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Autore: FreddiePie    10/05/2015    0 recensioni
Jack vola alto nel cielo e desidera con tutto se stesso riacquistare i suoi ricordi.
Ma se quei ricordi portassero anche nostalgia e rimpianto? Forse sarebbe meglio vivere nell'inconsapevolezza del proprio passato, perché è una parte della sua vita a cui non potrà mai più ambire.
//Nato come gran finale di una mia fanfiction è invece diventato un piccolo epilogo su Jack Frost… Doveva essere il colpo di scena che avrebbe lasciato a tutti dell'amaro in bocca, e invece eccolo qui, buttato nel grande cesto delle one shot.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- L'epilogo di una lunga storia -

"Jack, quando sarà tutto finito anch'io ti devo parlare, ma non, non adesso." 

"A dopo allora?"

"A dopo." 

Ma il dopo non era mai arrivato



Buio, è la prima cosa che ricordo. Era buio e faceva freddo.

Avevo paura, ma poi... poi ho visto la luna: era così grande, così luminosa; sembrava cacciasse via il buio. E a quel punto non ho avuto più paura.

Il freddo aveva cullato il mio riposo fino a che la luna non aveva accolto il mio risveglio.

Mi guardava e mi parlava, mentre io non sapevo né dove fossi né tanto meno quale fosse il mio scopo.

Non ero nessuno, ma la luna mi disse di alzarmi. E io mi alzai. Mi disse di volare. E io mi librai in aria.

Da quell'altezza capii di essere finalmente libero. 


Adesso continuo a guardare giù nelle case e vedo i bambini giocare a palle di neve in giardino. Felici.

C'è voluto un po' prima che accettassi l'idea di non poter essere visto né toccato.

Una volta mi sono fermato davanti a una scuola: i ragazzi si divertivano mentre giocavano con la neve che avevo creato apposta per loro. Era stato bello vederli lottare scherzosamente nella neve, ma avrei preferito di gran lunga essere lì con loro. Essere visto, almeno per una volta.


Perché sono qui e qual'è il mio scopo non l'ho mai saputo, e parte di me si chiede se lo saprò mai. 

Il mio primo ricordo inizia con la luna, prima di quello: il nulla. Non ricordo chi sono o qual'è il mio passato. 

Mi limito a volare alto e a portare scompiglio nelle città con il mio gelo… ma mi domando se prima o poi succederà qualcosa, qualsiasi cosa, che curerà questo mio essere incompleto. Cosa mi manca? Forse i miei ricordi.

Vedo una finestra aperta e mi incuriosisco, dentro c'è ancora la luce accesa nonostante sia notte fonda.  

Scosto leggermente le tende ed entro. E' la camera di una bambina e lei è seduta sul letto: ha due trecce fulve e sta sfogliando un libro illustrato. 

E' così carina e ha una sguardo dolcissimo. 

Mi siedo accanto a lei e leggo ad alta voce la prima riga del suo libro. «"... E insieme al cavaliere la principessa cavalcò verso l'orizzonte." Sei una romanticona, eh, piccola?» Le pongo quella domanda quasi per gioco, convinto del fatto che lei non possa sentirmi, ma succede qualcosa che mi lascia senza parole: la bambina ha smesso di leggere e mi sta guardando. Colto dalla sprovvista indietreggio spaventato e inciampo su un cumulo di giocattoli sparsi a terra. D'istinto mi aggrappo alla tenda per non cadere ma finisce che me la porto giù con me. Il tutto provoca un gran trambusto che dal piano di sotto spinge una donna a chiamare preoccupata la figlia. «Anna, tutto bene?»

«Sì mamma, tutto bene!»

Per qualche secondo ci guardiamo negli occhi. Lei ride, io rido, ed entrambi ci mettiamo a sghignazzare per la mia troppa goffaggine.

Come fa a vedermi? Mai, in tutti quegli anni, nessuno era riuscito a vedermi. Nessuno aveva creduto abbastanza in Jack Frost. Lei sì.

«Come ti chiami?» mi chiede per nulla spaventata.

«Jack Frost. E… tu?» Quasi fatico a parlare con lei. Mi sono talmente abituato alla solitudine che adesso socializzare mi sembra quasi innaturale…

«Mi chiamo Anna. Sei il folletto del gelo come dice la mamma?»

