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Autore: HuGmyShadoW    03/01/2009    4 recensioni
"Sono una ragazza senza nome. Una bambina perduta. Un gioiello smarrito, un fiore che appassisce. Non sono niente. Ho cambiato identità talmente tante volte da non ricordarle più tutte: quando vivi in mezzo alla gente, chiunque tu sia sarai sicuramente al posto sbagliato nel momento sbagliato".
Due diverse realtà per Rose, una ragazza di strada, un tempo così forte divenuta improvvisamente fragile, e Tom, giovane musicista alla ricerca di sé. Due inizi diversi e due finali diversi, destinati però ad intrecciarsi là, nel mezzo, dove tutto si compie; riusciranno a ritrovare la voglia di vivere e di essere se stessi?
«Volevo chiederti... ti piacciono i biscotti di Natale?»
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rose * ~Do you like Christmas Biscuits?” *


31 Dicembre, Ultimo dell'anno



{Buio}


Fa freddo. Sono ore che cammino lungo questo marciapiede su tacchi vertiginosamente alti, i piedi sono tutti indolenziti, fanno male, e naso e orecchie mi bruciano dal gelo. Ma non posso tornare a casa, per il semplice motivo che io una casa non ce l’ho più. Sì, è vero, ho un tetto sopra la testa e una minestra calda al giorno, ma nulla di più. Quello in cui abito è solo un edificio vuoto.
Stasera ancora nessuna auto si è accostata a me, mentre, al contrario, le mie compagne hanno già avuto da lavorare almeno una volta, tutte. Devo impegnarmi di più se almeno stasera voglio evitare di venire picchiata. Ma a Natale non si dovrebbe essere tutti più buoni? No. Non nel mio caso, almeno.
Mi stringo nel mio sottile giacchetto di jeans e soffio una nuvoletta di vapore verso il cielo di seta vellutata; in mezzo secondo, la mia piccola emissione di fiato si è già dissolta. Fa troppo freddo perfino per pensare.
Riprendo a passeggiare avanti e indietro anche se non sento più le gambe, mi appoggio sensualmente ai lampioni nonostante il ferro mi ghiacci le ossa, scopro la pancia nuda e il seno, contenuto in un corpetto rosso e nero, costretta ad ignorare i crampi di freddo e di fame che, come aghi di ghiaccio, mi trafiggono lo stomaco. E a ripagare tutti questi sacrifici, ancora nessuna auto si ferma.
Mestiere ingrato quello della puttana. Forse il più ingrato di tutti. Che ormai fa parte di me.
Una famigliola da cartolina mi passa accanto, chiacchierando con leggerezza, in mano biscotti di natale. Sono anni che non ne mangio uno; il profumino che emanano mi fa venire l'acquolina. Sorrido dolcemente al più piccolo dei bambini, un adorabile angioletto biondo di non più di sei anni, e quello mi ricambia. Tende la manina paffuta verso di me, ed io vengo travolta dal fortissimo istinto di prenderlo in braccio, e baciargli le guance piene e morbide, e carezzargli i capelli chiarissimi, lanuginosi, come se nessun altro bambino esistesse al mondo. Ma la madre si accorge del mio sguardo e mi scocca un'occhiata traboccante disgusto. Prima ch'io possa avere il tempo di scorgere la confusione e lo stupore negli occhi azzurri del piccolo, ecco che non c'è più. L'angelo e quell'affetto speciale che per un momento mi aveva scaldato il cuore sono scomparsi assieme a quel dolce profumo di biscotti.
Scrollo le spalle e mi riappoggio al lampione. Sono abituata ad insulti, minacce e addirittura violenze ben peggiori di quello sguardo orripilato, dopotutto non sono altro che una ragazza di strada, una sgualdrina, qualcuno da cui stare alla larga. Una puttana. L'incarnazione della libertà. Ed è proprio da questa libertà che voglio fuggire. Ancora non capisco perché il mondo mi -
ci- odia tanto; non ci occupiamo forse di diffondere piacere, anche se di breve durata? È una colpa così grande da meritarci il rifiuto di qualunque società, di qualunque amico o familiare? È giusto non poter nemmeno più festeggiare il Natale, o il Capodanno? Che sciocca, ho diciannove anni per niente; ancora mi chiedo se esiste una giustizia a questo mondo, nella situazione in cui mi trovo? Che stupida.
Questo Ultimo dell'anno, però,nonostante tutto me l'ero immaginato diversamente...

