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Autore: Monique Namie    22/05/2015    9 recensioni
Un racconto accompagnato dalle note di una canzone anni settanta, che può essere letto come un diario di bordo. Il protagonista, un cosmonauta che ha lasciato la casa e l’amore sulla Terra per affrontare un lungo viaggio oltre i confini dell’universo conosciuto, racconta i suoi pensieri e sue avventure. La vicenda descritta in questa storia parte dal momento cruciale in cui il nostro protagonista si trova ad affrontare uno dei più affascinanti e pericolosi fenomeni del cosmo...
Genere: Avventura, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Tornerò

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Tornerò
(Song-fic ispirata al testo della canzone de I Santo California - Tornerò)



Rivedo ancora il treno
allontanarsi e tu
che asciughi quella lacrima.
Tornerò.

Le luci intermittenti della console di comando segnalano che mi trovo nei pressi di una stella supermassiccia che sta collassando su se stessa. Se voglio sperare di superare indenne la trappola che l’universo mi ha preparato dinanzi, devo attivare immediatamente gli scudi esterni per proteggere i motori e lo scafo. In assenza di gravità i movimenti sono più lenti e impacciati, ma riesco a raggiungere il computer e inserire i nuovi comandi. È incredibile come, a quasi un anno dalla mia partenza, non sia ancora riuscito ad abituarmi a vivere nello spazio. Ricordo l’ultima sera passata assieme a te come se l’avessi vissuta ieri. Il tempo quassù sembra non seguire regole: talvolta accelera trascinando la lancetta dell’orologio atomico - quello sincronizzato con il tuo sulla Terra - a velocità vertiginose; talvolta rallenta fino quasi a fermarsi, e allora dalla cupola della mia navicella posso osservare un universo immobile, i cui colori sembrano pennellate rabbiose sulla tela di un astrattista.

Com’è possibile
un anno senza te?
Adesso scrivi, aspettami.
Il tempo passerà.

Penso a quella rosa che ho lasciato sul tuo cuscino prima di andarmene via: chissà se la conservi ancora o se l’hai già gettata via. Quella mattina non ti ho svegliata; non volevo che mi venissi a salutare alla stazione, perché temevo ti saresti messa a piangere. Eppure l’ho vista comunque una lacrima solcare il tuo viso, e da qui non potevo nemmeno asciugarla. Sono salito su quel treno di metallo azzurro, diretto alla base di lancio, senza nessun pentimento. Chissà che cosa avevo in mente? Forse pensavo che tanto un anno passa velocemente e l’amore trascende il tempo. E adesso mi trovo qui, nel quadrante inesplorato di una galassia sconosciuta, mentre dal motore della mia navicella proviene un rumore sinistro: temo che non abbia la potenza necessaria a sfuggire dal campo gravitazionale di quella maledetta supernova che sta collassando. Questa cabina di comando ormai si è trasformata in una discoteca di luci accecanti, e la foto di noi abbracciati e sorridenti passa davanti al mio sguardo, fluttuando poi verso un angolo. Se riuscirò a tornare, ti sposerò, lo prometto.

Un anno non è un secolo.
Tornerò.
Com’è difficile
restare senza te.

Spero mi avrai perdonato per averti abbandonata così. Ogni volta che guardo un tuo nuovo videomessaggio, in quel tuo sguardo percepisco una luce cupa mascherata dal sorriso. Forse avevi ragione a dirmi di restare. Che cosa ci ho guadagnato da questo viaggio? Sì, ho visto la luce rossa di una stella morente e quella bianca di una stella nascente; ho captato il segnale lontano di una stella variabile pulsante che sembrava musica e mi veniva voglia di danzare, di danzare con te. Ho compreso le equazioni che descrivono il moto delle galassie in formazione e ho raccolto campioni di materia primordiale, ma in tutto questo credo di aver perso te. E allora la domanda mi sorge spontanea: ne è veramente valsa la pena?
Spengo tutte le luci intermittenti che segnalano il pericolo imminente e attivo i comandi manuali. Le sirene degli allarmi si acquetano e torna la pace; è un silenzio surreale nel quale per un attimo credo di sentire il respiro del cosmo.