Mi scompiglio i capelli scherzosamente e faccio un balzo in aria piroettando sulla sua testa. «Sì, sono proprio io, il folletto del gelo!»

«Mi piace la neve.» Fa un sorriso e mi porge il libro che stava sfogliando. «Mi leggi una storia?»

Atterro accanto a lei e prendo in mano quel suo libro. E' così bello poter toccare di nuovo con mano qualcosa. «Certo.»

Stringo tra le mani la copertina rigida e ne sento la ruvidezza. Una sola bambina che crede in me e subito posso toccare gli oggetti. Finalmente non ci passo più attraverso.  

«"C'era una volta, tanto tempo fa, una principessa imprigionata in una torre da un drago terrificante. Un giorno passò lì per caso un cavaliere in sella al suo bianco destriero e..." ehi, che hai?»

Il suo volto è grigio e spento, si sforza di ascoltare il mio racconto ma evidentemente c'è qualcosa che la turba.

«Anche a mia sorella piace la neve.» mi dice. «E anche lei ha i capelli come i tuoi. Però lei è triste. E mi odia.»

«Ti odia?»

«Non mi vuole più parlare...»

Guardo la sua espressione triste mentre giocherella con la fodera del cuscino. «Sono sicuro ch...» Ma non finisco di parlare che una porta si apre ed entra una ragazza: ha una camicia da notte rosa e i capelli castani sono raccolti in una treccia che le ricade sulla spalla.

La sua bellezza è paralizzante. 

«Anna, con chi stai parlando? Coricati che è tardi.» La madre si avvicina e bacia la figlia sulla fronte. 

«Mamma, c'è il folletto della neve!» le dice la piccola, trattenendo la donna per la veste.

«Il folletto della neve? Allora speriamo che domani non ne faccia scendere troppa!»

«Ma veramente!» insiste Anna guardando la madre che intanto si avvia alla porta. 

Mi alzo e decido che è ora di andare. Faccio un cenno alla piccola per salutarla e mi preparo per spiccare un salto dal davanzale. «Folletto, no! Mamma, è lì, ma non lo vedi?»

«Anna, tesoro, qui non c'è nessuno.»

«Ma ci siamo parlati!» insiste la piccola. «Folletto, diglielo!»

La madre prova a guardare nella direzione in cui sta guardando insistentemente la figlia, dove mi trovo io, ma dal suo sguardo capisco che vede soltanto la finestra aperta dietro di me. 

Perché questa bambina è l'unica che riesce a vedermi?  

«Anna, solo tu puoi vedermi.» le dico. «Adesso però devo andare. Tornerò domani, promesso Ed è vero, sono intenzionato a tornare da lei, voglio tornare dall'unica persona con cui posso parlare. 

La saluto nuovamente e mi giro verso la finestra. La madre intanto le mette una mano sulla spalla. «Non c'è nessuno qui.»

«Jack!» mi chiama. «Domani torni... E' una promessa?»

Proprio nel momento in cui la madre sente udire il mio nome si blocca vicino alla figlia, la mano immobile sulla sua spalla. E' senza parole. «Cos'hai detto? Con Jack? Stai parlando con Jack?» 

Anna ed io la guardiamo senza capire. Perché solo dopo aver sentito il mio nome reagisce così? E' davvero possibile che quella giovane donna conosca me o il mio passato?

Si guarda intorno e si mette a chiamare il mio nome. «Jack, Jack, sei qui? Mi senti?»

Sono un po' frastornato: chi è questa ragazza?

«Jack, sono io! Jack, dove sei?» Mi cerca nella stanza e per un attimo indugia nell'angolo dove mi trovo, ma subito guarda oltre. Non mi vede.

«Ma... chi sei?» Mi avvicino a lei e cerco nel suo viso, nei suoi occhi verdi, in ogni suo lineamento qualcosa che possa darmi un indizio. Qualcosa che mi dia la risposta a questo senso di malinconia inspiegabile che sto provando.

