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Autore: veronika95    23/05/2015    4 recensioni
[Destiel AU ex soldato!Cas, cameriere!Dean]
Due giovani ragazzi si amano davvero, ma il loro sogno, di vivere felici insieme, verrà stroncato da una chiamata alle armi. Sotto un bellissimo cielo stellato si promettono di rincontrarsi con parole silenziose.
Anni dopo il destino ed una bellissima luna che splende sopra le loro teste saranno artefici del loro nuovo incontro
"Castiel percepisce di aver urtato qualcuno proprio mentre sta per oltrepassare le cucine, e alla cieca lo afferra per un braccio in modo da non farlo cadere, facendo si che entrambi finissero contro il muro uno schiacciato all’altro.
Non c’è bisogno di parole o della luce, che mai come in quel momento aveva scelto il momento giusto per venir meno."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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LASCIA LA LUNA SBIRCIARE


Da dove proviene l’incanto che suscita la luna?
Un tempo era una meta inarrivabile, irraggiungibile e lontana, aveva un fascino tutto suo dettato dal non poter essere raggiunta. Veniva vista come una sorta di dea dalle dita argentate, di cui l’uomo poteva godere da lontano solo dei suoi pallidi raggi satinati.  
Poi è arrivato l’uomo e l’ha sporcata. Niente di più e niente di meno. Se si guarda verso la luna si vede sempre la stessa faccia, eppure al contempo sembra così diversa ora, ora che è solo un sogno stropicciato, ora che non ha più quella grazia dell’inarrivabile, ora che non sembra nemmeno più la casa degli angeli.
Nonostante tutto la luna affascina ancora, continua e continuerà ad essere avvolta da nuvole di mistero, da un denso alone di ignoto. La luna veglia sugli uomini nelle notti buie. Non importa sia solo una piccola falce nel cielo o sia una faccia tonda tonda che sorride alla frivolezza delle vicende umane. La luna è sempre lì, vicina ed anche distante, in una maniera straordinariamente bella.
Ed è lì anche quando nelle notti scure sbircia verso il basso e mantiene i segreti che gli uomini si vergognano a mostrare alla luce del sole.
Certe cose è meglio che sia solo la luna a vederle, ci sono cose che solo la luna dovrebbe sapere, e poi, ci sono uomini che sanno benissimo cosa sia meglio mostrare e a chi, che sanno come comportarsi quando il sole li scalda e sanno come possono cambiare quando i raggi lunari, più teneri e soffusi, li proteggono.
Ci sono uomini che permettono alla luna di spiarli, di intrufolarsi nelle loro vicende e sono gli stessi uomini che si fidano della sua discrezione e riservatezza.
Una notte di molti, molti anni prima c’erano un reduce di guerra ed un giovane cameriere chi si fidavano più del cielo sopra di loro, piuttosto che dei propri simili; ed in quella stessa notte c’era un plenilunio che incorniciava una luna ridente, la quale conservò il segreto di quella calda sera d’agosto, protesse l’amore sgualcito di due ragazzi incapaci di dimostrarlo e si commosse a tal punto che, quella stessa luna, ancora oggi durante le afose sere d’agosto si lascia scappare qualche stilla, qualche lacrima argentata che percorre il cielo inconsapevole della storia che racconta; davvero la luna non vorrebbe piangere ancora, non vorrebbe perdere goccia a goccia quella preziosa storia e farla ricadere sugli uomini e -davvero- la luna è sicura che tutti quegli umani laggiù siano troppo indaffarati per potersi accorgere della magia che sgocciola piano; però non sa che è rimasto ancora qualcuno a cui piace fissare il cielo ammirato, a cui piace rubare scintillii di storie, farli propri e trasformarli in parole d’inchiostro.
Ed è così che un qualche umano rubò alla luna la sua storia più preziosa, in un plenilunio, durante il quale le stelle cadevano tanto grandi da sembrare angeli.





