebile risata. Jake sentì la sua schiena muscolosa
rilassarsi un po’.
Felice, si accoccolò
contro la sua pelle sotto la giacca nera, appoggiando una guancia sulla sua
schiena. In silenzio, respirò il profumo dell’altro, sperando che quel momento
fosse più lungo possibile.
-Jake…-
Il sussurro di Heath era
pieno di dolore, di nuovo.
-Dimmi…-
-Scusa, è che… Ho paura…-
L’americano affondò meglio
la testa contro di lui.
-Di cosa?-
-La vita è così breve e…
Ho paura di sprecarne ogni attimo sbagliando le mie scelte…-
Jake sorrise non visto. –E
allora fai le scelte giuste…- mormorò.
Heath sentì in quelle
parole un’allusione fin troppo chiara. Ma fu tentato di provare la decisione
dell’amico.
-E quale sarebbe la scelta
giusta?-
Jake sentì un groppo
stringergli la gola, rischiando di farlo soffocare.
-Io-, rispose pianissimo,
mentre una parte di lui sperava che Heath non sentisse.
Per un momento pensò che
davvero l’amico non avesse udito la sua risposta, perché rimase in silenzio.
Solo il vento interruppe i loro pensieri, facendoli rabbrividire.
Poi l’australiano si
voltò, sciogliendo quell’abbraccio che li aveva uniti per un po’. Jake sentì il
freddo invaderlo; non ebbe coraggio di guardare in faccia l’amico. E si
vergognò tantissimo di quello che aveva detto.
Heath aveva una moglie e
una figlia. Doveva mantenere una famiglia, non solo con i soldi, ma con
l’affetto e la presenza di un padre. E lui era il padrino di sua figlia. Invece
di aiutarlo, gli aveva appena chiesto di tradire tutto questo per stare con
lui.
Prima che l’altro potesse
dirgli qualunque cosa, parlò.
-Scusa, Heath, io non…-
-Stai zitto-.
Le sue parole lo colpirono
al petto.
E alzò lo sguardo.
Ciò con cui si scontrò, fu
un sorriso timido. Ma sereno.
-Te l’ho già detto, Jake-,
soffiò Heath, -Non sei bravo a scusarti…-
L’americano abbassò lo
sguardo a disagio, l’ennesima volta quella sera, ma l’amico gli prese il mento
tra le dita e lo sollevò, facendolo scontrare con i suoi piccoli occhi.
-Stupido…-, mormorò.
E Jake ebbe solamente il
tempo di respirare una volta ancora. Poi sentì le labbra del compagno posarsi
sulle sue.
In quell’attimo si accorse
di averle desiderate da troppo tempo. Aveva sempre represso quell’impulso nella
sua coscienza, ma da quel momento magico sul set di Brokeback Mountain il
sapore mielato delle labbra di Heath l’aveva tormentato ogni giorno.
Colto alla sprovvista
dalle proprie sensazioni, portò le mani alla nuca di Heath, spingendo il suo
viso contro il proprio, per affondare totalmente in quel magnifico sapore. La
sua lingua invase la bocca dell’altro senza chiedere permesso, mentre l’istinto
prendeva il sopravvento su tutto.
Si staccò quando
l’ossigenò non arrivò più al cervello e il bisogno di prendere aria si fece
troppo intenso.
Rimase ad ansimare con la
fronte appoggiata al petto dell’altro, cercando di non rendersi conto di ciò
che aveva fatto.
Ma fu Heath a chiarire la
situazione. Le sue mani, rimaste fino ad allora sulla sua schiena, si mossero
delicatamente verso il suo petto. Con una spinta lo gettò a terra e si distese
su di lui.
Ci sarebbe stato solo un
attimo di lucidità ancora. E Jake lo sfruttò.
-Nessuno verrà a
cercarti?-, chiese.
Heath sorrise, con gli
occhi incollati alle sue labbra perfette.
-Nessuno-, mormorò, con
voce roca. Sensuale, terribilmente sensuale.
Jake non resistette un
attimo di più. Catturò all’istante le labbra del compagno e sperò di non
lasciarle mai più.
Heath ricambiò con foga.
Le sue mani corsero alla camicia, cominciando a sbottonarla.
Il ragazzo sentì le mani
del biondo armeggiare sul suo petto e quella fu l’ultima sensazione che riuscì
a ricordare.
Il resto sarebbe rimasto
chiuso in quella notte.
Perché quella non era la
scelta giusta: sarebbe rimasta sepolta tra i loro respiri e sguardi, nel
ricordo di un anno appena cominciato.