Dai Jack, rifletti… dove l'hai già vista? Mi proietto intensamente nei suoi occhi e per un attimo vedo una risata. Lunghi capelli biondi sono stesi sull'erba. Quelli stessi occhi su una ragazzina un po' più piccola che mi sorride dolcemente accarezzandomi la guancia. "E' tutto apposto Jack, ci sono io. Non serve più aver paura del freddo se ci sono io a riscaldarti." 

Sì, mi ricordo. Mi ricordo tutto. Mi ricordo Emily e mi ricordo mia madre.

Mi ricordo di una ragazza con i capelli scomposti ed arruffati, e di un ragazzo che cavalcava un elegante drago nero. Merida ed Hiccup. I miei due amici. 

E Rapunzel. 

"Jack, quando sarà tutto finito anch'io ti devo parlare, ma non, non adesso." 

"A dopo allora?"

"A dopo." 

Ma il dopo non era mai arrivato, perché? Ah sì, perché ero morto.

Sono morto.

Adesso ce l'ho davanti a me, più bella e splendida che mai nei suoi capelli castani. 

Non può vedermi... né sentirmi... né toccarmi.

«Punzie...» la chiamo in un sussurro. Le parole sembrano uscire dalla mia bocca quasi da sole. 

Non sembra sentirmi. Tendo una mano sulla sua guancia ma l'attraverso senza toccarla veramente. Disperatamente ritento con l'altra mano ma anche questa volta niente. E' così frustante rivederla senza poter essere visto o senza poterla toccare.

«Mamma, vi conoscete?» chiede Anna. «Perché non lo vedi?»

Lei si gira verso la figlia. «Dov'è adesso?»

«Proprio davanti a te.»

Rapunzel gira lentamente la testa verso di me e le lacrime incominciano a rigarle le guance. 

Ad un tratto si sente la porta della stanza cigolare e si vede un volto spuntare da fuori. «Punzel, si è addormentata Anna? Che succede?»

Entra nella stanza e lo riconosco: Eugene. 

«Niente. Adiamo.» Rapunzel gli va incontro e insieme escono dalla stanza, ma prima che possa chiudere la porta rivolge di sfuggita un'ultimo sguardo veloce alla stanza, come se sperasse di vedermi. Pochi secondi dopo chiude la porta e scompare.

Si è messa con lui. Ha avuto una figlia con lui. La rabbia mi scorre nelle vene e vorrei tirare un pugno a qualcosa. Se solo il mio corpo non passasse attraverso tutto.... Ah no, aspetta, ora non è più così. Con frustrazione tiro un pugno alla parete e sento le nocche spaccarsi. Mi ero dimenticato di quanto potesse far male un pugno sul muro. «AHIA!» dico e denti stretti e scuotendo la mano dolorante.

«Perché l'hai fatto? Vi conoscete?» domanda Anna.

Io sospiro. «Andavamo a scuola insieme… eravamo amici.»

«Conoscevi anche zia Merida e zio Hiccup?»

Sorrido nel ricordarli. «Sì, li conoscevo un po'.»

«Anche papà?»

Serro i pugni. «Sì, anche lui.»

«E come vi siete conosciuti?» mi chiede Anna con occhi luccicanti. Cavolo, i suoi stessi occhi luccicanti.

«Ehm…» Mi sforzo di riportare alla mente la prima volta che il mio sguardo si è scontrato con quella meteora. Difficile, come faccio a trovare un ricordo in mezzo a centinaia di altri ricordi? «Penso sia stato in biblioteca. C'erano delle ragazze che la prendevano in giro per i suoi capelli e io l'ho aiutata. Ricordo che la prima cosa che notai furono i suoi occhi. Così penetranti… Poi da piccola aveva un viso così piccolo e tondo che quegli occhi così enormi erano un po' troppo sproporzionati per il suo volto.»

Mi ritrovo a sorridere come uno stupido. Scuoto la testa e m'impongo di non pensarla.

«Cos'avevano di male i suoi capelli?»

«Erano bellissimi.» rispondo soprappensiero. Altra scrollata di testa «Cioè, voglio dire, erano un po' lunghi.»

«Oh, è vero! Mamma mi ha detto che li aveva biondi prima. Ma come…»

Non posso stare ancora lì. E' doloroso. 

Mi vedo costretto a zittirla. «Scusa Anna, ma devo proprio andare ora. Tornerò presto a trovarti. Promesso.»

