Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Lukeee    22/05/2015    1 recensioni
La più grande catastrofe che si sia mai abbattuta sull'oriente e sull'occidente vista dagli occhi di uno dei personaggi più amati. In una riga questo è quello che state per leggere.
SPOILER: ATTENZIONE se seguite SOLO la serie tv potreste non capire alcune cose. Non sono presenti comunque spoiler di grande calibro.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Daenerys Targaryen
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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"The flames that shot so high and hot that even dragons burned"




Stava in piedi, appoggiata al parapetto della grande piramide, facendo spaziare il suo sguardo su tutta Meereen. Era magnifica vista così, dal punto più alto, mentre il sole si adagiava lentamente sul mare e illuminava la città con i suoi ultimi rossastri e deboli raggi. Come poteva un tale spettacolo non impressionare? Se però pensava anche quanti problemi le avesse dato quella città, e quanti ancora gliene dava, quella magnifica vista veniva come appannata, rovinata, incrinata. Lei voleva cambiare tutto. Sapeva di fare la cosa giusta. Ma le tradizioni all’ombra della grande piramide erano difficili, quasi impossibili, da estirpare. Voleva ribaltare ogni cosa, ma la città le si opponeva, le faceva resistenza.
Fece un lungo e amareggiato sospiro. Mentre il sole moriva definitivamente, una leggera brezza le accarezzava la faccia.
Daenerys si staccò dalla balaustra, guardò ancora un ultima volta la sua città che si preparava al buio e fece per rientrare nella piramide.
Ma non riuscì che a muovere un paio di passi. Poi sentì un fischio, un sibilo lontano. Riusciva a coglierlo, ma decifrarlo era tutta un’altra storia. Rimase immobile, con le orecchie tese. Quel suono l’aveva come ipnotizzata, doveva scoprire da dove veniva. L’unica cosa che riusciva a capire era che il rumore si avvicinava sempre di più, ogni istante diveniva più forte e chiaro. Iniziò a guardarsi attorno. Ma quel poco che rimaneva del sole la abbagliava. Socchiuse gli occhi per provare a distinguere qualcosa. Riuscì dopo qualche secondo a mettere a fuoco una enorme sagoma all’orizzonte.
Un pensiero le folgorò la mente. Un brivido di spavento, sorpresa e felicità assieme la scosse. Erano mesi che non lo vedeva. Temeva di averlo perso per sempre. Si faceva sempre più vicino.
E poi, lentamente, con un ultimo regale battito d’ali, le si posò di fronte.
La regina aveva il cuore a mille. Riuscì, tra un respiro e l’altro, a smozzicare un “Drogon” carico di sorpresa e felicità. Per tutta risposta il drago inarcò il collo verso di lei e emise un amichevole ruggito. Abbassò sempre di più la testa vero Daenerys, fino ad arrivare a meno di un metro da lei. Se quella strana espressione, un misto di denti digrignati, sbuffi leggeri, fremiti d’ali e lenti respiri poteva essere considerata un sorriso, allora Drogon le stava sorridendo.
Lei, mossa da una forza istintiva, gli si avvicinò allungando la mano. Gli toccò la punta del muso. Iniziò a sussurrare una sorta di cantilena in valyriano. Il drago pian piano si acquietò. Mentre lo accarezzava però sentiva una sorta di fremito nell’animale, come se lui le dovesse comunicare qualcosa. E ad ogni instante questa sensazione aumentava. Il drago la fissava intensamente. Lei non capiva, ma decise di fidarsi di lui.
Lentamente Drogon aprì l’immensa bocca. La regina vide che sul suo palato si andava formando una sorta di punto luminescente, come se i suoi nervi fossero in piena attività. Non senza un po’ di timore infilò il braccio tra le sue fauci e con la punta del dito sfiorò quel punto luminoso.
Una sorta di scossa la attraversò, e lo stesso fu per il drago. Daenerys ritrasse all’istante la mano, spaventata e sconcertata. L’animale emise un lungo fischio, scosse il collo, aprì le ali, si librò nell’aria e volò via. Lei era troppo scioccata per provare a fermarlo.
Rimase lì ferma, con il respiro affannato, per qualche minuto, cercando di dare una spiegazione sensata a ciò che le era appena successo.
