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Autore: Koa__    18/05/2015    4 recensioni
Due settimane dopo il tragico ed emotivo tracollo che lo ha visto soccombere ai sentimenti e cedere al peso di ingombranti ricordi, Mycroft si presenta al cospetto di Sherlock. Nel soggiorno di un 221b dall'atmosfera caotica, disordinata ma al tempo incredibilmente calda ed accogliente, Mycroft si ritrova di nuovo a dover fare i conti il proprio sfaccettato, complicato e complesso animo.
[Sequel di: 'Prigione di seta']
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
- Questa storia fa parte della serie 'Prigione di seta'
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'Elisir d'amore' fa parte della serie 'Prigione di seta' che tratta tematiche incestuose. Avviso che è fondamentale aver letto le due storie precedenti per poter avere una chiara comprensione di questa.





Elisir d’amore


 
 
Una furtiva lagrima
negli occhi suoi spuntò:
Quelle festose giovani
invidiar sembrò.
Che più cercando io vò?
M'ama! Sì, m'ama, lo vedo.
Un solo istante i palpiti
del suo bel cor sentir!
I miei sospir, confondere
per poco a' suoi sospir!
I palpiti, i palpiti sentir
confondere i miei co'suoi sospir!
Cielo! Si può morir!
Di più non chiedo, non chiedo.
Ah, cielo! Si può morir d'amor.
 
 


Partendo dal presupposto che ogni londinese che si rispetti, almeno secondo quello che il tuo pensiero, nutra una sorta di odio nei confronti della pioggia, tu non ti puoi considerare tra coloro che, per qualche strana ragione, la amano. Al contrario di questa incomprensibile gente che cammina sotto l’acqua senza ombrello, godendosi la sensazione invece che correre via e mettersi al riparo, tu la detesti con cuore e anima. Oltretutto, la trovi così mortalmente noiosa… sempre uguale, grigia, sporca e carica di quell’umidità viscida che penetra fin dentro le ossa e pare tenti di scivolarti dentro con l’intenzione di farti marcire.

Oggi, per l’appunto, piove e soltanto perché la monotonia dell’esistenza resti invariata, ma Londra ti ha abituato ai suoi repentini mutamenti d’umore, al punto che con gli anni hai preso quasi una certa dimestichezza. Ad essere incredibile è però il tuo riuscire comunque a sopravvivere nonostante il mortale fastidio. Spesso ti ritrovi a considerare il tuo vivere ancora in Inghilterra come una contraddizione continua, in questo luogo dove il tempo è pessimo per la maggior parte dell’anno e in cui il cielo muta tanto radicalmente, che si rasserena nell’esatto istante in cui riesci ad aprire l’ombrello. Come puoi, tu, amare così poca chiarezza d’intenti?

Quando l’auto nera si ferma di fronte al portone del 221b di Baker Street, infatti, la pazza Londra ha mantenuto fede alla sua follia. Ha smesso di diluviare pochi istanti fa ed ora una timido spruzzo di sereno si fa largo attraverso la spessa coltre di nubi, in questa sera di un venerdì qualsiasi. Sono da poco passate le dieci, constati dando un’occhiata all’orologio da taschino che spunta appena dalla tasca del panciotto, sotto giacca e cappotto portati sbottonati. Non è proprio l’ora ideale per una visita di cortesia, ma per fortuna tu e Sherlock non avete convenevoli da far rispettare. È sempre stato il lato buono del vostro rapporto, il fatto che lui sia molto simile a te e che non tenga poi tanto a sciocchi dettagli come i riti sociali, quelli che, quando sei al lavoro, sottostai tuo malgrado. Quindi sai che se ti manderà via trattandoti con freddezza, non sarà per colpa dell’orario inusuale. Se non ti vorrà attorno sarà unicamente perché non ti vuole più vedere e dopo quanto avete passato, non la reputi nemmeno un’ipotesi improbabile.

Di fatto, però, nell’esatto momento in cui quel portone scuro ti appare davanti al naso adunco e ricurvo, una morsa ti attanaglia lo stomaco torcendolo senza pietà. Sei assurdamente nervoso ed è una delle tante nuove sensazioni che hai imparato a provare di recente, quelle potenti al punto da sovrastare apatia e senso di vuoto. Il problema è che non sei per nulla avvezzo a simili sensazioni e pertanto t’imbarazzi già solo mentre formuli l’idea di voi due insieme. Quindi guardi a terra, lo fai a lungo. Osservi con discreta insistenza l’asfalto bagnato, mentre cerchi di trovare quel contegno che fatica ad arrivare. Perché di trincerarti nella tua torre d’avorio, quando hai Sherlock vicino, proprio non c’è verso. Ed allora eviti di pensare a quel che potrebbe accadere, tremi ed intanto i rimasugli dell’acquazzone appena caduto ti inumidiscono i capelli e le spalle. Tu però, assurdamente, non ci badi perché ad attrarre la tua attenzione c’è il battente della porta perfettamente storto, il quale t’osserva con studiata malizia, stuzzicando al contempo la tua compulsiva tendenza a volere tutto ben dritto. Il che, ma questo è acclarato, altro non è che un vana intenzione di raddrizzare te stesso; peccato soltanto che non sia così facile aggiustarsi. Vedi? Di nuovo la tua mente ondeggia in un moto pericoloso tra follia e illusioni. La realtà, l’unica e la sola, è che di entrare hai paura. Il pensiero ti spaventa ed è quanto finalmente riesci ad ammettere, nell’attimo in cui le tue dita sfiorano il metallo freddo e bagnato. La mano trema appena d’indugio, respirare è complesso in maniera odiosa. Sospiri e lo fai di frustrazione, un alito impercettibilmente lieve s’infrange in una goccia d’acqua, e soltanto allora ritorni brutalmente concentrato alla realtà torbida che ti circonda. Ma è ancora un sentimento troppo debole ed infatti, ti perdi subito in mille e differenti pensieri.

Non sai di preciso da quanto tempo te ne stai lì fermo, ma deve trattarsi di un lasso di minuti considerevole. Stai pericolosamente indugiando e, anzi, ora fai di tutto pur di evitare di bussare. Al punto che fingi di parlare al cellulare. E sei tanto preso dalle tue illusioni, che quasi senza accorgertene sollevi gli occhi al cielo tentando di capire se pioverà di nuovo oppure no.
«Sereno» mormori, ancora col naso all’insù e lo sguardo perso ad ammirare il diradarsi delle nubi. Probabilmente è proprio il suono della tua voce a darti la sferzata necessaria per ritornare al mondo. Non hai preso coraggio, no e non è nemmeno ciò che conta in questo momento, visto che ti pare incredibile anche il semplice riuscire a chiudere l’ombrello. Cosa che ti preoccupi subito di fare, con movimenti spicci e abitudinari. Lo scrolli con delicatezza mentre, per istinto, porti lo sguardo alla finestra del secondo piano laddove ti è parso d’intravedere un’ombra muoversi dietro le tende. Qualcuno che ora è sparito e che ha smesso di fissare con una certa insistenza il marciapiede sottostante. Lui è lì, pensi in un barlume di sciocca lucidità e nel mentre il cuore sussulta, il fiato si spezzetta in una miriade di respiri affrettati e il cervello ti si contorce, accartocciandosi in un qualcosa di putrido e malforme. Senti l’ansia montare con prepotenza: presto ti dominerà, ne sei certo. Eppure la eviti e non ci pensi ed, incurante, persegui a far ruotare l’ombrello nel palmo della mano. Non hai bisogno di cercare le pieghe della stoffa, le trovi con facilità. È un gesto che ti conferisce una serena tranquillità, è rassicurante e piacevole, ha il potere di scalfire la superficie dell’ansia e di intaccarla, anche se soltanto in una crepa. Per certi versi ti spaventa quel che potrai trovare una volta varcata la soglia di quel soggiorno. Là, alla fine di una scalinata infernale, composta da soltanto diciassette miseri gradini dove però hai una paura viva d’andare, irrazionale quanto il vento freddo di febbraio che ti agita i capelli o la pioggia infida che ti rovina le punte delle scarpe.