Sono una ragazza senza nome. Una bambina perduta. Un gioiello smarrito, un fiore che appassisce. Non sono niente.
Ho cambiato identità talmente tante volte da non ricordarle più tutte: quando vivi in mezzo alla gente, chiunque tu sia sarai sicuramente al posto sbagliato nel momento sbagliato. Se non fosse stato per mia madre non avrei mai saputo cavarmela, in questa realtà. Buffo, quasi assurdo che io debba qualcosa alla donna che mi ha generato quando proprio questa mi spinse sulla strada, cinque anni fa...
Una volta ero qualcuno, ne sono sicura. Avevo un nome, una famiglia, delle amiche. E sogni, desideri, paure. Una vita normale, da normale adolescente, che qualcuno avrebbe potuto considerare noiosa, monotona, ma che per me era il massimo della felicità.
Ora invece non ho niente, il tempo ha cancellato ogni cosa, persino la mia identità.
Come si può ricordare il proprio nome quando si vive in una casa in cui nessuno lo pronuncia più? Piano a piano, il nero oblio intacca la memoria, la corrode e la lacera, strappando sempre più brandelli di un'esistenza che non è più per disperderli nel vento.
Tutte le luci sono accese, sia negli alti palazzoni che fuori, in strada: cercano disperatamente di ricreare un'atmosfera calda, luminosa, accogliente...
Bugiardi.
Non sanno che solo le stelle più alte possono brillare così maestosamente e incendiare la notte? Solo io -noi- possiamo. Solo noi abbiamo questo privilegio, questa maledizione.
Mi sorprendo a ripercorrere un momento preciso della mia “scorsa vita” , come mi diverto a chiamarla, sempre lo stesso. Il mio ultimo natale.

Avevo quindici anni, ma ricordo ancora che stavo preparando i biscotti di natale, quelli con la farina di mandorle che piacevano tanto a mia madre. Papà sembrava nervoso, girava per casa senza meta, come un animale in gabbia, senza riuscire a concentrarsi su niente. Lo capivo, aveva appena perso il lavoro e per lui era ancora troppo strano trovarsi a non far niente alle cinque del pomeriggio. Io, in verità, ne ero segretamente felice perché finalmente avrei trascorso le feste con la mia famiglia, tutti insieme, come non accadeva da troppo tempo. Mi mancavano quei piccoli, caldi momenti. Per l'occasione avevo addobbato la casa senza risparmiarmi in decorazioni e fatica: volevo fosse un natale perfetto.
Avevo appena messo in forno il pollo con le patate quando d'un tratto avevo sentito la porta sbattere. Mi ero affacciata in corridoio e mamma era lì, scossa, incapace di trattenere le lacrime. Le ero corsa incontro ma papà mi aveva preceduta. Urlò parecchio quella sera, lui e mamma, urlarono tutti e due. Capii il giorno dopo che aveva perso il lavoro, ma solo in seguito scoprii
come, quando ormai il pollo era bruciato e i biscotti divenuti cenere.
Ben presto, la miseria si impadronì di quella casa che un tempo era stata così ricca e festosa; i soldi finirono velocemente, così in fretta che in poco tempo tutto ciò che potemmo mangiare di lì in avanti fu cibo in scatola. E quella sera lontana non avevamo nemmeno toccato il pollo.
Mi ritrovai a dover affrontare una nuova realtà che finora, durante la mia rosea ed innocente adolescenza, non avevo nemmeno immaginato; non solo, mi costrinsero ad entrarci a forza, spinta dalla mia stessa famiglia per riuscire a tirare avanti. Divenni prigioniera della mia stessa vita e del mio stesso nome...
E così, eccomi qua, a vendere il mio corpo per pochi soldi per continuare a trascinarmi lungo una vita di sacrifici. Un vero sballo, giusto?