Castiel Novak è un angelo; almeno questo è quello che la gente pensa di lui, ed è in questo modo che è stato presentato quando, tornato dalla guerra, gli sono state appuntate al petto tutte quelle medaglie di cui ancora stenta a capirne il significato. Eroe di guerra sarebbe certamente un termine più appropriato del precedente, eppure Castiel non si sente neppure un eroe (figuriamoci un angelo) e allora quando qualche vecchia conoscenza chiede a Castiel cosa sia, lui si definisce semplicemente un soldato. Non dirà mai di essere un reduce o un ex soldato, perché anche se per lui la guerra è finita da qualche mese, rimarrà sempre un soldato. Avrà sempre il collo ed i polsi un po’ bruciati dal sole, che picchiava forte nei lunghi appostamenti, ed avrà sempre quei capelli cresciuti tutti disordinati dopo averli rasati, avrà quel portamento rigido ed impostato di chi sa obbedire solo agli ordini, e quella cicatrice sul fianco sinistro, risultato di una ferita d’arma da fuoco, rimarginata con pelle più dura, non se ne andrà mai, come non se ne andranno mai quegli occhi troppo blu e profondi per un solo uomo e quell’espressione sorpresa ed incantata mentre fissa le altre persone, ma questo è sempre stato Castiel, questo lo era ancora prima delle battaglie che ha dovuto affrontare.
Castiel ricorda benissimo come una volta un ragazzo lo avesse chiamato angelo prima della guerra, prima degli spari assordanti, prima della polvere tra i denti e prima della vista del sangue vermiglio sulle divise verdi. Ma Castiel non è tipo che sa tenersi stretto un amore e non è tipo da crogiolarsi in due occhi verdi e in quelle parole -angelo mio- sussurrate appena sotto l’orecchio con il fiato caldo e il respiro mozzato. Quindi no, Castiel non è un angelo, non è nemmeno un eroe, è un soldato, semplicemente un soldato e questo va benissimo così com’è.





Dean Winchester è un cacciatore. Alla Roadhouse lo sanno tutti. Non c’è individuo frequentate il locale regolarmente, che non sia a conoscenza degli occhi verdissimi, da predatore di Dean, delle sue lentiggini, che diventano più evidenti non appena arrossisce un po’, e che fanno capitolare -più o meno- chiunque; tutti, ma proprio tutti, conoscono quel suo modo gentile di circuire le sue prede e il modo in cui le intrappola in una gabbia di labbra e denti quando si apre in un sorriso carico di dolcezza. La caccia Dean ce l’ha nel sangue, non sempre gli piace questo suo modo d’essere, ma è la sua natura e non riesce proprio a farne a meno. Spesso è stanco di cacciare, Dean, spesso vorrebbe prendere una pausa, perché è esausto di dover sempre conquistare chiunque, è stufo di essere lui quello che caccia, quello responsabile, quello che ‘tranquillo ci penso io’. A volte vorrebbe essere lui quello a dover essere cacciato, vorrebbe essere lui quello a dover essere inseguito, vorrebbe essere salvato da quella caccia di perdizione e peccati e vorrebbe -questo davvero con tutte le sue forze- essere conquistato ancora da due occhi troppo blu per essere legali, vorrebbe trovare, o meglio ritrovare, il suo angelo salvatore, perché Dean proprio non può dimenticarsi di quell’amore adolescenziale nato tra i banchi di scuola ed interrotto troppo presto da una chiamata alle armi; Dean non si può dimenticare dell’unica volta che si è sentito di nuovo amato dopo la morte della madre; Dean non dimentica, gli è testimone la luna, della promessa di quel bacio mai dato, di quelle labbra rosa e sempre screpolate, che sono scappate un attimo prima che lui ci appoggiasse morbidamente le proprie. Dean non scorderà mai il sogno andato in frantumi di un’esistenza felice vicino al suo angelo. Dean non ignora il fatto che l’ago per ricucire quel sogno l’ha lasciato partire cinque anni prima, dimenticato in una qualche tasca dell’impermeabile di un ragazzo dai capelli disordinati e dagli occhi troppo limpidi e profondi per vedere la guerra e Dean spera, desidera e vuole intensamente che quell’ago torni da lui integro, assieme al ragazzo dall’impermeabile beige.
Ma la Roadhouse va avanti, nonostante i suoi pensieri, il locale come ogni sera si affolla ed arriva il momento di pensare ai piatti troppo caldi e pesanti ed ai movimenti fluidi ed eleganti per evitare di romperli.
Dean sente solo Ellen che detta ordini a destra e a manca, Jo che continua a spillare birre e servire gli uomini dietro il bancone e Sammy che accaldato e sporco di farina gli passa le pizza da servire; allora pensa che, per l’ennesima sera, i suoi sogni, i desideri, le promesse infrante ed i rimpianti sia meglio affidarli alla luna, che alta nel cielo gli sorride, ed arrivare a fine serata sembra un’impresa un po’ meno dolorosa.