Non vuoi che lui ti mandi via.

Lui, Sherlock, non lo vedi da una decina di giorni. Ha trascorso del tempo a casa tua dopo quella nottata da incubo, quella del tuo drastico declino emotivo. Sono stati giorni difficili, i vostri, momenti duri e d’una tensione palpabile e tagliente. Come avrebbe potuto essere diversamente? Non con te tanto provato o non con Sherlock così mal ridotto. Da una parte c’era il suo dramma, espresso in note sgracchiate e stridenti da un violino malamente maltrattato. Musiche atonali, senza capo e coda, specchio di un animo tormentato dal rifiuto di un amore impossibile, di una felicità irraggiungibile. E poi c’eri tu. Fin troppo timido, eccessivamente ritroso, incapace di riuscire ad esprimere un sentimento affettivo di qualsiasi genere e totalmente inesperto riguardo a quella cosa strana e, per te amorfa, che è la fratellanza. Hai tentato, è vero, hai provato ad approcciarti in modo da essergli d’aiuto. Dapprima facendogli recapitare violino, vestiti e vestaglia e successivamente cercando di rabbonirlo con dolcetti e cognac. Un approccio che teoricamente andrebbe bene più per te che per Sherlock, e te ne sei reso conto praticamente da subito. È stato sufficiente il cogliere l’espressione stupita sul suo volto, quando ha notato il cestino di cupcake apparso in cucina un mattino di lunedì. Dolcetti conditi dal vivo ed imbarazzante rossore delle tue guance e da un irriconoscibile tuo balbettare. Da quel giorno non hai nutrito più alcuna speranza di riuscire a farlo sentire meglio. Perciò sei rimasto sconvolto quando hai avuto la sensazione che i tuoi metodi sembrassero servire, visto che Sherlock pareva appena un po’ più sereno. Quando il suo umore è migliorato, incredibilmente, è mutata anche la vostra routine. E in meno di una sera hai iniziato col farci l’abitudine. Ti piaceva averlo attorno. Di tanto in tanto evitavi persino d’andare al Diogenes club preferendo un per te atipico lavorare da casa. Per poterlo tenere sott’occhio, per evitare che cadesse in antichi e drammatici vizi e che la situazione ti sfuggisse di mano. O almeno, è quanto ti sei detto in un primo momento. Poi hai semplicemente ceduto, ammettendo che restavi a Pall Mall più che altro perché ti faceva piacere la sua compagnia. E no, al sesso non hai pensato nemmeno una volta. Non ha mai avuto a che vedere con un banale atto fisico, quanto piuttosto con il fatto che Sherlock avesse da un attimo all’altro cacciato a pedate la solitudine, la tua amica più fedele. Vederlo gironzolare in cucina e combinare disastri nel tuo frigorifero era sì raccapricciante, ma insolitamente divertente. Tanto che ad un certo punto hai iniziato a domandarti se una vita felice significasse avere innanzitutto questo: qualcuno che cammina per casa in vestaglia e piedi nudi. Una persona, insomma, che accenna un sorriso nei momenti più inaspettati illuminando in un attimo tutti i tuoi corridoi.

Che vivere felici significhi il non piegarsi più sotto il peso di una stanza in penombra?

Per te, di fatto, era tutto nuovo ed emozionante. Potevi discutere e chiacchierare, piuttosto che leggere un libro o ascoltare un vinile della nona sinfonia di Beethoven. E non farlo mai da solo. Era piacevole vederlo suonare. O il renderti conto, tra una riga e l’altra, che era crollato dal sonno forse perché cullato dal mormorio pacato della tua voce, o più semplicemente perché annoiato dalla narrativa di Poe. Sì, quella settimana con Sherlock è stata la più bella della tua vita, la più simile all’esistenza di qualcun altro classificabile col termine: normale, che tu abbia vissuto. A stento riconoscevi Pall Mall ovvero quel luogo perennemente angusto e buio, composto di stanze vuote ed arredamenti scarni. E l’uomo un tempo ricurvo e che girava per le camere con aria sconsolata, no, non era un’altra persona. Eri nient’altro che tu. Un uomo felice. Un uomo non più solo.

Poi una sera è accaduto ciò di cui avevi paura. Nell’esatta maniera in cui è arrivato, trafelato e di corsa, Sherlock è sparito. Se n’è andato verso le undici di una sera, dicendoti che Lestrade lo aveva chiamato, blaterando di un caso che sembrava essere promettente. Neanche ti ha salutato, ti sei reso conto mentre la porta sbatteva alle sue spalle e l’eco della sua assenza già riecheggiava negli angoli più remoti della tua mente. Da allora non è più tornato e a stento ti ha scritto, forse si è persino dimenticato della tua esistenza. E non t’importava del fatto che avesse i pensieri totalmente concentrati su quello stupido e banale omicidio, tutto ciò che contava era la tua ritrovata solitudine. Così come la confusione che, ancora, veniva potente a dominarti.