Sei, sei la vita mia.
Quanta nostalgia
senza te.
Tornerò.
Tornerò.

Quella stella supermassiccia che mi ha agganciato si fa sempre più buia: i suoi ultimi flash di luce si allungano e si perdono in vortici nello spazio circostante. Se non mi allontano in tempo, prima che diventi a tutti gli effetti un buco nero, rischio di essere risucchiato. Sarei il primo uomo a varcare l’orizzonte degli eventi; un gran privilegio, ma non potrei raccontarlo mai a nessuno.
Disattivo tutte le apparecchiature superflue e convoglio la loro energia in parte ai propulsori inerziali laterali e in parte ai motori ausiliari;
per assicurarmi un risultato tangibile, uso persino l’energia prodotta dal generatore di riserva, quello che di solito entra in funzione solo in caso di avaria. L’unico computer che ho lasciato in funzione mi sta mandando i dati in tempo reale di ciò che succede all’esterno; oltre queste quattro pareti metalliche della mia navicella sembra proprio che si stia scatenando l’inferno! Qualcosa colpisce il parabrezza blindato del mezzo, creando una piccola ma spaventosa incrinatura. Ora ho un nemico in più che mi ostacola: la pressione dell'atmosfera interna. Se il vetro non regge ed esplode, l’interno della navicella verrà ferocemente catapultato nel vuoto dello spazio. Istintivamente indosso il casco della tuta da cosmonauta che già vesto; con questo addosso, in caso di incidenti, potrò sopravvivere per qualche istante in più. Improvvisamente il computer va in corto, le luci si spengono e dai cavi fusi scendono cascate di scintille. Mi torna in mente la volta in cui siamo andati a vedere i fuochi d’artificio in riva al mare e tu mi hai baciato. Credo di sentire ancora la tua voce e il sapore di quel bacio…

Da quando sei partito è cominciata per me la solitudine.
Intorno a me c’è il ricordo dei giorni belli del nostro amore.
La rosa che mi hai lasciato si è ormai seccata
ed io la tengo in un libro che non finisco mai di leggere.

Quando le pareti della navicella iniziano a dilatarsi capisco che la fine è vicina. La stella ormai si è spenta, e quella sua massa supercompatta ha deformato irrimediabilmente la struttura dello spazio-tempo. Tutto perde di significato: che cos’è lo spazio senza le tre dimensioni? Che cos’è il tempo senza una direzione? Sono attratto verso quell’infernale abisso che è come un magnete; sono troppo vicino al campo gravitazionale del buco nero, non c’è nulla che io possa fare se non pregare. Il carburante è quasi esaurito e ogni manovra risulta inutile quindi abbandono i comandi, slaccio la cintura di sicurezza e mi lascio fluttuare. Il corpo perde sensibilità, tanto che ho l’orribile sensazione di essere spalmato su un’immensa superficie senza fine. Scintille, rumori assordanti, scossoni.
La nostra foto deformata ora sembra un'opera liquefatta di Dalì che si dissolve nell’acqua. Mi chiedo per l'ennesima volta se ne è valsa la pena, ma non trovo nemmeno la forza di darmi una risposta.

Il mio orologio atomico - quello sincronizzato con il tuo sulla Terra - è impazzito: un secondo equivale ad un mese o forse più. Chissà come ti muovi veloce da una stanza all’altra, in quella piccola casa bianca, su quella regione temperata di quel pianeta verde e azzurro che è la nostra culla. Chiudo gli occhi e penso a te: se potessi tornare indietro non credo che partirei. Al posto di quella rosa, sul letto, troveresti me.

Ricominciare insieme…
Ti voglio tanto bene.
Il tempo vola, aspettami.
Tornerò.