Castiel è tornato alla vita da civile, si è rimesso la giacca nera, la cravatta che si intona alla perfezione con i suoi occhi e l’immancabile trench; questo abbigliamento da contabile però ora sembra un po’ stretto. Sembra inadatta la camicia con i bottoni troppo tirati dai muscoli del petto, sembra inadatto il trench-coat perché Castiel non è più abituato ad indossare un indumento dove sangue e terra non siano rappresi e sembra inadatta persino la cravatta perché, insomma, Castiel se n’è accorto la prima volta che si è specchiato, tornato in America, di quella patina che rendeva il blu dei suoi occhi un po’ meno luminoso, un po’ più opaco.
Nonostante tutto Castiel non se ne lamenta ed indossa sempre gli stessi abiti come fossero una divisa, e quando scende le scale del suo appartamento ed esce lo fa come se dovesse nuovamente scendere sul campo di battaglia.
Spesso accade che Castiel faccia cose senza sapere bene il perché, si ritrovi in posti senza sapere come ci sia arrivato, o parli con persone di cui non ricordava né nome, né volto, né -tanto meno- di averle mai conosciute ed allora inclina un po’ la testa a destra e spalanca gli occhi in un balugino luminoso.
Novak si sente sballottato su e giù di qua e di là, ma non se ne preoccupa, perché è un soldato, ed è di vitale importanza che un soldato sappia solo adempiere agli ordini senza conoscere il libero arbitrio. Per questo motivo Novak si lascia scivolare tutto addosso, credendo che la più piccola mossa intenzionale equivalga ad una ribellione a, non sa più, quale potere superiore.
A Castiel piace mettersi a lato della strada della vita, farsi dare un passaggio dalle coincidenze e lasciare che sia il destino a scegliere per lui che strada intraprendere di fronte agli incroci.
Questo gioco -ma, diamine, gioco sembra la parola più sbagliata da usare- lo diverte molto, ci sono così tante porte che rimarranno chiuse, strade che non verranno mai battute e possibilità che non saranno mai realizzate, che spesso Castiel si sente sopraffatto e travolto dagli avvenimenti. Osserva curioso, come fosse solo spettatore, dove lo conduce la vita.
Castiel una sera si ritrova fuori da un piccolo locale dall’insegna imponente che recita “Roadhouse”, un piccolo fiume scorre accanto amplificando l’argento lunare che sembra aver lustrato il paesaggio circostante, come quando il custode passa la cera nell’atrio della palestra.
La cosa davvero buffa è che la probabilità che Castiel si trovasse lì era così minima, da far sembrare ridicolo esprimerla in percentuale.
Castiel non sarebbe mai stato lì se non fosse stato bravo in matematica, se non avesse deciso di tornare al proprio paese natale dopo la guerra, se quelli dell’ufficio-chi-si-ricorda-il-nome non gli avessero trovato un lavoro da contabile, se in quell’ufficio non avesse mai lavorato Gabriel, un vecchio amico, se i loro orari non fossero mai concisi, se Gabriel non fosse stato sempre uno così socievole e pieno di vita, se Gabriel non avesse più mantenuto i contatti con Balthazar -altro vecchio amico-, se quel festaiolo non avesse deciso di riunire tutti per una rimpatriata, se Gabriel non avesse trovato quel volantino della Roadhouse con menù a metà prezzo, sarebbe bastato addirittura che il treno avesse ritardato per non trovarsi lì. Ma no tutto ciò è andato esattamente così, così come doveva andare. Quindi Castiel si ritrova alle otto di sera fuori dal locale aspettando i suoi amici ritardatari a pensare, per l’ennesima volta, quanto insolito, contorto e pazzo può essere il destino.







