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Autore: Sana e Akito    11/05/2015    2 recensioni
Questa storia partecipa al contest "Tempo di... Tag! Third Edition" indetto da Ili91 sul forum di Efp.
Dal testo: "Perché continui a sorridermi?" chiese allo specchio.
"Perché è così che ti piace ricordarmi."
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Felicity Smoak
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick: Sana e Akito (Efp); New Light (Forum) 
Titolo: 
Lo specchio dell’anima
Fandom: 
Arrow
Genere: malinconico; triste
Rating: verde
Pairing/personaggi: 
Felicity
Pacchetto scelto: 
Fake/Pretend
Elementi utilizzati: 
specchio // Malinconico
Nda: Questa one-shot partecipa al contest “Tempo di... Tag! Third Edition” indetto da Ili91, sul forum di Efp. Devo dire che è stato un parto: i prompt che mi sono capitati mi hanno dato mille idee, una più lunga dell’altra, ma alla fine ho optato per quella corta, per essere sicura di partecipare. Spero che ne sia uscito qualcosa di buono, anche se probabilmente potevo fare di meglio.

Premetto che le frasi ripetute e “meccaniche” sono volute. Mi fermo qua, per ora, per lasciarvi alla lettura. I dettagli e i chiarimenti li lascio per le note finali, per non rischiare di anticipare nulla.

Buona lettura!

 

 

Lo specchio dell’anima  

 

"... Mi sto preparando alla possibilità che le cose non siano andate come voleva Oliver. Non stavolta. E anche tu devi prepararti a questa possibilità."

Diggle si sbagliava: Oliver sarebbe tornato e avrebbe dato una spiegazione per non essersi fatto sentire. Nessuno l'avrebbe convinta del contrario, per cui non c'era nulla su cui prepararsi. Oliver era sopravvissuto.

Erano passati solo tre giorni, non c'era nulla di cui preoccuparsi.

Roy e Diggle erano soltanto pessimisti, pensando subito al peggio, ma non c'era da temere.

Dovevano avere fiducia in lui. Oliver sarebbe tornato e la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata prenderlo a pugni per averla fatta stare in pensiero e per averla lasciata in balìa di quel terrore che la voleva schiacciare. Lei però era forte: avrebbe resistito.

*

"È vivo."

"Se lo fosseho il sospetto che avreste già avuto sue notizie."

Malcolm Merlyn era appena andato via, dopo aver ipotizzato il tragico finale, ma lei non sarebbe mai stata d’accordo con lui.

A Nanda Parbat, o come cavolo si chiamava, probabilmente non esistevano i cellulari né il Wi-Fi, perciò Oliver non poteva comunicare con loro. Chissà in quale parte sperduta del mondo si trovava in quel momento, da solo, e loro non potevano perdere la speranza. Magari il tempo non era in suo favore ed era impossibilitato a viaggiare. Oppure non aveva mezzi disponibili, rimanendo bloccato in qualunque posto fosse. Un'altra possibilità era che stesse tornando a piedi e la strada era lunga.

Felicity valutava le varie opzioni sul ritardo di Oliver, mentre entrava nel piccolo bagno presente nel covo, per rinfrescarsi un po'.

Mise le mani a coppa per farle riempire di acqua fresca, portandole poi al viso un paio di volte. Doveva esserci una ragione del suo silenzio, non poteva essere scomparso nel nulla.

Non poteva essere...

Quando i suoi pensieri stavano per prendere una direzione angosciante, si paralizzò, facendo tacere la sua coscienza, prima che fosse troppo tardi.

Dopo essersi asciugata il volto, si guardò istintivamente nel piccolo specchio affisso alla parete e fu tanta la meraviglia quando vi incrociò gli occhi di Oliver.

Lui era lì, oltre il vetro riflettente, che la fissava. Sorrideva, Oliver, di quei sorrisi che le avevano sempre scaldato il cuore, quelli rari che rivolgeva solo a lei. Felicity non rifletté sull'assurdità di ciò che vedeva e agì d'impulso.

"Sei... Sei davvero tu?" gli chiese, guardando lo specchio.

Se possibile, le sue labbra si incurvarono ancora di più. "Sono io. Sono vivo. Sono qui."

Felicity sgranò gli occhi, non aspettandosi una reale risposta. "Non sei tornato. Non ti sei fatto sentire." gli rispose, dimenticando di star parlando a un oggetto.

