He
woke up from dreaming and put on his shoes,
Started making his way
past 2 in the morning:
He hasn't been sober for days.
(Remembering
Sunday – All Time Low)
Tom
prese tra le braccia Cassie, che aveva iniziato a piangere nel suo
letto.
“C'erano le persone cattive...”, frignò
la piccola, stringendosi al suo petto.
“Su, piccola, non
piangere.”, le sussurrò, cullandola con un braccio
mentre con l'altra mano le accarezzava la fronte. “E' solo un
brutto sogno. Non vorrai svegliare la mamma.”, disse Tom, ma
pronunciando quelle parole il suo viso assunse una strana smorfia.
Afferrò un pupazzo di peluche e lo mise nel letto accanto alla
piccola, che si tranquillizzò. Tom attese pazientemente una
decina di minuti che si riaddormentasse, poi sospirò
sollevato. “Spero solo che Roxy non si sia svegliata.”,
disse tra sé e sé.
“Tom...”, la voce
incrinata di Roxy giunse alle orecchie di Tom in un secondo,
inquietante come al solito, e lui si raggelò voltandosi verso
di lei. “La bambina piangeva, l'ho sentita piangere!”,
continuò la ragazza, stringendo convulsamente i pugni. Tom le
si avvicinò lentamente, a passi misurati.
“Roxy io...
mi dispiace che ti abbia svegliata...”
“Dovevi
chiamarmi!”, ringhiò la ragazza. “Non lo sopporto!
Non sopporto che non mi chiami!”, Tom le prese i polsi con una
mano e le posò delicatamente l'altra sulle labbra.
“Roxanne,
non urlare, la sveglierai di nuovo.”, sussurrò,
spingendola lontano dalla soglia della porta. La mora gli morse la
mano che gli posava sulla bocca e il rasta la ritirò
velocemente.
“E' la mia bambina! Io devo cullarla! È
mia!”, urlò, divincolandosi dalla presa del
biondino.
“Roxy! Fai silenzio!”, Tom la spinse con
maggiore forza lontana dalla camera e appena furono pochi centimetri
oltre la porta la chiuse velocemente a chiave.
“E' mia! Mia!
Non lo sopporto! Non sopporto che tu non mi chiami!”, la
ragazza di raggomitolò a terra, con la schiena contro il muro,
iniziando a piangere a urlare.
“Roxanne, per piacere...”,
Tom le si inginocchiò accanto, scostandole i capelli dal viso,
ma lei si spostò più in là con un movimento
brusco.
“Non toccarmi! Non devi toccarmi! Non lo
sopporto!”, Tom la lasciò andare mentre lei si
raggomitolava contro la porta del bagno continuando a piangere e
facendo piccoli movimenti convulsi. Il rasta andò in cucina e
aprì l'armadietto dove tenevano gli innumerevoli farmaci per
Roxy. Prese i soliti tranquillanti e le si avvicinò
lentamente.
“Roxy?”, la chiamò. Lei si girò
verso di lui mostrando il viso bagnato dalle lacrime. I capelli
nerissimi le si erano incollati al viso umido. Tom le si avvicinò
le sollevò la chioma corvina avvicinandole la pillola alle
labbra. “Fallo per me.”, mormorò, come tutte le
volte. Lei scosse la testa e affondò le unghie nella mano del
rasta che socchiuse le palpebre sotto al dolore. “Ehy, piccola,
su sono qui. Lasciami la mano.”, lei scosse il capo e strinse
con più forza. Tom si morse il labbro inferiore mentre la
ragazza lo graffiava. Inspirò e rimase in attesa. Lei posò
la fronte sulle ginocchia e avvicinò la mano di Tom a sé
con uno strattone, ma senza allentare la presa. “Roxy?
Roxanne?”, il rasta la chiamò dolcemente ancora una
volta. Lei sollevò di scatto il viso verso di lui, guardandolo
con i suoi grandi occhioni blu come il ghiaccio. “Piccola,
fallo per me. Per favore...”,
l'ultima parola si spezzò quando Roxy affondò
maggiormente le unghie nella sua pelle. Lei di colpo mollò la
presa ma Tom non ritrasse la mano, sapendo che altrimenti lei la
avrebbe afferrata di nuovo e vi avrebbe conficcato ancora le unghie.