Bisogna ammetterlo; Dean Winchester è davvero un bravo ragazzo; non ha grilli per la testa, ha cresciuto un fratello praticamente da solo, ha superato il trauma della morte di una madre strappatagli via troppo presto ed ha sopportato ed amato un padre che lo sballottava da una parte all’altra dell’America senza troppi complimenti; l’unico suo vizio è che gli piace conquistare, gli piace portarsi a letto praticamente una persona a sera, ma -beh- di questo nessuno gli fa una colpa, infondo ognuno ha il suo modo per distruggere le tenebre della solitudine.
Dean è anche un bravo cameriere, è paziente con i clienti indecisi ed è sempre disponibile, gentile e sorridente; fa praticamente qualsiasi cosa Ellen gli chieda. Come ogni essere umano, però, anche il perfetto Dean Winchester ha qualcosa che odia profondamente e con tutto il suo cuore.
Il secondo sabato di ogni mese e quel -dannato- volantino che recita “Roadhouse, tutto il menù a metà prezzo”. Dean lo detesta, lo disprezza dal profondo delle sue viscere, disapprova intensamente questa scelta di Ellen. Nel momento in cui il locale si riempie, si affolla di uomini burberi, affamati e prepotenti, Dean vorrebbe proprio piantare tutti in asso ed andarsene. Prova un fastidio immenso nel vedere questi uomini che urlano e mettono tutto a soqquadro neanche fossero demoni.
Inoltre qualcuno dovrebbe proprio spiegarli perché quelle due teste calde di Garth e Ash non hanno controllato l’impianto elettrico, perché -diavolo- se Ellen dice di controllare l’impianto elettrico, semplicemente loro dovrebbero farlo e forse -ma solo forse- ora le luci del locale non andrebbero ad intermittenza come fossero in una fottuta discoteca.
Luce, buio, luce, buio. Dean sospira, guarda affranto verso la porta che si apre di nuovo. Buio, Dean pensa che caccerà questi clienti perché -insomma, dai- è umanamente impossibile che nel locale ci stiano altre persone. Luce, buio. Buio e poi ancora luce.
Lo vede, è questione di un attimo, ma lo vede. Scruta, tra la folla che si accalca ai tavoli, quei due zaffiri incorniciati dall’immancabile trench-coat.
Castiel entra; Dean lo vede; lo osserva e sa che dire di aver perso un battito sarebbe un eufemismo, perché sente qualcosa artigliargli il petto e -cazzo- Dean non avrebbe mai pensato di andarsene così giovane o, perlomeno, non in quel modo, ma per qualche istante è convinto di avere un cristo di infarto.
Castiel entra; Dean si volta; d’improvviso i loro occhi si scontrano, si guardano, s’innamorano di nuovo e si amano; per la prima volta dopo otto mesi Castiel ha la certezza di essere tornato a casa.
La luce continua a funzionare ad intermittenza facendo sembrare entrambi l’uno per l’altro solo delle allucinazioni. Per Castiel il Dean ragazzo si accavalla con l’immagine del Dean che ha di fronte. Per Dean è questione di pochi secondi ricordarsi il Cas ragazzo; la mente gli gioca questo brutto scherzo in quei brevissimi istanti di oscurità che si susseguono.
I ricordi di Dean iniziano a riaffiorare come un’alta marea nei meandri della sua mente.