"Non sono morto."

Non poté controllare il sussulto che la colse, all'ascolto di quelle parole. Gli occhi diventarono lucidi, gonfi di lacrime, trattenute per impedire di crollare davanti a lui.

Alzò un braccio per avvicinarlo allo specchio, ma, a pochi centimetri da esso, si tirò indietro. La paura che, toccandolo, sarebbe scomparso era insita in lei, ma la scacciò via e al suo posto fece ardere la speranza. Oliver era vivo.  Era vivo, come aveva detto a Malcolm Merlyn. Era vivo e sarebbe tornato. Dovevano solo andare avanti e attendere il suo ritorno.

"Sei vivo." Oliver era lì a confortarla, a ricordarle che sarebbe tornato da lei. "Tornerai." Asserì, senza riuscire a fermare le lacrime che le solcarono il viso. 

"Tornerò."

Sorrise al riflesso di lui, con l'attesa nel cuore e la tristezza inconsapevole negli occhi.

*

L'analisi del sangue presente sulla scimitarra è di Oliver.

Felicity stava rientrando a casa. Aveva chiamato Ray per avvisarlo che per quel giorno non sarebbe andata in ufficio. La scusa di un'improvvisa influenza le sarebbe servita per stare da sola. Gettò, senza cure, la borsa sul divano, insieme al cappotto. In silenzio, si recò in bagno con l'intenzione di farsi una doccia e cercare di lavare via tutto il dolore che la stava soffocando. Da quando aveva avuto la cattiva notizia, si sentiva in una bolla e aveva paura di scoprire quando tempo ci avrebbe messo prima di scoppiare.

Si era sciacquata le mani e aveva alzato il viso per guardarsi allo specchio, posto sopra il lavandino. Aveva gli occhi rossi e gonfi e le guance rigate dalla matita sbavata, colata durante il pianto liberatorio avvenuto in auto.

"...Oliver Queen è morto."

Chiuse gli occhi, strizzandoli il più possibile e pregando che Malcolm Merlyn se ne andasse dalla sua testa. Aveva sentito distintamente il cuore fermarsi alla notizia della scomparsa di Oliver, ma erano passati solo cinque giorni dalla sua partenza e non sapevano nulla di ciò che stava succedendo. Solo cinque giorni, pochi per ipotizzare che non ce l'avesse fatta; ma Malcolm Merlyn aveva infranto la sua sicurezza, presentandosi con l'arma del delitto sulla quale c'era il sangue di Oliver.

Era corsa fuori dal covo, dopo i risultati, lottato con tutte le sue forze per non crollare nell'istante in cui aveva visto l'immagine di Oliver sullo schermo. Voleva sperare in un suo ritorno. Credeva in lui. Doveva avere fiducia in lui.

Oliver non poteva essere...

Non poteva.

Le aveva promesso che non l'avrebbe abbandonata e non l'avrebbe fatto.

Riaprì gli occhi, specchiandosi e non si riconobbe. Vedeva solo il riflesso di chi si è ormai spento. Aveva sperato senza sosta, ma le fiamme si stavano spegnendo. Era stata l'unica a credere che Oliver sarebbe tornato, la sola a non perdere la speranza, a convincersi che sarebbe tornato, che l'avrebbe rivisto.

Ma come poteva crederci, ora che aveva un'arma sporca del suo sangue a dirle il contrario?

Le lacrime scendevano silenziose a rigarle il viso e chiuse le palpebre per regolarizzare il respiro. Quando le sollevò, lo specchio le rimandava il viso di Oliver, con i suoi capelli chiari, gli occhi più lucenti che mai e un dolce sorriso sulle labbra.

Avvicinò tremante una mano sulla superficie riflettente, nel punto in cui aldilà vi era la guancia di Oliver. Felicity la accarezzò con lentezza, ancora impaurita che potesse scomparire da un momento all'altro, ma Oliver rimaneva lì, fermo a sorriderle. Sollevò appena le labbra in risposta, con lo sguardo amaro di chi sa di aver perso la persona più importante della sua vita, l'espressione di una persona illusa che non vuole accettare la realtà. Oliver non smetteva di guardarla e il sorriso non abbandonava la sua bocca. Scese con la mano, arrivando al collo fin sulla spalla, senza smettere di fissarlo.