Questa notte, dopo troppi giorni, ti ritrovi di fronte al suo portone. Quello che, al tuo contrario, non cede al peso del tempo e che bello ed elegante, ti si para di fronte con imperiosità. Non sei venuto per una missione di importanza nazionale, sei qui per vederlo e per tentare di ricreare almeno in parte l’atmosfera serena e pacata che avevate instaurato a Pall Mall; la stessa che ora ti manca da morire e il cui ricordo ti ferma il fiato. Ti basterebbe una briciola di Sherlock per poter essere ciò che hai a malapena sfiorato col pensiero. Incredibile poi, è quanto questi siano mutati nell’arco di poche settimane e di come il vostro ricordo passato sia stato quasi del tutto cancellato. Quasi. Perché no, non hai scordato la notte da amanti condivisa in un tempo d’estate e sei sicuro che mai riuscirai a farlo, ma perlomeno non ti ci sei ossessionato e non hai trascorso le serate in venerazione di qualcuno che, negli anni, sei giunto sino al punto di idealizzare. Adesso non ci pensi più così spesso. Vuoi soltanto averlo attorno, poterlo ascoltare mentre suona il violino o sentirlo mentre blatera di noia. Ti piacerebbe aiutarlo nei suoi strani esperimenti o risolvere un caso insieme e ti spingeresti persino sul campo, alzandoti da quella tua comoda poltrona, sì, per lui lo faresti. Perché ti manca. La sua assenza non è tollerabile oltre. Eppure, giunto sulla soglia di quel suo caotico nido, stenti a presentarti. A preoccuparti è ciò che lui adesso conta per te. Vuoi che sia tuo fratello o il tuo amante? Potresti anche convincerti di una delle due opzioni, ma se il tuo corpo decidesse per il contrario? Sei troppo confuso per sapere qualcosa con assoluta certezza. E quando bussi alla porta utilizzando soltanto il manico ricurvo dell’ombrello, sorprendi persino te stesso risvegliandoti dal passivo torpore nel quale eri rimasto dolcemente invischiato, come in una trappola di seta. Non suoni il campanello, quello è per i clienti, tu preferisci limitarti ad un paio di colpi ben assestati e al tempo non eccessivamente invasivi. Tutti dettagli che reputi importanti e che delineano la superficie del carattere del perfetto ed inattaccabile Mr Holmes. Lo stesso che, almeno per Sherlock, non esiste affatto perché per lui sei l’essere umano, più mostruoso che esista sulla faccia della terra. E non esiste possibilità che cambi idea, né che se ne dimentichi.
«Oh, buona sera, Mycroft» ti accoglie la voce gentile e lievemente affaticata di Mrs Hudson, la quale fa capolino dal piccolo atrio, già in vestaglia e pantofole. Per un frangente temi d’averla destata dal sonno, però immediatamente accantoni il pensiero ritenendolo come non importante. In effetti, più che altro sei distratto da altro. Più precisamente ti attrae un’atipica sensazione di calore che adesso ti avvolge. Immerso in un febbraio ancora eccessivamente rigido ed in questa notte inumidita, il calore che sprigiona il 221b e di cui è costantemente impregnato, ti sorprendono e sconvolgono. Già sei schiavo totalmente di quel luogo; come sarebbe viverci? Ti domandi. Di certo non sarebbe una routine adatta a te, quella di Sherlock è scandita dall’apatia e dominata dal caos mentre la tua, al contrario è gestita da ritmi serrati e un’agendina ricca di impegni. Eppure il calore di quel luogo ti ammalia, ti conquista e t’irretisce, catturandoti i sensi. Ti senti una forcina in balia d’un magnete. Una bottiglia di vetro abbandonata alla corrente. Al tuo interno però non rechi alcun messaggio d’amore e ricordi, dentro hai solamente dolore ed emozioni represse.
«Sherlock è di sopra» mormora Mrs Hudson, accennando alla scala esposta ad un’odiosa penombra e dalla quale intravedi a stento un misero cono di luce che penetra dal piano superiore. E catturato da quel fascio leggero, prendi a rimuginare e ti chiedi cosa lui stia facendo: forse sta dormendo. Dovresti andartene. Non lo fai. E solamente perché riesci (al solito) a razionalizzare le tue paure, convincendoti del fatto che non devi dar retta loro. Eppure non ti senti poi tanto logico e sensato in questo momento, anzi, sei decisamente in confusione. Però vai avanti. Fare quei diciassette gradini è come salire in cima a una montagna: più ti avvicini alla vetta e meno ossigeno hai a disposizione, eppure metti un piede avanti all’altro fino alla cima. Respirare ti costa fatiche disumane e quando già ti trovi nel piccolo corridoio buio, di fronte ad una porta socchiusa, ti rendi conto che le mani ti sudano in modo copioso. La luce in cucina è accesa, il caos impera su quel tavolo ormai stipato di vetrini e provette, Sherlock però non è lì. E tu, ovviamente, invece che proseguire ed oltrepassare la soglia del soggiorno, rimani fermo e fissi il vuoto. Cosa ti spaventa a tal punto? Che ti odi. Confessi, in un moto di drastica sincerità. O piuttosto temi te stesso? Sì, più probabilmente è così. Perché sono giorni che non fai pensieri lascivi su Sherlock e non credi certamente di essere cambiato; però non puoi non domandarti se il rivederlo non ti farà cadere di nuovo in quella spirale di male, che tanto tormento ti ha provocato. Se così fosse, non hai idea di come potresti comportarti e di come reagirebbe il tuo stesso corpo. E poi sai che non riusciresti a tollerare un’altra notte come quella dannata in cui hai ceduto, e no, non parli di quando avete fatto l’amore. Piuttosto ti riferisci a poche decine di giorni fa, nel momento in cui la tua torre è crollata lasciandoti seppellito sotto ad un cumulo di macerie. Avorio e pietre preziose, perché la tua maschera è fatta di ben altro che di misera porcellana.

Ora come ora sei certo che non riuscirai a tornare indietro ad una vita stracolma d’ossessioni, e nemmeno lo desideri. Questo temi più di tutto, di tornare il pazzo che eri prima di aprirti a Sherlock. Chiudi gli occhi ed emetti un sospiro stanco. Esausto, estrai di tasca un fazzolettino di stoffa e lo utilizzi per tergerti il sudore della fronte. Anche questo gesto lo compi in maniera spiccia e svelta, fino a che non lo appallottoli malamente, ricacciandolo nei pantaloni. Come se, per qualche assurdo motivo, te ne vergognassi. No, non sei pronto a vedere tuo fratello. Ed è per questo che i pochi passi che ti dividono dall’uscio ancora chiuso, sono i più difficili che tu abbia compiuto in vita tua. Eppure ci arrivi, non sai come o in quanto tempo, ma ci arrivi ed entri in soggiorno con delicatezza, a sguardo basso e picchiettando l’ombrello sul parquet come a voler richiamare la sua attenzione. Qualcosa che sai di non meritare visto che tu per primo non riesci a guardarlo in viso. Però Sherlock c’è ed è nell’attimo in cui i tuoi sensi percepiscono un mugolio che non può essere tuo, ti decidi da aprire gli occhi. Allora lo vedi. Preso da un’agitazione senza controllo e dalla paura di fallire e di trasformarti in un mostro, sei sicuro che il muro spesso che ti circonda la mente, a stento riesca a contenere la prepotente emozione che provi. E forse è perché la tua torre è crollata o perché il delirio è ciò che ti domina in questo momento, ma a stento ti rendi conto che Sherlock è lì, vero come la pioggia sulle tue scarpe e brutale quanto il fango che ne imbratta la suola.

Poi succede. Accade in un istante dalla consistenza impercettibile e tu, distratto, per un soffio nemmeno te ne accorgi. Ma ci sono i suoi occhi su di te, un fare indagatore che studia e deduce con precisa attenzione. Attimi fugaci e ha capito tutto. La tua innaturale agitazione e il palese disappunto nel non riuscire a contenerti, sono troppo evidenti sul tuo volto non impassibile. Pare che con Sherlock tu non sia in grado di celare un bel niente. E nel contempo in cui lui ti studia tu, assurdamente lento, ancora stai realizzando che è Sherlock ed è reale. Vero quanto il sapore amaro del cognac bevuto su d’una poltrona di fronte al camino, o al pari del cellulare che ti vibra in tasca. Rumoroso come la clip che chiude il laccio dell’ombrello o un alito di respiro che s’infrange su di un’acqua asciutta di ricordi passati. Lui che ti spia e t’osserva con attenzione e che, sorprendentemente, non è dove ti aspettavi che fosse. Se ne sta disteso a terra, mollemente avvolto da una vestaglia, tiene i piedi nudi sul divano e nel frattempo giocherella col teschio. È annoiato. Riesci a capirlo per colpa di un barlume di raziocinio, che ti coglie d’improvviso e durante il quale riesci a renderti conto che non sta pensando ad un caso, perché lo sguardo non è fisso in un punto, ma saetta a destra e a sinistra in cerca di un appiglio per sfuggire all’apatia. Nel frattempo s’intrattiene col cranio che un tempo era di qualcuno che no, non avrebbe mai creduto che dopo morto avrebbe fatto una fine del genere. Incurante d’aver per le mani i resti d’un uomo, Sherlock non smette di lanciare per aria quella testa, come se si trattasse di una pallina da tennis. E ancora ti ritrovi ad accantonare idiozie che poco hanno a che fare con voi due. Non è il momento.