“Non finirò la scuola, il prossimo mese me ne andrò, Cas”
“Dean non dovresti farlo; non dovresti vivere tutta la tua vita all’ombra di questa sete di vendetta”
Castiel rafforzò la presa sui fianchi di Dean, sussurrandogli piano quelle parole.
“No Cas, tu non capisci; troverò quei figli di puttana che hanno ucciso mia madre, dovessi buttare la mia intera vita, ma li troverò”
Cas -era vero- non capiva, non poteva capire, non sapeva che significava piangere la perdita di una madre, perché lui una madre non l’aveva mai avuta, nemmeno un padre -ad essere onesti-. Cas non capiva e mai avrebbe potuto capire, ma sapeva che avrebbe dovuto salvare Dean, avrebbe dovuto afferrarlo forte e salvarlo dalla perdizione, avrebbe dovuto spiegarli che la vendetta non avrebbe messo ogni cosa al suo posto, che uccidere i criminali, che molti anni prima si erano intrufolati a casa sua uccidendo la madre e mandando John in fin di vita, non avrebbe portato indietro sua madre e, soprattutto, non lo avrebbe reso meno triste.
“Dean, tu mi devi promettere che avrai una vita meravigliosa, che non inseguirai nessuno, che le uniche persone che caccerai saranno quelle che conquisterai nei bar con quel tuo magnifico sorriso e con le tue stupende lentiggini”
“Allora non andartene, Cas. Non farlo. Ho perso tutti nella mia vita, non fare in modo che perda anche te”
Cas percepì una brutta sensazione allo stomaco, credette quasi che qualcuno gli avesse sparato tanto soffriva. Avrebbe dato l’anima per quel ragazzo disperato che stringeva tra le braccia, si sarebbe potuto perfino ribellare alla decisone di andare in guerra. Il punto era che Castiel sentiva che era necessario farlo, doveva allontanarsi da Dean, doveva andare in guerra, il servizio militare gli aveva già dimostrato che quello era l’unico posto a cui sarebbe mai potuto appartenere, ma -cosa più importante di tutte- doveva scordarsi Dean Winchester, doveva lasciarlo libero dalla sua prigione costruita con barre d’affetto e passione, doveva fare in modo che tutto il marcio che sentiva di aver dentro non contaminasse anche quel bel ragazzo dagli occhi smeraldo, doveva permettergli di essere felice anche se non sarebbe mai potuto entrare con lui in quella bolla di serenità che gli stava costruendo, avrebbe avuto una famiglia, Dean, una moglie che lo amava, due tre figli vivaci, un buon lavoro che lo facesse sentire appagato.
“Angelo mio, non posso farcela se tu te ne vai”
Castiel strinse tra le dita la camicia di jeans del ragazzo fino a far sbiancare le nocche, tremò per il fiato caldo di Dean contro il suo collo, appena sotto l’orecchio, sussultò a quelle parole proferite con così tanto amore, con tanta riverenza, che non erano da lui.
Poi Castiel percorse piano con la bocca ogni centimetro del viso di Dean, scese piano lunga la linea della mandibola e infine diede umidi baci sul suo collo, mai toccò le sue labbra.
Molti minuti dopo staccò appena la bocca dalla pelle dell’altro, per far unire le loro fronti.
“Non posso rimanere Dean, tu lo sai il perché, devi essere libero di vivere una vita come si deve”
Castiel passò il pollice sulla guancia dell’altro asciugando quell’unica lacrima, che Dean si era concesso di far scendere, e portando, poi, il dito alla bocca in un gesto naturale, percependo sulle papille gustative il sapore forte di quella lacrima così salata.
“Baciami Cas”
Il corpo di Dean tremava sotto quello di lui, era scosso da forti singhiozzi, ma Castiel sapeva di non poterlo baciare, sapeva che se l’avesse fatto sarebbe rimasto lì con lui a stringerlo ancora, baciarlo e farci l’amore. No. Doveva andarsene, doveva andare  verso il mondo a cui credeva di appartenere e lasciare libero Dean di costruirsi una vita felice, doveva adempiere al suo destino, senza poter decidere nulla.
“Non posso, Dean”
E così Castiel se ne andò, senza voltarsi. Se ne andò con un bacio in gola che prudeva più di ogni altra puntura, se ne andò sapendo di lasciare dietro di sé l’unico uomo che l’aveva mai amato, che era stato capace di scuoterlo e di fargli provare dubbi.
La luna, cerchio perfetto in una notte senza stelle, stava lì sopra di lui a raccogliere quella tacita promessa che se un giorno mai Castiel sarebbe tornato, avrebbe lottato per avere quel bacio non dato.


Per Castiel rivedere Dean è intensamente reale; reale come nulla gli era più sembrato da molto -troppo- tempo; sconsideratamente più reale delle bombe a mano, dei mitra puntati contro del sangue impiastricciato sulla divisa, più reale persino del viaggio per tornare in patria e dei cereali che consuma a ogni mattina a colazione.
Castiel non era più convinto di star vivendo una vita, piuttosto credeva fosse la vita stessa a spintonarlo di qua e di là; sapeva di non poter far altro che assistere inerme, ma avere lì Dean davanti a lui è proprio sconvolgente. Sarebbe bastato fare qualche passo, afferrarlo e farlo di nuovo suo annullando gli anni e la distanza.
Per la prima volta sente di voler davvero qualcosa, di voler essere lui l’artefice del proprio destino. Non avrebbe sopportato che quella serata finisse senza almeno aver baciato le labbra di Dean. Certo sapeva benissimo che il tempo fa cambiare le persone, che quel Dean non era lo stesso di anni prima, ma c’erano sempre quelle adorabili labbra e quegli occhi così verdi ed intensi e a Castiel tutto questo bastava.
Trattiene l’istinto di correre verso di lui, come nelle peggiori commedie romantiche, si limita ad inclinare il capo verso destra e stropicciare le labbra; quando lo smagliante sorriso di Dean lo raggiunge tra le luci impazzite Castiel sa di essere terribilmente vivo, tanto vivo da stare quasi male e sente di appartenere, appartenere all’unico ragazzo che aveva mai amato.