Mi risveglio improvvisamente affannato e sudato. Per un attimo credo di aver solo sognato, ma quando gli occhi si abituano alla poca luce, riconosco l’interno della mia navicella. Mi manca l’aria, tolgo il casco e prendo un grande respiro. Se la scorta di ossigeno presente nella tuta è terminata, significa che sono rimasto privo di sensi per almeno un’ora. Dagli ultimi dati elaborati dal computer prima che smettesse di funzionare, si direbbe che la navicella sia finita direttamente dentro la singolarità creata dal buco nero. Non riesco a capacitarmi di essere sopravvissuto, ma sono felice. Cerco nei dati un riferimento, una qualche coordinata per capire in che zona dell’universo mi ritrovo a vagare. I motori sono andati, il carburante è finito, le riserve d’ossigeno dell’ambiente sono scese al trenta per cento. Quante probabilità ho di riuscire a tornare? Non molte, eppure alzo lo sguardo e oltre le finestre della cupola qualcosa attira la mia attenzione: un pianeta azzurro cosparso di vortici bianchi, e poco più distante la Luna. Sono a casa!
Secondo l’orologio atomico -
quello sincronizzato con il tuo sulla Terra - il mio viaggio è durato un solo giorno e, infatti, indica le tre del pomeriggio del giorno dopo la mia partenza, avvenuta in realtà dodici mesi fa: sono tornato indietro nel tempo? Quella stella supermassiccia è stata la mia rovina e la mia salvezza; collocata in un quadrante inesplorato di quella galassia sconosciuta, si è trovata a collassare su se stessa nel preciso momento in cui io passavo di lì, per risucchiarmi e riportarmi a casa. In un lampo capisco che non si è trattato di una coincidenza. È stata una mossa azzardata da parte tua, perché sarei potuto rimanere compresso oltre l’orizzonte degli eventi per un tempo infinito, e allora no, non ci saremo mai più rivisti.

Pensami sempre, sai,
e il tempo passerà.

Sei, sei la vita mia.
Quanta nostalgia
senza te.
Tornerò.
Tornerò.

Fiammate d'oro e rosso fuoco abbracciano le vetrate blindate: mi rendo conto che sto precipitando nell’atmosfera terrestre. Lo scudo termico della navicella è danneggiato, tutti gli apparecchi sono inutilizzabili, ma a me basta che funzioni l’airlock della capsula di salvataggio. Con movimenti impacciati entro in quella che è la mia unica possibilità di salvezza, mi assicuro del funzionamento dell’airlock e in seguito sgancio la capsula dalla navicella. Mi chiedo dove sia finita la foto di noi due abbracciati e sorridenti. Forse è rimasta in quella galassia sperduta, dall’altra parte dell’universo, a testimoniare che l’amore trascende lo spazio e il tempo.

Amore, amore mio!
Un anno non è un secolo.
Tornerò.
Pensami sempre, sai!
Tornerò.




Note autore:

Tornerò de I Santo California è una canzone degli anni '70 che ho scoperto solo di recente. Mentre scrivevo questa mia prima song-fic, ascoltavo a ripetizione varie versioni di questa canzone. Il protagonista della canzone parte per andare a fare il militare, mentre il protagonista della mia storia parte per un viaggio ai confini dell’universo. Di una cover in particolare mi ha colpito il tono malinconico del cantante che, quando dice “tornerò”, sembra voler convincere se stesso di qualcosa che in realtà non si realizzerà mai. Quando ho cominciato a scrivere le prime righe di questa song-fic, avevo deciso di farla finire nel peggiore dei modi… Sembra proprio che io non riesca ad abbandonare i personaggi che creo senza dar loro un briciolo di speranza. Sono inguaribile! Se volete ascoltare una versione più allegra della canzone, vi consiglio QUESTA.

PS: La frequente ripetizione dell'immagine dell'orologio atomico è voluta. Ah, e se vi ho fatto sorgere almeno un dubbio verso il finale, sono riuscita nel mio intento. Una parte può sembrare abbastanza enigmatica, in effetti ho deciso di non dare spiegazioni, proprio perché mi piace che il lettore ipotizzi da sé varie possibilità.

Una versione revisionata del testo, la potete trovate nel mio blog a questo link.



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"Tornerò" di Monique Namie
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