C’è ancora profumo di tè nell’aria, constati nel diradarsi della nebbia. Il camino è acceso e il fuoco arde vivo, il violino è nella custodia sopra il tavolo, sommerso da spartiti scribacchiati e fogli gettati alla rinfusa. Una bottiglia di Cherry Brandy è sul tavolino tra due bicchierini vuoti, che paiono attendere unicamente d’essere riempiti a dovere. Noti la consueta polvere arricchire mobili e stipiti, però l’atmosfera è differente dall’ultima volta che sei stato lì: è meno opprimente. Ma forse è l’assenza di John Watson a renderti più sereno o piuttosto l’idea che Sherlock abbia allestito un qualcosa che potesse aggradarti, che lo abbia fatto per compiacerti. Il che è atipico perché un uomo come lui non fa mai niente per uomini come te, tutt’al più si limita a provocare. Eppure non ti puoi sbagliare e quel che vedi nel disorganizzato soggiorno che ti sommerge, non è altro che un favore. Per te. E ti spaventa incuriosendoti al tempo stesso. Mentre tenti di comprendere Sherlock e le sue stranezze, allunghi lo sguardo provando a dedurlo; sta per davvero non pensando a niente? Ha tentato sul serio di farti piacere? Ma perché avrebbe dovuto? Lo guardi, non capisci e intanto ti appoggi all’ombrello ed assottigli lo sguardo per riuscire a cogliere anche la più minima variazione umorale sul suo volto enigmatico. In rimando lui ti fissa, lo fa con sorriso sghembo e fare sardonico.
«Il mio grasso fratellone che entra nella tana del lupo, a cosa devo la tua presenza?» chiede, riportando (fintamente) l’attenzione al teschio che si passa da una mano all’altra con fare giocoso.
«Non sono qui per un caso, se è questo che ti stavi chiedendo.»
«Oh, lo so» afferma lui, trattenendo malamente una risata, prima di balzare in piedi ed abbandonare il macabro giocattolo tra i cuscini del divano. Sherlock non si sofferma a guardarti, lo ha già fatto a sufficienza ed anzi, ti raggiunge e lo fa a falcate brevi. Ti si avvicina con modi eleganti, che a tratti diventano addirittura regali. Lui è così come mamma, che ancora oggi fatichi a contenere la sorpresa. Quel suo portamento fiero e ottimamente composto, non pomposo ma più che altro perfetto e poi il mento alto, le spalle dritte e il naso rivolto all’insù, persino i bottoni della camicia lasciano trasparire la limpidezza della sua mente contorta. Sì, perché tutto nel suo modo di fare e nell’abbigliamento ti ricorda che quella che Sherlock mostra è una misera facciata. L’eleganza dei modi, l’ostentata perfezione grammaticale, persino il disordine della vestaglia o quello del suo soggiorno, non sono che piccoli pezzi di un puzzle enorme di cui tu solo ne conosci il disegno d’insieme; poiché è simile al tuo. C’è un’immensa fragilità in Sherlock Holmes e una mente dai pensieri profondi, in grado d’amare senza riserve. C’è un animo complesso e di difficile comprensione, in grado di poter fare di tutto per tenere al sicuro chi ama.

In questo non siete forse identici?

La sostanziale differenza è che la tua perfezione è rigida e ordinata, la sua è disordinata, confusa e al tempo impeccabile. Un ossimoro che respira e suona divinamente il violino. Anche adesso, infatti, Sherlock mette in mostra la sua maschera e si trincera imperterrito dietro le sue mura dall’apparenza caotica che lo circondano. Tutto ciò che fa è studiato e attento, non c’è un ciglio fuori posto, un ricciolo che non sia ribelle per un motivo. Sherlock è la perfezione, la più falsa che esista. Ovviamente, il suo modo di fare ti confonde. Perché questa sera sei molto lontano dall’essere logico e se non riesci a capire te stesso, comprendere lui è impossibile. L’irrazionalità che ti divora e di cui a stento ne intuisci la profondità, è una bestia troppo pesante per poterla domare con la piuma di cui ti sei armato prima di fare irruzione in casa sua. Quella che giochi contro te stesso non è una delicata partita a scacchi, combattuta tra mosse e contro mosse, al contrario è una battaglia persa e tu sei arreso, arreso a te stesso. E qualunque siano le tue intenzioni con Sherlock, tra non molto le scoprirai e non potrai farci niente. Ma il problema, adesso, è che oltre al non riuscire a comprenderti, c’è anche Sherlock da dover gestire. Lui che non perde tempo e ti gira attorno chissà per quale motivo, non ti sta deducendo, non ne ha bisogno. No perché lui sa. Già ha capito. D’altra parte ti conosce da tutta una vita. Pertanto non fa che guardarti, non fa che toccarti. No, non siete parole in questo momento, ma unicamente gesti. Anche se non sai quali intenti ci siano dietro i suoi, perché di fatto nemmeno ti sfiora le braccia mentre ti leva cappotto e giacca. Ti ruba l’ombrello e nel farlo non ti prende le dita tra le sue. Le stesse che, ora, si annodano su sé stesse. Perché ti sta spogliando? Fin dove vuole arrivare? Non ne hai idea, ma di una cosa sei sicuro: i pensieri che stai facendo sono convulsi, caotici. Idee, che sconvolgono una mente vuota e annebbiata da un torpore che s’espande come fuliggine. E più Sherlock ti spoglia, più tu hai paura. Cos’è lui per te? Per che cosa lo consideri? Ancora non sai definirvi, non hai idea di come chiamarvi. E tu devi saperlo. È fondamentale che riesca a classificarvi con una parola. Non può piovere col sole. Perciò sei qui stanotte e non te ne andrai finché non l’avrai capito.

A distrarti, questa volta, è il toccare delicato delle sue dita sulla tua pelle, sfiorata nel tentativo di sfilarti i gemelli d’oro che ti legano i polsini. Mentre le maniche, quelle le arrotola sino al gomito e quando ha terminato la sua opera, ti guarda con una soddisfazione che non riesci a classificare. Ma la confusione che quello sguardo compiaciuto ti suscita, subito la dimentichi perché già t’invita a sedere su quella che vuole sia la tua poltrona, quella che un tempo era di John, consideri in un pensiero fugace quanto un respiro spezzato dall’ansia. Non neghi d’essere stupito da tante attenzioni, ciononostante non esiti neanche per un secondo e con un onomatopeico: puff, ti lasci affondare tra i cuscini morbidi. Accantoni subito il ricordo del dottore, che per qualche attimo ti ha invaso la mente e porti lo sguardo a lui. Sherlock è chino sul camino e riattizza il fuoco, e tu sei quasi tentato di domandargli come mai si stia impegnando tanto. Hai le parole che ti formicolano sulla punta della lingua, ciononostante rimani zitto. Il fatto è che non vuoi spezzare l’incantesimo, ancora preferisci non rompere il delicato equilibrio che avete creato. Solo la verità e con lei la realtà più dura, potrebbero piegarti. E non sei pronto, non ancora. Pertanto ti mordi le labbra, cercando di concentrarti su altro, ma tutto ciò a cui ti puoi aggrappare è alla bottiglia di Cherry consumata per metà, che capeggia tra due bicchierini scompagnati appartenenti a due servizi differenti. Detesti l’imprecisione. Però al contempo sorridi perché sei sicuro che Sherlock ne abbia cercati due che fossero simili. Lui ben conosce la tua mania dell’ordine e deve aver cercato a lungo nella credenze poco ordinate della cucina, sino a che non si è arreso. O forse è ciò che auspichi, magari è una provocazione e tenta d’innervosirti. Così come il battente storto, giù all’ingresso.
«L’impeccabile Mrs Hudson» esordisci, versando un quantitativo non troppo abbondante in entrambi i bicchieri. «Donna d’altri tempi non c’è che dire. Ogni inglese che si definisca rispettabile, tiene una bottiglia di Brandy alla ciliegia da parte.»
«Hai visto troppe puntate di George e Mildred, Mycroft» [1] continua lui, al posto tuo, andando a sistemarsi di fronte la finestra. Imbraccia il violino e sì, confessi, gli stai guardando la schiena (ed anche altrove, a dire il vero) però incredibilmente non te ne vergogni. Non c’è da stupirsi. Che sei debole già lo sai e che sei arreso a te stesso, lo hai appena ammesso. Quindi persegui a fissarlo ed intanto sorridi perché la battuta che ha fatto è sciocca, ti diverte e di ridere ne vale la pena. Lo fai con naturalezza e semplicità, tanto che il pensiero stesso dovrebbe sconvolgerti, tuttavia non ci pensi. Assurdo è che le parole tra voi non stiano rovinando niente, anzi, alimentano la follia rendendola incredibilmente lucida. Persino giustificabile. Sì, la paura non scema. Non s’allontana il terrore di cedere alla lussuria ed alla perversione, cionondimeno sei ancora vivo. Non più acquattato nelle ombrosità più profonde del tuo animo, il panico è lì ed è partecipe di quanto sta accadendo. Ma tu non tenti di scacciarlo, anzi lo accarezzi come faresti con un gatto dal pelo fulvo.
«Cosa preferisci ascoltare?» ti domanda Sherlock mentre, fintamente distratto, stuzzica le corde verificando che siano accordate. Di nuovo ti ritrovi a sorridere e piegato da quella lieve nota di malizia che hai scorto nel suo sguardo, così come inebriato dal profumo di ciliegie ed alcol, non gli rispondi subito. Lento e pacato, ti lasci sprofondare all’indietro mentre rotei il Brandy nel bicchierino, retto con appena le punte delle dita.
«Dipende» mormori, leccandoti le labbra che ora sanno di ciliegie.
«E da cosa?»
«Da che tipo di serata è questa. Paganini? Mozart? Schubert? O magari Liszt? Non saprei dire… Stupiscimi!»
«Non ti piacciono le sorprese» risponde lui, con fare asciutto e tu nel contempo stiri un ghigno. Fai roteare lo Cherry nel bicchierino, beandoti dei profumi che evaporano e poi sollevi lo sguardo fino a che non te lo ritrovi a pochi passi, con lo strumento già a spalla e l’archetto che viene agitato con nervosismo.
«Vero; però sono curioso. È anche in questo modo che deduci le persone, giusto? Le associ ad un autore o ad un brano musicale. John chi era? Mozart? No, credo che fosse Bach. Sì, John era Bach: melodia chiara e armonia complessa, sfuggente al primo ascolto, ricca di dettagli e affatto banale. Se John era questo, io chi sono? Sono una Danse Macabre? Sono un Requiem? Un noioso notturno? Chi sono, io, per te, Sherlock?» Di certo lo hai sorpreso e sei sicuro che l’accenno a John lo abbia addirittura fatto arrabbiare. Tuttavia non ti porta rancore, la luce che gli illumina lo sguardo è prova evidente che almeno in parte è divertito dal tuo ritrovato coraggio. Ma Sherlock Holmes è capriccioso quanto il casco di ricci che catturano la vista persino di un osservatore distratto. Lui è fatto così. E se tu hai temerariamente affrontato l’argomento, andando incontro agli angoli bui della tua mente, di certo lui ora si vendicherà. Ti prenderà in giro e ti canzonerà con uno Scherzo o un Rondò banale e sciatto. A decidere, infatti, non impiega nemmeno un istante: si rizza a schiena dritta e quanto tu ti accorgi che sta suonando, lui già fa vibrare le corde.