Dean era convinto che il tempo funzionasse come la pioggia che a poco a poco cancella i ricordi più vividi; in questo modo Dean era riuscito a sopportarne tante, facendo scorrere via il dolore goccia a goccia. Questo era quello che ripeteva sempre a Sam lascia che passi, le cose si sistemeranno, e fino a quella maledetta sera tutto ciò era stato clamorosamente vero.
Rivedere Castiel, però, è un punto di non ritorno. Aveva passato mesi aspettando una sua lettera prima e, poi, anni ad aspettare il suo ritorno.
Ritrovare qualcosa dopo aver perso ogni speranza è davvero ineguagliabile.
Avrebbe dovuto corrergli incontro, dargli un pugno per quel bacio mai dato, un altro ancora per non avergli mai scritto, poi magari una testata proprio sul naso perché -cacchio- quel moccioso era tornato e non l’aveva nemmeno cercato. Avrebbe dovuto gridargli in faccia tutta la rabbia e subito dopo sussurrargli l’amore che non aveva mai perso. Avrebbe dovuto essere meno terrorizzato dal fatto che quello che ora si trovava davanti non era più un ragazzino, ma era un reduce -un fottuto reduce di guerra- e dio solo sapeva quante cose aveva visto, quanto sangue aveva versato, quante morti sopportato; quel Castiel poteva benissimo essere qualcun altro, poteva essere un uomo senza lo stesso prurito che Dean sentiva in gola desideroso di quel bacio promesso, poteva essere un individuo che non ricordava più una nottata di tanti anni prima illuminata da una splendente luna, perché quando combatti vuoi solo dimenticare e questo Dean lo sapeva.
Poi però Castiel piega la testa di lato come faceva sempre, con quell’espressione un po’ persa e quelle labbra sempre screpolate che solo Dean sapeva essere tirate in un sorriso. Allora sa che va tutto bene. Che il suo Castiel è proprio lì a pochi passi da lui, che lo ha finalmente ritrovato.
Andare ad accogliere quei nuovi clienti, liberare un tavolo e leggere loro il menù non sembra, poi, un’impresa così ardua ora che il cuore è tornato a battere regolare.


È strano come spesso le persone possano parlare per ore senza dirsi niente realmente e come altre volte, invece, possano restare in silenzio e raccontarsi una vita semplicemente guardandosi negli occhi.
Quella sera ci sono tante parole urlate, tante imprecazioni e bestemmie che forse un dio avrebbe perdonato ai clienti della Roadhouse; ci sono molte pizze cotte nel forno a legna; una marea di boccali di birra che scorrono lungo il bancone; si elevano risate fragorose degli ubriachi ed altre trattenute di chi ha ancora un minimo di decenza e sobrietà; c’è l’impianto elettrico che non la smette di dare di matto, Ellen furente che prende a calci quegli svampiti di Ash e Garth; ci sono persino Balthazar e Gabriel che con tutto il loro parlottare storno, neanche fossero due comari, fanno ridere Castiel più di una volta; ma, cosa più importante, ci sono un paio d’occhi cobalto ed un paio verde chiaro che non finiscono mai di cercarsi, di raccontarsi le loro storie come potevano, di perdonarsi ed amarsi come nulla fosse successo.
Dean serve il tavolo di Castiel e senza che gli fosse chiesto lascia un boccale di birra e fanta a Castiel sussurrando un offre la casa e tornando nelle cucine subito dopo imbarazzato e pieno di lentiggini.
Castiel rimane sorpreso da quel gesto, da quella bevanda che non ricordava più essere la sua preferita, perché stava sorseggiando quella il giorno del primo attacco al suo plotone e in seguito non ne volle più sapere di berne dell’altra. Non dice nulla perché va bene così, perché quella era la bevanda che avrebbe dovuto bere; mescolava sempre fanta e birra quand’era con Dean ed ora è di nuovo con lui e Dean se n’è ricordato ed è tutto dannatamente perfetto.