"Perché continui a sorridermi?" chiese allo specchio.

"Perché è così che ti piace ricordarmi."

Felicity spalancò gli occhi, sorpresa, perché non aveva mai detto a nessuno di adorare il suo sorriso. Glissò, però, sull’argomento e tornò a ciò che le premeva sapere. "Te ne sei andato. Sei... sei morto."

"Non sono morto. Non ti ho abbandonata." Disse, atono, senza alcun cambiamento espressivo.

Come poteva ancora credergli? "Sulla scimitarra c'è il tuo sangue, Oliver. Il tuo sangue. E sei caduto da un dirupo..." Singhiozzò e le lacrime, fino a quel momento soffocate, corsero lungo le sue guance. Il braccio, ancora teso, scivolò in basso insieme alla testa, costringendo gli occhi a guardare il marmo del lavandino. Si portò una mano al viso per asciugare le lacrime, cercando di smettere di piangere, senza successo. Rialzò lo sguardo ed Oliver era riapparso non appena aveva poggiato gli occhi sullo specchio.

"Non devi piangere. Io sono vivo."

Felicity lo scrutò a fondo, ma non c'era nulla di diverso dall'Oliver che conosceva. Era identico a lui.

"Sono vivo." Le ripeté come un mantra.

Aveva sentito distintamente la stilettata dritta al cuore. "Non è vero." Felicity scosse la testa per avvalorare le sue parole. "Sei un bugiardo. Non tornerai."

"La bugiarda sei tu." Oliver era diventato d’improvviso serio, il sorriso scomparso.

"C-cosa?"

"La bugiarda sei tu", ripeté, "Stai solo ingannando te stessa. Ti illudi di un mio ritorno, fingendo di stare bene. Fingi che tutto sia normale, che non sia cambiato nulla. Fingi che io stia bene, solo per la paura di come reagiresti, per il terrore di non sopportare il peso della mia morte."

"Non è vero! Quello che dici non ha senso." Sbraitò, piangente.

"Lo ha, invece. Devi ritornare alla realtà. Devi smetterla di fingere. Di volerlo indietro, perché non accadrà. Non più." Mentre parlava, il contorno di Oliver diventava confuso, informe, fino a cambiare forma.

La bolla era scoppiata, alla fine, e il contraccolpo faceva male. Il fuoco aveva smesso di ardere e il buio aveva avvolto per intero la sua anima. Nello specchio, Felicity piangeva, senza riuscire a fermarsi. Il riflesso chinò la testa, scivolando con lentezza a terra, pervasa dai singhiozzi. Oltre il vetro lucido, accasciata di fianco al lavandino, Felicity gettava fuori tutto il suo dolore. Stava accettando la verità, la cruda e sofferente realtà. Aveva finto di stare bene, ora doveva stare male, doveva sfogare la sua sofferenza. Si sarebbe presa il giusto tempo per riuscire a convivere con tutto quel dolore. Poi bisognava solo andare avanti.  

Fine

 


Note finali: Prima di tutto, grazie a chi è arrivato fin qui e abbia speso cinque minuti per leggere la mia storia. Spero che il mio intento sia riuscito e che la storia sia comprensibile. Il mio obiettivo era quello di partire con la descrizione di una Felicity che rifiuta anche solo di pensare alla possibilità che Oliver non ce l'abbia fatta. Ma con il passare dei giorni, e soprattutto con la scimitarra, che lei vede e controlla, non può aggrapparsi a nulla. Il vedere Oliver allo specchio è stata una mia interpretazione dell'uso letterario di questo oggetto. Nella one-shot, esso riflette la sua parte più profonda, quella che desidera con tutto il cuore rivedere l’uomo che ama. Questo finché l’analisi del sangue non le sbatte in faccia la verità e qui lo specchio le rimanda il vero pensiero di Felicity, la sua anima, ciò che ha negato da subito. E accetta la verità, anche se sappiamo che, negli episodi successivi a questo, Felicity non è più la stessa. Non riesce a esserlo senza Oliver.

Sono riuscita a inserire tutto ciò nella storia? Ditemelo voi con una bella recensione. Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate: se vi ha fatto piangere, se non era per niente triste, se era illeggibile.

Ringrazio in anticipo chi leggerà e chi si firmerà. 

  
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