Indubbiamente, ti coglie impreparato.

Perché tra tutto, non ti saresti mai aspettato che avrebbe suonato proprio quello. La Romanza dall’Elisir D’amore. Quella che conosci bene e di cui sai a memoria parole e note. L’aria di un’opera che senti così tanto tua, che spesso quando ascolti il vinile che hai a casa, ti sembra che il tenore la stia intonando a te. A te, che di furtive lacrime ne hai fatte scappare fin troppe e che sai quale forma abbia l’amore perché per anni sei vissuto in sua perpetua e tormentosa devozione. Proprio tu che, come Nemorino, hai cercato per mari e monti un magico elisir. [2] Un qualsiasi cosa ti potesse far tornare ad essere un uomo normale; qualcuno da poter classificare con quella sciocca ed inutile parola. Da sempre ti atteggi da persona comune, ma non sei e non sarai mai uno come tanti. Il tuo magico fluido non lo hai trovato ed è incredibile il fatto che Sherlock ti associ proprio a quella Romanza. Una delle tue preferite. Ma d’altra parte, lui sa ogni cosa che ti riguarda, la sa da sempre. Conosce anfratti della tua mente che tu a stento consideri ed infatti, mentre fa vibrare le corde di quel prezioso Stradivari che gli hai regalato, tu, rilasciato tra i cuscini e con lo sguardo vacuo, ma con quella melodia ben in mente, la canticchi in piccoli mormorii.
«Si può morir. Si può morir. Di più non chiedo.» E il tuo sguardo si fa lucido. In un attimo ogni cosa si va vacua e liquida, senza rendertene conto finisci in bilico tra i profumi intensi dello Cherry, il vivo ardere delle fiamme del camino che ti stuzzicano la vista e quella delicata e dolce melodia, che si espande nell’aria ed impregna il soggiorno caotico del 221b di Baker Street, di un innaturale ordine cosmico. Tutto diventa perfetto, e al tempo evanescente come un sogno del mattino che sparisce al primo sole. Piangi appena e a stento te ne accorgi. Infatti ancora sei lì, immobile e terrorizzato, con il bicchierino stretto tra le dita che tremano appena, colto da un evidente non respirare. Vaghi nel buio di una nebbia fitta, assalito da sensazioni e ricordi troppo forti da poter gestire e il panico ti coglie, t’invade e per nessuna ragione desidera lasciarti andare. Tutto ciò che adesso capita attorno a te, non lo percepisci nemmeno. Troppo preso dalle tue paure, non senti e non vedi nulla. In un attimo il violino finisce sulla poltrona lasciata vuota; ma non ci fai caso. L’archetto ballonzola in modo pericoloso sul ciglio del cuscino, tanto che finisce riverso a terra; tu a stento senti il delicato tonfo. “Una furtiva lagrima”. Su questo rimugini e a quello che il piangere di fronte a lui ha comportato, in quella notte di pochi giorni fa. È così che Sherlock ti vede? Come l’uomo che ha pianto? Forse ti reputa debole? Sì, è così e te lo ha persino urlato contro, lo ricordi bene perché è stato durante un moto di rabbia in cui ti ha addirittura colpito. Dopo quella notte, però, tu ti sei sentito più libero e sereno. Sherlock, al contrario, non è stato affatto meglio. Lui ancora ama John. Non ha smesso di suonare per il suo amore non corrisposto. Tu sei niente altro se non uno scherzo. Una provocazione terminata con una notte di sesso e non sarai mai nulla di più. Nonostante lo desideri. Vorresti essere più di quanto non sei per Sherlock, il perno attorno al quale ruota il suo mondo, il centro del suo nido caotico. Il suo tutto. Purtroppo non è che un sogno. Perché ciò a cui aspiri non avverrà mai e non esiste modo di fare andare le cose in maniera differente. E più rimani lì seduto, più chiaro e forte si amplifica il concetto.
«Chopin.» La sua voce non è che un mormorio leggero, ed infatti a malapena lo percepisci, se non fosse perché ti sta stringendo con vigore entrambe le mani, non saresti riuscito a tornare alla dolosa realtà. Perché ti tormenta? Ti aveva regalato un’assoluzione, eppure non smette di darti addosso. Vuoi solo fuggire, scappare, andare lontano, laddove lui non riesca a trovarti. Sei stato uno sciocco illuso, sino ad oggi hai vissuto da idiota in cerca di una magia e hai finto con lo sperare di riuscire a cambiare, quando tutto ciò che avresti desiderato era stare con lui. Solo di questo avevi bisogno e che fosse sbagliato, contorto, assurdo e non giusto, non te n’è mai importato niente.