Lentamente riuscì a riprendersi. Alzò lo sguardo. Di Drogon non c’era più alcuna traccia. Scosse la testa.
Oramai la notte era scesa. All’improvviso si rese conto che aveva freddo. E dopo aver lanciato un’ultima occhiata all’orizzonte, rientrò nei suoi appartamenti.
Si domandava ancora come e perché fosse successo, ma del resto non si era fatta male. Sentiva solo una strana sensazione dentro, come se nel suo inconscio si fosse risvegliato qualcosa.  Ma era troppo indistinta e confusa perché lei potesse davvero prestargli attenzione.
Era tardi oramai. La giornata seguente sarebbe stata molto impegnativa. Come tutte le sue giornate del resto. Governare una città dava più problemi di quanto avesse mai potuto immaginare. Chissà cosa sarebbe stato con i sette regni pensò.
Si spogliò e si mise a letto, per godere di quelle poche ore di riposo che i suoi doveri da regina le permettevano. Diversamente dal solito riuscì a prendere sonno all’istante.
E quella sensazione che prima le era sembrata così confusa e impalpabile ora prese il sopravvento.
Daenerys scivolò in un sonno profondo.
E poi iniziò a sognare.
Si ritrovò a volare, a guardare il mondo con gli occhi di un drago. Vedeva verdi foreste, il mare azzurro turchese, le nuvole che come giganti punteggiavano il cielo, sentiva il vento sulla squame. Era così strano, ma del resto stava sognando.
E poi all’improvviso vide comparire sull’orizzonte mura, guglie, palazzi. Si avvicinava ad essi a una velocità folle in una picchiata vertiginosa. Poi il drago di cui era ospite planò dolcemente e iniziò a sorvolare la città.
Era più grande, più incredibile, più maestosa, più regale, più imponente di qualsiasi altra città che avesse mai visto.
Capì in un istante che stava sorvolando casa sua. Capì che città fosse.
Solo una città poteva essere così.
Stava vedendo dagli occhi del drago la città dei suoi antenati.
Era a Valyria.
Si chiese come fosse possibile. Conosceva la storia. Era incredibile che fossero lì. Ed era altrettanto sconcertante che stesse vedendo tutto attraverso gli occhi di un drago. Ma non ebbe il tempo di starci a pensare troppo. Perché le meraviglie che aveva davanti non potevano essere ignorate.
Viserys le aveva parlato poco dei ricordi che la casata si tramandava della patria.
Conosceva le canzoni e i racconti che gli uomini avevano inventato sulla grande città. Ma ciò che aveva davanti era cento, mille, diecimila volte più incredibile.
Guglie che raggiungevano le più alte volte del cielo, palazzi imponenti e sfarzosi, smisurati e verdissimi giardini, ordinati e mozzafiato giochi d’acqua e cascate, larghe e affollatissime strade, mura possenti e regali, porte massicce sormontate da altissime torri. Tutto era enorme. Tutto era magnifico. Tutto era curato nel minimo dettaglio. Poteva vedere le immense biblioteche che custodivano tutto il sapere che i Valyriani avevano raccolto in millenni di studi e osservazioni, distingueva le colonne di fumo delle fucine che forgiavano il migliore acciaio del mondo intero, le enormi voliere che ospitavano i draghi che avevano permesso la creazione dell’immenso impero e che ne garantivano l’ordine e la sottomissione.
Un solo quartiere di Valyria era più grande e molto, molto più bello dell’intera Meereen o di qualsiasi altra città che lei avesse mai visto. Non le sembrava possibile che gli uomini potessero aver creato una tale città. Lei avrebbe fatto fatica solo a immaginarla, figuriamoci costruirla.
E ancora incredula e piena di meraviglia seguì il drago che si alzava sempre più in alto nel cielo, in una vertiginosa ascesa verso le stelle. Si rilassò, ripensando a ciò che aveva appena visto. Era stato Drogon a infonderle quei ricordi? Probabilmente sì. E mentre ragionava su questo, l’animale saliva sempre più in alto. Superate tutte le nubi rallentò gradualmente e, dopo aver compiuto ampi e lenti giri nel cielo, si fermò a mezz’aria. Daenerys rimise a ben a fuoco lo sguardo.