Non era la scelta giusta,
no. Ma probabilmente fu la migliore mai presa, per Heath.
-Credi che Dio esista?-
Jake rise, colto alla
sprovvista. Si strinse di più all’altro.
-Che domande difficili
questa sera…-, mormorò.
Heath lo ignorò.
-Forse ha deciso lui che
noi due ci incontrassimo-.
L’americano sbuffò
infastidito.
-Può darsi-, ammise,
sperando di placare la sete di conoscenza dell’altro.
-Quindi ci credi?-
Jake si arrese.
Probabilmente quella notte Heath aveva deciso di dare una riposta alle domande
sepolte nell’uomo da milioni di anni.
-Io credo che ci sia
un’entità sovrannaturale, questo sì…-
Il biondo sorrise.
-Dici che quindi ci sarà
qualcosa dopo la morte?-
Jake si fermò un attimo
pensieroso. Poi alzò le sopracciglia.
-Beh, qualcosa sì-.
Heath portò un braccio
attorno al compagno, cercando di avvicinarlo di più a sé. Quello lo lasciò
fare, per niente infastidito.
Si godette gli attimi di
silenzio che seguirono, ascoltando il quieto respiro dell’altro, pensando che
si fosse addormentato.
Ma una sua nuova domanda
improvvisa gli fece capire di essersi sbagliato.
-Pensi che i suicidi
possano avere il paradiso?-
Jake sorrise, baciando la
pelle dell’australiano, sentendolo come un bambino insicuro e tormentato.
-Tutti hanno diritto al
paradiso, Heath. Perché non posso credere che Dio ci abbia creati per spedirci
all’inferno-.
L’altro non rispose.
E Jake si chiese se avesse
risposto con sincerità.
Senza sapere che avrebbe
portato il ricordo di quelle parole con sé per sempre.
Australia
23 gennaio 2008
20.15
Tutti erano radunati sulla
spiaggia, ridevano e cantavano intorno al fuoco.
Ogni tanto, solo qualche
volta, nei discorsi appariva il suo nome. Si posava come un fantasma
sulle fiamme arancio e oro, poi scompariva di nuovo. Per tornare solo molto
tempo dopo, sulla bocca di qualcun altro.
Lui non sarebbe tornato più. Era scomparso poco tempo
prima, nella sua stanza d’albergo a New York, lontano dalla terra natia, senza
nessuno. I giornali si contendevano le cause della sua morte, trovando
divertente sputargli addosso le peggiori accuse.
Lontano dalla spiaggia,
dal fuoco e dai discorsi allegri, solo un ragazzo sulla ventina. Restava seduto
sotto un albero, con la schiena appoggiata alla corteccia e gli occhi chiusi.
Cercava di trattenere il dolore che voleva fargli esplodere il petto.
Non aspettava nessuno.
Quella sera, in quelle ore
che si trascinavano troppo lente, tentava solamente di riacciuffare qualche
ricordo lontano, rivisitarlo accuratamente e poi gettarlo via prima che il
dolore lo straziasse del tutto.
Aveva provato a rimanere a
guardare quel volto sorridente nei suoi pensieri. Aveva provato a mantenerlo
vivo sotto le sue palpebre per più di qualche minuto. Ma alla fine si era
ritrovato riverso a terra, ansimante, con il sudore che gli imperlava la fronte
e uno schiacciante dolore allo stomaco. Aveva rischiato di vomitare già una
volta o due.
Ora lasciava semplicemente
la testa riversa all’indietro e cercava di concentrarsi sul proprio respiro,
per far sì che le ore passassero velocemente e il momento di tornare a casa si
facesse più vicino.
Quel luogo, quella
spiaggia erano troppo da sopportare.
La sua morte era
già abbastanza.
Ma tornare lì, dove per la
prima volta Heath aveva lasciato che l’istinto prendesse il posto della
ragione, quello era impossibile da mandare giù. In quella terra selvaggia ogni
pianta aveva il suo profumo, ogni fiore il suo aspetto, ogni persona una parte
di lui.
Michelle e sua figlia
avevano bisogno di sostegno, si era detto. Ed era partito con loro.
Ma era stato un enorme
errore. In quel momento probabilmente era l’unico a capire cosa volesse dire
realmente perdere Heath Ledger. Cosa significasse veder sparire il suo sorriso,
il suo profumo, il suo tocco, il suo talento.
In un attimo, per una
combinazione mortale di farmaci. Per un avvelenamento accidentale.
Ma Jake Gyllenhaal non
riusciva a togliersi dalla testa che la colpa fosse sua.