Lei mi saluta e spicco il volo. Il cielo e così buio che la luce di una finestra attira nuovamente la mia attenzione - come una falena seguo quella luce. 

Rapunzel ha il gomito appoggiato sul cornicione della finestra e la testa appoggiata nella mano. Ha lo sguardo perso nelle stelle.

"No, Jack. Non andare. Ti farai solo del male!" dico a me stesso, ma per qualche strana ragione sto volando verso di lei.

"Cosa fai, no! Non andare da lei!" Zittisco la voce nella mia testa e mi fermo proprio davanti a lei. 

«Accidenti… vedimi!» dico infuriato.

Ancora i suoi occhi sono rivolti al cielo. Non mi vede, neanche se lo desidero con tutto me stesso.

«Non importa, io te lo dico.» Mi siedo fluttuando nell'aria e inizio a parlarle, un discorso che vorrei fare a lei ma che è più diretto a me stesso. «Fino ad ora mi sono sempre limitato a volare sulla città. Chi fossi o chi fossi stato non mi importava. Stavo bene, ok? Poi decido di entrare in quella maledetta camera e incontro te. Basta uno sguardo per ricordare tutto e mettermi addosso un peso che non so sopportare. Accidenti. Ti odio. Cioè, no, non ti odio… ma vorrei soltanto che tu potessi vedermi… almeno questo. Non mi importa essere visto da altre persone… ma almeno tu… ti prego, guardami…»

Metto una mano sopra la sua e lei sussulta. Per un momento penso che abbia percepito il mio tocco, ma sono solo brividi per il freddo che la fanno sussultare. 

«Per un momento… ho pensato che mi avessi toccata.» Si guarda la mano sulla quale ho appoggiato la mia e sospira. «E' una cosa stupida, no? Tu non ci sei più… e anche se ci fossi non potrei vederti… Quindi preferisco che non ci sei. Sarebbe troppo dura sapere che sei qui, accanto a me, ma non posso vederti.» Prende fiato ed inizia a piangere. «Accidenti… fatti vedere!»

I suo occhi, che intanto stavano scrutando il cielo alla mia ricerca, si fermano proprio dove mi trovo io. Mi guarda, io la guardo, e poi scoppia in lacrime mentre allarga le braccia per abbracciarmi.

Io rimango senza parole mentre sento le sua braccia passarmi attraverso. 

Mi potrà anche vedere adesso, ma non può toccarmi. Io non esisto. Non più almeno.

«Ma... ma... Jack.» Pronuncia il mio nome con un tono della voce caldo ed amorevole, asciugandosi le lacrime che le rigano le guance.

«Ehi.» saluto con un cenno impacciato della mano.

«Ehi.» ripete lei tra un singhiozzo e una risata.

Ci guardiamo intensamente negli occhi.

«Merida ed Hiccup stanno bene.» mi informa lei, non togliendo neanche per un secondo gli occhi dai miei. «Si sposano.»

«Oh.»

«Sono molto felici.»

«Sono contento per loro.»

Ma per quanto ci sforziamo di interessarci a loro, sappiamo bene entrambi che non è la cosa di cui vogliamo parlare veramente. In questo momento ci siamo solo io e lei.

«Hai... una figlia. Ti sei messa con Eugene?»

«Due figlie» mi corregge. «Elsa ed Anna

Giusto, Anna mi aveva parlato di una certa sorella.

Ad un tratto cerca di dire qualcosa, ma l'esitazione la blocca. Si guarda i piedi scalzi e poi finalmente confessa. «Mi sono sposata con Eugene...»

L'avevo già intuito, ma è ugualmente una pugnalata al petto. E ogni secondo che passa la lama affonda sempre di più nella carne viva. O meglio, morta.

«Sono felice per la tua famiglia... Cioè, sono felice per te.»

Prende aria nei polmoni e tutto d'un fiato mi dice  «Elsa non è sua figlia.» 

«In che senso?»

«Sai… è così solitaria… spaventata da se stessa e dal suo potere. Come lo era…ehm, come lo è il padre.»

E il mondo sembra di nuovo precipitare. Continuo a cadere e sento un peso che mi soffoca. Mia figlia? Mia? Io ho una figlia? Sì, io ho una figlia!