Notò immediatamente qualcosa di strano. Le nuvole dal bianco candido di prima si erano fatte ora scure come la pece. Riusciva ad avvertire il suono dei tuoni e il bagliore dei fulmini.
E prima che potesse pensare a cosa stesse succedendo, il drago si lanciò in picchiata. La salita era durata minuti, forse ore. Non avrebbe saputo stabilirlo. La discesa, invece, richiese pochi secondi. A una velocità tanto elevata da essere inconcepibile attraversarono le nubi cariche di tempesta, mentre una strana sensazione si faceva largo nel suo animo.
Superate le nubi, si ritrovò davanti la città.
Ma non era la Valyria che avevano lasciato poco prima.
Il respiro le si troncò.
Un brivido gelido di stupore, incredulità e terrore la percorse dalla testa ai piedi.
Non poteva, non voleva crederci.
La città che fino a pochi minuti prima era magnifica, imponente e operosa era ora sconvolta.
Le fiamme divampavano crudeli e potenti ovunque, le guglie e i palazzi crollavano come castelli di sabbia, la terra tremava furiosamente, altissime onde dal mare si infrangevano con violenza sulla penisola, incandescenti getti di lava fuoriuscivano dalle crepe del suolo.
Il rumore di tutto ciò era spaventoso. Un insieme di fiamme che ardevano assetate d’aria, urla di uomini disperati, latrati di draghi che suonavano come lamenti, suoni lugubri della terra, immensi boati degli schianti dei palazzi contro il suolo, lancinanti stridii di metallo e pietra che cozzavano, secchi scrocchi di enormi travi lignee che si spezzavano sotto la forza del terremoto, rombi feroci e cupi dei tuoni.
Il fuoco dei draghi aveva reso grande Valyria.
E il fuoco ora si era impossessato della grande città.
Ogni cosa era avvolta da fiamme di ogni colore e dimensione , che si alzavano sempre più alte nel cielo, trascinando senza distinzione costruzioni, uomini, piante, draghi dentro di sé.
Colonne di fumo nero come la morte salivano compatte a oscurare l’orizzonte e rendere l’aria irrespirabile.
Il mare si faceva strada nelle enormi fratture che si aprivano nella terra. Le onde finivano ciò che il terremoto e le fiamme avevano iniziato, trascinando via con sé ciò che rimaneva.
Daenerys era senza parole.
La città era completamente trasfigurata.
L’apocalisse si stava abbattendo su essa.
E dalla forza e dalla violenza con cui lo faceva, si poteva facilmente capire che nessuno sarebbe scampato.
In un gelido e folgorante istante le tornò in mente il popolare detto “Il caos regna a Valyria”. Quel insieme di parole non era sufficiente a descrivere ciò che stava vedendo con i suoi occhi.
L’intensità della contrapposizione tra la straordinaria e senza pari città di prima e la devastazione che ora la colpiva superavano il possibile, il concepibile, l’immaginabile.
E mentre assisteva a questo spettacolo iniziò a sentire un calore opprimente, insopportabile, devastante.
Il drago stava volando basso. Troppo basso.
Provò a fare qualcosa, ma non poteva fare niente.
Per un soffio l’animale schivò una enorme torre che cadeva.
Ma non riusciva a prendere quota, l’aria ormai incandescente era troppo densa per poter risalire.
Le fiamme avvolsero le ali del drago, lo cinsero completamente.
E in pochi tragici istanti in cui il tempo le sembrò fermarsi lo catturarono.
Lo trascinarono con violenza dentro di sé.
Le strofe che tante volte aveva sentito ripetere da ogni giullare del mondo le furono all’improvviso chiare.
“E tenendosi stretti, volsero le spalle alla fine
Le montagne si squarciavano e il nero inghiottiva i cieli
Le fiamme ardevano sì alte da bruciare anche i draghi
Fu questa l’ultima immagine serbata ai loro occhi
Una mosca sul muro. Le onde sferzate e scosse dal vento
L’antica città millenaria e il sapere degli uomini
in pari modo consumò il disastro”

La più grande e maestosa città che il mondo e gli uomini avessero mai conosciuto cadeva distrutta sotto un inesorabile e crudele destino.
Il caos prendeva il sopravvento sull’ordine e l’eccellenza con cui i Valyriani avevano dominato il loro impero per millenni.