Un'auto straniera che lentamente rallenta proprio davanti a me interrompe il melanconico flusso dei miei pensieri. Magari è la volta buona.
Sorrido morbidamente al guidatore invisibile e mi chino verso il finestrino oscurato, scoprendomi apposta il petto.
«
Vuoi compagnia, tesoro?» mormoro con voce vellutata cercando di scrutare oltre il mio riflesso distorto sul vetro. Il finestrino si abbassa lentamente.
«
Quanto vuoi, bella rossa?» domanda leziosamente il vecchietto barbuto alla guida dell'auto scura.
Sospiro. L'ennesimo vecchio. Perché non attiro anche dei bei giovanotti, di tanto in tanto?
«
Sessanta» rispondo allungando la mano.
«
Un po' cara» commenta quello porgendomi un paio di banconote, che prontamente intasco.
«
Facciamo in fretta, d'accordo?» bofonchio salendo sulla macchina odorante di menta stantia.
I restanti venti minuti sono solo un confuso vortice di labbra, capelli, gambe, mani. Una lacrima invisibile mi solca silenziosamente la guancia mentre faccio scivolare a terra la gonna. Poi il solito dolore, in mezzo alle gambe e nel petto.
Il resto sarà solo lacrime e… buio...


{Luce}


Fa freddo. Fa tanto freddo. Sto tremando. Perché nessuno ha acceso il riscaldamento?
«Bill, l'hai acceso il riscaldamento?»
Mio fratello, mollemente adagiato sul divano, alza lo sguardo verso di me,
«No. Avrei dovuto?»
«Se non vuoi che finiamo tutti congelati come baccalà, sì, eccome!»
Bill mi fissa per un momento con sguardo assente, poi torna al suo portatile.
«Ci pensi tu, per piacere?»
Mi pietrifico. Calmo, devo stare calmo.
«Bill» comincio a denti stretti. Non devo perdere la pazienza. «Dimmi, caro, cos'hai fatto di bello questo pomeriggio?»
«Be', ho guardato un po' di tivù, ho finito quella confezione di biscotti che stava andando a male, ho provato a scrivere qualche verso della nuova canzone e adesso sto girovagando su qualche forum dedicato a noi. Perché?».
«Perché
io ho passato ore a pulire, cucinare e addobbare la casa pur di renderla vagamente decente e poter far la festa che tu, con tanta leggerezza, hai proposto di organizzare da noi, lavandotene poi le mani e lasciando fare tutto a me! Perciò, se ti chiedo un minuscolo, insignificante favore, dovresti come minimo scattare!» esclamo sottolineando con cura le parole chiave della mia filippica, in modo che anche quell'idiota di mio fratello possa recepire il messaggio.
«Ma mica te l'ho chiesto io di spezzarti la schiena, no? La casa andava bene anche così» ribatte pacatamente quello.
Okay, non devo perdere la pazienza, è la fine dell'anno e ci tengo ad iniziare il nuovo con il sorriso, non-devo-perdere-la-calma...
«Per forza non me l'hai chiesto, tu te ne freghi di tutto! Devo essere sempre io a tenere in ordine la casa, perfino la tua stanza devo pulire perché se fosse per te vivresti in una discarica! Non alzi mai un dito per fare nulla...».
Bill chiude il computer con uno scatto e si alza in piedi.
«Ah, davvero? E secondo te chi è che manda avanti il gruppo, eh? Chi è che si occupa di tutto?».
«Noi, tutti
insieme, non solo tu! Siamo-un-gruppo, e ci chiamiamo ancora Tokio Hotel, se non sbaglio, non “Bill e altri tre tizi a caso”!»
«Ma io sono il vocalist, e nel caso non lo sapessi ho impegni e doveri più onerosi dei tuoi, e li assolvo tutti con...».
«Doveri? Ma quali doveri? Forse intendevi dire che hai il “dovere” di fare il pavone davanti alle telecamere e rispondere a qualche difficilissimo quesito sulla tua stramitica vita da star