A fine serata le risate scemano, i più ubriachi vengono sbattuti fuori da Sam che ha finito con le pizze, ed una musica lenta riempie il locale.
Castiel sente la forte urgenza di andare in bagno e si alza frettolosamente seguendo le indicazioni che dicevano si trovasse infondo allo stretto corridoio subito dopo la cucina.

Manca la luce per problemi di tensione (Garth e Ash avrebbero fatto bene a scappare per sempre dalle grinfie di Ellen).
Castiel percepisce di aver urtato qualcuno proprio mentre sta per oltrepassare le cucine, e alla cieca lo afferra per un braccio in modo da non farlo cadere, facendo si che entrambi finissero contro il muro uno schiacciato all’altro.
Non c’è bisogno di parole o della luce, che mai come in quel momento aveva scelto il momento giusto per venir meno.

“Ciao Dean”
Un sussurro con mille significati, un ehi sono tornato e non voglio proprio che questa serata finisca così, un sai vorrei davvero rivederti, perché ora sono qui e quando ti ho visto mi sono sentito bene per la prima volta dopo mesi di buio, un Dean non ti ho mai dimenticato, ti ho sempre amato, ho sempre portato tra le cuciture della mia divisa il tuo ricordo. Semplicemente Dean, l’uomo giusto, l’uomo per cui vale la pena fare una guerra, capire qual sia il tuo posto e poi tornare, Dean Dean e solo Dean.

Le braccia di Dean si infilano lente nel trench dell’altro per attirarlo meglio a sé e finalmente trova la forza di dire quello che pensa da una sera intera.

“Baciami Cas”
E quel bacio scatta -non lo seppe mai nessuno-. Scatta avvolto dall’oscurità con il sorriso amico della luna. Perché nessuno lo chiamava mai Cas, nessuno lo stringeva mai in quel modo bisognoso e disperato.

Fu straziante, un bacio davvero straziante ed agognato da tempo immemore.
Fu doloroso e bellissimo.
Fu stravolgente quando le lacrime iniziarono a mischiarsi alla saliva.




E Cupido deve essere davvero un cretino ad aver scoccato le sue frecce su questi due, perché sono due uomini, perché hanno entrambi sofferto troppo, perché hanno visto cose che ragazzi della loro età non avrebbero dovuto mai vedere, perché la guerra ti sporca il cuore e perdere una madre da bambino ti riempie l’animo di vendetta, perché infondo infondo uno ha un animo di un angelo e l’altro la natura di un cacciatore, perché verde e blu sono colori troppo vividi per venire accostati, ma a Dio tutto questo deve andare proprio a genio per poterlo permettere, devono andare, chiaramente, bene quelle labbra che si toccano, quei denti che mordono e quelle lingue che si avvinghiano, lasciando insaziabili le loro bocche. Anche la Luna al pieno del suo scintillio sembra divertirsi, mentre fa in modo che quella promessa fatta cinque anni prima sotto la sua stessa luce venga adempiuta, mentre lancia giù un raggio più luminoso nel fiume che scorre fuori dalla Roadhouse, in modo che il riflesso intrufolatosi dalla finestra le faccia vedere al meglio quant’è bello un amore che si ricongiunge, quant’è bello quando due persone si amano.
Dean e Castiel la lasciano fare, sanno quanto c’è di sbagliato nelle loro barbe che strusciano, nelle loro mani che non ne hanno abbastanza del viso dell’altro, ma -ehi- la volta celeste sembra trovare tutto questo maledettamente perfetto, e allora la lasciano fare, mentre i loro sapori forti si mischiano diventando uno solo, lasciano sbirciare la luna, la lasciano lì, testimone di una storia bellissima, troppo umana e troppo bislacca per appartenerle, la lasciano lì con quel suo faccione tondo riempito da un nuovo segreto e  con lacrime appena sbocciate da aggiungere al firmamento.

E allora lascia, lascia la luna sbirciare.
   
 
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