Il tempo è diradato, informe nella sua precisione scandita dalle lancette di quell’orologio che ti ticchetta in tasca e che Sherlock non ti ha levato. Per assurdo finisci col concentrarti sul tic toccare leggerissimo che percepisci, forse perché ti riverbera nella mente suonandoti come un mantra. Magari è la logica che torna e t’invita ad andartene. Però non ti muovi e con Sherlock chino tra le tue gambe aperte, nemmeno potresti spostarti. Quando c’è arrivato al tuo cospetto? Non lo sai. Dove sia finito il bicchierino di Brandy che tenevi in mano non ne hai idea, anzi, a stento rammenti d’averne bevuto, e soltanto per quell’ombra di ciliegia che ti tinge le labbra.
«Chopin» ripete, con ancor più vigore e questa volta capisci e chini lo sguardo in cerca del suo. Strano: ti appare disperato e confuso. Ti stai guardando allo specchio? No. Impossibile. Eppure non possono che essere i tuoi quegli occhi pregni di dolore. Torna in te, Mycroft, le tue iridi non sono così lucenti. Mai così bello è stato Mr Holmes.
«Studio numero 3 opera 10: Tristesse. [3] “In tutta la mia vita non sono mai più stato capace di trovare una melodia così bella”. Sei un capolavoro, My. Struggente. Armonioso. Dolcemente drammatico. Premuroso al punto da diventare detestabile.»
«Sh…» balbetti, apri e chiudi la bocca, ma non un suono esce dalle tue labbra. Non una parola sei in grado di formulare perché non te lo aspettavi. Da lui non attendevi una confessione così affettuosa.
«Sì» annuisce e nel frattempo ti strattona appena, come a volerti risvegliare. «Sei ancora di più, My, sei come il Re diesis che spezza l’armonia o il basso continuo che viaggia ad un rimo costante. Sei note lunghe, trilli, vezzi artistici. Sei la pausa durante l’assolo e nel frattempo sei l’assolo stesso. Sei il La acuto al quale arrivi dopo tanta fatica e che immediatamente devi lasciare perché braccato dalle note successive. Sei un pizzicato sul cantino, una melodia suonata a corde doppie. Sei sempre stato la mia musica, Mycroft.»
«No» neghi, vistosamente, finalmente rinsavito. Ancora quelle parole ti vorticano in testa e già s’annidano pericolosamente in un angolo della tua mente. Un anfratto in cui, ora, c’è unicamente luce. Ma, frettoloso, decidi di non badare all’intenso calore che senti e ti concentri sul fastidio, dato dal pizzicore delle lacrime che ti appannano la vista, impedendoti di scorgerlo con nitidezza.
«Tu ami John. Lo so, lo vedo. Sofferenza e dolore sono sentimenti che conosco, poiché anche miei.» Distogli lo sguardo e lo porti al focolare che arde vivo, incurante di voi. Di solito quest’atmosfera ti quieta regalandoti pace, eppure questa notte non ci riesce. Il dolore è troppo grande, e troppo potente è l’amore che Sherlock nutre per John. In nessuna maniera potrai insinuarti tra di loro; il dottore c’è ed è lì, nonostante sia dall’altra parte della città con un bimbo tra le braccia e una moglie che gli sorride. John. John che ora è la tua ossessione e che vorresti distruggere come farebbe soltanto un Dio implacabile e malvagio. Se solo ne avessi il potere…
«Devi smetterla di tormentarti.» La sua voce spezza per la seconda volta il fruire illogico e perverso dei tuoi pensieri.
Sollevi il volto e ti ritrovi a fissarlo, lo fai con un volto dai tratti allucinati e le dita pericolosamente intrecciate a quelle di lui. Lui, che è dannatamente vicino. Sono così belle le sue iridi azzurre e carezzevole è il suo viso, vellutato come buccia di pesca. Lo vorresti tanto toccare ed infatti lo fai, senza pensare e dominato da una briciola di coraggio ed un velo d’incoscienza, t’allunghi e con la sola punta del pollice gli sfiori uno zigomo mentre lui chiude gli occhi e sospira. È un fiato lieve, roco, a tratti lo trovi ancestrale, è assurdamente erotico e scandalosamente perverso. Ed è unicamente tuo.
«Sei così bello…» mormori, con fare incantato «devo confessarti che non riesco a capire il motivo per cui tu avessi scelto di stare con me, quindici anni fa.» Lui sorride, arrossisce d’imbarazzo e subito distoglie lo sguardo, allontanandosi appena.
«Mi piacevi» sputa fuori, in un soffio. «E la verità è che non ti ho mai considerato come un fratello» ammette, annuendo con convinzione e mosso addirittura da un pizzico d’impazienza, come se desiderasse dirti quelle cose da troppo tempo e soltanto ora trovasse il coraggio.
«Ho trascorso l’adolescenza con l’immagine di questo sconosciuto, un fratello che non vedevo mai e di cui a malapena ricordavo il viso. Per quanti anni non ti sei fatto vedere? Credi che delle lettere inviate a nostra madre ogni due mesi bastassero per mantenere vivo l’attaccamento familiare? Quando mi chiedevano se fossi figlio unico, io rispondevo di sì e in buona parte è così anche adesso.»
«Scusa. Per non di non esserci stato» ammetti, con vergogna, interrompendolo.
«Ti ho odiato e sai che è vero. Ma poi, io non so come sia potuto succedere: un giorno sei tornato ed eri diverso da come mi ero immaginato che fossi. Mi guardavi in un modo che… nessuno aveva mai posato uno sguardo simile su di me. Ti vedevo e le ginocchia tremavano, lo stomaco sfarfallava e la mente si offuscava. Quella notte non ho pensato, io, My, io non ho pensato. E che mi vantavo di essere logico, distaccato, immune ai sentimenti. Ma il fatto è che quando si tratta di te mi è impossibile ragionare con logica, soprattutto in quel periodo.» Annuisci di comprensione, perché anche per te è così.
«La vigilia di Natale» mormori, ricordando quella notte da cui ogni cosa è nata. Non avete mai parlato di quel che avete fatto insieme, ed in parte l’idea di star facendo proprio con lui un simile discorso è decisamente strano. Adesso però non è la tua immaginazione, a confonderti. Quante volte hai sognato di dirgli che cosa ti ha spinto davvero a stare con lui? Troppe. Tante da perderci il conto. Ma ora è come se i contorni sfuocati dell’illusione stessero lentamente svanendo, lasciando posto ad una realtà dai toni insolitamente dolci. Parlarne dopo così tanto tempo, è sorprendentemente piacevole.
«Il tuo sguardo» riprende a raccontare «si soffermava nel mio e di tanto in tanto era insistente, ma quando mi voltavo per catturarlo, ecco che tu lo distoglievi. Sei stato incredibilmente sfuggente e irritante! Cristo, non ti capivo, non ti conoscevo, non sapevo nemmeno chi fossi se non un tizio che ricordavo a malapena. Non ho deciso di stuzzicarti, è semplicemente successo. Volevo provocarti e l’ho fatto, senza pensare, solo per il puro piacere di sperimentare. Inizialmente era tutto uno scherzo e probabilmente nemmeno mi rendevo conto di quello che le mie azioni avrebbero comportato. So che c’è un legame di sangue fra di noi, io però non l’ho mai percepito. Per me sei esistito nell’esatto istante in cui hai varcato la soglia di casa ed eri un perfetto straniero.»
«Sherly» mormori, deglutendo rumorosamente. La tua mano ancora non si è allontanata dal suo viso ed anzi, ora lui ci si lascia andare contro e chiude gli occhi, quasi se ne stesse beando. L’emozione è violenta, l’idea che ti stia cercando è inusuale e ti piace in un modo pericoloso, quanto stupefacente. Potresti abituarti all’idea.
«Io non volevo farti del male» prosegue Sherlock, qualche istante più tardi afferrando con violenza la tua mano e stringendola nella sua. Non tenta di celare la commozione che gli dipinge il volto, non prova a distogliere lo sguardo ancora fermo nel tuo. Non ti rifugge. Non lo disgusti. Al contrario ti cerca.
«Ma il tuo allontanarti dopo quella notte… ti ho odiato. L’ho fatto per così tanto tempo. Perché mi hai abbandonato, My? Mi hai lasciato solo. Perché?»
«Perché era sbagliato!» gridi. Lui si spaventa, sussulta, eppure non si muove e riamane ai tuoi piedi. Con lo sguardo inchiodato al tuo, lo stesso che prima ti smuoveva dolcezza e che ora ti rievoca un dolore fresco e forte.
«Non ti biasimo per avermi detestato» prosegui «mi ero ripromesso che ti sarei stato accanto, ma non ci sono riuscito. Io sono stato un pessimo fratello e me ne dispiaccio. Sono stato un mostro.»
«Essere umani non è mai stata la nostra caratteristica principale, Mycroft. Non siamo ciò che le persone considerano: normali e mai lo saremo e non soltanto per ciò che abbiamo fatto quella volta, quello non è che l’apice. È soltanto il culmine di quel noi che sempre ci renderà diversi. Tutto sta nell’esserlo assieme.»
«Immagino sia così» rispondi, abbozzando un sorriso «ma devo confessarti che per me vale ancora di più, sono meno umano di te, mio bellissimo Sherly. È stata dura accettarti il giorno in cui sei nato, ti vedevo e non sentivo niente: gioia, preoccupazione e attaccamento non erano sentimenti che mi appartenevano. Mi eri totalmente indifferente, al punto che mi domandavo quale fosse la ragione della mia inappetenza emotiva. E poi, quel Natale ti ho rivisto. Tutto è iniziato allora, hai ragione. A lungo mi sono tormentato perché quel che avevo visto mi aveva sconvolto. Ormai è inutile negarlo, mi svegliavo al mattino ed ero eccitato da quei sogni di cui tu eri l’unico protagonista»
«My…»
«Ti desideravo, Sherly, in tutti i modi possibili. Ma lentamente la realtà ritornava ed il dormiveglia m’abbandonava ed io riprendevo con i miei tormenti, mi facevo ribrezzo e spavento. Sono scappato, è vero, l’ho fatto e con ogni probabilità anche oggi mi comporterei nell’esatta maniera d’allora. Perché non cambio mai, non imparo e non miglioro. Non ci volevo nemmeno venire quell’estate in Provenza, ma per troppi anni avevo detto di no a mamma e lei non accettò i miei rifiuti. Avevo paura. Di te, di me. Di un controllo che non possedevo. Però, per assurdo, quando mi sono trovato in quella stanza, quella notte, ho capito che non mi sarei fermato se non di fronte ad un tuo rifiuto.»