Nella sua mente il ricordo
di quelle parole, la notte del primo dell’anno. Pensi che i suicidi possano
avere il paradiso? – Tutti hanno diritto al paradiso, Heath. La sua
risposta aveva convinto l’amico. Lo aveva servito alla morte su un piatto
d’argento.
Tutti. Quella parola risuonava nella sua mente con il
terrificante sapore della condanna.
Il dolore tornò ad
invaderlo nella sua piena potenza. Colto in fallo, senza protezione, si piegò
su se stesso, tenendosi la gola con le mani. Un conato lo scosse terribilmente,
seguito da un brivido.
Quando tornò a respirare,
cercò di non ritornare sui suoi sensi di colpa. Lo avrebbe fatto quando il
dolore non sarebbe stato così fisico.
La sua mente avrebbe avuto
sempre tempo, dopo, di soffrire. Di patire la giusta pena.
Tentando di distrarsi,
lanciò un’occhiata in direzione della spiaggia.
Il falò si stava
spegnendo, ma si sentivano ancora i mormorii sommessi delle persone. La gente
si stava coricando in cerchio, sorridendo serenamente, godendo di ricordi
tranquilli, che non portavano alcuna tristezza, per quel giorno.
Jake avrebbe voluto poter
ricordare Heath con il sorriso sulle labbra, come loro. Ma sapeva che non ci
sarebbe riuscito.
Sospirò. E un attimo dopo
sentì una mano sulla spalla.
Si voltò di scatto: negli
occhi la speranza di vedere quella persona dietro di sé.
-Scusa, Jake, non volevo
disturbarti…-
Il ragazzo sospirò ancora.
-Niente, tranquilla-.
La madre di Heath gli si
sedette accanto, restando in silenzio a contemplare insieme a lui il sereno
quadretto della spiaggia.
-Non sei andato insieme a
loro?-, chiese a un tratto.
Il giovane scosse la
testa. La donna sorrise, con il dolore impresso come un marchio nelle iridi
cerulee.
-Sai, Jake, prima di
morire, un giorno di inizio gennaio, Heath mi disse una cosa-.
L’americano si voltò verso
di lei, con il cuore stretto in una morsa.
-Prima di partire per
tornare in America, mi abbracciò e sussurrò: “Ho sempre pensato che fare le
scelte sbagliate fosse come sprecare tempo prezioso della propria vita. Ma Jake
mi ha dimostrato che ero in errore…” E se ne andò-.
Jake sentì le lacrime
pungere ai lati degli occhi. Prese a tremare incontrollato e iniziò a piangere
silenziosamente.
La donna lo guardò senza
compassione.
-Ora… Non so come tu sia
riuscito a fargli cambiare idea, ma sono contenta che ti abbia ascoltato-.
Jake si voltò,
asciugandosi le lacrime sulle guance con la manica della camicia.
Fissò un momento la donna,
poi la abbracciò senza preoccuparsi di nulla. Lei lo accolse senza dire una
parola e iniziò a cullarlo, mentre il ragazzo piangeva sul suo petto.
-So quanto fa male, Jake-,
mormorò, -Ma sono sicura che dov’è adesso Heath sta meglio. Non dobbiamo
piangere per lui. Sono certa che da lassù ci guarda e ride della nostra
stupidità… Te lo immagini? “Scemi, sono qui!”-
Jake rise sommessamente
tra le lacrime.
-E’ vero-, mormorò.
Senza sciogliersi
dall’abbraccio smise di piangere.
Pensò che Heath non aveva
cessato di sorridere, di toccare, di avere talento. E aveva sicuramente ancora
quel dolcissimo profumo addosso. Semplicemente si era stancato di stare lì tra
loro. Era sempre stato un tipo inappagabile…
Anche se non potevano
vederlo, Heath sarebbe vissuto per sempre. Senza invecchiare, come desiderava.
Sarebbe rimasto nelle
pellicole, nei cuori della gente, nel sorriso di sua figlia, negli occhi dei
suoi amici.
E sicuramente una parte di
lui anche a Brokeback Mountain. Per sempre.
---
Ciao a tutti! ^.-
Questo è ciò che capodanno
mi ispira: credo che non sia da precisare il fatto che odio capodanno… ^^
Se avete letto, per
favore, commentate! Ho messo tutta me stessa in questa storia… Lasciate un
commentino, per piacere!
Vi prego, devo mettermi in
ginocchio? ç-ç
Confido nella vostra
gentilezza…
Grazie a tutti.
Aki