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Autore: Cara_Sconosciuta    04/01/2009    15 recensioni
“Nome.”
“Kevin Jonas. Dove sono i miei fratelli?”
“Età.”
“Ventisei. Mi dice dove cazzo sono finiti i miei fratelli?”
“Non si agiti, il suo braccio è fratturato.”
“Me ne fotto del mio braccio! Voglio vedere i miei fratelli!”
“Potrà vederlo quando arriveremo in ospedale.”
“Vederlo?”
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ebbene sì, penso che questo sia l’ultimo aggiornamento prima della fine delle vacanze...uff uff non ho proprio voglia di tornare a scuola... vabbè, ora non ho tempo di ringraziarvi una per una, perché tra poco arriverà un’amica di mia madre con famiglia e non posso stare qui a scrivere...ma comunque tantissime grazie a tutte! Come al solito, ringrazierò meglio nel prossimo capitolo!

Un bacio, 

Temperance

 

-Capitolo Quattordici-

 

Avremo mai il coraggio di rifare

Di dire basta e poi ricominciare

E di noi cosa sarà... che sarà...

Di tutte le parole che inventiamo

Per dirci che comunque sia ci amiamo

Delle notti perse ad aspettare

Di poterci riabbracciare

Che da soli non sappiamo stare

Cosa sarà di noi

(i Pooh, Cosa sarà di noi)

 

Joe si passò una mano tra i capelli scuri, lasciando che il vento li scompigliasse di nuovo subito dopo. Niente cuffie e sciarpe di lana per proteggersi dal freddo. Solo l’aria gelida e impietosa dell’inverno di casa nostra a farlo rabbrividire fino alle ossa.

Sorridendo appena, prese un respiro a pieni polmoni, sentendosi invadere totalmente dalla vita che riempiva Princeton a qualunque ora e in qualunque stagione dell’anno.

Poi pensò a Clarisse e il sorriso svanì.

Clarisse che gli aveva voluto bene subito, gratuitamente, e che lo stava aspettando dall’altra parte della città con una sconosciuta amica di sua sorella più grande, con una donna che avrebbe, in teoria, dovuto essere in grado di tirarlo fuori dalla fossa che si era scavato con le sue mani.

Era stata dolce, Clarisse, ad organizzargli quell’appuntamento pur sapendo che sarebbe stato inutile.

Ora anche lui ne era cosciente, ma doveva sbatterci la testa per rendersene conto.

Tipico del vecchio Danger, unico aspetto del suo carattere che non era mai, mai cambiato.

“È molto bella, non è vero?”

Joe si voltò lentamente verso destra, direzione dalla quale era giunta la voce che lo aveva riscosso dai suoi pensieri. Capelli rossi, lunghi fino alla vita, un basco marrone, profondi occhi verdi.

 

Tristi.

 

Il suo primo impulso fu, di nuovo, come quando l’aveva incontrata davanti alla gelateria, di fuggire a gambe levate, ma qualcosa sembrava tenerlo ancorato al terreno.

O qualcuno, forse, chissà.

“Che...che ci fai qui?”

Eliza si strinse nelle spalle, appoggiandosi accanto a lui alla balaustra che costeggiava il cavalcavia.

“Vado al lavoro. Turno di notte, oggi. Tu?”

“Io... do buca a una persona.” Rispose, cercando di non distruggere l’incanto di quella conversazione semplice quanto surreale.

Eliza annuì, per poi rimanere in silenzio per un po’.

“La città, dicevo.” Riprese, poi. “È bella.”

“Sì, è... non lo so... le luci, il traffico... è viva.”

“Anche tu sei vivo, Joe.”

Le rispose un sorriso amaro.

“Già.”

“Non è un male, sai? Vuol dire che puoi ricominciare, che puoi tornare ad essere quello che eri. Non ti manca Danger?”

“Perché sei qui?” Chiese Joe a bruciapelo, ignorando quella domanda che aveva sortito lo stesso effetto di un pugno nello stomaco. “Voglio dire, perché parli con me? Perché mi telefoni?”

“Sei sparito per quasi tre mesi, se non avessi visto Kevin, oggi, potrei tranquillamente pensare che sei morto. C’è un motivo per cui non mi hai mai risposto?”

C’era?, si domandò Joe per l’ennesima volta, trovandosi, suo malgrado, a non avere una risposta.

“Tu devi scordarti di me.” Disse, senza crederci poi così tanto.