Al termine di un monologo inframmezzato da sospiri e pause, Sherlock annuisce. Non fa altro. Si limita a sorseggiare il Brandy alla ciliegia e subito posa il bicchiere vuoto sul tavolino. Dopo si lascia cadere a terra. Il peso del suo mento che preme contro la tua coscia non è fastidioso, anzi è piuttosto piacevole. Così come l’atmosfera rilassata e distesa. La tensione che ti dominava è quasi del tutto sparita ed ora non ti rimane che un’infinita leggerezza.
«Ci pensi mai, Mycroft? A rifare… sì, insomma, a rifare l’amore con me? Perché io ci penso, ogni tanto mi domando come potrebbe essere.»
«Conosci la mia risposta a questa domanda» mormori, stirando un sorriso ed arrossendo al contempo. «Ma non è ciò che desidero io, a contare qualcosa. Ci sei solo tu.»
«E tu, Mycroft?»
«Il mio volere non basta» ripeti, abbassando lo sguardo e distogliendolo dal suo. Al salvarti sono le fiamme del camino, che ti rapiscono anche se per pochi istanti perché Sherlock subito prende attenzione e ti strattona con violenza, imponendoti di voltarti.
«Voglio una risposta» sentenzia «se qui e adesso ti chiedessi di fare l’amore, tu come risponderesti?»
«Me lo sai domandando davvero, Sherly? Non è un modo per dimenticarti di John Watson?»
«Non lo è, o meglio, non lo sarebbe.»
«Presente o condizionale? Da cosa dipende?»
«Dalla tua risposta, My.»


 
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Il mattino sorge d’improvviso. Ti scopre avvolto tra lenzuola sfatte, assonnato, odiosamente lento e al solito infinitamente pigro. Ti trova da solo in un letto troppo grande e vuoto per un cuore rattrappito come quello che a stento ti palpita al centro del petto. Ciononostante sorridi. Assurdamente felice, più leggero e non più carico di tormenti e sofferenze, sorridi quasi fosse la prima volta che lo fai. E forse lo è davvero. Loro ci sono ancora, i dolorosi tormenti e mai se ne andranno, ma vivono in te come fossero un ricordo scarno e lontano, come se non ti fossero mai appartenuti per davvero. Quindi sei felice e nel contempo sorridi, nonostante lui non ci sia, realizzi nell’attimo in cui allunghi una mano sino ad arrivare al cuscino ormai freddo. Non avete fatto l’amore. Però sei rimasto. Sherlock te lo ha chiesto e tu lo hai fatto. È rimasto al tuo fianco per tutta la notte e lo hai percepito, hai sentito il suo tocco gentile e le braccia che ti avvolgevano la vita, hai concepito nel sonno la sua presenza aggraziata e forte al tempo stesso. Adesso però lui non c’è, anche se ti è sufficiente un’occhiata per dedurre quanto hai da capire. È stato a letto fino a che ha potuto, ma prevedibilmente il giorno lo ha trovato scalpitante ed annoiato. Stanco dall’inattività cerebrale, dev’essersi alzato in cerca di qualcosa da fare. In parte ti dispiace, sarebbe stato gradevole trovare il suo volto appena sveglio; è uno di quei deliziosi piaceri della vita che non hai mai avuto modo di gustare e che vorresti assaggiare come faresti con una torta alla crema. Avrai tempo per cose del genere e no, non sei diventato ottimista e speranzoso in una singola notte. È lui te lo ha sussurrato all’orecchio e sei tu che hai deciso di credergli. Non riesci a fare altro se non fidarti, perché la felicità non ti ha solo raggiunto, ti agguantato trasformandoti in uno stupido e trepidante idiota. E ti piace infinitamente.