Roxanne aveva iniziato a tremare. “Tesoro, prendi la pillola.
Ti farà star meglio, dai.” lei scosse il capo e la sua
mano saettò verso quella di Tom che stavolta la ritrasse
velocemente. “Prendila, Roxy!”, insistette il rasta. Lei
colpì con il palmo della mano a terra e lui le si avvicinò
cautamente. “Dai cucciola, per me.”, calcò
maggiormente l'ultima parola e lei sollevò lentamente il viso.
Annuì meccanicamente e Tom avvicinò la pillola alle sue
labbra, che lei dischiuse appena, ingerendola controvoglia. Il biondo
prese la spazzola dal mobile e le pettinò lentamente i
capelli, sapeva che era una cosa che la faceva tranquillizzare. Lei
socchiuse lentamente gli occhi e si avvicinò al rasta,
accucciandosi tra le sue braccia. Lui la sollevò da terra e la
riportò al piano di sopra, deponendola nel letto, ormai
addormentata.
Attese circa mezz'ora accanto al letto per essere
certo che dormisse, poi scese al piano inferiore e afferrò il
cordless, stravaccandosi sul divano. Compose un numero e qualche
squillo dopo una voce assonnata rispose.
“Pronto?”,
mugugnò Bill, dall'altro capo della cornetta.
“Bill.”,
Tom mormorò il suo nome con un filo di voce, massaggiandosi le
tempie. La voce del moretto scattò subito, tornando
vispa.
“Tom, tutto apposto? È per Roxy? Ha avuto
un'altra crisi? Devo venire?”, Tom mormorò un “si”
e poi un “no”. Rimasero entrambi in silenzio per circa un
minuto, il rasta doveva riordinare le idee.
“La bambina ha
iniziato a piangere e io non ho svegliato Roxy. Ci ho pensato io, ma
lei l'ha sentita piangere ed è scesa di sotto. Le è
venuta un'altra crisi ma sono riuscito a darle i tranquillanti in
tempo. Le ho pettinato i capelli e dopo si è addormentata.”,
disse il rasta, con voce flebile. Bill rimase in silenzio per qualche
breve attimo, Tom lo sentì solo sospirare.
“Ti ha
graffiato di nuovo il viso?”, mormorò Bill.
“No,
solo la mano.”, disse Tom, osservandosi le dita graffiate e
spellate e passandosi una mano sulla guancia su cui vi era un lungo
graffio provocato qualche settimana prima dalla ragazza.
“Tom
devi fare qualcosa, è il momento ormai.”
“Fare
qualcosa... si, ma cosa? Sai che non posso portarla in un'ospedale
psichiatrico, e non posso nemmeno lasciarla. Non ha nessuno... e poi
io... io la amo, lo sai.”, rispose, con voce così bassa
che Bill si stupì di esser riuscito a sentirlo.
“Tom
io so che ti ferisce sentirtelo ripetere tutte le volte ma... Roxy è
pazza. Come puoi amare una pazza? Una che ha continue crisi
isteriche? Che non ha più una sua personalità?”,
Tom tremò a quelle parole.
“Non so come faccio, ma
devo tenerla con me.”
“Io ti ho avvertito. Buonanotte
Tom.”, Il moretto riattaccò e Tom si accucciò sul
divano. Non avrebbe abbandonato Roxy, no, mai. Poteva far tutto ma
non abbandonarla. E ce l'avrebbe fatta a guarirla, con o senza
l'aiuto di suo fratello. Ma ce l'avrebbe fatta.
***
Tom
Kaulitz era il chitarrista di una delle band più famose al
momento: i Tokio Hotel. Diciotto anni e una già affermata
carriera di playboy sulle spalle. Poi un giorno, Roxy, una dolce
sedicenne dagli occhi azzurri e i capelli neri come la pece, era
piombata nella sua vita. Lei lavorava nel bar sotto il loro studio, e
un giorno era salita a portargli i caffè che avevano ordinato.