“Questa l’ho già sentita. Non voglio dimenticarti, e , anche se volessi, non ci riuscirei. Tu nemmeno immagini cosa ho fatto per il tuo bel faccino, mr Jonas.”

Joe ridacchiò in un modo che ad Eliza parve profondamente inquietante.

“Niente di peggio di ciò che ho fatto io a te in questi anni.”

“C’è un ragazzo innamorato di me. Davvero innamorato, intendo. E io l’ho chiamato Joe mentre facevamo l’amore. E non una volta sola.”

Di quel discorso l’unica cosa che gli giunse alle orecchie fu il fatto che lei aveva fatto l’amore con qualcuno. Qualcuno che non era lui. Non avrebbe dovuto fargli così male... lui doveva dimenticarla...

È strano, come a volte si possa arrivare quasi a trent’anni ed essere estremamente ingenui.

Perché l’amore di tutta una vita non si dimentica in una notte, fratellone. Né in dieci, o trenta, o mille.

L’amore di una vita ti resta dentro per sempre, eliminarlo è impossibile. L’unico modo per avere pace è cedergli.

“Chi è lui?”

“Un mio collega.” Rispose lei, titubante di fronte a quella domanda inaspettata. “Aaron... perché?”

“Così lo posso uccidere.”

“Capisco... ti devo dimenticare, ma non posso andare a letto con un altro?”

“No! Voglio dire, sì... tu sei...”

“Cosa, Joe, sono cosa?” Sbraitò lei, unica voce fuori dal coro del traffico notturno. “Un giocattolo? Un pupazzo da prendere a botte, ignorare per mesi e poi andare a cercare? Una stupida amica innamorata? Sentiamo, Joe, cosa sono io? Sono...”

“...mia.”

“Come?...” Domandò lei, spiazzata almeno quanto me, mentre lui prendeva con dolcezza tra le dita una ciocca dei suoi capelli di rame.

“Sei mia, Eliza, solo ed unicamente mia, molto più di quanto dovresti essere e questo...questo è sbagliato.” Si bloccò, come riemergendo all’improvviso dall’abisso color dello smeraldo in cui lo avevano trasportato quegli occhi, e lasciò che il ciuffo tornasse a cadere morbidamente sulla sua spalla. “È sbagliato, è tutto dannatamente sbagliato... tu... tu non dovresti essere qui, tu... Dimentica quello che ti ho detto. Dimenticati di me.”

E poi sparì, di corsa, nel buio multicolore della notte di Princeton, prima che Eliza potesse anche solo pensare di fermarlo in qualche modo.

“Joe...” Sussurrò al vento, accasciandosi contro la balaustra, gli occhi già colmi di lacrime. “Joe...”

 

It's alright, baby

it's a crazy world it's a bit absurd
it's alright, sugar
it's a crazy world it's a bit absurd

(Komeda, It’s alright, baby)

 

Martha si verso l’ennesima tazza di latte e la scolò in un sol sorso, per poi appoggiare pesantemente il contenitore sul tavolo e ridacchiare, rendendosi conto di quanto forte fosse la sua somiglianza con uno di quei cowboy alcolisti dei western di serie b.

“Non dormi, Nini?”

La ragazza sobbalzò all’udire la voce della nonna che la raggiungeva da una distanza a dir poco millimetrica.

“Non ti ho sentita entrare...”

“Sarai stata troppo occupata ad ubriacarti di... latte freddo? A dicembre?”

Martha si strinse nelle spalle, accennando un sorriso.

“O questo o il marsala all’uovo che usi per le torte.”

“Oh beh, allora va benissimo il latte: quel vino costa un capitale.” Accarezzando i capelli della nipote, la donna le si accomodò accanto con un sorriso dolce ben fermo in viso. “C’è qualcosa che non va?”

“No, nonna, va tutto bene...”

“E bevi perché va tutto bene?”

“Nonna... è latte.” Sottolineò Martha, inclinando leggermente il capo, mentre un accenno di singhiozzo la faceva sobbalzare sulla sedia.

“Latte freddo, come ti ho fatto notare, e siamo a dicembre. Come vedi, gli effetti sono gli stessi di una buona grappa. Cosa ti è successo?”

Martha sospirò, passando un dito sull’orlo della tazza con aria distratta.

“Non so se puoi capire...”

“Quindi sono questioni di cuore. Anche tua madre da ragazza era fissata che non potessi capire le sue cotte. Ora, capisco che tu con lei non ci voglia parlare, siete forse troppo diverse, ma con me...”

“Ok, c’è un ragazzo.”