«Dovresti vederla... mi ricorda sempre più te.»

Elsa. Ripeto questo nome come fosse una poesia, una bella poesia. Elsa, mia figlia.

«E' tardi per noi...» dice con una sofferenza tale che quasi le toglie il respiro e le si strozza in gola. «Ma per lei no. Ha bisogna di te.»

«Cos'ha?»

«Le stesse preoccupazioni che avevi tu... ha paura di ferire le persone che ama con il suo gelo.»

Mi proietto nella mia casa tutta ricoperta di neve: un bambino che non riusciva ancora bene a gestire il suo dono, e s'isolava perchè aveva paura di poter ferire qualcuno...«Ci sarò sempre per lei.».

Ci guardiamo un interminabile minuto poi lei bisbiglia «Ora come ora vorrei essere egoista, sai?»

«In che senso?» le chiedo, ma so benissimo a cosa si riferisce. Lasciarci alle spalle Elsa ed Anna, la mia morte, e tutte le altre cose che ci separano in questo momento, per dedicarci completamente a noi due. Ma no, per quanto lo desideri anch'io, non possiamo essere egoisti.

«Lascia stare.» Con la mani prende a strofinarsi le braccia nude cercando di riscaldarsi dal freddo. Già, è pieno inverno e lei è mezza nuda all'aperto; per di più vicino a me.

Cerca di trattenersi dal tremare, ha sempre fatto così. Ogni volta che la congelavo perché mi stava troppo vicina faceva sempre finta di star bene. Volava essere forte per me, per non farmi sentire un completo disastro. Per quanto io la riesca a congelare ogni volta, lei farà sempre e comunque finta di non patire il freddo.

La mia Punzie. 

«Scusa...» mi scappa dalle labbra quasi in un sussurro.

Lei alza lo sguardo e corruga la fronte. «Per cosa? Perché pensi di congelarmi o perché sei morto?»

"Forse per entrambe le cose" penso.

«Non ho mai avuto freddo con te. E per l'altra cosa... beh, se chiedi un'altra volta scusa per questo ti stampo un pugno su quella faccia da cretino che ti ritrovi.»

Si avvicina e mi guarda. Piano piano sento il suo respiro sulla guancia e prima che possa mettere a fuoco cosa sta succedendo lei ha già posato le sue labbra sulle mie. 

Niente. 

Non sento niente. 

Il mio corpo è come un fantasma, solo una stupida proiezione fatta di ricordi e senza sostanza.

«Valeva la pena tentare» mi sussurra con le lacrime agli occhi. «E' meglio che tu vada, Jack Frost, o finisce che impazzisco del tutto.»

Mi lancia un dolce sorriso malinconico e scompare dentro casa. 

Mi ero innamorato di una biondina, ma ora non posso fare niente davanti all'evidenza di quei capelli scuri: nulla è più come prima. 

Lei ha la sua vita ed io non ho più la mia. Posso limitarmi a guardarla da lontano, perché è l'unico desiderio che posso permettermi adesso. 

Dio, vorrei perdere i ricordi un altra volta, così da non pensare più a quest'evidente muro che ci separa. 

Non mi resta che volare sulla città. Tornerò domani per vedere Elsa ed Anna, ma non ho intenzione di vedere più Rapunzel. Quello di poco fa è stato l'addio che non abbiamo mai avuto il tempo di avere.

Addio Rapunzel.



 
Momento Icananas:

Eccoci qui, con questa piccola one shot nata per essere il gran finale della mia fanfistion "I quattro guardiani di Hogwarts". Una fanfiction che ho deciso però d'interrompere. Non sono più motivata e non riesco più a scriverla. Peccato, perché gran parte degli intrecci che avevo progettato erano veramente ganzi! (?) 

In più, insieme alla voglia di continuarla sono andati calando anche gli ascolti quindi… questo è un'addio. Icananas è morta, e con lei anche i quattro guardiani.

E niente, spero che questa mia piccola one shot ti abbia fatto arrivare al cuore di Jack Frost - sì, dico proprio a te, lettore silenzioso - e spero anche che ti abbia lasciato qualcosa.   

A presto - e Tanto love - Icananas.

   
 
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