Tra lei e Tom c'era stato un veloce gioco di sguardi, poi qualcosa di
simile ad un sorriso un po' imbarazzato e nient'altro. Lui alla fine
era riuscito ad incontrarla mentre lei chiudeva il bar diretta a
tornare a casa.
“Ciao.”, lei era sobbalzata.
“Tom!
Sei tu. Mi hai fatto paura.”, aveva detto, osservandolo con i
suoi occhi color ghiaccio.
“Senti... mi stavo chiedendo...
stasera... hai da fare?”, la moretta aveva corrugato la fronte
e poi sollevato un sopracciglio.
“Perché?”
“Volevo
sapere se... ti andava di... venire a cena fuori... con me, intendo”,
lei era rimasta sorpresa, ma poi la sua espressione era diventata
desolata.
“Mi dispiace, mi piacerebbe ma ho da fare.”,
aveva risposto, piuttosto evasiva. “Bé, ci si vede.”,
aveva sorriso e tirato dritto, lontano da lui.
“Roxy!”,
Tom l'aveva chiamata e le era corso dietro. “E domani?”,
lei aveva scosso il capo. “Dopodomani?”, lei si era
stretta nelle spalle con un'espressione di scuse. “E allora
dimmelo tu quando sei libera!”
“Mai, credo.”,
Tom aveva chinato il capo, tutto si era fatto chiaro.
“Ho
capito. Hai già il ragazzo. Va bé, fa niente.
Buonanotte, Roxanne.”, se ne stava andando quando lei lo
chiamò.
“Tom!”, lui si voltò. “Io...
non ce l'ho il ragazzo. Ma mi piacerebbe venire a cena con te...
domani. Però... con me ci sarà una... persona.”,
aveva balbettato lei. Il viso del rasta si era illuminato.
“Davvero?
Verrai a cena con me?”, lei annuì vigorosamente con un
cenno del capo. “A domani, allora! Ci vediamo al Ritz alle 20,
puntuale mi raccomando!”, le aveva fatto l'occhiolino ed era
andato via. Roxanne aveva sospirato e si era incamminata verso casa.
La sera successiva Tom non sarebbe stato entusiasta de “l'altra
persona”.
***
Roxy
prese la circolare per andare al Ritz. Quando entrò dentro Tom
era già al loro tavolo. Si voltò verso di lei con un
gran sorriso che immediatamente sparì quando il suo sguardo
scese sul passeggino che la ragazza aveva con sé. Lei aveva
abbassato lo sguardo ed era andata al loro tavolo. Tom aveva
allungato l'occhio verso l'involucro di copertine rosa. “E'...
carina.”, aveva mormorato. Roxanne aveva annuito e le aveva
sistemato le lenzuola sopra. La bambina aveva allungato le manine
rosee e paffute verso il rasta, emettendo piccoli rantoli e
sorridendo. Tom aveva abbozzato un sorriso che ricordava vagamente
una smorfia “E' la tua sorellina?”, aveva chiesto,
lanciando una veloce occhiata a Roxy. Lei aveva scosso il capo.
“Allora è tua cugina?”, Roxanne si torturava le
mani, ancora in piedi.
“Veramente... è mia figlia.”,
Tom aveva distolto gli occhi dalla bambina e il suo sguardo era
saettato su Roxy. Impossibile! La mora non poteva avere più di
sedici anni!
“Tua figlia?!”, era rimasto impietrito.
“Roxanne, quanti anni hai?!”, Tom era
scioccato.
“Sedici.”, aveva risposto lei. “Ho
partorito l'anno scorso, e quando i miei hanno saputo della mia
gravidanza mi hanno cacciato di casa. Vivo con mia nonna, ma è
molto malata... mi occupo di lei, della bambina e lavoro al bar sotto
al vostro studio per guadagnare qualcosa... tiro avanti insomma.”
“E
i tuoi genitori? Non hanno pensato a volerti riavere con loro?”
“No,
per loro sono una vergogna.”, si lasciò cadere
amaramente sulla sedia, posando una mano sotto al mento.
“Mi
dispiace, sul serio.”, Tom si voltò verso la bambina,
osservandola e sorridendo. “Come si
chiama?”.
“Cassie.”
“...Cassie...”,
aveva ripetuto il rasta, sfiorando le piccole manine della bimba.