viziata, anche se non ho ancora capito secondo quale fede...».
«Viziato?
Io sarei viziato? Non so se ti sei guardato allo specchio, di recente...».
«Certo che mi sono guardato allo specchio, ma non per
quattro ore come fai tu! Ti assicuro che cinque secondo bastano per...».
«Solo perché tu sei uno schifoso borghese cagasotto che si veste da profugo! Il mio look ha bisogno di ben altre attenzioni e di tempi più lunghi per essere perfet...».
«Smettila di parlare dei vestiti, per piacere. Stavamo discutendo della tua completa irresponsabilità, quindi non divaghiam...».
«
Bene, grandioso, sono pure un irresponsabile adesso? E tu, Tom, cosa credi di essere?».
«Sicuramente più organizzato e responsabile di una checca come te!».
«La pianti di offendere senza motivo?».
«Sto solo rispondendo con delle accuse precise, ma tanto a te non va mai bene niente di me,
finocchio come se...».
«Un'altra parola e ti sbatto fuori di casa!».
«Mi spiace ma non ne hai alcun diritto! Questa casa è anche, e soprattutto, del sottoscritto...».
«Eccome se posso! Poi però non venire a piangere da me quando ti ritroverai...».
«... perché praticamente l'ho comprata io!».
«Cosa? Ma cosa stai dicendo?».
«Hai capito, e sai anche che è la verità!».
«Ah, sì? Be', bell'acquisto hai fatto: questo posto è più freddo del
culo di un pinguino!».
«Non lo sarebbe se tu avessi
acceso il riscaldamento!».
Distogliamo lo sguardo nello stesso momento, riprendendo fiato. Mi sono rotto i coglioni. Non posso cominciare il nuovo anno così, non di nuovo.
Mi dirigo verso la porta nell'esatto momento in cui il campanello trilla.
«Che tempismo» esclama acidamente Bill mentre se ne va in cucina lisciandosi la maglia.
Non ci faccio nemmeno caso, m'infilo il giubbotto e apro.
«È qui la festa?» urla un Georg entusiasta, porgendomi una confezione di pasticcini.
«Non per me» mormoro, e li supero senza aggiungere una parola.
L'aria fredda della notte mi punge il viso mentre avanzo verso la mia macchina. Tiro su col naso, poi faccio scattare le sicure e mi chiudo dentro al non meno freddo abitacolo evitando di pensarci troppo: se cominciassi ad arrovellarmici su sono sicuro che finirei per tornare dentro scusandomi per il mo comportamento... No, no, nemmeno a pensarci
Mentre metto in moto scorgo con la coda dell'occhio del movimento sulla soglia di casa. Georg e Gustav, indicando allibiti la mia macchina, sembrano chiedere spiegazioni a un altrettanto sorpreso Bill, caracollato fuori senza giacca.
«Tom!» lo sento chiamarmi correndo verso di me. Lo ignoro, inserisco la prima e tiro fuori il telecomando per l'apertura del cancello.
«Tom! Torna indietro, non fare così! Per piacere, lo sai che non intendevo dire quello che ho detto!» implora ancora Bill, avvicinandosi.
Eccome se lo volevi, caro il mio fratellino
, penso tra me e me accendendo il riscaldamento.
«Ti prego, torna indietro!» urla battendo sul mio finestrino. Lo trafiggo con un'occhiata ben più gelida dell'ambiente interno di casa nostra.
«Non questa volta» mormoro attraverso lo spesso finestrino. E dal suo sguardo sbarrato e lucido so con certezza che Bill ha capito perfettamente.
Il cancello si è completamente spalancato. Premo sull'acceleratore lasciandomi ben presto alle spalle mio fratello e il mio senso di colpa. E come un sogno, nella notte svanisco.




   
 
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