Lui, Sherlock, lo trovi minuti più tardi di fronte alla finestra spalancata del soggiorno. Nudo, involontariamente lascivo, con una sigaretta accesa mollemente rilasciata tra le labbra e lo sguardo vacuo a fissare un vuoto che pare essere il centro dei suoi pensieri. Rimani a lungo a fissarlo, appoggiato allo stipite della porta e con ancora la tazza di tè fumante stretta tra le dita. Tu, già pettinato e sbarbato, ma ancora in bretelle e maniche di camicia lo guardi e scrolli la testa, mentre noti gettata a terra la sua vestaglia azzurrina. La sua pelle è un tumulto di brividi e peli irti, il gelo che entra dalla finestra è prepotente e fastidioso e non hai idea di come riesca a tollerarlo, tu di certo non ci riesci ed infatti la chiudi senza attendere oltre, prima di coprirgli le spalle con la vestaglia. Sherlock sussulta e volta lo sguardo, incrociando il tuo.
«Fa freddo, Sherly» mormori, sfiorando appena un suo braccio. Immediatamente però ritrai la mano, ancora in parte dominato dai tuoi antichi dubbi. «E il tè si fredda» borbotti, con fare spiccio mentre un delicato rossore t’imporpora le guance. Sherlock ride del tuo fanciullesco pudore e può darsi che abbia ragione, perché non dovresti più essere imbarazzato. Puoi toccarlo come e quando vuoi, lui lo ha fatto più volte questa notte, anche se in maniera innocente. Tuttavia una parte di te sente che non ti abituerai mai agli slanci d’affetto, sono concetti e idee che non ti appartengono e che con ogni probabilità non riuscirai neanche una volta ad esternare a dovere. Non come farebbe un uomo che è normale non solo nella parvenza. Ti domandi se lui ne senta il bisogno.
«Ho un caso» esordisce, coprendosi a dovere.
«Interessante?» gli domandi, lasciandoti cadere in poltrona per poterti dedicare finalmente al tuo tè mentre lui spegne la sigaretta nel camino.
«Banale, un sei scarso, ma il mio cervello sta marcendo e mi tocca accettare.»
«Pertanto lo risolverai entro oggi e questa sera sarai libero?»
«Per andare a con te a vedere il Lago dei cigni? Scordatelo. Odio il balletto e dovresti saperlo.» Sbuffi, ma nel contempo sei divertito e inebriato da questa nuova stordente felicità, accompagnata al lieve senso di routine a cui già ti stai abituando.
«Se non vuoi, potremmo fare del...»
«Voglio sentirti suonare» t’interrompe sedendosi ai tuoi piedi. È incredibile, pensi, i suoi occhi sono così grandi e ampi, brutalmente sinceri. Uno sguardo e riesce ad esternare una caleidoscopica miriade sentimenti ed emozioni, un istante ed è il ritratto di una limpidezza d’animo che non riuscirai mai ad avere. Sherly che ti appare come l’immagine pura di un fanciullo nel corpo di uomo. Il suo volto infatti è ora carico di una speranza insolita e che su di lui risulta quasi bambinesca, inadatta all’uomo che è. Al tempo però è adatta e giusta.
«Suona il tuo pianoforte. Per me. Solo ed unicamente per me. Voglio conoscere quel lato di te che mi hai tenuto nascosto per tutta la vita. Voglio iniziare con te, My, incominciamo da lì.» Il respiro ti si è affatto affannoso e il cuore batte ad una rapidità inconcepibile, fremi e come un idiota ti ritrovi a balbettare parole incomprensibili. Non hai mai suonato per nessuno, tanto meno per lui. Però da sempre fantastichi su una cosa del genere. Ora, l’idea di farlo per davvero ti torce i pensieri di un’emozione prepotente e soffocante. Cosa vuole vedere di te che già non ha visto? Sei vissuto credendo d’essere vuoto dentro, ma ora Sherlock sembra riuscire a scorgere particolari che non pensavi t’appartenessero, e ne vuole di più. Chiederti Chopin o Brahms ti pare una follia, tu non sei un esecutore, tu suoni per te stesso e basta. Sarai all’altezza? Lo deluderai? Non dovresti pensare a questo. Non ora.

A salvarti da una misera figura c’è il rumore della porta d’ingresso al piano di sotto che si richiude con un tonfo, seguito dalle voci di Mrs Hudson e di John che arrivano alle vostre orecchie. Balzi in piedi con uno scatto violento ed inaspettato perché no, non lo vuoi vedere. Tu odi John Watson. Quel cieco e dannatissimo reduce che ha fatto soffrire il tuo Sherly. Detesti l’uomo che è stato tanto ottuso da non riuscire a scorgere l’infinita bellezza di un angelo. Idiota, John Watson, stupido e cieco idiota. Per questo te ne devi andare e lo devi fare prima di cedere alla tentazione di saltargli al collo, o di offenderlo con quanto di peggio la tua mente contorta riesca a concepire. Ti tendi, mentre posi la tazza svuotata in un sorso sul tavolino e recuperi in fretta e furia i gemelli, allacciandoli ai polsi. Lo fai con lo sguardo sconvolto e le mani che tremano. Sherlock al contrario non si è mosso: ti guarda, scrolla la testa e sospira. Sa che non vuoi vedere John e che faresti di tutto pur di scappare anche questa volta, ma sa anche che rimarresti se solo te lo chiedesse. Non però hai il tempo di soffermarti a studiare ogni sua reazione, perché già stai sulla soglia ed hai indosso la giacca.
«Resta.» Domanda? No, implora e l’idea ti sconvolge perché Sherlock Holmes non implora mai, di sicuro con te non lo ha mai fatto. Desidera così tanto la tua presenza da piegarsi a te così tanto? O magari non vuole rimanere da solo con John?
«Qualsiasi cosa saremo, non lasciarmi di nuovo.» Ti volti e lo fai di scatto, sollevi il volto, ben deciso ad affrontarlo a muso duro e a sputargli contro tutto il tuo disappunto per quella frase orrenda. Ha fatto leva sul tuo senso di colpa e dovresti esserne furente. Quindi alzi il viso, indurisci lo sguardo, serri le labbra e… e niente. Chi vuoi prendere in giro, Mycroft? Il suo è uno sguardo che non lascia scampo. Alla sua pura bellezza t’inchinerai finché avrai vita. E poi Sherlock è sincero, il suo non è un capriccio perché c’è per davvero: la vena di panico non è una menzogna. Non vuole perderti una seconda volta. Quindi ti sta pregando e lo sta facendo con te che, da lui, sei sempre fuggito. Si sta mettendo a nudo in una maniera totale ed impensabile. Non puoi andartene ancora, Mycroft. Non da questo. Non adesso. Se lo facessi, lo perderesti per sempre ed allora nemmeno un fratello potresti essere.

Già John è lì quando dai la tua risposta. Quella che suona dolce, che ha un retrogusto di speranza ed un sapore prepotente di felicità. Sherlock sorride, lo fa di fronte ad un John che non capisce. Lo fa a te e a te soltanto ed è assurdo perché ancora non hai pronunciato una parola. Lui però sa, lui sa sempre.
«Salve, Mycroft» ti saluta il dottore, sfoggiando occhiaie profonde ed un grande sorriso cordiale «se ne sta andando?» chiede. Tu non rispondi, perché lui non importa adesso. Contate soltanto voi e i tuoi occhi che non hanno lasciato neanche un istante i suoi.
«No» neghi, immediatamente pur senza distogliere lo sguardo da quello di Sherlock «io resto.»



Fine




 
Note finali. 

[1] George & Mildred, è una serie tv degli anni ’70. La battuta gioca sul fatto che Mildred tenesse una bottiglia da parte, ma (e non ho trovato nel web nessun riferimento) non riesco a ricordare se fosse Sherry o Cherry Brandy. Dato che mi piaceva l’idea che fosse alla ciliegia, ho tenuto per buono lo Cherry Brandy che è appunto un liquore di ciliegia, mentre lo Sherry è un vino liquoroso (ma non alla ciliegia) tipico della Spagna.
[2] Nemorino e la storia dell’elisir: sono citazioni dall’Elisir d’amore di Donizetti, che dà anche il titolo alla storia e di cui ho riportato in cima il testo per intero. (Per chi non lo conoscesse, qui nella romanza: “Una furtiva lagrima” cantata da Luciano Pavarotti). 
[3] Studio n.3 op.10 di F. Chopin, chiamato anche “Tristesse”. QUI in un’esecuzione di Lang Lang. Poi: 'In tutta la mia vita non sono mai più stato capace di trovare una melodia così bella', la frase fu detta da Chopin stesso in merito a questa composizione.

Altre cose. 

-Nella confessione di Sherlock c’è un riferimento alla Danse Macabre di Saint-Saëns, che non si riferisce tanto all’opera, quanto alla storia di Allonsy_SK, initolata appunto: 'Danse Macabre'.
-Ringrazio tutti coloro che sono arrivati a leggere sin qui e che mi hanno sostenuta anche nelle precedenti storie, soprattutto chi ha recensito perché no, è pur sempre una incest e il tema non è così tanto gradito in senso generale. 
-Infine. Ammetto che è stato difficile pubblicarla. Ho fatto molta fatica a separarmene. Al contrario di quanto mi accade di solito, non volevo lasciar andare questa storia e condividerla con altre persone.
Beh, grazie a tutti.
Koa
   
 
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