***
Cinque
mesi dopo si erano ritrovati a condividere lo stesso appartamento.
Bill aveva organizzato un trenino di capodanno quando aveva scoperto
che il gemello si era finalmente fidanzato.
Poi, quando la loro
relazione aveva raggiunto ormai gli 8 mesi e mezzo, qualcosa andò
storto.
Qualcosa di nascosto, qualcosa di irreparabile, nella
mente di Roxy.
E tutto andò a pezzi quando lei ebbe la sua
prima crisi nervosa.
***
“Basta!”,
urlò, lanciando a terra un altro piatto che finì in
mille pezzi proprio come i precedenti. “Non ce la faccio più!
Non lo sopporto, non sopporto il tuo lavoro! Non lo sopporto!”,
aveva scaraventato un bicchiere e la bottiglia dell'acqua a terra, e
si era raggomitolata contro la porta. “Non ce la faccio più!
Basta, basta!”, si era presa la testa tra le mani tirandosi i
capelli. “La bambina! La bambina! Ci penso solo io a lei! E tu
non ci sei mai! Sono sempre sola, sola! Da sola! Non lo sopporto!
Troppa solitudine! Mi fa male stare da sola!”, Tom le si era
avvicinato e aveva cercato di abbracciarla.
“Roxy, mi
dispiace, io...”, ma prima che potesse finire di parlare lei si
era girata verso di lui colpendolo sul viso. Le sue unghie
graffiarono la guancia destra del ragazzo, che indietreggiò
spaventato, sfiorandosi tutta la lunghezza del graffio che partiva
dalla tempia scendendo quasi al mento. Roxanne era stata presa da
spasmi e convulsioni forti, tremava nervosamente. Tom la osservava e
con uno scatto si rialzò in piedi quando lei corse verso la
bambina. “Non toccarla!”, le aveva urlato, bloccandola
per i polsi. Lei gli aveva morso il dorso della mano e Tom aveva
indietreggiato di nuovo. Roxy aveva preso la bambina, che ormai
piangeva da quando sua madre aveva rotto il primo piatto.
Indietreggiò stringendola forte.
“Stammi lontano Tom
Kaulitz! La bambina è la mia, è mia!”, Tom la
guardava con occhi spalancati mente il graffio sulla sua guancia
bruciava.
“Roxanne non sai quello che fai! Calmati!”,
gli occhi del rasta saettarono sul suo telefono cellulare, poggiato
sopra al tavolo. Vi si avvicinò lentamente, mentre Roxy si
accasciava di nuovo a terra, iniziando a piangere e tremando
convulsamente. Compose il numero dell'ospedale e fece chiamare un
medico. Quando Roxy udì la parola “dottore” uscire
dalle labbra del rasta si alzò di scatto in piedi e afferrò
un coltello, lanciandolo verso di lui. Tom si spostò e la
tagliente lama colpì il muro, cadendo a terra. “Fate
presto!”, aveva detto per telefono prima di riattaccare. Fece
scivolare il cellulare nella sua tasca mentre Roxy urlava qualcosa di
incomprensibile. La bambina si agitava allungando le manine verso il
rasta e piangendo disperata.
“Papà!”,
frignò.
“Papà” era stata la prima parola
di Cassie. Aveva preso l'abitudine di identificare Tom come suo
padre. Il rasta si avvicinò alle due.
“Roxy, dammi
la bambina.”, aveva mormorato, avvicinandosi alla
diciassettenne raggomitolata contro il forno.
“Mai! È
mia!”, urlò.
“Roxanne... piccola... per
favore... dammi la bambina...”, Roxy iniziò a muovere
velocemente la mano sul pavimento, verso il coltello che aveva fatto
cadere. Si stese a terra con uno scatto per afferrarlo ma Tom lo
prese prima di lei. Gli occhi di Roxanne erano infiammati e rossi per
le lacrime rabbiose che versava. Lasciò la bambina che subito
gattonò fino al frigorifero, attenta a non tagliarsi con i
cocci e i vetri che erano sul parquet. Si nascose in un piccolo
angolo tra il tavolo e il frigo, coprendogli gli occhietti castani
con le mani e implorando a sua madre di smetterla.