E lei era lì, impotente, ad assistere alla fine della patria dei suoi antenati.
Vide sprofondare sotto la forza del disastro anche l’ultima torre. Vide la terra della penisola frammentarsi in mille pezzi e farsi tutt’una con il mare.
E poi, inesorabilmente, il buio e la nebbia scesero a coprire l’oramai irriconoscibile città.
Ombre indistinte le comparivano davanti in sogno. Voci e lamenti si mischiavano in un’unica penose e terrificante cantilena.
La regina si svegliò di soprassalto.
Era oramai l’alba. Ansimò a lungo, ancora incapace di credere a ciò che aveva appena visto.
Era sconvolta, più di come lo era mai stata.
Stette immobile per un tempo che le parve infinito.
Poi trovò la forza di alzarsi, coprirsi e uscire sulla balconata della piramide.
L’aria pungente del mattino le diede il benvenuto.
Guardò a lungo la città che si risvegliava, assorta in mille pensieri.
Ancora non riusciva a crederci.
Con il tempo, avrebbe tratto insegnamento da ciò. Avrebbe imparato che tutti i disegni, i progetti e le istituzioni degli uomini, per quanto siano straordinari e ben realizzati, sono fragili come castelli di carte. Che posso essere spazzati via in ogni momento, come un delicato petalo dal vento. Che il destino colpisce arbitrariamente, i piccoli e i grandi, i forti e i deboli, i giusti e i peccatori. E che gli uomini altro non possono fare che sottostargli. Altro non possono che sottomettersi impotenti.
Ma in quel momento non riusciva a trarre nessuna conclusione.
Niente di sensato, nulla che potesse essere chiamato ragionamento.
Nella sua mente c’era solo sconcerto e confusione.
Il caos regnava nei pensieri della regina.
The doom was ruling in Daenerys’ mind.
 
The doom still rules in Valyria.






Note dell’autore:
so che esistono parecchie teorie per spiegare la fine di Valyria. Io le ho “ignorate”, nel senso che mi sono attenuto a quel poco che è raccontato, ossia quello di un fatale e casuale destino. Le teorie più logiche e oggettive non mancano certo. Quasi tutte derivano dall’ultimo capitolo di Arya in “A Feast for Crows”. SPOILER In quel capitolo infatti viene raccontata la storia del primo degli uomini senza volto. Essenzialmente i Valyriani sfruttavano duramente degli schiavi per estrarre metalli preziosi da sotto i quattordici fuochi. Ora qui le teorie sono due, o almeno sono quelle che sono riuscito a trovare e che ritengo più verosimili. 1) Le condizioni di lavoro erano disumane e gli schiavi volevano ribellarsi. Si fece strada tra loro un uomo che lì guidò e tutti insieme scavarono in modo da minare la struttura delle miniere, facendo collassare i vulcani e provocando quindi tutto il resto. 2) Secondo altri i Valyriani avevano sfruttato fino all’osso quelle miniere rendendole incapaci di autosostenersi. Esse si reggevano in piedi oramai solo grazie a incantesimi tenuti saldi da stregoni preposti al compito. L’idea è che il primo degli uomini senza volto (per vendetta, per giustizia?) abbia assassinato questi stregoni, rendendo vano l’incantesimo e innescando quindi la fine della città.
A mio parere sono ben fondate, ma sinceramente mi sembra eccessivo scavare nei meandri della storia per creare teorie logiche.
Per qualche volta ci si potrebbe accontentare, prendere la fine di Valyria come un evento dovuto a forze superiori agli uomini.
Nella mia storia è proprio così. Secondo me nulla è più adatto di un destino indifferente e casuale, che si abbatte sulla città e la spazza via dal mondo. La civiltà più evoluta che il mondo avesse mai conosciuto viene distrutta da qualcosa di superiore agli uomini che l'avevano costruita. Non è una volontà divina, non sono coinvolti i Sette, il Dio dai Mille volti e quant’altro.
Pura fatalità e caso.
Sono stato molto “apocalittico” proprio per questo motivo.
Ditemi i vostri pareri, teorie e quant’altro.
E fatemi sapere se avete apprezzato il mio dipinto della fine della più grande e magnifica civiltà che il mondo abbia mai conosciuto.
Alla prossima
Luke ;)




 
   
 
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