“Bene...nome?”

“Kevin.”

La nonna annuì, interessata.

“Conoscevo un Kevin... ragazzo simpatico... si è rovinato, poveretto... vai avanti a raccontare o te le devo proprio tirare fuori con le pinze le cose?”

Martha prese un respiro profondo, decisa a mettere in tavola tutto quanto: chi meglio di sua nonna, la persona che meglio la capiva al mondo, per aiutarla a comprendere se stessa?

“Ok, ti dico tutto. Kevin ha trent’anni, è...”

“Meno male che era un ragazzo!”

“Nonna!”

“Ok, scusa, vai avanti.”

La ragazza annuì, raccogliendo di nuovo tutto il coraggio necessario, poi riprese a parlare.

“È il mio insegnante di musica da settembre. È dall’inizio dell’anno che mi fa mezze avances che nemmeno ero mai riuscita ad interpretare...e poi stamattina mi ha baciata. Molto, direi. E lui mi piace...tanto, però ha una reputazione un po’così, ma credo che ci sarei passata sopra...sennonché all’uscita da scuola l’ho visto che abbracciava un’altra... un’altra bella dieci volte me e probabilmente con anche una decina d’anni in più della sottoscritta e non ho assolutamente idea di come comportarmi, perché...” il lungo e sconclusionato discorso fu interrotto da un singhiozzo da latte freddo più forte degli altri, accompagnato da un paio di ribelli e nervosissime lacrime.

“Nini, hai pensato che quella potrebbe essere una sorella o un’amica?”

Martha alzò, stupita, gli occhi lucidi sulla progenitrice.

“Niente storie per l’età?”

La donna si strinse nelle spalle.

“Tuo nonno aveva ventun’anni più di me e siamo sempre andati benissimo. Il fatto che è un tuo professore passa anche lui in secondo piano, visto che sei all’ultimo anno, ma questa cosa dell’altra donna la devi chiarire subito.”

La ragazza annuì, piano, mentre l’immagine di mio fratello e di Eliza stretti l’uno all’altro le appariva di nuovo davanti agli occhi, portandola a spingere da una parte la tazza con gesto nervoso.

“Sua sorella non è. Che io sappia ha solo un fratello che nemmeno esce mai di casa.”

“Joseph...” Sussurrò la nonna, sgranando gli occhi.

“Come?”

“Joseph, il fratello di Kevin... è lo stesso ragazzo di cui ti parlavo prima, Martha... e le cose cambiano. Credo sia meglio che tu gli stia lontana.”

“Come....perché? Hai detto che era un bravo ragazzo...”

“Ho detto che era un bravo ragazzo che si è rovinato, dopo che è successa quella cosa con l’altro fratello, il più piccolo... nessuno dei due è più stato lo stesso. Erano tre giovani stupendi... sempre con il sorriso sulle labbra. Poi Joe si è chiuso in se stesso come un’ostrica e Kevin...suppongo che tu lo sappia.”

“Allora è vera la cosa delle prostitute?”

“Temo di sì... e non sai quanto mi abbia fatto male vederlo ridursi così. Quel Joe, poi... il buffone del quartiere, non sembra quasi vero di vederlo sempre triste e serio.”

“Del...quartiere? Vuoi dire che vivono qui?” Fu il turno di Martha di strabuzzare gli occhi chiari.

“Oh sì. A due isolati.”

“Oh Dio...”

“Oh, su, non è niente di sconvolgente! Tu, piuttosto, vedi di ridurre i vostri rapporti a quelli di professore e alunna, che è meglio.”

“Ma nonna, io... non credo di farcela.”

“E perché no? Non è un bacio che fa la differenza.”

“Anche senza bacio...sarebbe lo stesso, temo.”

Il sorriso della donna si raddolcì, allora, e si riempì di comprensione.

“Non è un’avventura fine a se stessa, eh?”

Martha scosse il capo per l’ennesima volta, asciugandosi le lacrime.

“Non sono esattamente il tipo da avventure.”

“Sì, sì...lo so. Credi di esserne innamorata?”

“Io... non lo so... è una parola grossa... ma lui mi piace...moltissimo...”

“E allora fregatene di chi la gente dice che è e scopri chi lui è per te. Placcalo alla prima occasione e chiedigli chi era quella sciacquetta a cui di certo non hai niente da invidiare. Se hai anche solo il presentimento di poterlo amare sul serio, piccola, non lasciartelo portare via.”

 

Continua...

                                                                                                                                                  

 

 

   
 
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