“Mamma...
Mamma basta...”, mormorava la piccola, stropicciandosi gli
occhi. Roxanne si avventò di nuovo verso Tom.
“Io sto
bene! Non ho bisogno di dottori!”, diede uno spintone al rasta,
che urtò il davanzale della finestra con la schiena, facendosi
male. Poi si voltò verso il salone. “Dov'è andata
la mia bambina?! Dov'è Cassie?! Dove!?”, la piccola
spuntò in lacrime da sotto il tavolo, e guardò in
direzione di Tom che le fece cenno di tornare sotto il tavolo e
restare in silenzio. La piccola obbedì e si nascose di nuovo.
Roxy andò in direzione del salone, Tom le saltò addosso
e la fece cadere a terra, tenendola ancorata al pavimento. Il
citofono trillò insistentemente. “Lasciami! Lasciami
andare!”, urlava Roxanne, in preda al panico. Tom la tirò
su tenendola ferma per le braccia con una mano, mentre con l'altra
apriva la porta. Il dottore entrò, seguito da due infermieri
che subito bloccarono la ragazza. Il rasta riferì l'accaduto
al dottore,che gli somministrò delle pillole calmanti da dare
a Roxy ogni qualvolta avesse avuto una crisi.
***
Le
crisi inizialmente erano rare, succedeva circa una volta al mese. Poi
si fecero sempre più frequenti, fin quando Roxy non impazzì
completamente. Aveva crisi tutti i giorni e il rasta non sapeva
davvero più cosa fare. Ormai non era più normale, e la
sua personalità si era persa con la pazzia. Un giorno si riunì
in casa con Bill, Georg, Gustav e Alice, la fidanzata ventiseienne
del batterista. Erano proprio questi ultimi che di solito tenevano
Cassie quando il rasta accompagnava Roxanne dal suo specialista.
“Devi portarla in un ospedale psichiatrico, come ti ha
consigliato lo specialista, Tom”, il rasta rabbrividì al
consiglio del gemello.
“Quei posti sono orribili, non posso
permettere che la rinchiudano lì.”, mormorò,
stringendo i pugni.
“E' vero, non tengono bene i pazienti,
che finiscono solo per impazzire maggiormente...”, rispose
Alice, abbassando lo sguardo su Cassie, che teneva tra le braccia.
Quel giorno Tom aveva chiesto ad Andreas di accompagnare Roxy dal suo
dottore. Proprio in quel momento i due rientrarono. Roxanne come al
solito era il lacrime, corse al piano di sopra piangendo e strillando
tra sé e sé, ruggendo qualcosa di troppo simile a un
ringhio per essere una frase o un urlo. Tom la seguì e la
trovò sdraiata sul letto, accartocciata su sé stessa,
piangendo e ringhiando. “Roxy?”, la chiamò con un
sussurro e lei rispose con un singhiozzo. Le si sdraiò accanto
e iniziò ad accarezzarle i capelli, snodandoli con le dita.
Lei si rilassò sotto quel gesto, si voltò verso di lui
e gli si accucciò tra le braccia, chiudendo gli occhi.
“Tom?
Sei qui?”, Gustav comparve sulla porta e si avvicinò ai
due.
“Shhh. Si è addormentata.”, il batterista
sgranò gli occhi.
“Come hai fatto a farla crollare
così?”, Tom si strinse nelle spalle.
“Le ho
pettinato i capelli. A quanto pare la rilassa.”, Gustav sorrise
e scese al piano inferiore.
Tom rimase lì sul letto tutto
il pomeriggio, a torturarsi tra mille pensieri, continuando ad
accarezzarle i capelli e deponendole di tanto in tanto dolci baci sul
viso.
Una grande e dura consapevolezza stava crescendo e
prendendo piede con incredibile velocità dentro di sé:
la sua vita stava cambiando, e questa volta per sempre.
Premetto
che questa ficcy non mi convince moltissimo ma aspetterò il
parere di tutti quei poveri pazzi i quali la laggeranno e
recensiranno U___U
Si, lo so, è triste e drammatica ma che
ci volete fare, non so proprio scrivere cose allegre
U__U
xDD
Enjoy(n't) it ^^